Homepage
Precedente - Successivo
L’esito delle recenti elezioni regionali stimola qualche sintetica riflessione, anche di rilievo costituzionale.
In primo luogo i risultati confermano l’ “onda lunga” della vittoria di Berlusconi del 2008. Abbiamo già avuto occasione di scrivere che i risultati delle ultime politiche presentavano un (singolare) parallelismo con quelli del 18 aprile 1948. Non solo perché erano intercorsi solo due anni dalle precedenti “politiche” (le elezioni per la costituente), non solo perché connotate da schieramenti contrapposti ed alternativi; ma anche perché avevano visto uno (straordinario per le elezioni del dopoguerra), passaggio di voti da uno schieramento (di sinistra) a quello di “destra”: a distanza di soli due anni più di dieci punti percentuali nel 1948, quasi otto nel 2008.
La conseguenza che se ne (poteva) e può trarre è la stessa che parte della dottrina costituzionalistica ne ricavò molti anni fa: che a fondare la costituzione (materiale) della Repubblica era stato più l’esito delle elezioni del ’48 che l’approvazione – avvenuta pochi mesi prima – della Costituzionale formale.
Infatti per circa 30 anni il sistema politico si articolò su un polo (sempre) governante (DC e partiti laici, e dal ’62 anche il PSI) e un polo sempre all’opposizione (PCI ed alleati); e sul piano istituzionale influenzò un’attuazione e interpretazione della Costituzione formale che ne facilitava da un lato una lettura più vicina alle democrazie liberali “classiche”, dall’altro meno propensa ad accelerare sugli elementi “innovativi”, pur presenti nell’articolato costituzionale.
Nella situazione attuale, quell’enorme spostamento di circa tre milioni di voti – e la decisione popolare che vi è sottesa – difficilmente sarà recuperato dal centrosinistra a breve, e cioè per le prossime politiche del 2013 (a meno di qualche crisi grave, dalla guerra in giù, che nessuno – o quasi – si augura).
Anche in questo caso tale valutazione – già chiara due anni fa ed oggi confermata – è, al di là delle esternazioni fatte a scopo di propaganda (soprattutto per rincuorare la militanza dell’opposizione), lo scenario che presuppongono i comportamenti degli attori politico-partitici. I battibecchi tra PD, IDV e partitini minori servono più che altro a tirare a campare al meglio (o alla meno peggio) fino a dopo il 2013, che a costituire una reale – e credibile - alternativa al governo. Così le scissioni (quella di Rutelli è, al momento, l’ultima) e ventilate ricompattazioni (con l’UDC quale perno) hanno come presupposto l’assai probabile sconfitta del centro-sinistra nel 2013, e la necessità conseguente di ottenere un qualche cambiamento attraverso manovre di palazzo e non con l’esito delle urne. Sostituendo parzialmente – o aggiungendo nuovi alleati – alla maggioranza di centro-destra. E un’aspirazione simile sembra la ragione di qualche inquietudine nella maggioranza. Quel che rileva è che, correttamente, il consenso plebiscitario rinnovato a Berlusconi può – e deve – avere un esito istituzionale nel segno di un vasto cambiamento: perché è quello che si aspetta il popolo delle libertà (ed è un dovere per gli eletti), che si riconosce sempre meno nella Costituzione del ’48 e meno ancora nella sua interpretazione che passa per ortodossa: cioè quella di tutti i nostalgici dell’ “ancien régime”, non più al governo, ma sempre al potere, che non hanno intenzione di perdere.
Secondariamente l’alta conflittualità che ha caratterizzato queste elezioni è dovuta anche alla strategia di occupazione del potere, così efficacemente elaborata da Gramsci per una società occidentale (la “guerra di posizione”) e praticata dal PCI/PDS/DS e alleati in sessanta e più anni di Repubblica. E le “casematte” che (occorreva ed) occorre espugnare e conservare sono, in larga - anche se non esclusiva – parte, costituite dagli enti pubblici sub-statali, cioè Regioni ed enti locali.
