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Dizionario del sionismo
«Non mi faccio illusioni: ci vorrà ben più di questo libro per ribaltare una realtà che demonizza un popolo colonizzato, espulso, occupato, e glorifica invece quello stesso popolo che l’ha colonizzato» (ivi, 220). I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale per ogni singolo villaggio distrutto durante la pulizia etnica del 1948 e negli anni successivi fino al nostro presente.
La pulizia etnica della Palestina non è un evento limitato e confinato nel 1948. Storicizzarre la Nakba sarebbe come consegnarla al passato ed accettarla con rassegnazione per il presente. In realtà il genocidio del popolo palestinese continua al presente, ogni giorno, sotto i nostri occhi. I “Territori Occupati” con i suoi “insediamenti e insieme con il reticolo dei checkpoints sono la continuazione del progetto politico del 1948, già implicito all’epoca del primo insediamento sionista nel 1882 e nell’ideologia fondativa del sionismo. Solo l’analisi costante della sua ideologia in tutte le sue attualizzazioni e riformulazioni ci potrà conentire di comprendere e spiegare quanto gli israeliani stanno facendo giorno per giorno e ci darà la speranza di poter forse i prossimi casi di genocidio e massacro. Voglio ripetere che la nozione di genocidio su cui mi baso non è la semplice soppressione fisica di un numero più o meno elevato o indiffererenziato di esistenze umane, ma la semplice volontà di scardinare l’unità organica di un popolo con le sue espressioni comunitarie (“capi”, lingua, costumi, religione, cultura, economia, ecc.) per trasformarla nell’hobbesiana o manzoniana moltitudine dispersa senza un nome, praticamente in profughi come possiamo largamente osservare. L’esistenza dei campi profughi è in questa accezione la prova vivente dell’esistenza del genocidio politico e culturale. Per chi non ha mai messo piede in Israele, ma vuol rendersi conto della realtà di un’occupazione finalizzata alla pulizia etnica e al genocidio, diventa piuttosto difficile comprendere il concetto di ckeckpoint. Ve ne sono innumerevoli e la loro funzione è di ostacolare al massimo la circolazione dei palestinesi. In pratica sono un popolo tenuto in condizione di prigionieri, di ostaggi. Le angherie sono continue e finalizzate a produrre l’abbandono del territorio. Certamente, la soluzione “finale” più propria sarebbe l’eliminazione fisica immediata di tutti i palestinesi, ma non è praticabile benchè molto desiderata. In una nuova serie di post che si aggiunge all’elenco dei villaggi distrutti nel 1948 ed alla ricostruzione della loro storia per quanto possibile, quindi all’elenco degli insediamenti colonici in Cisgiordania il cui numero e consistenza cresce continuamente, si aggiunge ora un elenco dei checkpoint, dove opera un’apposita organizzazione di donne pacifiste israeliane che stazionano ogni check point e forniscono testimonianze. Hanno un apposito sito: machsomwatch.org, che sarà la nostra prima fonte di informazione. L’elenco dei Chekpoints si trova a questa pagina.
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Dizionario del sionismo
«Non mi faccio illusioni: ci vorrà ben più di questo libro per ribaltare una realtà che demonizza un popolo colonizzato, espulso, occupato, e glorifica invece quello stesso popolo che l’ha colonizzato» (ivi, 220). I Lettori di “Civium Libertas” sono invitati a collaborare alla redazione di un Memoriale per ogni singolo villaggio distrutto durante la pulizia etnica del 1948 e negli anni successivi fino al nostro presente.
