lunedì 16 febbraio 2009

Teodoro Klitsche de la Grange: Chi è custode della costituzione?

1. La polemica sulla costituzione. – Nella polemica sulla Costituzione, seguita alla (abortita) decretazione d’urgenza nel caso Englaro, gran parte della sinistra è saltata su – senza spiegare (come spesso succede) quel che sostiene – a gridare che Berlusconi sta attentando alla Costituzione. Questo perché l’opinione di Berlusconi è differente da quella di Napolitano. S’è visto anche qualcuno, particolarmente in difficoltà con grammatica, sintassi (e quant’altro) dire che il premier sta sfasciando le istituzioni. Cui è lapalissiano rispondere che anche il governo è un’istituzione e quindi o il Berlusconi è masochista (un Tafazzi di centrodestra) oppure in un conflitto di attribuzioni è chiaro che uno dei poteri (o enti o organi) in contesa deve aumentare o perdere parte delle proprie competenze in contestazione. Ma si tratta comunque di una istituzione che acquisisce (o meno) funzioni e non del crollo dell’intera impalcatura, come si vuole far credere, a cominciare dal Presidente della Repubblica per finire a quello della Val d’Aosta.


Ma più che ricordare Lapalice certe esternazioni sono altrettanto evidentemente frutto di spirito partigiano, quello spirito che tanto permea di se la sinistra italiana; intendendo per “partigiano” non un combattente della resistenza, ma proprio com’è definito nel dizionario: un uomo di parte, che non riesce ad afferrare il senso dell’unità, perché perseguendo il proprio fine di diventare, come scriveva Dante, un Marcello (cioè occupare del potere per se e i propri seguaci) fa si che in ogni occasione “parteggiando viene”.

E tale partigianeria si ravviva quando le uscite del governo toccano quelle istituzioni che la sinistra considera a se vicine: la Presidenza della Repubblica e la magistratura (questa neanche tutta e del tutto). Per cui certe reazioni esagerate si rivelano un tentativo di mantenere il potere conquistato in posti e funzioni: cioè in quelle casematte da Gramsci ritenute già quasi un secolo fa, essenziali per la conquista (e la conservazione) dell’egemonia in una società occidentale.

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2. Il custode della costituzione. – Ma il più sorprendente in tale polemica è che nessuno abbia notato come la difesa del Presidente della Repubblica, presentato come primo magistrato, supremo regolatore, custode della Costituzione, sia proprio quella che alcuni dei referenti culturali “storici” di questa sinistra senescente, rifiutavano decisamente.

Ad esempio Hans Kelsen, criticando la tesi di Carl Schmitt il quale sosteneva che “custode della Costituzione” nella Germania di Weimar era il Presidente del Reich, scriveva che questa concezione era un residuo di quella monarchico-costituzionale basata sulla “finzione di notevole audacia” che il monarca sia “titolare di un potere neutrale”. Mentre, secondo Kelsen, tale non era perché secondo quella dottrina “il monarca è, in effetti, l’unico, perché il supremo, organo che esercita il potere statale e, in particolare, è anche titolare del potere legislativo”: non era super partes, ma parte in causa. Per cui passando alla situazione di Weimar scriveva: “Che Schmitt ritenga di poter senz’altro applicare la tesi ideologica del pouvoir neutre del monarca costituzionale al capo dello stato di una repubblica democratica eletto sotto la pressione dei partiti politici è assai strano anche perché, all’occorrenza, egli vede chiaramente le circostanze reali che rendono trasparente il carattere ideologico della dottrina costituzionale del monarca custode della costituzione”. E non aveva tutti i torti. Infatti se il Presidente della Repubblica è elettivo non è, giocoforza, “neutro” rispetto alle forze politiche (lo è sicuramente meno di un re ereditario); e ancor meno lo è, ad avviso di chi scrive, se viene eletto non dal corpo elettorale (come nella Repubblica di Weimar, negli U.S.A., in Francia, ecc. ecc.) ma dal Parlamento suddiviso in partiti, per cui diviene l’espressione della coalizione di partiti maggioritaria al momento. Cosa che, tra l’altro, è capitata proprio per l’attuale Presidente, eletto da una (risicata ed effimera) maggioranza parlamentare di centrosinistra nella legislatura più breve della repubblica, tra due legislature caratterizzate da straripanti maggioranze di centrodestra; e peraltro - dato l’esito delle elezioni del 2006 con il centrosinistra in maggioranza di suffragi popolari in una Camera e il centrodestra nell’altra - probabilmente in minoranza nel corpo elettorale, anche al momento della sua elezione.

