L’autore è di frequente interpellato dai canali di news internazionali Press-Tv e RT per fornire le sue analisi sempre molto argute e competenti degli eventi politici internazionali e americani. È anche autore di innumerevoli articoli di alto profilo divulgativo, pubblicati nel suo blog e sistematicamente ripresi nei maggiori siti aggregatori di lingua inglese.
Non di rado all’autore viene rivolta la domanda: «Il tuo nome tradisce chiare origini ebraiche. Come si concilia questo con la tua feroce campagna di opposizione a Israele e al sionismo?» - alla quale Stephen Lendman è solito rispondere con l’abituale tono pacato che tradisce un senso dell’ironia, profondità d’animo e buonumore ‘nonostante tutto’: «Mi reputo un uomo con una coscienza, sono ebreo per caso, questo è tutto».
L’articolo che segue è il terzo di una trilogia che Stephen Lendman ha scritto in seguito agli attacchi di Oslo. L’autore termina l’articolo con “un commento finale” che tuttavia abbiamo preferito inserire all’inizio della versione italiana, in quanto permette al lettore di capire immediatamente dove l’autore vuole andare a parare con la sua analisi ‘dietro le quinte’ delle stragi di Oslo e del profilo dell’uomo ritenuto per ora unico attentatore.
Gli attacchi di Oslo: l’evidenza indica un’operazione eseguita sotto ‘falsa bandiera’
di Stephen Lendman
Un mio articolo del 2010 si occupava dell’Operazione GLADIO, l’esercito segreto della NATO.
Gestita dai servizi segreti europei in collaborazione con la Nato, la Cia, e i servizi di intelligence militare britannici MI6 e SIS, la Gladio prendeva di mira la sinistra politica per impedirle di prendere il potere. Le missioni clandestine di Gladio comprendevano attentati, uccisioni mirate e altri atti belligeranti. Ma si presume che tali operazioni clandestine siano ancora in corso.

Gli attacchi a Oslo ricordano quelli di Gladio - questa volta forse un’operazione gestita dalla Cia, dal Mossad o dall’MI6, oppure un’operazione congiunta, che si è servita di Breivik come esecutore per scopi di depistaggio.

“Raramente le cose sono quelle che sembrano” - dice un vecchio adagio. Mediante l’assistenza sostanziosa dei media di massa, gli artisti della disinformazione sono all’opera per deviare l’attenzione pubblica dalle realtà e verità cruciali, giocando il solito ruolo di guardiani dell’inganno, scodellando fiumi di fiction invece di fatti.

Ecco un esempio che al meglio illustra come la stampa usa i fatti per insinuare sospetti infondati in favore di teorie di comodo, manipolando l’opinione pubblica.
Il 22 luglio, due giornalisti del New York Times, Elisa Mala e J. David Goodman hanno scritto un articolo intitolato “Almeno 80 morti nella sparatoria in Norvegia”, in cui sostengono quanto segue senza prove a sostegno:
«Sono ampiamente fondate le preoccupazioni che i responsabili siano terroristi (islamici). Nel 2004 e ancora nel 2008 il n° 2 di Al Qaeda, Ayman al-Zawahri, ora in carica dopo la morte di Osama bin Laden, ha minacciato la Norvegia a causa del suo contributo alla campagna militare della Nato in Afghanistan».
Il fatto è che non esiste alcuna prova verificabile delle presunte minacce. La tesi dei due giornalisti si basa sulla presunta registrazione di un tape di Al Qaeda del 2003, in cui i musulmani vengono esortati a colpire i centri finanziari e le ambasciate di USA, GBR, Australia e Norvegia in ritorsione per il loro coinvolgimento in Iraq e Afghanistan.
È noto che molte registrazioni audio e video si sono rivelati dei falsi, come lo è forse anche questo. Eppure i media americani, compreso il NYT, li riportano come ‘fatti’, raccontando menzogne a favore degli interessi che loro rappresentano.
Al di là di questo, tipicamente il Times neanche si preoccupa di indagare seriamente (per mezzo dei suoi articoli) sui veri motivi per cui la Norvegia è stata attaccata. Si dichiara invece sorpreso per «l’assalto a questo paese scandinavo pacifico» (le implicazioni qui sono molteplici e varrebbe la pena approfondire o almeno riflettere).

Ma il Ministero degli Esteri USA ha criticato il governo norvegese accusandolo di «mancanza di impegno», preoccupato che avrebbe influenzato altri stati membri della Nato a ritirarsi. Infatti il 10 giugno l’Olanda ha annunciato che avrebbe continuato a contribuire alla “no fly zone” sulla Libia, senza tuttavia partecipare ai bombardamenti aerei.

I presunti moventi di Breivik riflettono le sue ideologie di destra e l’ostilità verso l’Islam e il multi-culturalismo. Sappiamo che ci sono tanti che la pensano come Breivik, ma non vanno in giro a mettere bombe agli edifici governativi o a uccidere ragazzini in massa. È chiaro che il 22 luglio è successo qualcosa di completamente diverso (rispetto alle apparenze).
In due articoli precedenti ho già fatto alcune ipotesi sugli attacchi di Oslo.
Nel primo mi sono chiesto chi abbia da guadagnarci e chi abbia da perderci in ogni attacco terroristico: certamente non coloro che vengono arrestati, incriminati, condannati e messi in carcere. Sono sempre gli interessi geo-politici la chiave di lettura per comprendere.
Nel secondo ho suggerito una connection con Israele, in ragione delle politiche della Norvegia favorevoli alla Palestina, compreso il supporto per l’indipendenza della Palestina e per il suo riconoscimento come stato membro dell’ONU.

