sabato 10 gennaio 2009

Gaza: dal Manifesto. Rassegna ed archiviazione della stampa di guerra.

Gli «(S)corretti Informatori» fanno la rassegna stampa a modo loro, riportando quanto si presta meglio alla loro prassi di denigrazione, diffamazione, delazione. Per avere materiale di studio sempre pronti raccogliamo qui quanto ci è possibile reperire. Questo pomeriggio 10 gennaio ero al sit-in di largo Goldoni, dove è stato letto al microfono un articolo con il quale mi trovavo in sintonia. Ho scritto all’incirca le stesse cose, senza sapere che le scriveva pure un altro. Inutile basarmi sulla testata nemica dei pezzaniani. Raccolgo qui quanto trovo di utile dalle edizioni online del Manifesto. Attingerò da ogni fonte possibile e per ogni testo deve essere mantenuta un certa riserva. Non sempre è possibile il rigore filologico. Accolgo l’invito di un firmatario dell’Appello per tentare un monitoraggio dei media, che in questi giorni sono essi stessi parte della guerra che si protrae giorno dopo giorno. Il “Manifesto” è il quotidiano che più di ogni altro offre notizie attendibili su quanto succede a Gaza e nel mondo orientale. È per questo particolarmente odiato dai sionisti di Torino. Avverto che in questo post quanto viene raccolto è del tutto casuale e asistematico. In questi giorni abbiamo tutti bisogno di informazioni ed è giocoforza scartare ciò che sappiamo fazioso e di parte. Il criterio è qui quella della verità, o almeno della nostra verità.

Versione 1.o
Status: 10.1.09
Sommario: 1. Arrigoni: Così i bambini di Gaza City vivono l’orrore. – 2. Giuliana Sgrena: Con il pretesto di annientare Hamas. – 3. Il Corsera su Gaza. «Viva Israele». Un po’ di disagio per la linea blindata. – 4. Michele Giorgio: Lasciati morire nelle strade di Gaza. – 5. Stefano Sarfati Nahmad: Guerra umanitaria. Ascolta, ascolta Israele. –

1. Arrigoni: Così i bambini di Gaza City vivono l’orrore. – Vittorio Arrigoni si trova in Gaza. Era partito con una nave di Free Gaza da Cipro. Era stato in precedenti viaggi dello stesso genere. È stato rapito e imprigionato dagli israeliani, chiuso in un cesso. Espulso da Israele, è poi ritornato a Gaza dove è stato sorpreso dalla guerra.
REPORTAGE
Il Manifesto, 9.1.09 | di Vittorio Arrigoni - GAZA CITY
Così i bambini di Gaza city vivono l'orrore

Il dentifricio, lo spazzolino, le lamette e la mia schiuma da barba. I vestiti che indosso, lo sciroppo per curarmi una brutta tosse che mi affligge da settimane, le sigarette comprate per Ahmed, il tabacco per il mio narghile. Il mio telefono cellulare, il computer portatile su cui batto ebefrenico per tramandare una testimonianza dell’inferno circostante. Tutto il necessario per una vita umile e dignitosa a Gaza, proviene dall’Egitto, ed è arrivato sugli scaffali dei negozi del centro passando attraverso i tunnel. Gli stessi tunnel che caccia F16 israeliani hanno continuato a bombardare massicciamente nelle ultime 12 ore, coinvolgendo nelle distruzioni le migliaia di case di Rafah vicine al confine. Un paio di mesi fa mi sono fatto sistemare tre denti malconci, alla fine dell’intervento ricordo che ho chiesto al mio dentista palestinese dove si procurava tutto il materiale odontotecnico, anestetico, siringhe, corone in ceramica e ferri del mestiere. Sornione, il dentista mi aveva fatto un cenno con le mani: da sotto terra.
Non vi è alcun dubbio che attraverso i cunicoli sotto Rafah passassero anche armi, le stesse che la resistenza sta impiegando oggi per cercare di arginare le temibile avanzata dei mortiferi blindati israeliani, ma è poca cosa rispetto alle tonnellate di beni di consumo che confluivano in una Gaza ridotta alla fame da un criminale assedio.
Su internet è facile reperire foto che documentano come anche il bestiame passava per i tunnel al confine con l’Egitto. Capre e bovini addormentati e imbragati venivano fatti calare in un pozzo egiziano per riemergere da quest’altra parte e rifornivano di latte, formaggi e carne. Anche i principali ospedali della Striscia si approvvigionavano clandestinamente al confine. I tunnel erano l’unica risorsa che ha consentito alla popolazione palestinese di sopravvivere all'assedio; un assedio che qui, ben prima dei bombardamenti, causava un tasso di disoccupazione del 60%, e costringeva l'80% delle famiglie a vivere di aiuti umanitari.

