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Il testo che segue è il Capitolo VII del manualetto “Boicottare Israele: una pratica non violenta”, a cura di Diana Craminati e Alfredo Tradardi. Come docente uneveritario questo capitolo mi interessa particolarmente. Ne riporto qui il testo con un duplice scopo: a) Studiare l’evoluzione storica di questa forma di boicotaggio, rintracciando i documenti che vengono citati nel testi e quindi ripubblicarli; b) su questa base così stabilita studiare il fenomeno al presente e seguirne gli svolgimenti.
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1.
I PROMOTORI DEL BOICOTTAGGIO CULTURALE NEL 2002
Il 6 aprile 2002, pochi giorni dopo la distruzione del campo profughi di Jenin in Cisgiordania a opera dell’esercito israeliano durante l’operazione Defensive Shield, sul giornale inglese «The Guardian» apparve una lettera firmata da 123 accademici che chiedevano una sospensione della collaborazione europea nella ricerca universitaria con le istituzioni israeliane finché Israele non avesse mutato la sua politica di occupazione dei territori palestinesi e il sistema di apartheid all’interno dello Stato e non aprisse finalmente seri negoziati di pace. Una lettera simile fu pubblicata in Francia. Un appello uscì in Italia, un altro in Australia. In Inghilterra l'Associazione degli insegnanti universitari (AUT) aderì all'appello, come pure il sindacato NATFHE (National Teachers Federation of High Education). Fra i maggiori promotori e firmatari, che si ispiravano allo storico boicottaggio del Sudafrica, i professori Hilary Rose, sociologa presso l'Università di Bradford e Steven Rose, neurobiologo, docente presso la Open University, che avevano passato mesi come visiting professors nell' Università di Birzeit (Ramallah) e avevano fatto esperienza delle restrizioni ai movimenti, delle intimidazioni e delle prevaricazioni quotidiane dell'esercito israeliano contro gli studenti e gli insegnanti palestinesi. In un intervento del 2004 alla Conferenza Internazionale per la Palestina a Londra, Hilary Rose affermava:
Le università palestinesi operano in condizioni inaccettabili. Nell’università di Al Quds, a Gerusalemme, si è proposto di far passare una parte del Muro proprio sul terreno di un campo da gioco. A intervalli irregolari l’esercito interviene per bloccare l’insegnamento, entra ed esce dai campus, minaccia e arresta gli studenti e lo staff. Studiare o insegnare nelle università (in Cisgiordania e Gaza) significa attraversare check‑points senza nessuna certezza di raggiungere la propria classe [...]. E mentre l’esercito si comporta in questo modo, le istituzioni accademiche e di ricerca israeliane sono attivamente o passivamente complici di questo sistema. Pochi universitari israeliani per ora hanno protestato. La maggioranza di essi beneficia dei frutti di questa repressione.
Inoltre, proseguiva, mentre gli accademici occidentali considerano i colleghi israeliani parte dell’Europa e dell’area di ricerca dell’Unione Europea e continuano a parlare delllmportanza della libertà accademica, è molto difficile riuscire a collaborare in ricerche con colleghi palestinesi della Cis giordania e di Gaza, se a questi colleghi si impedisce di venire in Europa per confrontarsi su ricerche comuni o per riuscire a ottenere fondi. Molte voci si levarono dopo questa lettera per protestare contro il boicottaggio accademico considerato un attacco, grave e pericoloso, alla libertà accademica. Nei mesi seguenti la lettera fu firmata da 270 accademici, inclusi dieci israeliani, e questo fatto suscitò una vivace e rabbiosa reazione nella comunità scientifica israeliana, come venne riportato anche sul giornale «Haaretz». Una risposta molto ferma alle critiche fu scritta nel maggio 2002 da Tanya Reinhart, docente di Linguisti ca dell'Università di Tel Aviv, risposta indirizzata al collega prof. Baruch Kimmerling, che benché contrario al boicottaggio in nome del principio della libertà accademica, era stato fortemente impressionato dalla violenza delle critiche. Dopo aver indicato le tre forme possibili di boicottaggio, il rifiuto di inviti in Israele e di collaborazione con le istituzioni israeliane, il boicottaggio e il taglio dei fondi di ricerca europei per le università israeliane e l'isolamento completo degli studiosi israeliani, quest'ultima giudicata in modo negativo, Reinhart si chiede perché molti accademici, anche israeliani, che avevano sostenuto il boicottaggio sudafricano come mezzo di pressione contro un governo che praticava l'apartheid, lo contrastano ora perché è contro lo