Quindi a ratione majus valgono per l’attuale Presidente della Repubblica gli argomenti di Kelsen, sopra ricordati. Onde valutare tuttavia la contrapposta tesi di Schmitt occorre premettere che i due grandi giuristi, com’è noto, partono da concezioni diverse della Costituzione: onde se è diverso il custodito lo deve essere anche il custode. Secondo Carl Schmitt “un concetto di costituzione è possibile soltanto se costituzione e legge costituzionale vengono distinte. Non è ammissibile lo scomporre la costituzione prima in una molteplicità di singole leggi costituzionali e poi definire la legge costituzionale per qualche contrassegno esteriore o addirittura a seconda del metodo della sua revisione” e “l’atto della legislazione costituzionale in quanto tale non contiene determinate singole normative, ma definisce con una sola decisione il complesso dell’unità politica rispetto alla sua forma speciale di esistenza. Questo atto costituisce la forma e la specie dell’unità politica, la cui esistenza è presupposta. Non è che l’unità politica si forma proprio perché «è data una costituzione». La costituzione in senso positivo contiene soltanto la determinazione consapevole della forma speciale complessiva, per la quale l’unità politica si decide” per cui “la costituzione vige in forza della volontà politica esistente di chi la pone. Ogni specie di normazione giuridica, anche la normazione legislativo-costituzionale, presuppone come esistente una simile volontà” mentre le “leggi costituzionali , invece, hanno vigenza proprio sulla base di una costituzione e presuppongono una costituzione”, perciò “prima di ogni normazione c’è una decisione politica fondamentale del titolare del potere costituente, cioè in una democrazia del popolo, nella monarchia pure del monarca”.

Queste decisioni politiche fondamentali sono, prosegue Schmitt, quelle per la democrazia, la repubblica, l’ordinamento federale, lo Stato (borghese) di diritto e così via. Per cui “tutto quello che c’è all’interno del Reich tedesco nella legalità e nella normatività, vale soltanto sulla base e nell’ambito di queste decisioni. Esse formano la sostanza della Costituzione”.

È chiaro che se costituzione, come sostiene Schmitt, è la forma e l’esistenza politica (per la verità questa presupposto della costituzione) con i caratteri democratico, federale, repubblicano (e quant’altro) il custode della Costituzione (così inteso) può essere solo chi disponga sia di consenso, che di esercito, polizia, cannoni, questi “bei pezzi di Costituzione” come scriveva Ferdinand Lassalle. Giudici, avvocati e carte bollate sono altrettanto inidonei a difenderla che le supposte contro il terremoto. Ove invece s’intenda per costituzione (un insieme) di norme “primarie” ovvero le cui disposizioni sono cogenti e inderogabili da quelle “gerarchicamente” sottordinate è chiaro che la garanzia dell’osservanza delle prime da parte delle seconde sia affidata a un organo giurisdizionale. Con l’avvertenza che questo è altrettanto inidoneo a difendere le decisioni fondamentali “che fissano la forma dell’esistenza politica del popolo” quanto è adatto a verificare la validità delle norme secondarie rispetto a quelle primarie.