I nostri compagni dell’Ism a Rafah ci descrivono l’ennesimo esodo a cui stanno assistendo. Carovane di disperati che su carretti trainati da muli o sopra mezzi di fortuna stanno lasciando le loro case dinnanzi all'Egitto. Copione già visto, nei giorni precedenti erano piovuti dal cielo volantini che intimavano l'evacuazione, Israele mantiene sempre le sue minacce, ora stanno piovendo bombe. Gli sfollati di oggi passeranno la notte da parenti, amici e conoscenti a Gaza. Nessuno si fida più ad andare ad affollare le scuole delle Nazioni Unite, dopo il massacro di ieri a Jabaliya. Moltissimi però non si sono mossi, non hanno alcuno posto dove riparare. Passeranno la notte pregando un Dio che li scampi alla morte, dato che nessun uomo pare interessarsi alle loro esistenze.
A ora sono 768 i morti palestinesi, 3129 i feriti, 219 i bambini ammazzati. Il computo delle vittime civili israeliane, fortunatamente, è fermo a quota 4. A Zaytoun, quartiere a Est di Gaza city, le ambulanze delle Croce Rossa hanno potuto accorrere sul luogo di una strage solo dopo diverse ore, dietro coordinamento dei vertici militari israeliani. Quando sono arrivati, hanno raccolto 17 cadaveri, e 10 feriti, tutti appartenenti alla famiglia Al Samouni. Una esecuzione perfetta, nei corpicini dei bambini morti, è possibile notare non schegge di esplosivo, ma fori di proiettile.
Le ultime due notti negli ospedali di Gaza city sono state più tranquille del solito, abbiamo soccorso decine di feriti e non centinaia. Evidentemente dopo la strage della scuola di Al Fakhura l’esercito israeliano ha sfondato il budget quotidiano di morti civili da offrire in pasto a un governo assetato di sangue in vista delle imminenti elezioni. Abbiamo sentore che già da stanotte torneranno a riempire fino a scoppiare gli obitori.
A sirene spiegate continuiamo a scortare negli ospedali donne gravide che partoriscono prematuramente. Come se la natura , la conservazione della specie induca queste madri coraggio ad anticipare la messa al mondo di nuove vite per sopperire al crescente numero di morti. Il primo vagito di questi neonati, quando sopravvivono, sovrasta per un attimo il boato delle bombe. Leila, compagna dell’Ism, ha chiesto ai figli dei nostri vicini di casa di scrivere dei pensieri sull’immane tragedia che stiamo vivendo. Questi alcuni stralci dei loro temini, gli orrori della guerra osservati da uno sguardo puro e innocente, quello dei bambini di Gaza: Da Suzanne, 15 anni: «La vita a Gaza è molto difficile. In realtà non si può descrivere tutto. Non possiamo dormire, non possiamo andare a scuola o studiare. Proviamo molte emozioni, a volte abbiamo paura e ci preoccupiamo perché gli aerei e le navi colpiscono 24 ore su 24. A volte ci annoiamo perché durante il giorno non c'è elettricità, e la notte ce l’abbiamo solo per circa quattro ore, e quando c’è, guardiamo il notiziario in tv. E vediamo bambini e donne feriti o morti. Così viviamo l’assedio e la guerra». Da Fatma, 13 anni: «È stata la settimana più difficile della mia vita. Il primo giorno eravamo a scuola, a dare l'esame del primo trimestre, poi sono iniziate le esplosioni e molti studenti sono stati uccisi o feriti, e gli altri sicuramente hanno perso un parente o un vicino. Non c’è elettricità, cibo o pane. Che possiamo fare - sono gli israeliani! Tutti nel mondo festeggiano il nuovo anno, anche noi lo festeggiamo ma in modo diverso».

