Mi sono risparmiato una presentazione di un ennesimo libro, avendone ricevuto tardi la notizia: sapendolo ci sarei andato per spirito di martirio e per poter integrare la lettura del libro con impressione dirette sull’autore e sull’ambiente che lo esprime. Al residence di via Ripetta si è tenuta la presentazione di un volume edito da Mondadori e contenente gli scritti dal 2001 al 2006 dell’ambasciatore di israele in Italia, Ehud Gol: Da Gerusalemme a Roma. Il Medio Oriente, l’Italia, il mondo: Riflessioni di un ambasciatore. 2001-2006. Sono sicuro che troverò delle autentiche perle e dovrò spiegare nuovamente alla cassiera della libreria perché compro libri per il solo gusto di criticarli e magari guastarmi il sangue. Senza ancora aver letto il libro ho già notato un’analogia che mi aveva offerto lo spunto per dare il titolo alla presentazione di un altro libro, quello di Shlomo Venezia, presentato in Campidoglio. Al termine della presentazione uno del pubblico vicino a me, commentava dicendo che la presentazione era stata una “grande emozione”. Dall’articolo linkato si legge ora che
Farò un piccolo sacrificio finanziario, in questi tempi di vacche magre, comprando il libro dell’Ambasciatore. Naturalmente, non mi aspetto di trovare raffinate analisi di geopolitica o esempi insuperabili di prosa italiana, ma conto di trovare documenti di prima mano per una ricerca sulla scia di Mearsheimer e Walt, che hanno indagato e documentato l’esistenza per gli USA di una “Israel lobby” in grado di influenzare la politica estera americana. Perché non dovrebbe esservi qualcosa di simile per l’Italia? L’on. Fini lo colgo ripetutamente in flagranza. Nelle spazio che segue offrirò le mie riflessioni sul testo. Per non perdere totalmente il danaro sfoglierò il libro prima di comprarlo: se dovesse essere una silloge di assolute banalità, mi terrò i miei soldi. Ma se appena troverò elementi di analisi, lo acquisterò e proseguendo nella lettura i miei Cinque Lettori sapranno cosa ne penso. Di certo, non sono tenuto – come l'on. Fini, leader del mio stesso partito – a parlarne bene per dovere d'ufficio o per vincoli internazionali. Almeno ancora un poco di libertà di pensiero ci è concessa in questo nostro disgraziato Paese che va di male in peggio e che ora si appresta a celebrare l'ennesima farsa elettorale.
Inizio la lettura sequenziale del libro, scrivendo via via ciò che la lettura stessa mi suggerisce, non tutto però, giacchè ne verrebbe un ulteriore libro, che però non ho nessuna intenzione di scrivere.
Il libro è arricchito da una prefazione di Silvio Berlusconi, scritta da lui stesso o da chi per lui. Berlusconi è uomo pragmatico da cui ci si può aspettare di tutto e di cui non ci si deve mai stupire. Sotto sotto leggo quasi un intento canzonatorio quando scrive che l'ambasciatore israeliano si è lasciato andare ad un esempio unico, senza precedenti «nei rapporti tra un ambasciatore di uno stato straniero e il grande pubblico italiano», scrivendo tra il 23 ottobre 2001 e l’8 agosto 2006 quasi cento articoli sui giornali italiani, già gravati da una coazione lobbistica ad amare Israele, malgrado gli orrori provenienti da Gaza e dal Libano, dove nell'ultima guerra di aggressione ogni metro quadrato è stato seminato di bombe a grappolo per allietare i giochi del bambini libanesi. Ma il presidente Berlusconi è capace di dire il contrario di quel che sembra dire. Bravo, Berlusconi!
Verrebbe da chiedersi se Ehud Gol sia più dotato rispetto a tanti altri ambasciatori di carriera, che evidentemente non hanno le qualità letterarie dell'ambasciatore israeliano (originario di dove?), se non hanno pensato di inondare i giornali italiani in eguale misura. Irrefrenabile bisogno letterario o necessitò di influenzare in tutti i modo possibili la cosiddetta opinione pubblica italiana? Fatto sta, che a giudizio del presidente Berlusconi, dopo tanto fervore letterario, una simile attività promozionale «a contribuito a elevare a livelli senza precedenti le relazioni bilaterali tra Italia e israele» (p. IX). Vi è di che preoccuparsi. Non so se ciò per l'Italia ha portare ad una maggiore esportazione del nostro vino in Israele, come una volta ho sentito rallegrarsi il nostro Presidente per un eguale incremento negli USA dopo la partecipazione alla guerra irachena, pardon dopo la nostra “missione di pace”.