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3. La difesa della costituzione. – È il caso di esaminare la contrapposta tesi di Schmitt che difendere la Costituzione sia compito del potere politico, nello specifico (per Weimar) del Presidente del Reich. Com’è noto Schmitt riprende la teoria del “pouvoir neutre” di Benjamin Constant. L’autorità del Presidente del Reich (come – in genere – del re nelle costituzioni monarchiche del XIX secolo) è “mediatrice, tutelatrice e regolatrice e soltanto in caso di necessità attiva” e prosegue “giacché essa non deve concorrere con gli altri poteri nel senso di un’espansione del suo proprio potere e deve essere nella sua normale applicazione discreta e non assillante. Tuttavia essa esiste e almeno nel sistema di uno Stato di diritto che tenga distinti i poteri è ineliminabile”. E’ da ricordare a tale proposito che Constant in due degli scritti in cui tratta del potere neutro, ossia del potere reale insiste sui suoi caratteri di forza “preservatrice, riparatrice senza essere ostile”; precedentemente aveva sottolineato i vantaggi di un potere che controlla e “sanziona” (gli altri) senza la necessità di perseguirli penalmente. Cioè relativizzando e raffreddando il conflitto politico, che evita l’“alternativa tra il potere e il patibolo”.

In uno Stato borghese di diritto, basato sulla distinzione dei poteri è necessario che vi sia un’autorità in grado di dirimerne i conflitti o evitare le “impasse” costituzionali. Ancor più nello Stato contemporaneo (del XX secolo) in cui il Parlamento è il “teatro di un sistema pluralista” e ha cambiato senso (o è del tutto venuta meno) la distinzione tra Stato e società, base del costituzionalismo del XIX secolo: Lo Stato è divenuto l’autorganizzazione della società. Dopo di ciò che esista un custode indipendente dagli altri poteri è ancor più necessario. Ma perché il custode abbia senso, è necessario un nuovo fondamento, perché “L’indipendenza è il presupposto fondamentale e tutti i progetti di un custode della costituzione si basano sull’idea di creare un’istanza indipendente e neutrale”. E un Presidente eletto non è al di sopra della lotta politico-partitica come un monarca ereditario. La soluzione secondo Schmitt era data dal carattere democratico-plebiscitario del Presidente, scelto dal corpo elettorale: “Il Presidente del Reich sta al punto centrale di un intero sistema di neutralità politico-partitica e di indipendenza, costruito su un presupposto plebiscitario”. Le competenze del Presidente “hanno il senso di creare una posizione partiticamente neutrale, a causa della sua connessione immediata con la totalità statale, la quale in quanto tale è il difensore designato e il custode delle condizioni costituzionali e del funzionamento costituzionale delle più alte istanze del Reich e per il caso d’emergenza è munita di poteri efficaci per una difesa attiva della costituzione”. Così “ la costituzione vigente del Reich cerca di ricavare proprio dal principio democratico un contrappeso al pluralismo dei gruppi di potere sociale ed economico e di difendere l’unità del popolo come totalità politica”.

La concezione di Schmitt si sostiene, chiaramente, sul rapporto tra due unità. L’unità del popolo (uno) che esprime plebiscitoriamente il Capo dello Stato. Le attribuzioni, assai rilevanti, del presidente del Reich, ben più estese e importanti di quelle del nostro Presidente della repubblica sono un argomento, indubbiamente di rilievo, ma comunque secondario rispetto all’unità del popolo che è contrapposto a pluralismo, policrazia e articolazioni di potere ed organi dello Stato di diritto. Di fronte al quale il Presidente responsabile verso il corpo elettorale e cioè verso (l’organo rappresentativo) del popolo si contrappone alle decisioni (e ai conflitti) che possono attentare l’unità, l’esistenza politica e la forma dello Stato.

È chiaro che al Presidente della Repubblica italiana mancano le competenze che facevano del Presidente del Reich un credibile custode della Costituzione. In primo luogo quella sullo stato d’eccezione, di cui all’art. 48 della Costituzione di Weimar, e che in Italia delle anime belle, forse pensando di eliminare dalla realtà le (situazioni di) emergenza hanno cominciato con toglierla dal testo della Costituzione. Onde se un’emergenza si concretizza, non ci resta, per fronteggiarla, ricorrere alla teoria della necessità come fonte di diritto, formulata da Santi Romano. Pochi hanno tratto le debite conseguenze dal fatto che il potere di nominare il Presidente del Consiglio è stato dimezzato con l’indicazione del candidato premier sulla scheda elettorale. Quanto alle altre competenze del Capo dello Stato, importanti, ma tutt’altro che decisive, costituiscono (in parte) un residuato di prerogative “storiche” del monarca (come la grazia, il potere di nomina di funzionari o il comando delle forze armate) in parte sono strettamente vincolate (indire le elezioni o i referendum) in altro, di fatto esercitate quasi mai: quel che di comune hanno tutte, anche quelle non riconducibili alle tre categorie testé ricordate, è che, in concreto, non consentono di esercitare, volendo, quella funzione di neutralità attiva che Schmitt indicava.

Ma, al fine di escluderla, è più importante l’elezione parlamentare del Presidente: quale indipendenza può avere dal Parlamento, dalle coalizioni di partiti (e dalla “rappresentanze d’interessi” che nel Parlamento trovano brodo di cultura e attenzione costante) un Presidente che di quel teatro (o teatrino) è l’espressione o la conseguenza?

Come scriveva Schmitt “è di notevole importanza che tanto l’indipendenza dell’impiegato professionale quanto l’indipendenza del deputato parlamentare ed infine anche la posizione del Capo dello Stato, protetta con speciali privilegi e con una destituzione aggravata, sia assai strettamente legata con la rappresentazione della totalità dell’unità politica”: in effetti non potendoci essere un’ “indipendenza” nel senso di una depolitizzazione e neanche nel senso di una superiorità che sottragga del tutto la nomina del Presidente al placet delle fazioni in lotta, l’unico modo per salvaguardarla, almeno in parte, è far si che il Presidente venga eletto (e sia responsabile) nei confronti del corpo elettorale. Per cui le fazioni vengano stemperate nel corpo elettorale e non concordino tra loro, come nel sistema dell’elezione parlamentare, il Presidente eligendo. In questo senso, minore, il Presidente plebiscitato è garanzia d’indipendenza, comunque superiore a quello che può offrire un Presidente eletto dal Parlamento.

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4. Il ruolo della Corte Costituzionale. – Quel che bisogna escludere è che il “custode” della Costituzione possa essere la Corte costituzionale. Non solo perché, a prescindere da considerazioni di dottrina dello stato - in particolare relative al “presupposto” immediato della Costituzione, cioè (l’esistenza) del potere costituente - il potere di revisione consente di introdurre modifiche anche importanti alla Costituzione (per cui la Corte si trova, in caso d’esercizio giuridicamente corretto del potere di revisione, nella stessa condizione del giudice ordinario rispetto al legislatore); ma ancor più perché è idonea, come detto, solo a garantire contro le violazioni di norme (leggi) costituzionali. Basta leggere i dispositivi di quasi tutte le sentenze della Corte. Oltretutto, tenendo presente che l’ipertrofia legislativa ha fatto si che si promulghino con legge disposizioni che in altri ordinamenti sono affidate a regolamenti, provvedimenti ad efficacia generale (o meno) o più semplicemente, lasciate all’autonomia privata.

Ad esempio possiamo ricordare che la Corte si è occupata del “diritto di precedenza dei lavoratori stagionali nelle assunzioni presso la medesima azienda e con la medesima qualifica” (Corte Cost., 04/03/2008, n. 44): ovvero dei requisiti del personale dei gruppi consiliari della Regione Abruzzo: “È incostituzionale l’art. 1, 22º comma l.reg. Abruzzo 8 giugno 2006 n. 16, nella parte in cui, abrogando le parole «in possesso dei requisiti per l’accesso alla categoria D» nell’art. 6, 3º comma, l.reg. Abruzzo 9 maggio 2001 n. 18, prescinde, per l’assegnazione della qualifica di responsabile delle segreterie dei gruppi consiliari e con riguardo ai soggetti esterni all’amministrazione, dal possesso dei suddetti requisiti, richiesti invece per i dipendenti interni” (Corte cost., 21/02/2008, n. 27), del registro regionale (marchigiano) degli amministratori di condominio “Sono incostituzionali gli art. 2, 1º comma, e 3, 1º e 3º comma, l.reg. Marche 9 dicembre 2005 n. 28, nella parte in cui prevedono l’istituzione, presso la struttura competente della giunta regionale, del registro regionale degli amministratori di condominio e di immobili in cui possono iscriversi coloro che siano in possesso di determinati requisiti professionali” (Corte cost., 02/03/2007, n. 57) e del personale in esubero da inserire nei ruoli del S.S.N. (regione Marche): “Sono incostituzionali gli art. 1, 2 e 3 l.reg. Marche 24 febbraio 2004 n. 4, nella parte in cui disciplinano l’inserimento nei ruoli del ssn del personale, già assunto con contratto a tempo indeterminato da unità operative o strutture sanitarie private, che risulti in esubero a seguito dei processi di riconversione o disattivazione o soppressione delle predette unità e strutture” (Corte cost., 10/05/2005, n. 190).

E così via: quanto sopra citato è una minima parte della minutaglia che costituisce il lavoro quotidiano della Corte Costituzionale.

Viene naturale la domanda: cos’ha di costituzionale il registro degli amministratori di condominio o gli esuberi del personale delle cliniche marchigiane (e così via)? È chiaro che la ragione di tanto lavoro è soltanto la presenza nel testo della Costituzione di molte norme che hanno il carattere (e la forza) di legge costituzionale, ma “costituiscono” poco o niente.

E il ragionamento si può fare anche partendo dall’altro corno del dilemma: quante sono le sentenze della Corte in cui ci si occupa delle decisioni politiche fondamentali (nel senso di “costituire” le forme e il tipo dell’unità politica)? Praticamente (quasi) nessuna. Più si sale verso il fondamento, il nocciolo duro della forma politica, più gli interventi della Corte Costituzionale si rarefanno: ad avvicinarsi, e nemmeno tanto, all’Empireo, cessano del tutto.

E se poi si va a vedere quello che la Corte può fare in caso di reale pericolo per la costituzione, non si può che sorridere: non si fermano con le sentenze o gli ufficiali giudiziari golpe o rivoluzioni. Gli uni e gli altri si possono arrestare con quei “bei pezzi di costituzione” che sono i reparti di polizia e militari. Così la Corte serve di più laddove il suo intervento è meno importante e decisivo. Il che non significa non apprezzarne la funzione: di grande utilità, data la frenesia d’iperlegislazione che possiede (nel senso demoniaco) lo Stato “sociale”; ma non è il caso di aspettarsi da essa quel che non può dare, e che molte anime belle credono che possa. Mentre invece, per tali aspettative finisce con l’essere come la natura di Leopardi: che “non rende poi ciò che promette allor” o che le anime belle credono che abbia promesso. Né, anche se è più vicino alla difesa della costituzione nel senso precisato, è granché rilevante la competenza della Corte a decidere dei conflitti di attribuzione tra “poteri dello Stato” o tra Stato e regioni (o tra regioni). Infatti essendo limitata (in senso oggettivo) alla tutela “della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali”, non ricomprende né quei conflitti che nascono dall’applicazione di norme di legge ordinaria, né quelli (e sarebbero i più importanti e decisivi) originati da disposizioni non esternate nella Costituzione.

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5. Il concetto di costituzione. – La distinzione di Schmitt tra costituzione e leggi costituzionali è “doppiata” da quella tra istituzione e norme e dalla concezione che vede in quella e non in queste l’essenza del diritto; onde, come scriveva Santi Romano “ai tratti essenziali di un ordinamento giuridico le norme conferiscono quasi per riflesso: esse, almeno alcune, possono anche variare senza che quei tratti si mutino, e, molto spesso, la sostituzione di certe norme con altre è piuttosto l’effetto anziché la causa di una modificazione sostanziale dell’ordinamento”, e sempre a seguire il Romano “Costituzione in senso materiale e diritto costituzionale sono espressioni equivalenti. Costituzione, infatti, significa, come si è detto, assetto o ordinamento che determina la posizione, in sé e per sé e nei reciproci rapporti che ne derivano, dei vari elementi dello Stato e, quindi, il suo funzionamento, l’attività, la linea di condotta per lo stesso Stato e per coloro che ne fanno parte o ne dipendono” onde “Il diritto costituzionale è perciò, come si vedrà meglio più avanti, il diritto che segna la stessa esistenza dello Stato, il quale comincia ad aver vita solo quando ha una qualche costituzione; gli dà una forma e, per dir così, una determinata fisionomia”; e dato che “Ogni Stato è per definizione, come si vedrà meglio, in seguito, un ordinamento giuridico, e non si può immaginare, quindi, in nessuna sua forma fuori del diritto”, il “diritto costituzionale (cioè la costituzione in senso materiale N.d.R.) può in breve definirsi l’ordinamento supremo dello Stato”.

Ove si parta dalla concezione istituzionista del diritto nella formulazione di Santi Romano è chiaro che la costituzione non è l’insieme delle norme ordinate nel testo costituzionale, e che quindi il custode della costituzione non è il giudice che esamina, ed eventualmente annulla le disposizioni legislative contrarie alla normativa costituzionale, ma è chi garantisce che l’assetto, la posizione e i rapporti tra i vari elementi dello Stato permangano in un tutto ordinato. A questa totalità ordinata aggiunge o toglie poco – in misura quindi da non compromettere l’ordine – che singole norme siano violate: tant’è che nessuna delle tante leggi annullate dalla nostra Corte ha mai provocato una “crisi costituzionale” (e neppure una modifica) cui il giudice costituzionale abbia rimediato. Di converso importanti cambiamenti della costituzione materiale sono seguiti a disposizioni legislative (neppure contrarie a norme costituzionali): in particolare alle leggi elettorali maggioritarie che dal ’94 hanno (ripetutamente) cambiato il sistema per l’elezione del Parlamento. Proprio perché queste incidevano sui rapporti tra i massimi organi dello Stato e all’interno (e sulla formazione) dei medesimi. Le norme, come le pedine della scacchiera (v. sopra) sono mosse e non muovono.

In definitiva alle concezioni di Schmitt e Romano si può accostare quella di Hobbes sulla distinzione tra leggi fondamentali e non fondamentali.

Thomas Hobbes dopo aver confessato di non aver letto in nessuno scrittore cosa significhi “una legge fondamentale” (il che vuol dire – anche – di non aver letto alcuna “definizione normativa” della stessa) sicchè, in assenza di scriptura, ne da una definizione di ratio : la legge fondamentale è quella “la quale se è tolta, lo Stato viene meno e si dissolve del tutto”, mentre non fondamentale è la legge “che se abrogata, non porta con se la dissoluzione dello Stato”. La quale può adattarsi, mutatis mutandis, alla distinzione tra ciò che è costituzione e ciò che è legge costituzionale: alla prima pertiene ciò che essenziale perché vi sia la costituzione di una specifica forma di Stato e di governo; all’altra quanto essenziale non è. E conferma l’insufficienza di pervenire a una definizione di costituzione partendo da un criterio procedurale ossia come ciò che è modificabile solo col procedimento di revisione costituzionale; il che è il contrario di gran parte delle tante definizioni date in qualche millennio di pensiero occidentale, a partire dalla Politica di Aristotele, le quali connotano e denotano il concetto in base a caratteri propri e all’estensione del medesimo (tipica la notissima definizione della Stagirita “la costituzione è l’ordinamento delle cariche in uno Stato, in che modo sono distribuite, qual è il potere sovrano della costituzione, quale il fine di ogni comunità”, al quale dobbiamo anche la distinzione tra costituzione e leggi – Politica IV, 1, 1289a).

Col risultato che il “criterio della revisione” ci dice solo ciò che è soggetto alla procedura di revisione e non ciò che è costituzionale.

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6. Potere costituente e potere costituito. – Se si va poi a individuare chi è il custode della Costituzione, occorre partire da un’altra distinzione, che dobbiamo a Sieyés: quella tra potere costituente e potere costituito. Perché è chiaro che al potere costituente, non foss’altro perché può annullare, abrogare, cambiare la costituzione, pertiene anche la funzione – minore – di custodirla.

Il problema quindi si pone se la custodia venga conferita a un potere costituito, e ove lo stesso non sia anche costituente (come si riteneva per le monarchie assolute, anche se fino al XVIII secolo non vi era consapevolezza del concetto di potere costituente).