Da Sara, 11 anni : «Gaza vive in un assedio, come in una grande prigione: niente acqua, niente elettricità. La gente ha paura e non dorme la notte, e ogni giorno nuove persone vengono uccise. E gli studenti davano gli esami del primo trimestre, così Israele ha colpito le scuole, il Ministero dell'educazione e molti ministeri. Ogni giorno la gente chiede quando finirà, e aspettano altre navi di attivisti come Vittorio e Leila». Da Darween, 8 anni: «Sono un bambino palestinese e non lascerò il mio paese così avrò molti vantaggi perché non lascerò il mio paese e sento il rumore di razzi così non lascerò il mio paese». Meriam ha quattro anni. I suoi fratellini le hanno chiesto: «Cosa provi quando senti i razzi?». E lei ha detto: «Ho paura!», e subito è corsa a nascondersi dietro le gambe del papà.
Gaza è tristemente avvolta nell’oscurità da dieci giorni, solo negli ospedali ci è concesso ricaricare computer e cellulari, e guardare la televisione con i dottori e i paramedici in attesa di una chiamata di soccorso. Ascoltiamo i boati in lontananza, dopo qualche minuto le reti satellitari arabe riferiscono esattamente dove è avvenuta l’esplosione. Spesso ci riguardiamo l’estrazione dalle macerie dei corpi, come se non bastasse averli visti in diretta.
Ieri sera col telecomando ho scanalato solo una televisione israeliana. Davano un festival di musica tradizionale, con tanto di soubrette in vestiti succinti e fuochi artificiali finali. Siamo tornati al nostro orrore, non sullo schermo, ma sulle ambulanze. Israele ha tutti i diritti di ridere e cantare anche mentre massacra il suo vicino di casa. I palestinesi chiedono solo di morire di una morte diversa, che so, di vecchiaia. Restiamo umani.
I tunnel di cui parla Arrigoni, necessari per una sopravvivenza allo stremo, diventano “autostrade” per madonna Fiammetta Nirenstein che ne parla negli schignazzi settimanali con Massimo Bordin. Il cinismo e la stupidità sono però adesso nel parlamento della Repubblica italiana, grazie a chi ha messo costei in lista.

Torna al Sommario.

2. Giuliana Sgrena: Con il pretesto di annientare Hamas. – Sono sempre piuttosto scettico di fronte alle analisi e ai commenti. Pretendono di racchiudere una realtà che può sfuggire facilmente alle proprie previsioni. Trovo però qui una conferma ad un dato che ho sentito e che vorrei approfondire: sulla nascita di Hamas.
COMMENTO | di Giuliana Sgrena
il Manifesto, 9.1.09
Con il pretesto di annientare Hamas