Mi rendo conto che Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio negli anni in cui Gol era ambasciatore israeliano, non possa parlare con la stessa libertà ed irresponsabilitò di un cittadino qualunque, che in fondo può anche infischiarsene di vendere il suo vino ad Israele o agli Usa. Un capo di stato deve tener conto di tanto fattori e probabilmente ognuno di noi si comporterebbe e parlerebbe diversamente, se d’un tratto venisse investito di impensabili responsabilità. Ciò non toglie che un cittadino qualunque possa dire ciò che comunque pensa e che nel fare ciò rechi un servizio alla verità o quantomeno è rispettoso della sua coscienza. La breve introduzione di Berlusconi mi ha un poco sorpreso perché mi aspettavo un noioso testo laudativo di circostanza. Devo invece dire che ha un contenuto concettuale. In fondo, ed il massimo che si si può aspettare nelle condizioni date, che da parte italiana non vi è nessuna licenza ad uccidere, nessuna licenza di sterminio del popolo palestinese o di guerra progressiva e guerreggiata contro tutto il mondo arabo, con il quale pur nella sua impotenza l’Italia e l’Europa hanno necessità di pace molto di più di quanta non ne voglia e non ne abbia Israele.
In fondo, è come se si dicesse agli alleati israeliani: se riuscite ad ammazzarli tutti o comunque ad annullarli politicamente, come in pratica avete incominciato a fare dal 1948, noi non c’entriamo. Noi siamo per la pace ed il vogliamoci tutti bene. La nostra copertura vale fino ad un certo punto. Noi non possiamo ignorare la stragrande maggioranza del mondo arabo, con il quale, disgraziatamente, Israele non è riuscita in tanti anni ad instaurare relazioni pacifiche e ad ottenere pieno riconoscimento e legittimazione, cosa che Israele pensa sia sufficiente ottenere dalla sola America e dalla sola Europa. In fondo, Berlusconi è stato abile nella sua introduzione e non si è compromesso più dello strettamente necessario. Non so se ha scritto lui il testo o qualche suo collaboratore. Di certo non è un testo banale, tolta qualche piaggeria di circostanza e del tutto marginale.
Cerco di non farmi distrarre da aspetti secondari e marginali del libro di Ehud Gol, come l'invito a Porta a Porta a lui fatto da Bruno Vespa e scambiato per un “interesse del pubblico italiano” (p. 5): fino ad oggi non sapevo neppure che esistesse un ambasciatore israeliano di nome Ehud Gol e sono ora quasi certo che fosse lui l’uomo che aveva provato una “una grande emozione” alla presentazione in Campidoglio dell’eguale libro di Shlomo Venezia e che era seduto vicino a me. Non so quante di simili amenità il libro ancora contiene, ma se cercherò di limitarmi ai temi più importanti la mia perdita di tempo sarà stata totale. Uno spunto importante è per me un accenno alla conferenza di Durban contro il razzismo, che si tenne in Sud Africa dal 31 agosto al 7 settembre 2001, pochi giorni prima della data storica dell’11 settembre 2001, che con l’attentato alle Torri Gemelle diede al mondo un nuovo mistero su cui ci si incominciò subito ad interrogare.
La conferenza di Durban non era un convegno di studi, ma una conferenza Onu dove si stava per condannare nuovamente Israele equiparando razzismo e sionismo. Furono gli Usa a sabotare – altro che sabotaggio del libro a Torino! – quella riunione Onu, per evitare che Israele collazionasse una nuova condanna. Non ha mai avuto particolare considerazione – nelle mie letture storiche – né delle Società delle Nazioni (= prima guerra mondiale) né dell’ONU (= seconda guerra mondiale), considerandole creazioni artificiale dei vincitori a danno dei vinti. Tuttavia, l’ONU è sembrata via via caratterizzarsi per una qualche autonomia. Ed è in questi momenti di autonomia che si sente alta la voce del padrone, cioè gli Usa, quasi dicessero: “ma chi e cosa credete di essere?!”. In Durban si era delineata una netta maggioranza che in pratica condannò come razzista Israele per la sua condotta verso i palestinesi. Che non vi sia stata la deliberazione formale, poco cambia per il giudizzio politico e storico che su quella base si può già dare. Ebbene, il nostro ambasciatore, in doveroso servizio al suo governo, come parla di quella conferenza in un articolo del 30 novembre 2001 apparsa su La Stampa? Eccone il testo:
A fronte di questa diplomaticamente deliziosa riporto un testo non mio, pregiudizialmente sospetto di antisemitismo, ma di un altro ebreo, di nome Tom Wise, che dà una ben diversa interpretazione della Conferenza di Durban. Il testo è da me corretto nel suo incerto italiano:
(segue)
«E' una grande emozione per me essere tornato in questa splendida città - ha detto Ehud Gol - Durante la mia attività di ambasciatore in Italia per 58 mesi, ho scritto più di ottanta articoli sempre sui temi della situazione in Medio Oriente e sul conflitto arabo-israeliano, sull'economia israeliana, sulle relazioni tra Israele ed Italia e sulle nostre azioni per la pace. Quando ho scritto questi articoli nel corso della mia permanenza in Italia non avrei mai pensato che sarebbero stati raccolti in un libro. Ringrazio per questo la casa editrice Mondadori, che ha creduto immediatamente in questa sfida, e sono stato molto felice che il Presidente Berlusconi abbia voluto scrivere l'introduzione».La “grande emozione” è una strana costante e mi offre un indizio investigativo: che ad esprimersi non sia la stessa persona che stava accanto a me nella sala del Campidoglio e del cui nome e volte non mi sono curato? Dalla foto non mi sembra di poter assolutamente escludere che si tratti della stessa persona, ma sarebbe per me uno sforzo eccessivo di memoria: diamolo come verosimile. Se poi si potesse accertare che l'ambasciatore (e perchè no?) era anche lui presente al Campidoglio, allora la verosimiglianza aumenta di grado. Altrimenti si deve pensare ad un “cervello unico” che si esprime sempre con gli stessi termini e le stesse espressioni. Altra cosa che attira la mia attenzione è come l'on. Fini, da quando è stato fulminato a Damasco, sia ospite ricorrente ed abituale di siffatte manifestazioni: chiamano sempre lui!
Farò un piccolo sacrificio finanziario, in questi tempi di vacche magre, comprando il libro dell’Ambasciatore. Naturalmente, non mi aspetto di trovare raffinate analisi di geopolitica o esempi insuperabili di prosa italiana, ma conto di trovare documenti di prima mano per una ricerca sulla scia di Mearsheimer e Walt, che hanno indagato e documentato l’esistenza per gli USA di una “Israel lobby” in grado di influenzare la politica estera americana. Perché non dovrebbe esservi qualcosa di simile per l’Italia? L’on. Fini lo colgo ripetutamente in flagranza. Nelle spazio che segue offrirò le mie riflessioni sul testo. Per non perdere totalmente il danaro sfoglierò il libro prima di comprarlo: se dovesse essere una silloge di assolute banalità, mi terrò i miei soldi. Ma se appena troverò elementi di analisi, lo acquisterò e proseguendo nella lettura i miei Cinque Lettori sapranno cosa ne penso. Di certo, non sono tenuto – come l'on. Fini, leader del mio stesso partito – a parlarne bene per dovere d'ufficio o per vincoli internazionali. Almeno ancora un poco di libertà di pensiero ci è concessa in questo nostro disgraziato Paese che va di male in peggio e che ora si appresta a celebrare l'ennesima farsa elettorale.
Inizio la lettura sequenziale del libro, scrivendo via via ciò che la lettura stessa mi suggerisce, non tutto però, giacchè ne verrebbe un ulteriore libro, che però non ho nessuna intenzione di scrivere.
1.
Senza precedenti
Senza precedenti
Il libro è arricchito da una prefazione di Silvio Berlusconi, scritta da lui stesso o da chi per lui. Berlusconi è uomo pragmatico da cui ci si può aspettare di tutto e di cui non ci si deve mai stupire. Sotto sotto leggo quasi un intento canzonatorio quando scrive che l'ambasciatore israeliano si è lasciato andare ad un esempio unico, senza precedenti «nei rapporti tra un ambasciatore di uno stato straniero e il grande pubblico italiano», scrivendo tra il 23 ottobre 2001 e l’8 agosto 2006 quasi cento articoli sui giornali italiani, già gravati da una coazione lobbistica ad amare Israele, malgrado gli orrori provenienti da Gaza e dal Libano, dove nell'ultima guerra di aggressione ogni metro quadrato è stato seminato di bombe a grappolo per allietare i giochi del bambini libanesi. Ma il presidente Berlusconi è capace di dire il contrario di quel che sembra dire. Bravo, Berlusconi!