Stato d'Israele, il cui modello di apartheid è molto simile, se non addirittura peggiore di quello sudafricano. Ciò che Israele sta compiendo eccede i crimini del regime bianco del Sudafrica. Ha iniziato ad assumere le caratteristiche di pulizia etnica, che il‑Sudafrica non ha mai cercato di fare. Dopo 35 anni di occupazione, è assolutamente chiaro che il sistema politico israeliano ha prodotto per i palestinesi soltanto due scelte: apartheid o pulizia etnica (transfer). Perciò sostiene Reinhart: Lunico mezzo di pressione per fermare Israele è una protesta sul piano mondiale, anche ricorrendo a mezzi spiacevoli come il boicottaggio. E credo, come israeliana, che questo mezzo esterno di pressione non salvi solo i palestinesi ma anche la società israeliana. Per quanto riguarda poi il principio di libertà accademica, che in pochi giorni un gran numero di accademici si era precipitato a invocare come diritto inaliena bile, organizzando in pochi giorni una contropetizione, questo principio, afferma Reinhart, è strettamente correlato con la salvaguardia dei principi morali. La comunità accademica israeliana non ha mai alzato una voce di protesta contro le frequenti e immotivate chiusure delle università palestinesi, contro la violazione dei diritti umani, contro il sistema di oppressione della popolazione palestinese. E questo significa collaborare con il sistema di oppressione. Reinhart conclude la sua lettera affermando che bisogna ascoltare gli accademici palestinesi: «ciò che io ascolto dai miei colleghi palestinesi è soltanto un pieno e inequivocabile sostegno al boicottaggio». L'appello palestinese al boicottaggio accademico e culturale del 2004 L'appello al boicottaggio accademico e culturale delle istituzioni israeliane fu lanciato a Ramallah nell'aprile del 2004 da più di 50 organizzazioni della società civile palestinese riunite nel Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel (PAcBI). Uappello faceva seguito alla campagna per il boicottaggio culturale e accademico di Israele lanciata nell'agosto 2002 da Hilary e Steven Rose. L'appello chiedeva il boicottaggio delle istituzioni accademiche e culturali israeliane finché Israele non si fosse ritirato da tutte le terre occupate nel 1967, compresa Gerusalemme Est, con la rimozione degli insediamenti, non avesse accettato le risoluzioni Onu dal 1948, sempre violate, soprattutto quelle riguardanti il diritto al ritorno dei profughi e non avesse posto fine al sistema di apartheid nei confronti dei cittadini arabi‑palestinesi all'interno di Israele. Gli obiettivi del boicottaggio accademico e culturale sono: • creare consapevolezza del ruolo del settore educativo israeliano nel produrre ricerca, argomenti e nuovi intellettuali per la continuazione dell'occupazione dei territori palestinesi e, all'interno di Israele, nella distruzione della cultura palestinese e nella discriminazione nei confronti degli studenti arabo‑palestinesi, considerati cittadini di serie B; • creare consapevolezza del contributo delle università alle ricerche del settore militare e di alta tecnologia per produrre armi e dispositivi da usare e sperimentare contro ilpopolo palestinese; • porre termine ai programmi congiunti tra università israeliane e università estere su lavori scientifici; • porre termine a scambi, partecipazioni a conferenze, programmi e attività da e verso istituzioni accademiche israeliane. Negli anni successivi l'appello del PACBI è stato sostenuto da gruppi in Europa, Stati Uniti, Canada e Australia. Prima fra tutti l'associazione degli insegnanti universitari inglesi (AUT) che nell'aprile 2005 ha approvato una mozione di sostegno al boicottaggio accademico. In questi documenti venivano denunciate le attività di alcune università costruite nei Territori occupati di Cisgiordania come quella di Bar han; si riconosceva la complicità, la responsabilità e il contributo delle istituzioni accademiche e culturali israeliane nell'occupazione dei territori palestinesi e in generale il silenzio della comunità internazionale sulla violazione dei diritti umani e civili nei confronti della popolazione palestinese e in particolare sulle enormi difficoltà d'accesso alle scuole e alle università per gli studenti e gli insegnanti dei Territori occupati di Cisgiordania a causa dei check‑point e del Muro che spesso tagliano fuori completamente da questi luoghi molti palestinesi e sulle intimidazioni che arrivano sino ad arresti arbitrari. Nel maggio 2006 una mozione di sostegno al boicottaggio fu diffusa dal NATFHE che rappresentava gli accademici e le istituzioni inglesi non