Il conflitto israelo-palestinese è il nodo centrale della questione mediorientale, senza la soluzione del quale non vi sarà pace in tutto il Medio Oriente, e non solo per i paesi arabi. Il timore arrivato ieri con i razzi dal Libano esprime bene lo scenario della crisi. Dietro l'orribile carneficina in corso nella striscia di Gaza si giocano interessi molto più grandi: ancora una volta sul corpo dei palestinesi si confrontano le varie potenze dell'area e, a distanza, i loro rapporti con gli Stati uniti del nuovo presidente Obama. Dietro lo scontro con Hamas è in gioco la leadership della regione che si fa scudo della religione, unico elemento mobilitante dopo il fallimento della politica e l'inefficacia degli accordi diplomatici.
Questa lotta è ancora più esacerbata dopo la morte di Arafat che comunque, con tutti i suoi errori, rappresentava la Palestina nel suo insieme, senza distinzione tra Gaza e Westbank. La morte di Arafat ha tolto ogni copertura a Fatah e ha dato via libera a una dinamica già in atto, islamisti da una parte e il resto dall'altra. Mentre la componente laica e democratica della leadership palestinese è stata colpita per aver cercato di lottare contro la corruzione dell'Anp, la militarizzazione (degenerazione della lotta armata) dello scontro e contro il fondamentalismo islamico. E bistrattata dagli occidentali come dai regimi arabi.
Israele assedia ora la Striscia di Gaza con il pretesto di distruggere Hamas come aveva assediato Arafat alla Muqata, cinque anni fa. Ora il massacro ha proporzioni infinitamente maggiori perché sotto tiro non è una fortezza, ma Hamas la cui presenza è diffusa su tutta la striscia di Gaza, un territorio con la densità di popolazione più alta al mondo. Ma per Arafat come per Hamas l'accusa era ed è di terrorismo. Non era stato forse proprio Israele a favorire la nascita di Hamas per indebolire la leadership dell'Olp? Così come gli Usa avevano creato Osama bin Laden per combattere il comunismo che si era esteso fino ad occupare l'Afghanistan?
Hamas ora non può più servire al gioco di Israele, anzi è diventata la principale spina nel fianco. L'asse Iran-Hezbollah-Hamas costituisce l'incubo degli israeliani. Hezbollah libanese ha inferto al potente esercito israeliano l'unica sconfitta subita finora sul campo, che brucia ancora, e Hamas si è rafforzata ricevendo dall'Iran (nonostante il blocco dei beni di prima necessità) nuove armi più sofisticate, anche se assolutamente non paragonabili alle tecnologie di Tsahal (esercito israeliano). I nuovi missili, che hanno una gittata maggiore dei rudimentali Qassam, sono un messaggio chiaro per Israele. Ma anche uno scacco per i paesi arabi della regione, l'Iran sta espandendo la sua zona di influenza: in seguito alla guerra contro Saddam Tehran controlla gran parte dell'Iraq, ha in Hezbollah un baluardo in Libano e sostiene Hamas in Palestina. L'Iran sta giocando una nuova carta, quella palestinese, nei confronti degli Stati uniti per la trattativa sull'uranio. L'aggressività dell'Iran indebolisce i paesi arabi in crisi di leadership e rende difficile la trattativa dell'Egitto con Hamas, mentre l'Arabia saudita, che finanzia tutto il wahabismo internazionale Fratelli musulmani compresi, si vede minacciata nella guida dell'islam più intransigente dai mullah di Ahmadinejad. Comunque vada, anche se Israele dovesse sciaguratamente decimare i palestinesi di Gaza, dovrà continuare a fare i conti con lo spauracchio iraniano. In gioco in Palestina sono anche le imminenti elezioni israeliane e iraniane. La debolezza interna si fa forza delle armi che sparano contro i più deboli, come sempre i palestinesi. Nessuna tregua (anche se in questo momento è di drammatica urgenza) sarà sufficiente a disinnescare queste logiche finché i palestinesi non troveranno una soluzione alla loro causa.

Oggi Hamas è la bestia nera di Israele. È un continuo pronunciamenti di anatemi, ma vi è stato un tempo in cui Israele ha favorito Hamas, pensando di potersene servire allo stesso modo in cui oggi si serve di Abu Mazen. Sempre la stessa storia: sei buono, se mi ubbidisci e fai come ti dico.

3. Il Corsera su Gaza. «Viva Israele». Un po’ di disagio per la linea blindata. – Trovo interessante questo trafiletto perché la mia visione del “Corsera” è viziata dal mio punto abituale di osservazione, cioè la rassegna stampa di «Informazione (S)corretta», che natuaralmente è felicissima della linea generalmente “corretta” di Corsera con l’eccezione di Sergio Romano, un’isola infelice. Qui il testo:
il Manifesto, 9.1.09
IL CORSERA SU GAZA
«Viva Israele» Un po' di disagio per la linea blindata