Verrebbe da chiedersi se Ehud Gol sia più dotato rispetto a tanti altri ambasciatori di carriera, che evidentemente non hanno le qualità letterarie dell'ambasciatore israeliano (originario di dove?), se non hanno pensato di inondare i giornali italiani in eguale misura. Irrefrenabile bisogno letterario o necessitò di influenzare in tutti i modo possibili la cosiddetta opinione pubblica italiana? Fatto sta, che a giudizio del presidente Berlusconi, dopo tanto fervore letterario, una simile attività promozionale «a contribuito a elevare a livelli senza precedenti le relazioni bilaterali tra Italia e israele» (p. IX). Vi è di che preoccuparsi. Non so se ciò per l'Italia ha portare ad una maggiore esportazione del nostro vino in Israele, come una volta ho sentito rallegrarsi il nostro Presidente per un eguale incremento negli USA dopo la partecipazione alla guerra irachena, pardon dopo la nostra “missione di pace”.
Mi rendo conto che Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio negli anni in cui Gol era ambasciatore israeliano, non possa parlare con la stessa libertà ed irresponsabilitò di un cittadino qualunque, che in fondo può anche infischiarsene di vendere il suo vino ad Israele o agli Usa. Un capo di stato deve tener conto di tanto fattori e probabilmente ognuno di noi si comporterebbe e parlerebbe diversamente, se d’un tratto venisse investito di impensabili responsabilità. Ciò non toglie che un cittadino qualunque possa dire ciò che comunque pensa e che nel fare ciò rechi un servizio alla verità o quantomeno è rispettoso della sua coscienza. La breve introduzione di Berlusconi mi ha un poco sorpreso perché mi aspettavo un noioso testo laudativo di circostanza. Devo invece dire che ha un contenuto concettuale. In fondo, ed il massimo che si si può aspettare nelle condizioni date, che da parte italiana non vi è nessuna licenza ad uccidere, nessuna licenza di sterminio del popolo palestinese o di guerra progressiva e guerreggiata contro tutto il mondo arabo, con il quale pur nella sua impotenza l’Italia e l’Europa hanno necessità di pace molto di più di quanta non ne voglia e non ne abbia Israele.
In fondo, è come se si dicesse agli alleati israeliani: se riuscite ad ammazzarli tutti o comunque ad annullarli politicamente, come in pratica avete incominciato a fare dal 1948, noi non c’entriamo. Noi siamo per la pace ed il vogliamoci tutti bene. La nostra copertura vale fino ad un certo punto. Noi non possiamo ignorare la stragrande maggioranza del mondo arabo, con il quale, disgraziatamente, Israele non è riuscita in tanti anni ad instaurare relazioni pacifiche e ad ottenere pieno riconoscimento e legittimazione, cosa che Israele pensa sia sufficiente ottenere dalla sola America e dalla sola Europa. In fondo, Berlusconi è stato abile nella sua introduzione e non si è compromesso più dello strettamente necessario. Non so se ha scritto lui il testo o qualche suo collaboratore. Di certo non è un testo banale, tolta qualche piaggeria di circostanza e del tutto marginale.
2.
Ehud Gol confutato da Tom Wise
Ehud Gol confutato da Tom Wise
Cerco di non farmi distrarre da aspetti secondari e marginali del libro di Ehud Gol, come l'invito a Porta a Porta a lui fatto da Bruno Vespa e scambiato per un “interesse del pubblico italiano” (p. 5): fino ad oggi non sapevo neppure che esistesse un ambasciatore israeliano di nome Ehud Gol e sono ora quasi certo che fosse lui l’uomo che aveva provato una “una grande emozione” alla presentazione in Campidoglio dell’eguale libro di Shlomo Venezia e che era seduto vicino a me. Non so quante di simili amenità il libro ancora contiene, ma se cercherò di limitarmi ai temi più importanti la mia perdita di tempo sarà stata totale. Uno spunto importante è per me un accenno alla conferenza di Durban contro il razzismo, che si tenne in Sud Africa dal 31 agosto al 7 settembre 2001, pochi giorni prima della data storica dell’11 settembre 2001, che con l’attentato alle Torri Gemelle diede al mondo un nuovo mistero su cui ci si incominciò subito ad interrogare.