Dopo la discesa in campo di Berlusconi, anche per il migliore controllo sociale della sinistra, dovuta al possesso di quelle casematte, i progressi del centro-destra nel sistema dei poteri sub-statali è stato assai più lento che al vertice. Dal 2006 in poi, con l’aiuto decisivo dell’ultimo governo Prodi, i progressi si sono accelerati e sono sempre meno reversibili (come il Lombardo-Veneto, confermato quattro volte) a favore del centro-sinistra, o inespugnabili per il centro-destra (le altre quattro Regioni “conquistate” l’altro ieri).
Ciò da una parte rende assai sensibile a sconfitte sul piano locale il centro-sinistra, che su quel sistema ha costruito la propria presa sul territorio; dall’altra pone il problema, più teorico, di quanto possa valere la strategia gramsciana, pensata (egregiamente) per una società industriale, per quella post-industriale del XXI secolo. Probabilmente “pesa”, ma in misura sicuramente minore.
In terzo luogo, si conferma quanto pensato da molti – compreso chi scrive – da anni: che gli attacchi sul “privato” o sul “non pubblico” a Silvio Berlusconi hanno l’effetto di rafforzarlo; non solo per i tempi sospetti e, talvolta, la pretestuosità degli stessi, ma soprattutto perché il popolo è “scafato” e riesce a dare giudizi politicamente più maturi di quel che sperano gli imbonitori: tra un satiro che realizza (v. l’emergenza rifiuti a Napoli e il terremoto in Abruzzo), e un pudibondo professore che predica, gli elettori hanno preferito i fatti del primo alle belle parole del secondo.
Hanno giudicato il governo non dalle inclinazioni e pratiche sessuali del Presidente del Consiglio dei ministri o dei grand commis (da Bertolaso in giù), ma da quello che avevano fatto.
Cioè si sono comportati – se è lecito il paragone – analogamente ai legionari di Cesare che, come scriveva Svetonio, durante il trionfo gallico cantavano licenziose e irriverenti canzoni sugli amori del loro comandante col re di Bitinia, ridendoci su. Perché i legionari romani distinguevano accortamente ciò che è pubblico da ciò che è privato e sul rilievo da dare all’uno e all’altro: pertanto, avendo fiducia nel ruolo e le capacità politiche e militari di Cesare, avevano tante volte rischiato la pelle sotto il suo comando, e era loro indifferente se il comandante andava a letto con Cleopatra o con Nicomede. È meglio combattere (ed affidare la propria vita) a un comandante bisessuale ma affidabile, piuttosto che ad un inetto olezzante di castità.
Questa volta, sicuramente più che in passato, gli italiani hanno provato di essere poco sensibili a certe confusioni da gossip; e questo è prova di istinto politico, che distingue ciò che è politico da ciò che non lo è, e giudica il primo in base a criteri peculiari e specifici e non adatti ad altre sfere dell’azione umana. Come sarebbe ingeneroso ed errato valutare le doti politiche e militari di Cesare sulle sue inclinazioni sessuali, così lo è ad esempio soppesare così Marrazzo e Vendola, ovvero giudicare Di Pietro in base alle regole di grammatica e sintassi, o l’on.le Bindi su criteri estetici.
E, di converso, ritenere l’astronoma Hack adatta a governare perché è una valida scienziata, o l’on. Carfagna perché è una bellissima ragazza (il che non vuol dire che la dr.ssa Hack e la Carfagna siano inadatte a ruoli di governo, ma solo che è errato giudicarle non su attitudini e risultati politici, ma su altro).
Che è quello che sostenevano, tra i tanti, Hegel e Croce. Invece i poteri forti cercano di far ragionare gli italiani non in modo politico, ma anti-politico, che è come dire di tenerli in uno stato di puerizia perenne, cioè quello, per i suddetti poteri, più soddisfacente e remunerativo e che cercano, pertanto, di indurre con le più manifeste manipolazioni.