Una volta c'era il Corriere della Sera. Mai di sinistra (per carità) ma capace di offrire uno sguardo attendibile e variegato sul paese oltre a una buona qualità giornalistica. C'era. Ormai s'è ridotto a un giornaletto vocato al gossip e al cicaleccio, senza alcuna ricchezza giornalistica, politica e culturale. Beghino e bigotto. Senza più alcuna autonomia. I casi più emblematici, sul piano internazionale, sono il trattamento riservato dal Corsera agli Stati uniti e Israele.
La copertura della tragedia in corso a Gaza è al di là di ogni immaginazione. Il direttore Mieli ha mobilitato la batteria degli editorialisti a senso unico - i Panebianco, i Battista, gli Ostellino, i Galli della Loggia... - e messo in panchina quei pochi che forse non erano del tutto allineati e coperti. Se qualcuno usciva dal coro avvertiva silenzi di riprovazione intorno a sé e perfino qualche larvata minaccia.
Possibile che nessuno di quei bravi e vivaci giornalisti abbia nulla da dire sulla copertura del Corriere su Gaza? A quel che si può sapere qualche mugugno, testimone di un certo malessere diffuso almeno in una parte della redazione, c'è stato, specie nella sezione esteri. C'è chi - coraggiosamente - si è chiesto con una lettera spedita ai colleghi via e-mail se i lettori del Corsera «potrebbero essere interessati a un più articolato assortimento di punti di vista». Che non ci sono perché la linea è blindata dai pasdaran del direttore. Ma, dice un redattore al telefono, «qualche disagio c'è», di questa copertura imbarazzante «si parla» anche se poi a quanto sembra «le possibilità di intervenire sono limitate» (o nulle per quel che si vede). La lettera a «tutti» cui si faceva riferimento prima non ha avuto - finora - una risposta da parte di qualcuno di quei tutti. Qualche parola di solidarietà personale in un silenzio generalizzato. Il «malessere» resta una sensazione forse diffusa ma individuale. Come l'altro giorno quando è arrivato nella redazione che dà su piazza Venezia l'ambasciatore israeliano Ghideon Meir per un forum sulla situazione a Gaza. Perfino i più fedeli alla linea si sono scocciati perché nonostante il forum non fosse per la pubblicazione sul giornale ma ad uso interno, l'ambasciatore sembrava un pappagallo con le sue risposte più banali e scontate a qualsiasi domanda. E (alcuni) giornalisti che si sono guadagnati i galloni israeliani sul campo si sono leggermente incazzati.
Mi è di conforto l’universalità di giudizio sull’ambasciatore Ghideon Meir, la cui cazzonaggine è dato noto e acquisito perfino agli imbonitori sionisti.

4. Michele Giorgio: Lasciati morire nelle strade di Gaza. – Siamo al 13° giorno di bombe ed i morti sono oltre 763. «In una casa abbiamo visto quattro bimbi che da giorni stavano raccolti davanti al cadavere della madre. Erano così deboli che non potevano reggersi in piedi». Di questi tempi è assai in voga un aggettivo, che piace e tutti lo ripetono ad ogni piè sospinto, ma spesso in modo del tutto. Non è il caso dato dal virgolettato. Qui è la scena solo ad immaginarla è per davvero: agghiacciante!
di Michele Giorgio - GERUSALEMME PALESTINA
Manifesto, 9.1.09