La conferenza di Durban non era un convegno di studi, ma una conferenza Onu dove si stava per condannare nuovamente Israele equiparando razzismo e sionismo. Furono gli Usa a sabotare – altro che sabotaggio del libro a Torino! – quella riunione Onu, per evitare che Israele collazionasse una nuova condanna. Non ha mai avuto particolare considerazione – nelle mie letture storiche – né delle Società delle Nazioni (= prima guerra mondiale) né dell’ONU (= seconda guerra mondiale), considerandole creazioni artificiale dei vincitori a danno dei vinti. Tuttavia, l’ONU è sembrata via via caratterizzarsi per una qualche autonomia. Ed è in questi momenti di autonomia che si sente alta la voce del padrone, cioè gli Usa, quasi dicessero: “ma chi e cosa credete di essere?!”. In Durban si era delineata una netta maggioranza che in pratica condannò come razzista Israele per la sua condotta verso i palestinesi. Che non vi sia stata la deliberazione formale, poco cambia per il giudizzio politico e storico che su quella base si può già dare. Ebbene, il nostro ambasciatore, in doveroso servizio al suo governo, come parla di quella conferenza in un articolo del 30 novembre 2001 apparsa su La Stampa? Eccone il testo:
«L’onda di odio[sempre questo espediente dell’odio! Quasi Israele fosse specializzato in amore del mondo! O una turba mentale o una trovata speculativa]e fanatismo che si è alzata e si è estesa a dismisura negli ultimi due mesi ha messo le democrazie occidentali di fronte alla necessità di prendere misure concrete per non lasciarsi inghiottire.[le abbiamo presto viste!]La campagna d’odio e di fondamentalismo, che ha attinto nuove energie dalla Conferenza di Durban[come a dire che anche l’Onu è un propagatore d’odio, di fanatismo, di fondamentalismo]dello scorso agosto, ha fatto da sfondo alla strage delle Torri Gemelle[e chi può dire chi ci sta veramente dietro?]e oggi incalza alla volta di Ginevra. A Durban abbiamo assistito ancora una volta[si noti: ancora una volta!]di paesi oltranzisti e antidemocratici
al tristemente noto di una maggioranza
[e se fosse stata una minoranza?][come a dire che la sola democrazia nel mondo è Israele!]e dei loro sostenitori che, sfruttando gli strumenti democraticici[e che volevi quelli antidemocratici?]della comunità internazionale, tenta di imporre la sua posizione distruttiva ad una minoranza di paesi liberi[che faccia! alla Israel!].La Conferenza mondiale contro il razzismo, il cui proposito dichiarato era di discutere i mezzi per affrontare un fenomeno universale, è stata trasformata in una cassa di risonanza di odio, di antisemitismo, intolleranza e incitamento contro Israele e l’ebraismo…
[E ti pareva! che faccia da ambasciatore!].
A fronte di questa diplomaticamente deliziosa riporto un testo non mio, pregiudizialmente sospetto di antisemitismo, ma di un altro ebreo, di nome Tom Wise, che dà una ben diversa interpretazione della Conferenza di Durban. Il testo è da me corretto nel suo incerto italiano:
Riflessioni sul sionismo da parte di un ebreo dissidente
Tom Wise
Settembre 3, 2001
E così è ufficiale. Gli USA si sono ritirati dalla Conferenza Mondiale sul Razzismo, che si tiene a Durban, Sud Africa. E sebbene i cinici ed i storicamente coscienti possano sospettare che questa decisione è stata meramente consona con la nostra eterna mancanza di voglia di affrontare l’eredità del razzismo su scala globale, il motivo ufficiale è più limitato. Ossia, il ritiro a metà conferenza doveva segnalare lo scontento nei confronti di diversi delegati che cercano di far passare delle risoluzioni di condanna al trattamento israeliano dei palestinesi, nonché il sionismo stesso: quell’ideologia di nazionalismo ebraico che portò alla fondazione dello stato di Israele nel 1948.
Con una conclusione indubbiamente controversa in vista per la fine della conferenza, forse vale la pena chiedersi esattamente per cosa si fa tutto questo rumore? Sebbene sia legittimo contrastare l’opinione di alcuni che il sionismo e il razzismo siano sinonimi - specialmente data l’amorfa definizione di "razza" che rende tale posizione per sempre un discorso semantico – è difficile negare che il sionismo, in pratica se non in teoria, sia uguale allo sciovinismo etnico, all’etnocentrismo coloniale, ed all’oppressione nazionale.
Dicendo questo, immagino che verrò denominato tutt’altro che un figlio di Dio da molti nella communità ebraica. "Auto-odiante" sarà il termine usato dalla maggior parte, immagino: la tipica risposta Pavloviana ad un ebreo come me, e che, ciononostante, osa criticare l’Israele o l’ideologia sottostante la sua esistenza nationale. "Anti-semita" sarà l’altra etichetta proposta, malgrado il fatto che il sionismo ha portato all’oppressione di popoli semitici quali i (per lo più) semitici palestinesi – e d il fatto che il sionismo si base in un’antipatia profonda anche per gli ebrei. Nonostante il sionismo si proclama un movimento di un popolo forte e fiero, è comunque un’ideologia che è sempre stata piena di auto-odio sin dall’inizio. Infatti, i primi sionisti credevano, come premessa chiave del movimento, che gli ebrei stessi fossero responsabili per l’oppressione che abbiamo sopportato negli anni, e che tale oppressione fosse inevitabile ed impossibile da superare, quindi, il bisogno di un proprio paese.
