La lettura della – ormai celebre – lettera del Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio sul decreto per il caso Englaro, offre diversi spunti interessanti, soprattutto a capire alcuni idola correnti, per lo più facenti parte dell’armamentario ideologico della sinistra tardo-novecentesca, “contaminata” da una lettura (almeno) “debole”, e quindi relativista, del liberalismo.
In primo luogo scrive il Presidente Napolitano che
Non si tratta di una violazione della competenza del Parlamento, ma al contrario, di facilitarne l’esercizio. Ma tant’è: si rivela per tale concezione dei diritti fondamentali appropriata la definizione sarcastica (e all’epoca un po’ ingenerosa) di Donoso Cortés dei liberali europei suoi contemporanei: clasa discutidora, che parla sempre (per non decidere mai).
Secondariamente prosegue la lettera
E quindi non si capisce in che cosa violi la separazione dei poteri; se manca la norma è potere (e dovere) del potere legislativo di porla in essere e di quello giudiziario di applicarla: anche perché lo scopo della distinzione tra questi due poteri, come pensava Montesquieu, è la protezione della libertà, in quanto il potere che decide le regole non è quello che le applica al caso concreto. Infatti scriveva che non vi è libertà se il potere giudiziario è unito a quello legislativo “perché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore”. Il che vale nei due sensi: che il legislatore non può sfornare sentenze, ma, del pari, il giudice non può dolersi che detti norme, avendo egli solo la funzione di applicarle, e sarebbe lesivo della libertà che le decidesse, come talvolta (nel caso di “lacune”) capita.
Quanto all’altro argomento che gira sui telegiornali, anche in bocca a intellettuali d’area sinistrorsa, la sensibilità istituzionale e la cultura del Presidente Napolitano c’è l’hanno risparmiato. Sarebbe quello che non si toccano le sentenze della magistratura, acutamente esposto in televisione con l’esempio: se un Giudice condannasse un pluriomicida, il governo (Berlusconi?) che fa, cambia la sentenza?
Tenendosi allo stesso livello argomentativo si potrebbe rigirare l’esempio se un Giudice con una sentenza “un po’ originale” ti condanna a morte o alla deportazione perpetua alla Guayana, che si fa: si esegue la sentenza, o il governo fa un decreto? Il che, se si trattasse dell’intellettuale intervistato, non sarebbe auspicabile che il governo facesse.
In primo luogo scrive il Presidente Napolitano che
«I temi della disciplina della fine della vita, del testamento biologico e dei trattamenti di alimentazione e di idratazione meccanica sono da tempo all’attenzione dell’opinione pubblica, delle forze politiche e del Parlamento… Non è un caso se in ragione della loro complessità, dell’incidenza sui diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti e della diversità di posizioni che si sono manifestate, trasversalmente rispetto agli schieramenti politici, non si sia finora pervenuti a decisioni legislative integrative dell’ordinamento giuridico vigente» onde «il ricorso al decreto legge – piuttosto che un rinnovato impegno del Parlamento ad adottare con legge ordinaria una disciplina organica – appare soluzione inappropriata. Devo inoltre rilevare che rispetto allo sviluppo della discussione parlamentare non è intervenuto nessun fatto nuovo che possa configurarsi come caso straordinario di necessità e urgenza ai sensi dell’art. 77 della Costituzione se non l’impulso pur comprensibilmente suscitato dalla pubblicità e drammaticità di un singolo caso».In altri termini ciò significa che il “procedimento”, cioè la discussione in Parlamento, è così importante che deve prevalere sul potere “ordinatorio” volto a salvare una vita (il “fatto nuovo”) ovvero quel bene (o “valore”) che proprio la Costituzione in genere, e più specificamente le di essa disposizioni sui diritti fondamentali, sono volte – insieme ad altri beni o “valori” – a salvaguardare. Beninteso: il rilievo di Napolitano è esatto in generale – perché non è ipotizzabile (se non in situazioni di emergenza) che su diritti fondamentali (e quello della vita è il più fondamentale, non foss’altro perché è la condizione per esercitare gli altri) - decreti il governo; ma nel caso, l’intervento del governo, attraverso la decretazione d’urgenza, aveva lo scopo di guadagnare il tempo necessario perché il parlamento potesse legiferare in materia. E quindi il rifiuto del Presidente della Repubblica è errato nel caso di specie perché il decreto legge non era finalizzato a sostituirsi in materia al Parlamento, ma a consentire a quello di legiferare prima che la sospensione del trattamento alimentare alla povera Eluana lo rendesse, per la stessa, superfluo.
