mercoledì 4 maggio 2011

Israel lobby, N.S.: 3) Gli Antisionisti sionisti ovvero quel che potrebbe sembrare un ossimoro nel campo filopalestinese.

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Esistono ambiguità non facili da dipanare. Ciò che successo appena ieri a Londra, dove Gilad Atzmon ed altri avevano programmato una discussione che pare, fortunatamente, abbia avuto pieno successo, benché si fosse tentato di impedirla, inducendo la Westiminster University a negare la sala, prima concessa. Non è la prima volta che succedono cose del genere. Basta ricordare di Ilan Pappe, che avrebbe dovuto parlare all’Università di Roma “La Sapienza”, per poi vedere allo scoperto in Monaco di Baviera chi aveva operato dietro le quinte, cioè altri ebrei, ovvero Israel lobby, che in ogni paese esercitano la loro influenza, cercando di restare possibilmente nell’ombra. L’ambiguità che in questo post si vuol cercare di isolare è di due specie: a) l’atteggiamento di ebrei a loro dire favorevoli alle ragioni dei palestinesi, ma fino ad un certo punto e non oltre certi limiti; b) le questioni storiografiche che riguardano singoli, tragici, capitoli della seconda guerra mondiale. Sul primo punto ha messo il dito nella piaga Gilad Atzmon organizzando l’evento londinese, che si annuncia come “ordinario”, nel senso che sarà ripetuto. In breve, se di dice “Stato ebraico” bisognerebbe almeno capire approfonditamente coma significa “ebraico”. Lo stesso problema è stato centrato da Jacob Rabkin, in un libro da noi recensito e che non ha avuto tutta l’attenzione che merita. Atzmon, a nostro avviso, ritorna sulla questione richiamando l’attenzione degli ebrei stessi sull’essenza della “ebraicità”. Si scopre dunque che in Londra, ma non solo il Londra, che esistono ebrei, favorevoli alla causa palestinese, che però non vogliono si parli di queste cose. Il perché ed il come lo andremo a vedere: in questa prefazione non possiamo anticipare altro. L’altro aspetto, un poco diverso, ma pur sempre un tabu, riguarda la sostanziale demonizzazione che è stata fatta di tutta la storia europea precedente il 1945, la cui lecita narrazione impone un solo sbocco: Auschwitz con divieto assoluto di porre interrogativi non graditi. In questa demonizzazione dei regimi precedenti si trovano concordi i regimi europei venuti dopo e sorti sulle macerie d’Europa ed il movimento sionista. Ne viene fuori una sostanziale alleanza, fra sionismo e antisionismo, che caratterizza taluni movimenti attivi nella campagna di solidarietà per Gaza e la Palestina. Ma anche qui non possiamo anticipare altro. Se ci riuscirà di continuare la difficile analisi, le evidenze dovranno risultare dai fatti e dagli eventi che andremo isolando ed indivuando.

Sommario: 1. Un dibattito londinese sull’essenza della ebraicità. – 2. Gli ostracismi degli Ebrei di ECO. – 3. Il sionismo irrinunciabile della Sinistra israeliana. –