Non avendo mai letto le parole di Theodore Herzl - il fondatore del sionismo moderno - o altri capi sionisti, molti avranno difficoltà ad accettare questa affermazione. Ma prima di aggredirmi, forse dovrebbero chiedersi chi ha detto che l’anti-semitismo, "è una reazione comprensibile ai difetti degli ebrei," o che, "ogni paese può assorbire solo un numero limitato di ebrei, se non vuole problemi di stomaco. La Germania ha già troppi ebrei." Magari si potrebbe pensare che a dire almeno uno, se non tutte e due queste affermazioni sia stato Adolph Hitler, essendo meritatevoli della sua penna velenosa, sono invece commenti di Herzl e Chaim Weizmann, futuro presidente d’Israele e – al momento della seconda frase – capo dell’Organizzazione mondiale sionista. Così sembra che forse sarebbe meglio, per i sionisti, guardare la casa propria prima di criticare un altro ebreo “auto-odiante”.
Tornando ai giorni della scuola ebraica, non capivo mai quell’attaccamento da dialisi renale all’Israele sentito dalla gran parte dei miei compagni. Da una parte, ci dicevano che quella terra fu dataci da Dio, come parte della sua alleanza con Abramo. Si sapeva questo perchè scritto nella Bibbia. Ma questo non mi ha mai significato un granché. Dopo tutto, molti cristiani (con cui avevo molto da fare, essendo cresciuto del Sud) mi dicevano volontieri che, secondo loro, io ero destinato all’inferno, Abramo nonostante.
Così, accettare il sionismo in base a quello che Dio diceva o non diceva mi sembrava alquanto problematico già dal principio. Inoltre, questo era lo stesso Dio che disse agli antichi ebrei di non indossare indumenti di due stoffe diversi e che insisteva sul fatto che bruciassimo le viscere degli animali che consumiamo per creare un odore piacevole. Essendo uno che porta tranquillamente i vestiti di cottone misto, e non essendo per niente in grado di sbudellare la mia cena e incinerare gli intestini dopo, ero da tempo risolto a diffidarmi della volontà di Dio finché l’Onnipotente stesso non si decidesse di bisbigliare tali desideri nel mio orecchio. Chiaramente, non potevo dare il minimo peso alle parole del povero rabbino.
Dall’altra parte, ci dicevano che serviva una patria per evitare un altro olocausto. Soltanto l’esistenza di uno stato ebraico forte ed indipendente potrebbe dare unità e protezione ad un popolo che aveva sofferto così tanto, e che aveva perso sei milioni di anime durante il terrore nazista.
Ma anche questo mi sembrava sospetto. Non si potrebbe dire che unire tutti gli ebrei in un posto, particolarmente se quel posto e piccolo come la Palestina, sarebbe il sogno di uno che odia gli ebrei? Renderebbe facile terminare il compito iniziato da Hitler. Sembrava all’epoca e sembra tuttora meglio lasciare delle comunità ebraiche vitali sparso per tutto il mondo, invece di sradicarci, puntando tutto quello che abbiamo, e trasferirci in un luogo dove viveva già della gente, e sperare che non si sarebbero scomodati troppo dal nostro ordine di sfratto!
Alla fine, accettare l’Israele come stato ebraico per motivi biblici mi lascia freddo, così come sarebbe nel caso di una nazione cristiano o islamico: due situazioni che (giustamente) farebbero venire la paura della teocrazia nel cuore di qualunque ebreo. Raccogliere in Israele tutti gli ebrei per motivi di sicurezza non ha senso nemmeno. Infatti, l’unico senso che sembra avere il sionismo è quello di potere, puro e semplice: quello del colono. Volevamo la terra, che darebbe anche all’Europa ed agli Stati Uniti un alleato nei loro giochi economici e di politica estera. Così, con la forza, la terra divenne nostra.
Quasi 800.000 palestinesi verranno spostati per permettere la creazione dello stato d’Israele, di cui 600.000 (secondo documenti riservati delle Forze di difesa israeliane) cacciati a forza dalle loro case. All’epoca, questi palestinesi, le famiglie di cui vivevano in queste terre da secoli, costituivano due terzi della popolazione totale e furono proprietari di 90% delle terre. Sebbene alcuni sionisti ritengano la terra fosse del tutto deserta e disabitata prima del l’arrivo degli ebrei, i primi coloni erano più onesti. Secondo Ahad Ha’am (scrivendo nel 1891):
“... siamo abituati a credere che l’Israele è quasi tutto desolato. Ma …non è il caso. Per tutto il paese, si fa fatica a trovare campi incoltivati”.