Lasciati morire nelle strade di Gaza

«Postazioni bombardate, operatori uccisi», l’Onu sospende gli aiuti. La Croce rossa: Israele non soccorre i civili feriti. Missili dal Libano, colpita una casa nello Stato ebraico. Nel 13° giorno di bombe i morti sono ormai oltre 763
Aiuta i vivi a reperire cibo e medicine il cessate il fuoco quotidiano di tre ore concesso da Israele ai palestinesi di Gaza sotto attacco. Ma serve anche a recuperare i morti, a dare una sepoltura a cadaveri rimasti per giorni nelle strade. «I cadaveri, decine e decine, giacciono nelle strade e i feriti muoiono davanti gli occhi dei soldati israeliani che a distanza di pochi metri non fanno niente per soccorrerli», denunciava ieri con voce rotta dalla commozione Ayad Nasr, portavoce della Croce rossa internazionale riuscita finalmente ad entrare a Beit Lahiya e Beit Hanun, i centri abitati palestinesi più martoriati dall’aviazione e dall’esercito d’Israele.
«Fateci entrare nelle zone di Abraj al Awda e Abraj Sheikh Zaid per raccogliere i feriti, molti di loro sono morti perché nessuno li ha soccorsi. Spero che questo mio appello venga raccolto da chi ci ascolta», ha proseguito Nasr parlando in diretta alla rete televisiva al Jazeera. Al suo appello si è aggiunto quello dell’Unrwa per i diritti della popolazione civile ma, poco dopo, l’agenzia dell’Onu ha dovuto annunciare l’interruzione dei programmi di assistenza a causa dell’uccisione di un suo autista, colpito dall’aviazione israeliana mentre, alla guida di un autocarro, trasportava aiuti umanitari, peraltro durante le ore di cessate il fuoco. A inizio settimana le forze armate israeliane avevano colpito tre scuole dell’Unrwa provocando decine di vittime. Le tre ore di «tregua» stanno perciò svelando la portata della devastante offensiva israeliana nelle località della Striscia rimaste isolate per giorni e prese incessantemente di mira dall’aviazione e dall’artiglieria. In un racconto fatto alla tv saudita al Arabiya, un operatore della Croce Rossa ha detto che «gli israeliani non ci hanno permesso di entrare a Khan Younis con le ambulanze ed abbiamo dovuto farlo a piedi». Una volta entrati, ha riferito, «in una casa abbiamo visto quattro bimbi che da giorni stavano raccolti davanti al cadavere della madre. Erano così deboli che non potevano reggersi in piedi». In un’altra casa «abbiamo trovato vivo un uomo allo stremo delle forze...sul pavimento c’erano 12 cadaveri che abbiamo portato fuori sugli asini».
L’emittente araba ha anche trasmesso le immagini di un’ambulanza colpita mercoledì dall’esercito a Jabaliya. Nel video si vedono 13 fori sull’automezzo e un soccorritore colpito con una pallottola ad una gamba aiutato dai suoi colleghi. Due volontari, un canadese e uno spagnolo, hanno confermato l’accaduto. «I militari israeliani dovevano essere a conoscenza della situazione ma non hanno fornito assistenza ai feriti, né hanno reso possibile a noi o alla Mezzaluna Rossa palestinese di aiutarli», ha dichiarato a proposito dei morti e dei feriti rimasti nelle strade di Beit Lahiya, Pierre Wettach, capo della Croce rossa nella regione, che poi ha definito l’accaduto «scioccante».
L’organizzazione ha annunciato che continuerà a evacuare i corpi ogni volta che sarà possibile e ha comunicato di essere stata informata di altri feriti che le squadre mediche non sono riusciti finora a raggiungere. «I militari israeliani non hanno assolto ai loro obblighi in materia di diritto umanitario internazionale che prescrive di provvedere ai feriti ed evacuarli», ha aggiunto Wettach. Ieri Muawiya Hassanin, responsabile dei servizi di pronto soccorso a Gaza, ha portato il bilancio di morti palestinesi a 763, di cui 1/3 bambini e adolescenti (oltre 3mila i feriti).
L’offensiva «Piombo fuso» però non si ferma, anzi si espanderà. Lo ha lasciato capire il premier israeliano Olmert incontrando i soldati della Divisione Gaza, perché, ha spiegato, «non sono stati ancora raggiunti gli obiettivi». I raid aerei sono incessanti e i reparti corazzati rimangono alle porte delle città palestinesi pronti alla «terza fase» dell’attacco: rioccupare tutta Gaza. Ieri tre militanti del Jihad islami sono morti in un raid aereo e altri due sono rimasti feriti. Israele, secondo al Jazeera e fonti mediche palestinesi, farebbe uso anche di fosforo bianco e armi proibite, ma avviare una inchiesta indipendente è al momento impossibile. Sono morti ieri anche un ufficiale dell’esercito israeliano che si trovava a bordo di un carro armato centrato da un missile anti-carro e un soldato ucciso da un cecchino palestinese. Sono otto i militari morti dall’inizio dell’offensiva di terra (tre i civili israeliani uccisi dai razzi). Israele comunque continuerà a fare fuoco a volontà ancora per giorni.
Olmert e il presidente egiziano Mubarak domenica, al termine dei loro colloqui, potrebbero annunciare un cessate il fuoco temporaneo entro tre giorni, ma si tratta solo di un’indiscrezione. Al Consiglio di sicurezza dell’Onu intanto è stata presentata una bozza di risoluzione che il Dipartimento di Stato Usa ha definito «di possibile consenso». Non certo quello di Hamas che ha fatto sapere che il piano di Mubarak «non è una base valida per una soluzione della crisi», perché fondato interamente sulle condizioni poste da Israele.
«Piombo fuso» va avanti mentre rischia di precipitare la situazione in Medio Oriente. Ieri mattina almeno tre razzi sono stati lanciati dal territorio libanese contro la città israeliana di Nahariya, da un commando del Fronte popolare-Comando generale, una formazione palestinese sostenuta dalla Siria. Nell’attacco, che ha colpito anche un centro di assistenza agli anziani, sono rimaste ferite cinque persone. L’esercito israeliano ha immediatamente risposto con il lancio di mortai, i residenti della regione sono entrati nei rifugi anti-missile e per alcune ore si è temuta l’apertura di quel «secondo fronte» al nord di cui si parla da giorni. Poi il governo di Beirut ha condannato l’accaduto mentre Hezbollah ha smentito categoricamente un suo coinvolgimento. Poco alla volta è tornata la calma lungo la frontiera. Intanto oggi scade il mandato di Abu mazen ma ieri il presidente palestinese ha annunciato che non si farà da parte - come gli chiede Hamas - e resterà in carica fino alla convocazione di elezioni simultanee legislative e presidenziali.
Michele Giorgio è il più detestato giornalista fra gli «(S)scorretti Informatori», cui si deve riconoscere del fiuti. Quindi Michele è il migliore giornalista sulla piazza.

