Ho trovato direttamente disponibile in libreria la traduzione francese di Ilan Pappe, Le nettoyage ethnique de la Palestine, edito da fayard e tradotto dall’inglese, uscito nel 2006. La tradizione francese è di questo anno corrente 2008 e quindi già disponibile per la Fiera del libro di Parigi, dove ospite di onore era lo Stato di Israele che per l'occasione celebrava il suo 60° anniversario di fondazione ovvero – come dicono – dell’Indipendenza. È nota la contestazione che si è accesa e che è tuttora in corso a causa di queste celebrazioni propagandistiche che si svolgono in Europa, a Parigi e Torino e chissà dove altro ancora. È da notare anche che agli scrittori ebraici che accettano di partecipare agli “onori” è stato richiesto dal loro governo un impegno scritto a non essere critici verso il governo, che ovviamente deve averli desisgnati a ricevere gli “onori” o la pubblica esecrazione degli spiriti liberi ed indipendenti nonché informati sui fatti.
Il libro di Pappe che è qui accanto a me e che ho iniziato a leggere nella traduzione francese, per me di più agevole lettura del testo inglese, è corposo di quasi 400 pagine. Si avvale di fonti di archivio e di prima mano. Non può esservi dubbio di sorta su cosa successe in quel lontano 1948, di cui Israele vuole celebrare il suo mito fondativo, nascondendo la sua vergogna e demistificando la realtà dei fatti, con una complicità della “cultura”, che dimostra come questa non sia cosa diversa dal becero giornalismo a pagamento di regime. Di fronte ad un Nietzsche che ci ha insegnato cosa siano gli “spiriti liberi”, capace di superare il loro tempo ed i loro governi, la maggior parte degli scrittori sono prodotti del regime. Da un punto di vista esteriore “scrittori” sono un Magdi Allam, una Fiamma Nirenstein e quanti hanno violentato la carta su cui sono impressi i caratteri del loro linguaggio privo di senso e falsificante. Se costoro che scrivono dovessero essere i maestri di tutti noi che non scriviamo e siamo restii a violentare la carta e la natura che fornisce il materiale con il quale sono fatti i libri, saremmo davvero messi male. Per fortuna, lo spirito critico e la diffidenza ha una facile propagazione. È sufficiente che qualche sentinella dia l’allarme.
Ma veniamo al libro ed all’evento, lasciando perdere per adesso queste notazioni di sociologia della cultura che spero di raccogliere altrove in modo più organico. Una prima osservazione sul termine “indipendenza” che è usato dagli ideologi sionisti. Evidentemente si intende qui “indipendenza” dall’Inghilterra, il cui ruolo coloniale per tutto il XIX secolo e buona parte del XX è noto ad ogni scolaro che abbia fatto un modesto corso di storia. Nelle librerie è uscito in questi giorni, in traduzione italiana, un libro del tedesco Münkler sul concetto di Impero nel nostro tempo. Questa nozione sembrerebbe estranea alla nostra epoca contrassegnata, secondo l'autorappresentazione di regime, da una radiosa affermazione della democrazia e della sua prassi della felicità: i diritti umani solennemente riconosciuti in innumerevoli dichiarazioni e proprio per questo clamorosamente sconfessati all'interno degli Stati che li proclamano. In realtà, l’Impero esiste più che mai e la potenza americana si riconosce apertamente nelle sue categorie concettuali. Uno dei suoi elementi di dominio è l'ideologia somministrata massicciamente attraverso le comunicazioni di massa, a loro volto fiduciose della loro efficacia sulla base di una stima minoritaria del pensiero critico e della controinformazione. Qualche crepa è stata qui aperta da internet, ma è una falla che i governi si stanno adoprando a chiudere con diversi mezzi.
Indipendenza, dicevano, d’Inghilterra, che di guasti in Europa ed in Medio Oriente ne ha fatti tantissimi, ma sempre con lo stile di chi lancia il sasso e nasconde la mano, di chi produce il danno e rifugge dalle sue responsabilità. Nel processo di decolonizzazione che abbiamo studiato tutti nei manuali scolastici avrebbe avuto senso se di “indipendenza” avessero parlato i palestinesi e tutte le popolazioni arabe che facevano prima parte dell’Impero Ottomano e che sono poi state smembrate e sbranate dalle vecchie potenze coloniali europee e poi soppiantate dal nuovo impero americano. Ed invece no! Ad appropriarsi di questa categoria storica e geopolitica dell’«indipendenza» sono i coloni sionisti nel rigido presupposto che la Palestina fosse una terra disabitata, una terra senza popolo, o meglio provvisoriamente occupata di indigeni di cui ci si poteva facilmente sbarazzare. Questo progetto genocida e criminale era già presente prima ancora della data mitica del 1948.
Cito qui da un altro libro di Ilan Pappe, disponibile in traduzione italiana: Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli, (2005, Einaudi), dove a p. 86 si dice a proposito di un “intellettuale di primo piano, ideologo e dirigente del movimento sionista”:
Raccogliendo il suggerimento di alcuni lettori, svilupperò in successivi articoli le considerazioni che via via traggo dalla lettura sequenziale del libro di Pappe giusto ier sera comprato in libreria. Gli articoli sulle stesso tema verranno riuniti e collegati da opportuni links. Del resto, il tempo mi è già scaduto per questa mattina. Incombono altre necessità di vita quotidiana.