Infatti, fu il gran numero di palestinesi che spinse gli ebrei a chiedere apertamente la loro rimozione. Il capo del reparto colonizzazione dell’Agenzia ebraica disse: “non c’è spazio per entrambi i popoli in questo
paese. Non c’è alternativa al trasferimento dei palestinesi in paesi vicini, al trasferimenti di tutti: non dovrebbe rimanere un solo villaggio o un solo tribù”. Herzl stesso ha ammesso che il sionismo era “qualcosa di coloniale”, che indica di nuovo che non si tratta né di scperta né di fondazione. Abbiamo preso la terra, e per gli stessi motivi che non accetteremo da altri. Come ha detto Shimon Peres (generalmente considerato uno dei leaders israeliani più pacifici di tutti i tempi) nel 1985: “La Bibbia è il documento decisivo nella determinazione del futuro di questo nostro paese”. Questo è fanaticismo puro, e nessuno ci penserebbe due volte di dirlo se un integralista cristiana dovesse dire una cosa simile riguardo l’America o qualsiasi altro paese.
E’ un peccato che la maggior parte degli ebrei non abbia mai studiato i principi di base di quesa ideologia che ritengono così caro. Dovessero farlo, forse si spaventerebbero dalla vera natura anti-ebreo del sionismo. Ripetutamente i sionisti hanno collaborati con gente che odia gli ebrei apertamente per amor del potere politico. Prendiamo il caso di Herzl: un uomo che dava la colpa per l’antisemitismo agli ebrei stessi, e quindi, soltanto la fuga in Palestina potrebbe salvarci. Nel “Jewish State”, scrisse: “Ogni nazione nel mezzo di cui vivono gli ebrei è anti-semitica, manifestamente o non… la cause immediata è la nostra eccessiva produzione di intelletti mediocri, che non trovano una via d’uscita né in giù, né in su. Quando affondiamo, diventiamo un proletariato rivoluzionario. Quando sorgiamo, sorge anche il nostro potere terribile del danaro”.
Continuò, “Gli ebrei portano con sé i semi dell’antisemitismo in Inghilterra; l’hanno già introdotto in America”. Dovesse un non-ebreo suggerire che gli ebrei fossero la causa dell’antisemitismo, la nostra comunità si infurierebbe giustamente. Le stesse parole dalla bocca del padre del sionismo passono senza commento.
Peggio ancora, nei primi tempi del regno di Hitler, la Federazione sionista di Germania scrisse al nuovo Cancelliere, sottolineando la sua disponibilità di “adattare la nostra comunità a queste nuove strutture” (ossia le leggi di Norimberga che limitavano le libertà degli ebrei), perché esse “danno alla minoranza ebrea…una propria vita culturale, una propria vita nazionale”.
Lungi dala resistenza al genocidio nazista, alcuni sionisti collaboravano. Quando gli inglesi formularono un progetto che avrebbe permesso a migliaia di bambini ebrei della Germania di entrare nel Regno Unito, per potersi salvare dall’olocausto, il futuro Primo ministro d’Israele, David Ben-Gurion, frenò, spiegando:“Se io sapessi che fosse possibile salvare tutti i bambini in Germania
portandoli in Inghilterra o di poter salvare solo la metà di loro
trasportandoli in Israele, sceglierei la seconda alternativa."
Più tardi, certi sionisti israeliani stringeranno alleanze con degli estremisti anti-ebrei. Negli anni ’70, l’Israele ospitò John Vorster, Primo ministro del Sud Africa, e coltivarono legami economici e militari con lo stato dell’apartheid, anche se Vorster stesso era stato incarcerato in qualità di collaboratore nazista durante la seconda guerra mondiale. Inoltre, l’Israele ha fornito aiuti militari alla regime di Galtieri in Argentina, anche quando si sapeva che i generali ospitavano ex-nazisti nel loro paese e che gli ebrei argentini erano nel mirino della tortura e la morte.
Infatti, il discorso fatto da alcuni che il sionismo sia una forma di razzismo è accettato nei discorsi di alcuni sionisti stessi, molti di cui sono da tanto tempo d’accordo con la dottrina hitleriana che il Giudaismo è un’identità razziale quanto religiosa e culturale. Nel 1934, il sionista tedesco Joachim Prinz, futuro capo del Jewish Congress americano, disse:“Noi vogliamo che l’assimilazione venga sostituito da una nuova
legge: una dichiarazione di appartenenza alla nazione e alla razza
ebraica. Uno stato che si fonda sul principio della purezza della
nazione e la razza è degno di onore e rispetto solamente da un
ebreo che si dichiara di stare con i suoi”.
