Diversamente dalla crisi pandemica e dai DPCM, quando molti ricordavano – e ricorrevano – alla teoria di Schmitt sullo stato d’eccezione, per quanto spesso cercando di amputarla dall’essere un criterio d’identificazione del sovrano, che fa troppo Salvini – non mi risulta che la crisi ucraina sia stata inquadrata in un’altra delle idee di Schmitt, così utili ad interpretare la situazione contemporanea: quella del Grossraum (grande spazio). Per connotare tale concetto occorre premettere che s’iscrive nella concezione di decadenza dello Stato moderno, cui Schmitt contrapponeva l’insopprimibilità del “politico”, quale essenza (Freund).
Onde se lo Stato
non “fa” politica (o si autolimita in ciò) a colmare tale assenza ci pensano
altri soggetti (dai partiti, alle chiese, agli imperi e così via). Dopo di che,
atteso che un limite spaziale, nelle civiltà sedentarie (Hauriou) è necessario,
come lo è un soggetto (e principio) ordinatore, il Grossraum può essere considerato come uno spazio delimitato,
organizzato intorno ad un’egemonia di comando, in grado di governare una
pluralità di sintesi politiche (cioè in primo luogo, gli Stati), escludendone
le potenze esterne allo stesso.
In un’interpretazione
post-Huntington tale spazio può somigliare alle “civiltà” i cui componenti sono
affini per un patrimonio di idee, tradizioni, valori comuni. A tale tesi si può
tuttavia replicare che il Grossraum,
anche se non esclude – anzi è favorito – (dalle) affinità non vi trova un
elemento essenziale. Questo perché lo sono, invece l’egemonia e la
delimitazione spaziale, possibile anche in spazi di popoli non omogenei né
affini. Come d’altra parte in altre sintesi politiche, come gli imperi, per lo
più multi-etnici, multi razziali, multi religiosi[1]. Più
vicino al concetto di Grossraum è
quello di “sfera d’influenza” e altre consimili, che designano l’effettività di
un comando egemonico (e relativa pretesa) su più sintesi politiche. Che questo
emerga da millenni fa parte della storia. Ogni (aggregato di) potenza si
circonda, ove possibile – di stati-clienti, gli obblighi dei quali vanno dal massimo di fornire risorse – anche militari
– alla sintesi politica egemone, al minimo
di conservare una neutralità in caso di guerra tra quella e le altre, in
effetti una rinuncia a muover guerra alla potenza egemone.
Già la storia
romana e bizantina ci danno esempi di tale tipo di rapporto. Lacmidi e Gassanidi
erano stati – clienti degli imperi persiano (sassanide) e romano. Gerusalemme,
qualche secolo prima era stata assediata
dall’esercito di Tito, formato in buona parte da soldati forniti dai tre vicini
stati – clienti dell’impero romano.
È chiaro che
tali limitazioni assunte o imposte agli Stati clienti costituiscono altrettanti paletti alla sovranità; questa, in senso giuridico ha il
significato di non tollerare alcun limite (Romagnosi, Orlando tra i tanti). Onde
al contrario di quanto succede in altri casi, gli strenui difensori dell’Ucraina
lo sono diventati (forse a malincuore) anche della sovranità della medesima.
Più che alle
incoerenze tra atteggiamenti concreti e affermazioni ideali, tuttavia la
riflessione sul punto non dovrebbe prescindere da quanto pensava Spinoza: che
la sovranità è illimitata in diritto, ma è limitata in fatto dalla possibilità reale di azione: tantum juris,
quantum potentiae. Il sovrano non è colui che puote quel che si vuole, ma è chi è libero nel decidere tra
alternative possibili. Questo vale in modo – ovviamente – assoluto per l’impossibile
ontologico, e in modo relativo per l’impossibile concreto. Del pari per le scelte azzardate o, al limite insensate (Aron).
Come quella del Principato di Monaco che intendesse muovere guerra alla Francia.
Una scelta dall’esito positivo impossibile, in particolare per la sproporzione
dei mezzi a disposizione e quindi (altamente) inopportuna. É la disparità delle
forze tra le potenze aderenti e quelle egemoni (sostanzialmente, di converso,
pari tra loro) della Nato e del Patto di Varsavia che ha conservato, dopo Yalta,
la pace in Europa, e l’egemonia nei rispettivi blocchi degli USA e dell’URSS.
Dopo l’implosione
dell’URSS, che è equivalsa ad una guerra perduta, la Russia ha dovuto
rinunciare all’egemonia sulle nazioni dell’Europa orientale, e tollerare la
perdita dell’unità politica delle repubbliche federate nell’URSS. Analogamente
a quanto praticato e deciso a Yalta per gli imperi giapponese, italiano e il Reich
tedesco. Tuttavia l’enorme estensione territoriale e la popolazione della Russia
hanno conservato alla stessa nello spazio eurasiatico un primato dovuto allo
squilibrio dei rapporti di forza con le vicine repubbliche ex sovietiche: l’Ucraina
che è la più popolosa, ha comunque una popolazione pari o poco più di un quarto
di quella russa; il PNL ucraino è circa 10 volte inferiore. Questo tralasciando
altri fattori di potenza, dalla
proporzione simile, e senza andare alla storia dei due paesi.
L’unica possibilità
per l’Ucraina è una violenta guerra partigiana, che pare assai remota e
comunque portatrice di enormi danni a ucraini, russi, nonché (almeno economici)
agli europei occidentali. Qualcuno forse spera che gli aspiranti guerriglieri
ucraini ripetano, per Putin, l’impresa dei loro predecessori della seconda
guerra mondiale, che uccisero il generale Vatutin che aveva appena
riconquistato l’Ucraina alla Russia.
Per cui l’avvertimento
dato più volte negli anni trascorsi da politici e politologi come Kissinger, il
nostro Prodi (ed altri – non molti) di non cercare di estendere la Nato a Stati
ex-sovietici, appare come un consiglio assai azzeccato, e il più idoneo a conservare la pace e l’ordine
internazionale. Come intuito da Schmitt con la sua dottrina del Grossraum. Questa è il contrario di
quanto sbandierato nell’ultimo trentennio, di una visione del mondo propiziata
della “fine della storia” (la quale si è affrettata a ricominciare), e fondata
sulla condivisione di valori che per quanto apprezzabili, hanno il limite, politicamente
decisivo, per essere efficaci d’esser
condivisi: se non lo sono, non servono a creare coesione politica e sociale, ma
solo ad attizzare conflitti.
[1] Per gli imperi è (quasi) la
regola. Riguardo all’Ucraina proprio Huntington sostiene che “la linea di
faglia” tra civiltà cristiana occidentale e cristianesimo orientale, attraversa
l’Ucraina.
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