Precedente - Successivo
IMPRESSIONI SULLE ELEZIONI REGIONALI 2010
L’esito delle recenti elezioni regionali stimola qualche sintetica riflessione, anche di rilievo costituzionale.
In primo luogo i risultati confermano l’ “onda lunga” della vittoria di Berlusconi del 2008. Abbiamo già avuto occasione di scrivere che i risultati delle ultime politiche presentavano un (singolare) parallelismo con quelli del 18 aprile 1948. Non solo perché erano intercorsi solo due anni dalle precedenti “politiche” (le elezioni per la costituente), non solo perché connotate da schieramenti contrapposti ed alternativi; ma anche perché avevano visto uno (straordinario per le elezioni del dopoguerra), passaggio di voti da uno schieramento (di sinistra) a quello di “destra”: a distanza di soli due anni più di dieci punti percentuali nel 1948, quasi otto nel 2008.
La conseguenza che se ne (poteva) e può trarre è la stessa che parte della dottrina costituzionalistica ne ricavò molti anni fa: che a fondare la costituzione (materiale) della Repubblica era stato più l’esito delle elezioni del ’48 che l’approvazione – avvenuta pochi mesi prima – della Costituzionale formale.
Infatti per circa 30 anni il sistema politico si articolò su un polo (sempre) governante (DC e partiti laici, e dal ’62 anche il PSI) e un polo sempre all’opposizione (PCI ed alleati); e sul piano istituzionale influenzò un’attuazione e interpretazione della Costituzione formale che ne facilitava da un lato una lettura più vicina alle democrazie liberali “classiche”, dall’altro meno propensa ad accelerare sugli elementi “innovativi”, pur presenti nell’articolato costituzionale.
Nella situazione attuale, quell’enorme spostamento di circa tre milioni di voti – e la decisione popolare che vi è sottesa – difficilmente sarà recuperato dal centrosinistra a breve, e cioè per le prossime politiche del 2013 (a meno di qualche crisi grave, dalla guerra in giù, che nessuno – o quasi – si augura).
Anche in questo caso tale valutazione – già chiara due anni fa ed oggi confermata – è, al di là delle esternazioni fatte a scopo di propaganda (soprattutto per rincuorare la militanza dell’opposizione), lo scenario che presuppongono i comportamenti degli attori politico-partitici. I battibecchi tra PD, IDV e partitini minori servono più che altro a tirare a campare al meglio (o alla meno peggio) fino a dopo il 2013, che a costituire una reale – e credibile - alternativa al governo. Così le scissioni (quella di Rutelli è, al momento, l’ultima) e ventilate ricompattazioni (con l’UDC quale perno) hanno come presupposto l’assai probabile sconfitta del centro-sinistra nel 2013, e la necessità conseguente di ottenere un qualche cambiamento attraverso manovre di palazzo e non con l’esito delle urne. Sostituendo parzialmente – o aggiungendo nuovi alleati – alla maggioranza di centro-destra. E un’aspirazione simile sembra la ragione di qualche inquietudine nella maggioranza. Quel che rileva è che, correttamente, il consenso plebiscitario rinnovato a Berlusconi può – e deve – avere un esito istituzionale nel segno di un vasto cambiamento: perché è quello che si aspetta il popolo delle libertà (ed è un dovere per gli eletti), che si riconosce sempre meno nella Costituzione del ’48 e meno ancora nella sua interpretazione che passa per ortodossa: cioè quella di tutti i nostalgici dell’ “ancien régime”, non più al governo, ma sempre al potere, che non hanno intenzione di perdere.
Secondariamente l’alta conflittualità che ha caratterizzato queste elezioni è dovuta anche alla strategia di occupazione del potere, così efficacemente elaborata da Gramsci per una società occidentale (la “guerra di posizione”) e praticata dal PCI/PDS/DS e alleati in sessanta e più anni di Repubblica. E le “casematte” che (occorreva ed) occorre espugnare e conservare sono, in larga - anche se non esclusiva – parte, costituite dagli enti pubblici sub-statali, cioè Regioni ed enti locali.
Dopo la discesa in campo di Berlusconi, anche per il migliore controllo sociale della sinistra, dovuta al possesso di quelle casematte, i progressi del centro-destra nel sistema dei poteri sub-statali è stato assai più lento che al vertice. Dal 2006 in poi, con l’aiuto decisivo dell’ultimo governo Prodi, i progressi si sono accelerati e sono sempre meno reversibili (come il Lombardo-Veneto, confermato quattro volte) a favore del centro-sinistra, o inespugnabili per il centro-destra (le altre quattro Regioni “conquistate” l’altro ieri).
Ciò da una parte rende assai sensibile a sconfitte sul piano locale il centro-sinistra, che su quel sistema ha costruito la propria presa sul territorio; dall’altra pone il problema, più teorico, di quanto possa valere la strategia gramsciana, pensata (egregiamente) per una società industriale, per quella post-industriale del XXI secolo. Probabilmente “pesa”, ma in misura sicuramente minore.
In terzo luogo, si conferma quanto pensato da molti – compreso chi scrive – da anni: che gli attacchi sul “privato” o sul “non pubblico” a Silvio Berlusconi hanno l’effetto di rafforzarlo; non solo per i tempi sospetti e, talvolta, la pretestuosità degli stessi, ma soprattutto perché il popolo è “scafato” e riesce a dare giudizi politicamente più maturi di quel che sperano gli imbonitori: tra un satiro che realizza (v. l’emergenza rifiuti a Napoli e il terremoto in Abruzzo), e un pudibondo professore che predica, gli elettori hanno preferito i fatti del primo alle belle parole del secondo.
Hanno giudicato il governo non dalle inclinazioni e pratiche sessuali del Presidente del Consiglio dei ministri o dei grand commis (da Bertolaso in giù), ma da quello che avevano fatto.
Cioè si sono comportati – se è lecito il paragone – analogamente ai legionari di Cesare che, come scriveva Svetonio, durante il trionfo gallico cantavano licenziose e irriverenti canzoni sugli amori del loro comandante col re di Bitinia, ridendoci su. Perché i legionari romani distinguevano accortamente ciò che è pubblico da ciò che è privato e sul rilievo da dare all’uno e all’altro: pertanto, avendo fiducia nel ruolo e le capacità politiche e militari di Cesare, avevano tante volte rischiato la pelle sotto il suo comando, e era loro indifferente se il comandante andava a letto con Cleopatra o con Nicomede. È meglio combattere (ed affidare la propria vita) a un comandante bisessuale ma affidabile, piuttosto che ad un inetto olezzante di castità.
Questa volta, sicuramente più che in passato, gli italiani hanno provato di essere poco sensibili a certe confusioni da gossip; e questo è prova di istinto politico, che distingue ciò che è politico da ciò che non lo è, e giudica il primo in base a criteri peculiari e specifici e non adatti ad altre sfere dell’azione umana. Come sarebbe ingeneroso ed errato valutare le doti politiche e militari di Cesare sulle sue inclinazioni sessuali, così lo è ad esempio soppesare così Marrazzo e Vendola, ovvero giudicare Di Pietro in base alle regole di grammatica e sintassi, o l’on.le Bindi su criteri estetici.
E, di converso, ritenere l’astronoma Hack adatta a governare perché è una valida scienziata, o l’on. Carfagna perché è una bellissima ragazza (il che non vuol dire che la dr.ssa Hack e la Carfagna siano inadatte a ruoli di governo, ma solo che è errato giudicarle non su attitudini e risultati politici, ma su altro).
Che è quello che sostenevano, tra i tanti, Hegel e Croce. Invece i poteri forti cercano di far ragionare gli italiani non in modo politico, ma anti-politico, che è come dire di tenerli in uno stato di puerizia perenne, cioè quello, per i suddetti poteri, più soddisfacente e remunerativo e che cercano, pertanto, di indurre con le più manifeste manipolazioni.
Teodoro Klitsche de la Grange