presenti nell'AUT. Poco dopo NAFTHE e AUT si fusero in ucu (University and College Union) e il documento sul boicottaggio fu ridiscusso per alcune opposizioni interne e le forti critiche di un gruppo antiboicottaggio. Gli equivoci della «libertà accademica» Contro il boicottaggio culturale delle università israeliane e delle iniziative culturali che coinvolgono Israele, promosso dai sindacati del pubblico impiego e del settore educativo inglesi (ucu, University College Union e BRIcu?, British Committee for Universities of Palestine) e canadesi (CUPE, Canadian Union for Public Employee), per le violazioni di Israele dei diritti umani e del diritto internazionale e per il Muro, vi furono durissime critiche, minacce e contestazioni, che proseguono, in alcuni paesi europei. Critiche e contestazioni che hanno parlato di attacco alla libertà accademica e alla libera circolazione delle idee. Contestazioni che sono state denunciate da alcuni docenti inglesi, come il prof. Haim Bresheeth, presente al seminario di Madrid del luglio 2007 e poi nella conferenza di Londra del novembre 2007 sul tema «One Democratic State» e BD 54, che ha parlato di censure, minacce e richieste di dimissioni, spesso messe in atto molto efficacemente, da parte di personaggi influenti legati alle comunità ebraiche anglosassoni nei riguardi di docenti inglesi che avevano sottoscritto il BDS. In risposta alle critiche del mondo accademico, una delle analisi più lucide, dopo quella di Tanya Reinhart, è quella di Judith Butlers, filosofa americana. Butler si chiede: Se la libertà accademica e la circolazione della cultura stiano al di sopra, come valore assoluto, dei diritti umani e di tutte le libertà umane fondamentali, che si tratti della libertà da un governo coloniale, della libertà di spostarsi, di studiare, di perfezionare un ciclo di studi o di lavorare nelle università senza continui blocchi o perdita di semestri o anni, come avviene attualmente nei territori occupati di Palestina. Territori ridotti sempre più a poche enclaves, con minime libertà di spostamento per la popolazione, soggetta a quotidiane incursioni, rastrellamenti, uccisioni, ferimenti e arresti da parte dell'esercito israeliano d'occupazione. Di che tipo di libertà accademica e di libertà della cultura parlano i critici? Scrive Butler Come può funzionare il concetto di libertà accademica nei casi dove un colonialismo d'insediamenti pervade le istituzioni e l'apparato legale che governano un confine in movimento? Se la libertà accademica rimane liberale in modo restrittivo, non sarà in grado di vedere che al soggetto che voglia esercitare il diritto ditale libertà deve essere dato innanzitutto il diritto di viaggiare, di essere in grado di passare i confini senza blocchi o molestie. Questo significa che per esercitare tale diritto, noi dobbiamo presupporre un'opposizione al Muro, alle accresciute molestie dei militari ai confini, all'occupazione stessa. Ii 12 luglio 2006, a seguito degli eventi nella Striscia, 1' Associazione degli Insegnanti delle Università di Gaza ha diffuso un documento per un maggiore sostegno del boicottaggio accademico e culturale delle istituzioni culturali israeliane. A Gaza dove maggiore era stata la vittoria del partito di Hamas nelle elezioni politiche di gennaio, a giugno vi erano state incursioni, bombardamenti, uso di «bombe assordanti» e uccisione di decine di civili, oltre al blocco degli stipendi di tutto il personale dell'amministrazione dipendente dall'AN p, corn presi i dipendenti del settore educativo. In risposta, il 25 giugno i gruppi armati palestinesi avevano organizzato la cattura di un soldato israeliano. Il 12 luglio nel corso dell'attacco israeliano nel sud del Libano, l'IDF operava una ritorsione nella Striscia con l'uccisione di numerose persone e l'uso di nuove armi come le bombe DIME (Dense Inert Metal Explosives)' che hanno sui corpi delle persone colpite effetti devastanti. s. H. Rose, Resisting Israeli Apartheid: Strategies and principles, Paper from the Conference held at SOAS, 5.12.2004. 2. T. Traubman, The Intifada reaches the Ivory Tower, «Haaretz<, 25‑04.2002. 3.1. Reinhart, Why Academic Boycott, a reply to an Israeli comrade, Tel Aviv, «Indymedia Israel», www.indymedia.org.il, 17.05.2002. 4. Per altre informazioni www.onestategroup.net. 5. J. Butler, Israel/Palestine and the Paradoxes of Academic Freedom, «Radical Philosophy», January‑February 2006. 6. M. Zucchetti, DIME, quelle armi illegali che devastano il corpo, «il manifesto», 16.01.2009 e www.peacelink.it.
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