La costituzioni che prevedono un custode della Costituzione, indicano anche i casi in cui si attiva la delimitazione delle competenze e dei poteri dell’organo costituito che esercita la funzione; e, in genere, tali disposizioni trattano in un unico contesto difesa dello Stato (da un’aggressione esterna o interna), difesa della costituzione, misure per fronteggiare eventi eccezionali (naturali o anche economici): onde la materia tende a confondersi con la disciplina dello stato d’emergenza.

In questo senso – di difesa dell’assetto e distribuzione dei poteri, e in particolare di quello sovrano, e dei fini della comunità politica – nella costituzione italiana vigente non c’è alcuna indicazione sull’organo costituito a ciò deputato. Solo la Corte costituzionale, nel caso decida su conflitti d’attribuzione, esercita un potere riconducibile (anche se assai limitato) a parte di quanto può sussumersi al concetto di “custodia della Costituzione”. Resta da vedere se da considerazioni non “letterali”, ma logico-sistematiche si possa identificare l’organo a ciò deputato.

In effetti l’unico organo che potrebbe essere (e fino ad un certo punto) un credibile ed efficace custode della Costituzione è il governo sia perché ha la disponibilità di quei bei “pezzi di costituzione” (quali sono le forze armate e quelle di polizia) sia per il carattere, ormai plebiscitario (di “fatto”) della sua designazione, e delle correlative responsabilità di fronte al corpo elettorale; sia per l’attribuzione costituzionale (art. 77) del potere di decretazione d’urgenza. È chiaro però che, diversamente da altre costituzioni, quella italiana non consente misure di sospensione dei diritti costituzionali, né, attraverso il controllo parlamentare della decretazione d’urgenza, un esercizio completamente autonomo di una simile funzione.

Dato però che questa rientra nelle funzioni naturali dell’istituzione statale (come tutto ciò che attiene all’essenza del politico), in particolare alle decisioni fondamentali per l’esistenza – che comporta che esista un ordine e una (capacità di) azione comunitaria – quello di custodia della costituzione è una funzione che non ha bisogno di una norma perché esista (e sia esercitabile): dipende dalla natura delle cose e non dalla scrittura dei documenti costituzionali. È riconducibile alla saggezza politica romana (salus rei publicae suprema lex) e tra i tanti giuristi che se ne sono occupati, basti ricordare Santi Romano e la sua teoria della necessità come fonte di diritto: che esiste anche se nessuna norma la prevede. E se anche la costituzione vigente non la disciplina, questo non significa che non esiste, ma solo che l’attuale costituzione è (anche in questo) carente.

Quello che sicuramente manca, è l’attribuzione a un organo: ma nel silenzio non rimane che ritenere la difesa della Costituzione conferita a una pluralità di organi e poteri, tutti aventi carattere rappresentativo esplicito (il Presidente della Repubblica e il Parlamento) o implicito (il Governo): onde la custodia della Costituzione appartiene a tutti, secondo le rispettive competenze conferite dalla Costituzione. Per cui a un decreto-legge emanato a quel fine concorrono il Governo che lo delibera (e lo esegue), il Capo dello Stato che lo emana, il parlamento che lo converte (o meno) in legge.

Rispetto ad altre soluzioni, questa può risultate incongrua perché farraginosa: ma è nella natura compromissoria e sostanzialmente diffidente verso poteri (e responsabilità) nettamente individuati (ed autonomamente esercitati) della nostra costituzione che sia così. Per cui anche per “custodire” la Costituzione occorre l’accordo tra i più “politici” tra i poteri costituiti.

E ritornando all’occasione di questo breve scritto: contrariamente a quanto dicono a sinistra, Il presidente della Repubblica non è più custode della Costituzione di quanto lo sia il premier o il Parlamento: lo sono tutt’e tre; e tutti sono politici; non c’è un potere neutro, nel senso che Constant attribuiva a tale espressione, contrapponendolo ai poteri politici “attivi”. E anche questo occorre mettere nel paniere delle (future?) rielaborazioni della Costituzione.

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Teodoro Klitsche de la Grange

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