Anni più tardi, David Ben-Gurion ammise che il leader israeliano Menahem Begin si potrebbe definire razzista, ma che così facendo necessiterebbe “processare l’intero movimento sionista che si fonda sul principio di un’entità puramente ebraica nella Palestina.”
Le leggi che concedono privilegi speciali agli ebrei immigrati da qualsiasi parte del globo rispetto ai palestinesi, le cui famiglie erano presenti in quella terra da generazioni, e le misure che riservano la maggior parte della terra agli usi e alla proprietà esclusiva degli ebrei sono semplicemente due esempi della legislazione discriminatoria sottostante l’esperimento sionista. Come rende chiaro la Convenzione
internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, la stessa discriminazione razziale si definisce:“qualsiasi distinzione, esclusione, restrizione o preferenza in base
alla razza, colore, discendenza o origine nazionale o etnica che
ha lo scopo o effetto di annullare o impedire la ricognizione o
esercizio, su una base comune, dei diritti umani e le libertà
fondamentali nella vita politica, economica, sociale, culturale o altro
manifestazione della vita pubblica.”
In vista di questa definizione accettato a livello internazionale, non dovremmo sorprenderci che ad una Conferenza Mondiale sul razzismo, ci fosse chi potrebbe suggerire che la politica della nostra gente nella terra di Palestina meritasse un posto sull’ordine del giorno. Così, dovremmo cogliere l’opportunità di iniziare un dialogo onesta, non solo con i palestinesi, ma anche con noi stessi. Né il sciovinismo, così centrale allo sionismo, né quel auto-odio ironico che va mano in mano con il sionismo, sono degni di un
popolo forte e vitale. Così come un dializzatore renale non è un buon sostituto per un rene pienamente funzionale, il sionismo non è un buon sostituto per un giudaismo forte e vitale. Non sono morti i sei milioni per questa fine ignobile.Tom Wise
(segue)
5 commenti:
Caracciolo buondì,
è pratica usuale esibire i trofei di "caccia"!
Un "tordo" ....
Confesso la pochezza del mio ingegno, la sola cosa di cui tuttavia dispongo e che tengo cara proprio per la mia povertà.
Poiché mi ritengo liberale autentico – in difficile convivenza con cattolici più o meno tradizionalisti – pubblico ogni commento mi giunga, anche se non sempre ne comprendo il senso, ma purché non abbia evidenti contenuti illegali: la moglie di Tizio se la intende con Caio, insulti, violazioni di leggi vigenti e simili.
Il massimo che potrei aspettarmi nei commenti sono integrazioni critiche ai miei stessi articoli, in modo da trasformare il tutto in un testo a quattro o più mani.
I Commenti restano sempre moderati, avendo sperimentato che senza il filtro della moderazione ogni blog e luogo virtuale di discussione scade inevitabilmente in un porto di mare, assolutamente inutile.
Buon dì. Sto appunto per uscire ed andare alla libreria Feltrinelli sotto casa. Comprerò il tordo, se lo trovo subito disponibile, ma solo dopo averlo esaminato al suo interno. Sto spendendo troppi soldi in libri e ne ho parecchi di iniziati da leggere ma ancora da terminare.
Caracciolo buondì nuovamente,
il mio "tordo" era riferito a questo:
....Altra cosa che attira la mia attenzione è come l'on. Fini, da quando è stato fulminato a Damasco, è ospite ricorrente ed abituale di siffatte manifestazioni: chiamano sempre lui!
Al fini kippizzato!
È vero. L'ultima volta ad esempio l'ho trovato al convegno organizzato da Fiamma Nirenstein e di cui ho riferito ampiamente. Se ne ha bisogno e non riesce a trovarli le manderò i links dove ne ho trattato. Se poi si vuol divertire, può andare su club Tiberino – altro mio blog – al post dal titolo "di nuovo nella fossa dei leoni”, dove trova registrato da radio radicale tutta la manifestazione. Il primo intervento dal pubblico era il mio che è subito diventato centrale: tutti a darmi addosso, concedendomi un onore di attenzione che non mi aspettavo proprio...
Ho appena comprato il libro a 17,50. Si trova nella stessa collana del libro di Shlomo Venezia. Conto di farne una lettura sequenziale, divisa per paragrafi, svolgendo le mie analisi e critiche del testo. Non oggi però... Se ha interesse all'argomento, dovrà visitare di tanto in tanto il post. Gli avanzamenti li potrà arguire dal numero progressivo della versione, come si usa fare per il soft.
Buona giornata!
Posta un commento