1. Un dibattito londinese sull’essenza della ebraicità. – Il link immette in un altro post, recentissimo, di questo blog. L’evento è ancora in corso e noi cercheremo di seguirlo nei suoi svolgimenti. Il dibattito al quale inizialmente avrebbero dovuto partecipare Gilad Atzmon, Alan Hart, Gada Karmi e John Rosen, verteva in una discussione sul rapporto Goldstone, nella presunta “ritrattazione” da parte di Goldstone, ebreo e sionista egli stesso, a quanto pare minacciato, ma il tutto nel contesto stesso di una discussione su ciò che è o dovrebbe essere l’ebraismo. Dal libro di Rabkin, è possibile ricavare la distinzione concettuale fra ebraismo/giudaismo e sionismo. Quest’ultimo, servendosi dell’apparato dello stato di Israele, sorto dalla nakba nel 1948, ha teso e tende ad assorbire in sé tutto l’ebraismo mondiale, trasformando le comunità ebraiche sparse nei diversi paesi in una sorta di quinta colonna, in una Lobby permanente che condiziona la politica estera degli stati per coprire qualsiasi cosa, anche la più efferata, Israele faccia. E qui si giunge al rapporto Goldstone ed alle posizioni di non pochi ebrei non israeliani, i quali giudicano eccessiva e non condivisibile la politica genocidaria dello stato d’Israele, andando così a confliggere con il Tabù storiografico che vuole gli Ebrei nella sola veste di Vittime ma non di Carnefici a loro volta. Non si dimentichi di come in una mezza pagina di Gada Kharmi si trovi questa rivelazione che meriterebbe da sola un libro di migliaia di pagine, magari a dispense, da distribuire nelle edicole:
«…Per illustrare la situazione basta un esempio. Una caratteristica della nakba, della quale si è parlato poco, furono i campi di di lavoro forzato istituiti dal nuovo Stato israeliano durante la guerra del ’48-49. Secondo la Croce Rossa Internazionale furoni istituiti cinque campi per la popolazione maschile tra i 10 e i 60 anni che ospitarono oltre 5.000 palestinesi catturati nel corso della guerra. Gli uomini lavoravano per costruire gli insediamenti israeliani e per trasferire le pietre delle case arabe distrutte, necessarie per la costruzione di nuove abitazioni per gli ebrei. I prigionieri rimasero nei campi dai due ai cinque anni, la maggior parte fu rilasciata nel 1955.+Molte delle guardie dei campi erano ebrei tedeschi fuggiti dalla Germania nazista, a volte anche ex prigionieri dei campi tedeschi. Nessuno dei prigionieri palestinesi parlò di questa esperienza e questa storia è emersa solo successivamente. Fu come se nessuno riuscisse a esprimere in parole l’enormità delle sofferenze causate dall’esperienza della perdita, dell’insicurezza e dello sradicamento. La gente che doveva far fronte alla sopravvivenza quotidiana non poteva guardare al passato» (Ghada Karmi, op. cit., 33)».
Se potessimo disporre dei potenti mezzi della propaganda e della pubblicistica sionista, sarebbe un colpo formidabile da poter restituire in contrasto del vittimismo lucrativo che ci affligge tutta l’anno e che è stato reso parte integrante dei programmi scolastici con grave rischio per quei docenti riluttanti a lasciar annichilire il loro spirito critico e la loro autonomia di giudizio. Ghada Karmi era una delle partecipanti al panel londinese. Si è trovata impedita perché al momento in Giordania ed ha fatto sapere che ci teneva a che venisse data questa giustificata motivazione della sua assenza dall’evento. Nel suo libro, disponibile in traduzione italiana, Karmi ha indicato in due fattori l’incredibile sostegno di cui si avvantaggio Israele: 1) il fenomeno demenziale, e per fortuna quasi interamente americano, del “sionismo cristiano”, espressione di incultura e superstizione religiosa, ancora presente all’alba del terzo millennio; 2) il profondo senso di colpa degli europei in conseguenza di una Narrazione ufficiale ed intoccabile della storia della seconda guerra mondiale, seguita da un autentico lavaggio del cervello di tutte le incolpevoli generazioni venute dopo. La questione è complessa ed ha molteplici aspetti, ma si dipana da una questione centrale su cui si tenta di evitare il dibattito e la rilfessione: l’essenza della ebraicità.