5. Stefano Sarfati Nahmad: Guerra umanitaria. Ascolta, ascolta Israele. – Era questo l’articolo che andavo cercando. È stato letto al sit-in di largo Goldoni. Tipico l’argomento dello “scudo umano”, ma è uno scudo che non serve a nulla, giacchè i soldati con la stella di Davide sono doppiamente felice di colpire lo scudo e ciò che esso dovrebbe proteggere. È una ignobile propaganda di guerra per tentare di colpire un genocidio dove tutti sono scudi di ognuno.
TAGLIO BASSO | di Stefano Sarfati Nahmad
il Manifesto, 9.1.09
GUERRA UMANITARIA
Ascolta, ascolta Israele!

Hai fatto una strage di bambini e hai dato la colpa ai loro genitori dicendo che li hanno usati come scudi. Non so pensare a nulla di più infame. A distanza di una generazione in nome di ciò che hai subito, hai fatto lo stesso ad altri: li hai chiusi ermeticamente in un territorio, e hai iniziato ad ammazzarli con le armi più sofisticate, carri armati indistruttibili, elicotteri avveniristici, rischiarando di notte il cielo come se fosse giorno, per colpirli meglio. Ma 688 morti palestinesi e 4 israeliani non sono una vittoria, sono una sconfitta per te e per l'umanità intera.
Ascolta Israele!
Io non rinnego la mia storia, la storia della mia famiglia, che è passata dalla Shoah. Però rinnego te, lo Stato di Israele, perché hai creduto di poter far valere il credito della Shoah per liberarti del popolo palestinese e occupare la sua terra. Ma non è così che vanno le cose, non è così la vita. Il popolo di Israele deve vivere di vita propria e non vivere della morte altrui.
Ascolta Israele!
Io non rinnego la mia storia, la storia della mia famiglia che è passata dalla Shoah, ma io oggi sono palestinese. Io sto dalla parte del popolo palestinese e della sua eroica resistenza. Io sto con l'eroica resistenza delle donne palestinesi che hanno continuato fare bambine e bambini palestinesi nei campi profughi, nei villaggi tagliati a metà dai muri che tu hai costruito, nei villaggi a cui hai sradicato gli ulivi, rubato la terra. Sto con le migliaia di palestinesi chiusi nelle tue prigioni per aver fatto resistenza al tuo piano di annessione.
Ascolta Israele!
Non ci sarà Israele senza Palestina ma potrà esserci Palestina senza Israele, perché il tuo credito, ormai completamente prosciugato dalla tua folle e suicida politica, non era nei confronti del popolo palestinese che contro di te non aveva alzato un dito, ma era nei confronti del popolo tedesco, italiano, polacco, francese, ungherese e in generale europeo; ed è colpevole la sua inazione.
Asolta Israele, ascolta questi nomi: Deir Yassin, Tel al-Zaatar, Sabra e Chatila, Gaza. Sono alcuni nomi, iscritti nella Storia, che verranno fuori ogni qualvolta si vedrà alla voce: Israele.

Nulla di più infame: «hai fatto una strage di bambini e hai dato la colpa ai loro genitori dicendo che li hanno usati come scudi». Per questa menzogna basta guardare una vignetta dell’Informazione Infame di Angelo Pezzana. Non la riporto perché troppo infame nella sua falsità.


Nessun commento: