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Ho appena ricevuto in contrassegno il volume di Israel Adam Shamir, Per il sangue che avete sparso, tradotto da Mauro Manno (ma lui si firmava al minuscolo), per le Edzioni all’insegna del Veltro, con una prefazione di Serge Thion. La mia conoscenza personale con Mauro risale a pochi anni addietro, quando non gli era ancora noto il male che lo ha condotto rapidamente alla morte. Nelle nostre conversazioni telefonico, sempre più rare – non sentendomi io di affaticarlo troppo al telefono – mi parlava dei suoi interessi e di ciò che andava scrivendo. In una di queste conversazioni mi aveva accennato al volume di Shamir e ne avevamo già concordato una recensione su “Civium Libertas”, per ciò che la cosa può significare e valere non trattandosi di una rivista cartacea. Di un ultimissimo lavoro mi aveva parlato qualche mese prima della sua morte che è giunta a me inaspettata, anche se il suo male era piuttosto serio. Ero preoccupato perché non riusciva a perfezionarlo, se ho ben inteso da un punto di vista puramente formale. Gli avevo detto di non preoccuparsi, perché lo avrei supplito in questioni puramente redazionali. I libri delle piccole case editrici non posso purtroppo trovarli alla Libreria Feltrinelli che ho sotto casa. Devo ordinarli per contrassegno. Mi è giunto così l’altro ieri un altro volumetto di grande pregio scientifico ed editoriale: Giudaismo svelato, Edizioni Ar, riguardante l’opera fondamentale di Johan Andreas Eisenmenger, un’opera apparsa per la prima volta a Francoforte nell’anno 1700 – ultimo anno del secolo XVII o se si preferisce primo del XVIII – e subito boicottata e fatta sequestrare dalla comunità ebraica del tempo, potentissima allora come oggi. Di quest’opera di 4° di oltre 2000 pagine divesi in due tomi non è mai stata rifatta da allora un’edizione integrale e l’unico esemplare che in Italia ho rintracciato si trova in Torino.
Di quest’ultima opera, a cura del Gruppo di Ar, di poco più di un centinaio di pagine con brani antologici tratti dall’imponente opera di Eisenmenger, per la quale mi auguro un gruppo di lavoro che rende disponibile su internet tutta l’opera tedesca del 1700: non vi dovrebbe essere nessun copyright. Vi sarebbe bisogno solamente di una squadra di amanuensi capaci di leggere il tedesco e di ribatterlo su una tastiera. Parlo di quest’opera di Eisenmenger e di Mauro Manno insieme perché l’ambito di interesse non è separato. Riconoscevo a Mauro una grande competenza sul tema del sionismo e dell’ebraismo, a cui mi interesso solo da qualche anno. Era lui che mi informava su cose che non sapevo e leggevo sempre con molto interesse gli articoli che mi mandava. Ricordo il suo grande apprezzamento per l’opera di Israel Shamir, che fu lui a richiamare alla mia attenzione.
Internet consente una forma di scrittura diversa da quella sulla stampa cartacea. Mi sono ormai perfettamente abituato ad essa. Questa mia “recensione” sarà atipica rispetto al cartaceo. Ho parecchie decine di libri già in lettura sequenziale. Uso passare da una lettura all’altra anche dopo diversi mesi, riprendendo dalla pagina dove ero rimasto, a volte con qualche annotazione. Inizio oggi stesso la lettura del libro di Israel Adam Shamir, tradotto da Mauro Manno. Ne farò osservazioni via via che procedo nella lettura. Sul cartaceo non sarebbe stato possibile procedere in questo modo. Avrei dovuto consegnare all’editore la recensione finita, dopo aver letto il libro. Invece qui incomincio a parlarne prima ancora di accingermi alla lettura. L’editore ha posto sulla copertina l’immagine terribile di un bambino palestinese carbonizzato durante la strage di Gaza, alla quale abbiamo assistito tra la fine dell’anno appena passato e l’inizio di questo 2009. Anche qui è scattato lo stesso meccanismo della menzogna con cui già nel 1700 si avviluppò l’opera di Eisenmenger, Giudaismo svelato, bloccandola e neutralizzandola per almeno mezzo secolo. Aggiungo che leggerò lentamente le cento pagine a stampa di Shamir, perché in questo modo mi immagino di continuare ancora le mie conversazioni telefoniche con Mauro Manno, chiedendo a lui chiarimenti su Shamir.
Nella sua prefazione Serge Thion definisce Israele uno «stato privo di risorse, di spazio e di denaro» che può assicurare la sua sopravvivenza solo grazie ad una «tecnica di ricatto internazionale» (p. 6). Come ho già detto, sto leggendo i due libri in contemporanea. E leggo in Eisenmenger queste frasi scritte tre secoli prima: «essi [gli ebrei] immaginano che il mondo sia stato creato soltanto per causa loro» (Giudaismo, cit., 85); una delle fonti rabbiniche di Eisenger recita: «gli israeliti sono lo scopo del mondo inferiore, ed essi sono paragonati al grano, i popoli invece alla pula» (ivi); «il più piccolo servizio che gli (a Dio) viene reso dal popolo di Israele, gli è più accetto di un grande servizio [reso] da tutti i popoli» (ivi, 88). E così via. L’idea di un “noi” – gli unici che contano – e “loro” (che poi saremmo noi) è ricorrente ad un comune lettore che abbia almeno una volta letto quello che per “noi” è il Vecchio Testamento. La letteratura talmudica e rabbinica, setacciata ed esplorata da Eisenmenger alla fine del XVII secolo, è alquanto letterale nel senso ed assai poco metaforica, come ci viene fatto credere in numerosi passi biblici che oggi difficilmente possono superare l’esame dei diritti umani da riconoscere a tutti i popoli della terra e soprattutto a quei palestinesi che fin troppo chiaramente gli israeliani odierni pensano di poter trattare come i cananei biblici. Per fare ciò hanno certamente bisogno della copertura politica e mediatica del cosiddetto Occidente, dove la Diaspora offre il necessario sostegno.
(segue)
Di quest’ultima opera, a cura del Gruppo di Ar, di poco più di un centinaio di pagine con brani antologici tratti dall’imponente opera di Eisenmenger, per la quale mi auguro un gruppo di lavoro che rende disponibile su internet tutta l’opera tedesca del 1700: non vi dovrebbe essere nessun copyright. Vi sarebbe bisogno solamente di una squadra di amanuensi capaci di leggere il tedesco e di ribatterlo su una tastiera. Parlo di quest’opera di Eisenmenger e di Mauro Manno insieme perché l’ambito di interesse non è separato. Riconoscevo a Mauro una grande competenza sul tema del sionismo e dell’ebraismo, a cui mi interesso solo da qualche anno. Era lui che mi informava su cose che non sapevo e leggevo sempre con molto interesse gli articoli che mi mandava. Ricordo il suo grande apprezzamento per l’opera di Israel Shamir, che fu lui a richiamare alla mia attenzione.
Internet consente una forma di scrittura diversa da quella sulla stampa cartacea. Mi sono ormai perfettamente abituato ad essa. Questa mia “recensione” sarà atipica rispetto al cartaceo. Ho parecchie decine di libri già in lettura sequenziale. Uso passare da una lettura all’altra anche dopo diversi mesi, riprendendo dalla pagina dove ero rimasto, a volte con qualche annotazione. Inizio oggi stesso la lettura del libro di Israel Adam Shamir, tradotto da Mauro Manno. Ne farò osservazioni via via che procedo nella lettura. Sul cartaceo non sarebbe stato possibile procedere in questo modo. Avrei dovuto consegnare all’editore la recensione finita, dopo aver letto il libro. Invece qui incomincio a parlarne prima ancora di accingermi alla lettura. L’editore ha posto sulla copertina l’immagine terribile di un bambino palestinese carbonizzato durante la strage di Gaza, alla quale abbiamo assistito tra la fine dell’anno appena passato e l’inizio di questo 2009. Anche qui è scattato lo stesso meccanismo della menzogna con cui già nel 1700 si avviluppò l’opera di Eisenmenger, Giudaismo svelato, bloccandola e neutralizzandola per almeno mezzo secolo. Aggiungo che leggerò lentamente le cento pagine a stampa di Shamir, perché in questo modo mi immagino di continuare ancora le mie conversazioni telefoniche con Mauro Manno, chiedendo a lui chiarimenti su Shamir.
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Nella sua prefazione Serge Thion definisce Israele uno «stato privo di risorse, di spazio e di denaro» che può assicurare la sua sopravvivenza solo grazie ad una «tecnica di ricatto internazionale» (p. 6). Come ho già detto, sto leggendo i due libri in contemporanea. E leggo in Eisenmenger queste frasi scritte tre secoli prima: «essi [gli ebrei] immaginano che il mondo sia stato creato soltanto per causa loro» (Giudaismo, cit., 85); una delle fonti rabbiniche di Eisenger recita: «gli israeliti sono lo scopo del mondo inferiore, ed essi sono paragonati al grano, i popoli invece alla pula» (ivi); «il più piccolo servizio che gli (a Dio) viene reso dal popolo di Israele, gli è più accetto di un grande servizio [reso] da tutti i popoli» (ivi, 88). E così via. L’idea di un “noi” – gli unici che contano – e “loro” (che poi saremmo noi) è ricorrente ad un comune lettore che abbia almeno una volta letto quello che per “noi” è il Vecchio Testamento. La letteratura talmudica e rabbinica, setacciata ed esplorata da Eisenmenger alla fine del XVII secolo, è alquanto letterale nel senso ed assai poco metaforica, come ci viene fatto credere in numerosi passi biblici che oggi difficilmente possono superare l’esame dei diritti umani da riconoscere a tutti i popoli della terra e soprattutto a quei palestinesi che fin troppo chiaramente gli israeliani odierni pensano di poter trattare come i cananei biblici. Per fare ciò hanno certamente bisogno della copertura politica e mediatica del cosiddetto Occidente, dove la Diaspora offre il necessario sostegno.
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