La pulizia etnica della Palestina non è un evento limitato e confinato nel 1948. Storicizzarre la Nakba sarebbe come consegnarla al passato ed accettarla con rassegnazione per il presente. In realtà il genocidio del popolo palestinese continua al presente, ogni giorno, sotto i nostri occhi. I “Territori Occupati” con i suoi “insediamenti e insieme con il reticolo dei checkpoints sono la continuazione del progetto politico del 1948, già implicito all’epoca del primo insediamento sionista nel 1882 e nell’ideologia fondativa del sionismo. Solo l’analisi costante della sua ideologia in tutte le sue attualizzazioni e riformulazioni ci potrà conentire di comprendere e spiegare quanto gli israeliani stanno facendo giorno per giorno e ci darà la speranza di poter forse i prossimi casi di genocidio e massacro. Voglio ripetere che la nozione di genocidio su cui mi baso non è la semplice soppressione fisica di un numero più o meno elevato o indiffererenziato di esistenze umane, ma la semplice volontà di scardinare l’unità organica di un popolo con le sue espressioni comunitarie (“capi”, lingua, costumi, religione, cultura, economia, ecc.) per trasformarla nell’hobbesiana o manzoniana moltitudine dispersa senza un nome, praticamente in profughi come possiamo largamente osservare. L’esistenza dei campi profughi è in questa accezione la prova vivente dell’esistenza del genocidio politico e culturale. Per chi non ha mai messo piede in Israele, ma vuol rendersi conto della realtà di un’occupazione finalizzata alla pulizia etnica e al genocidio, diventa piuttosto difficile comprendere il concetto di ckeckpoint. Ve ne sono innumerevoli e la loro funzione è di ostacolare al massimo la circolazione dei palestinesi. In pratica sono un popolo tenuto in condizione di prigionieri, di ostaggi. Le angherie sono continue e finalizzate a produrre l’abbandono del territorio. Certamente, la soluzione “finale” più propria sarebbe l’eliminazione fisica immediata di tutti i palestinesi, ma non è praticabile benchè molto desiderata. In una nuova serie di post che si aggiunge all’elenco dei villaggi distrutti nel 1948 ed alla ricostruzione della loro storia per quanto possibile, quindi all’elenco degli insediamenti colonici in Cisgiordania il cui numero e consistenza cresce continuamente, si aggiunge ora un elenco dei checkpoint, dove opera un’apposita organizzazione di donne pacifiste israeliane che stazionano ogni check point e forniscono testimonianze. Hanno un apposito sito: machsomwatch.org, che sarà la nostra prima fonte di informazione. L’elenco dei Chekpoints si trova a questa pagina.
Links:
1. Machsomwatch.org -
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Abu Dis
La notizia di avvio per aprire questa scheda ci sembra quanto si può leggere a proposito di un parto avvenuto davanti al checkpoint. Ne riporto integralmente il testo come lo trovo in Infopal:
Abu Dis
La notizia di avvio per aprire questa scheda ci sembra quanto si può leggere a proposito di un parto avvenuto davanti al checkpoint. Ne riporto integralmente il testo come lo trovo in Infopal:
«Oggi, una donna palestinese ha partorito a un checkpoint israeliano nella città di Abu Dis, nei pressi di Gerusalemme. Ne hanno dato notizia fonti dell’esercito israeliano, che si sono dette “fiere” che un soldato abbia aiutato la donna a partorire, dopo averle impedito di raggiungere l'ospedale, a Gerusalemme. Abu Dis è infatti divisa dalla vicina Gerusalemme dal Muro di separazione. Le fonti israeliane hanno aggiunto che il soldato ha chiamato l’ambulanza, ma la donna stava già per partorire e lui ha seguito le indicazioni del dottore via telefono. Dopo il parto, la mamma è stata trasportata all'ospedale Al-Maqasid, a Gerusalemme».Non può che considerarsi impudenza il modo in cui l’esercito occupante rivolge in suo merito che che è un demerito assoluto, cioè l’occupazione illegale dei territori. È ancora da notare una costante attenzione ai media al fine di non ostacolare l’attività dell’Hasbara, l’ufficio preposto a promovuele all’estero l’immagine di Israele come “unica demorcrazia del Medio Oriente” e del suo esercito come il più “morale” del mondo. Menzogne spudorate ma in linea con i principi guida della propaganda all’estero.
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