Seguito:
2. La Nabka: prima dei nazisti e meglio di loro.
Il libro di Pappe che è qui accanto a me e che ho iniziato a leggere nella traduzione francese, per me di più agevole lettura del testo inglese, è corposo di quasi 400 pagine. Si avvale di fonti di archivio e di prima mano. Non può esservi dubbio di sorta su cosa successe in quel lontano 1948, di cui Israele vuole celebrare il suo mito fondativo, nascondendo la sua vergogna e demistificando la realtà dei fatti, con una complicità della “cultura”, che dimostra come questa non sia cosa diversa dal becero giornalismo a pagamento di regime. Di fronte ad un Nietzsche che ci ha insegnato cosa siano gli “spiriti liberi”, capace di superare il loro tempo ed i loro governi, la maggior parte degli scrittori sono prodotti del regime. Da un punto di vista esteriore “scrittori” sono un Magdi Allam, una Fiamma Nirenstein e quanti hanno violentato la carta su cui sono impressi i caratteri del loro linguaggio privo di senso e falsificante. Se costoro che scrivono dovessero essere i maestri di tutti noi che non scriviamo e siamo restii a violentare la carta e la natura che fornisce il materiale con il quale sono fatti i libri, saremmo davvero messi male. Per fortuna, lo spirito critico e la diffidenza ha una facile propagazione. È sufficiente che qualche sentinella dia l’allarme.
Ma veniamo al libro ed all’evento, lasciando perdere per adesso queste notazioni di sociologia della cultura che spero di raccogliere altrove in modo più organico. Una prima osservazione sul termine “indipendenza” che è usato dagli ideologi sionisti. Evidentemente si intende qui “indipendenza” dall’Inghilterra, il cui ruolo coloniale per tutto il XIX secolo e buona parte del XX è noto ad ogni scolaro che abbia fatto un modesto corso di storia. Nelle librerie è uscito in questi giorni, in traduzione italiana, un libro del tedesco Münkler sul concetto di Impero nel nostro tempo. Questa nozione sembrerebbe estranea alla nostra epoca contrassegnata, secondo l'autorappresentazione di regime, da una radiosa affermazione della democrazia e della sua prassi della felicità: i diritti umani solennemente riconosciuti in innumerevoli dichiarazioni e proprio per questo clamorosamente sconfessati all'interno degli Stati che li proclamano. In realtà, l’Impero esiste più che mai e la potenza americana si riconosce apertamente nelle sue categorie concettuali. Uno dei suoi elementi di dominio è l'ideologia somministrata massicciamente attraverso le comunicazioni di massa, a loro volto fiduciose della loro efficacia sulla base di una stima minoritaria del pensiero critico e della controinformazione. Qualche crepa è stata qui aperta da internet, ma è una falla che i governi si stanno adoprando a chiudere con diversi mezzi.
Indipendenza, dicevano, d’Inghilterra, che di guasti in Europa ed in Medio Oriente ne ha fatti tantissimi, ma sempre con lo stile di chi lancia il sasso e nasconde la mano, di chi produce il danno e rifugge dalle sue responsabilità. Nel processo di decolonizzazione che abbiamo studiato tutti nei manuali scolastici avrebbe avuto senso se di “indipendenza” avessero parlato i palestinesi e tutte le popolazioni arabe che facevano prima parte dell’Impero Ottomano e che sono poi state smembrate e sbranate dalle vecchie potenze coloniali europee e poi soppiantate dal nuovo impero americano. Ed invece no! Ad appropriarsi di questa categoria storica e geopolitica dell’«indipendenza» sono i coloni sionisti nel rigido presupposto che la Palestina fosse una terra disabitata, una terra senza popolo, o meglio provvisoriamente occupata di indigeni di cui ci si poteva facilmente sbarazzare. Questo progetto genocida e criminale era già presente prima ancora della data mitica del 1948.
Cito qui da un altro libro di Ilan Pappe, disponibile in traduzione italiana: Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli, (2005, Einaudi), dove a p. 86 si dice a proposito di un “intellettuale di primo piano, ideologo e dirigente del movimento sionista”:
«Leo Mozkin [1867-1933], intellettuale di primo piano, ideologo e dirigente del movimento sionista, sintetizzò, nel 1918, il punto di vista sionista sulla questione della Palestina in termini che trovarono consezienti pressoché l’intera dirigenza del movimento. Si basava, questo punto di vista, sull’affermazione di un esperto tedesco dell’epoca, secondo cui la Palestina avrebbe potuto accogliere sei milioni di ebrei senza bisogno di espellere la popolazione locale. Questo stesso esperto aveva aggiunto che molto sarebbe dipeso dalla disponibilità della popolazione locale a vivere sotto sovranità ebraica e in presenza di una futura maggioranza ebraica. L’espulsione non era pertanto ritenuta necessaria nel progetto di costruzione di una nuova patria per gli ebrei, a meno che tale progetto non suscitasse la resistenza della popolazione locale» (il corsivo è mio).Si noti per inciso i “sei milioni”, numero già data nel 1918, e poi dal 1948 in poi posto miticamente alla base della religio holocaustica, salvo poi rettifiche quantitative alle quali non si sono potuti sottrarre gli stessi fondatori del mito. Ho voluto citare questo precedente per dimostrare che quanto succede nel 1948, cioè la vera e propria “pulizia etnica”, non è un fatto casuale, ma il risultato di una lunga premeditazione, di quella premeditazione che nel codice penale rendono più grave il reato commesso.
Raccogliendo il suggerimento di alcuni lettori, svilupperò in successivi articoli le considerazioni che via via traggo dalla lettura sequenziale del libro di Pappe giusto ier sera comprato in libreria. Gli articoli sulle stesso tema verranno riuniti e collegati da opportuni links. Del resto, il tempo mi è già scaduto per questa mattina. Incombono altre necessità di vita quotidiana.
Seguito:
2. La Nabka: prima dei nazisti e meglio di loro.
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