2. Le intolleranze degli «Ebrei Contro l’Occupazione» (ECO). – Aspettavo l’occasione per potermi pronunciare su un sorta di fatto interno, invero piuttosto sconcertante. Devo dire che nelle manifestazioni cittadine in favore della Palestina mi sono imbattuto in quattro o cinque signori e signore che portavano il cartello «Ebrei contro l’Occupazione». Mi sono anche avvicinato a loro ed ho scambiato qualche parola. Il panorama delle organizzazioni solidali con i palestinesi è assai variegato e per nulla centralizzato. Convivono anche associazioni fra loro contradditorie, pur nell’apparente condivisione della causa palestinese. Anzi direi che al suo interno si annidono non poche e piuttosto gravi ambiguità che andrebbero dipanate e chiarite. Si potrebbe perfino scoprire che in realtà alcune di queste organizzazioni non sono a “favore”, ma “contro” i palestinesi. Il sionismo, del resto, è maestro nell’arte dell’infiltrazione e della manipolazione. Uno dei lati più abietti – a mio avviso – del sionismo è la la sua pratica della manipolazione, dell’infiltrazione, della strumentalizzazione, della falsificazione. E basta, per adesso. Lo si è visto, per esempio, in alcune iniziative di boicottaggio accademico. Si voleva perfino che a partecipare al boicotaggio antisraeliano vi fossero organizzazione israeliane, responsabili delle sofferenze dei palestinesi. Si vuol essere contro qualcuno, ma con il suo consenso e la sua partecipazione: ciò è tipico della imbecillità ed ipocrisia di casa nostra, Anzi, per ultimo la vicenda libica insegna, non si ama la chiarezza delle posizioni e delle assunzioni di responsabilità. In breve, e conclusivamente, la Rete Eco ebbe a dissociarsi e ad attaccare pesantemente l’agenzia Infopale perché nella comune adesione in favore della Flotilla vi sarebbe alcune persone o siti, la cui “firma” non era “buona”, in quanto già “scomunicata” dal Sinedrio del Tabù Storiografico. Dunque, va bene ad avere un poco di pietà per gli infelici palestinesi, ma fino ad un certo punto e stando bene attenti a non delegittimare chi quelle sofferenze ha prodotto e produce. L’analisi deve essere continuato e ci basta averla qui avviata. Anche noi desideriamo una resa dei conti ed un chiarimento. Vogliamo sapere chi sono, letteralmente, i nostri “compagni di strada” nelle processioni filopalestinesi.

3. Il sionismo irrinunciabile della sinistra israeliana. – Mi è stato segnalato ieri un post di “Frammenti locali”, dove ho lasciato un commento che vedo pubblicato. Vi è stato un lapsus calami per “razzismo” che mi è venuto fuori con “nazismo”. Andrò a rettificare con un successivo commento su quel sito. Qui voglio sono richiamare l’attenzione sul fatto che il “sionismo” non è defunto, anche se la sua svalutazione concettuale può sembrare scontata. Si tenta perfino di associarlo al “Risorgimento” italiano che ha pure esso le sue ambiguità, ma che non potrà mai essere stiracchiato fino al punto di trasformarlo in occupazione coloniale, in un processo per cui un’immigrazione violenta e truffaldina con la quale si scaccia una popolazione, autoctona, pacifica, con quell’idea che ci è stata data del Risorgimento, costituito appunto da un risollevarsi, ridestarsi in ogni caso di popolazioni autoctoni, per nulla assimilabili a bande di avventieri e di coloni. In verità, ne sono talmente cosapevoli gli ideologi del sionismo che si aggrappano ad un mito fragilissimo: il diritto “storico” e “continuo” degli ebrei sulla Palestina. Già! Ma quali Ebrei? Quelle poche migliaia di persone che prima del 30 giugno 1882 vivevano in pace con i palestinesi in Palestina e che furono i primi ad inquietarsi ed allarmarsi quando videro arrivare le prime famiglie di Biluim, che già avevano in testa la pulizia etnica del 1948? Ecco che il dibattito sull’essenza dell’ebraicità diventa strategico per separare “ebraismo/giudaismo”, fatto puramente religioso, per chi si riconosce nella circoncisione come elemento distintivo, ed il movimento che sorge e si afferma come “sionismo”, grazie ai vari Rotschild, alla corruzione dei funzionari ottomani che largheggiavano in permessi di immigrazione, alla contrattazione della Dichiarazione Balfour, ai maneggi di Stalin e degli Usa, nonché agli apporti delle lobbies dislocate nei diversi paesi. Ghada Karmi ha mostrato nel suo libro l’irresistibile tentazione dell’immigrato russo al quale chiavi in mano gli si offre in Israele tutto ciò che viene sottratto all’indigeno, destinato all’estirpazione e alla pulizia etnica. Questo si chiama ancora “sionismo” e vi è una parte della sinistra, direi non solo israeliana, che si riconosce in esso. Poiché a noi piace capire le cose, un eventuale dibattito, in “Frammenti vocali” o altrove, non ci spaventa e non ci dispiace.

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