Non si tratta di una violazione della competenza del Parlamento, ma al contrario, di facilitarne l’esercizio. Ma tant’è: si rivela per tale concezione dei diritti fondamentali appropriata la definizione sarcastica (e all’epoca un po’ ingenerosa) di Donoso Cortés dei liberali europei suoi contemporanei: clasa discutidora, che parla sempre (per non decidere mai).
Secondariamente prosegue la lettera
«il fondamentale principio della distinzione e del reciproco rispetto tra poteri e organi dello Stato non consente di disattendere la soluzione che per esso è stata individuata da una decisione giudiziaria definitiva sulla base dei principi, anche costituzionali, desumibili dall’ordinamento giuridico vigente» e spiega anche che il provvedimento sulla sospensione dell’alimentazione ad Eluana «non è stato ritenuto invasivo da parte della Corte costituzionale della sfera di competenza del potere legislativo».Ovvero: la separazione dei poteri è principio costituzionale; la Cassazione ha ritenuto corretto il decreto. Pertanto sulla questione non si può ritornare perché, altrimenti, si invadono le attribuzioni del potere giudiziario. Anche questo è un altro degli idola oggigiorno ripetuti – anzi il più ripetuto. Ma non è così: la nostra Costituzione modella uno Stato legislativo parlamentare: una forma dello Stato borghese, nel quale, come scriveva Montesquieu, il giudice non ha un “vero” potere, ma è la “bocca della legge”: si limita ad applicare le norme di diritto (in uno Stato legislativo, per lo più quelle di legge) al caso concreto.
E quindi non si capisce in che cosa violi la separazione dei poteri; se manca la norma è potere (e dovere) del potere legislativo di porla in essere e di quello giudiziario di applicarla: anche perché lo scopo della distinzione tra questi due poteri, come pensava Montesquieu, è la protezione della libertà, in quanto il potere che decide le regole non è quello che le applica al caso concreto. Infatti scriveva che non vi è libertà se il potere giudiziario è unito a quello legislativo “perché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore”. Il che vale nei due sensi: che il legislatore non può sfornare sentenze, ma, del pari, il giudice non può dolersi che detti norme, avendo egli solo la funzione di applicarle, e sarebbe lesivo della libertà che le decidesse, come talvolta (nel caso di “lacune”) capita.
Quanto all’altro argomento che gira sui telegiornali, anche in bocca a intellettuali d’area sinistrorsa, la sensibilità istituzionale e la cultura del Presidente Napolitano c’è l’hanno risparmiato. Sarebbe quello che non si toccano le sentenze della magistratura, acutamente esposto in televisione con l’esempio: se un Giudice condannasse un pluriomicida, il governo (Berlusconi?) che fa, cambia la sentenza?
Tenendosi allo stesso livello argomentativo si potrebbe rigirare l’esempio se un Giudice con una sentenza “un po’ originale” ti condanna a morte o alla deportazione perpetua alla Guayana, che si fa: si esegue la sentenza, o il governo fa un decreto? Il che, se si trattasse dell’intellettuale intervistato, non sarebbe auspicabile che il governo facesse.
Teodoro Klitsche de la Grange
9 febbraio 2009
9 febbraio 2009
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