Sia prima che dopo quell’attentato, arrivando fino ai giorni nostri, Israele ha effettuato numerosi attacchi terroristici, e ha compiuto (o tentato) molte migliaia di omicidi mirati. Forse Oslo è stato il suo attentato più recente, commesso da solo (Mossad) o congiuntamente con la Cia e/o altre sue controparti dell’intelligence occidentale.
L’esperto Bob Chapman, ospite frequente del mio programma radiofonico Progressive Radio News Hour, ritiene che l’attacco di Oslo sia un’operazione eseguita “sotto falsa bandiera” (false flag operation), e cita due possibili motivi:
l’uscita completa della Norvegia entro il 1° agosto dalla coalizione Nato in Libia; e
- il rifiuto di partecipare al piano di salvataggio della Grecia mediante il contributo richiesto di 42 milioni di dollari, definendolo uno spreco di denaro, dicendo con molto buon senso che il governo Papandreou dovrebbe semplicemente rendersi inadempiente.
Il 25 luglio Paul Joseph Watson ha scritto un articolo pubblicato su Prison Planet dal titolo “Anders Behring Breivik: un capro espiatorio?” in cui faceva notare che su Facebook erano apparsi due profili diversi di Breivik, uno prima e l’altro dopo l’attentato del 22 luglio, e che «il primo, quello in lingua norvegese, è stato cancellato pochi minuti dopo che la sua identità venne resa pubblica». Una versione ritoccata, in lingua inglese, ha sostituito quella norvegese, cambiando il profilo di Breivik per adattarlo al crimine.
«Ad esemio – diceva Watson – è stata cancellata la parte che rivelava l’interesse di Breivik per Winston Churchill e per il leader della resistenza anti-nazista Max Manus». Faceva inoltre notare l’articolo che i post di Breivik su internet lo caratterizzano non come un cristiano populista conservatore, ma come un neo-con (neo-conservatore sionista) sostenitore di Israele.
Inoltre, il Consiglio dei Conservatori commentava che nessuno dei suoi post su internet «era estremo o suggeriva un desiderio di commettere atti di violenza». Breivik diceva di essere un ammiratore di «Hans Rustad, un ebreo che un tempo era di sinistra ma poi è diventato un neo-con (sionista) di destra».
La versione ritoccata del profilo su Facebook ha trasformato «un neo-liberale, neo-conservatore filo-israeliano in un cristiano fondamentalista, un fanatico della supremazia bianca».
Anche gli amici contraddicono la nuova descrizione di Breivik, e uno di loro, Ulav Andersson raccontava al canale Russia Today (noto come RT, un canale di news alternativo niente male che trasmette in lingua inglese in diffusione mondiale) che la descrizione di Breivik ora diffusa dai media non corrisponde affatto all’uomo che lui conosceva, spiegando che Breivik in genere esprimeva le sue antipatie razziali in termini moderati, nel senso che «non dava l’impressione di essere un fanatico religioso», e che in effetti non sembrava seguire alcuna ideologia particolare.
Proprio per i casi di dubbio profilo esisteva un programma Tv in America dal titolo “To Tell the Truth”, il cui slogan era: «potrebbe gentilmente il vero signor XYZ farsi avanti?». In effetti Anders Breivik aveva rivelato il suo vero volto, ma quel “film” è stato cancellato e sostituito con uno nuovo, rimaneggiato, adattato alla versione che fa comodo alle esigenze delle potenze occidentali. Forse perfino il suo ‘manifesto’ (quello di 1.500 pagine) è stato alterato.



È anche da notare, che qualche tempo fa le agenzie di intelligence americane hanno reclutato funzionari della polizia norvegese (compreso l’ex capo del reparto anti-terrorismo) per le Unità di Sorveglianza e Investigazione (SDU) dell’Agenzia di Sicurezza SIMAS al servizio dell’ambasciata USA per operare al di fuori del controllo del governo norvegese.
Infatti le agenzie di spionaggio SIMAS hanno le loro basi nelle ambasciate USA per spiare ovunque nel mondo. Secondo quanto affermano in Norvegia il ministro della Giustizia Knut Storberget e il ministro degli Esteri Jonas Gahr Store, «non ne sapevamo niente». Hillary Clinton mentiva quando affermava che il governo norvegese fosse stato messo al corrente.

Sappiamo che molti tra i testimoni oculari hanno visto due tiratori. In genere in questi casi «si evidenziano prove abbondanti e credibili in sostegno della tesi che il presunto attentatore o tiratore non avrebbe potuto agire da solo.»
Il quotidiano norvegese Verdens Gang (VG) dice:
Molti dei giovani che si trovavano sull’isola (Utoeya) hanno raccontato a VG di essere convinti che doveva esserci più di un tiratore. È quanto ritiene anche Marius Helander Roset, affermando che «sono sicuro che le sparatorie provenivano da due direzioni diverse dell'isola, contemporaneamente.»
I giovani intervistati da VG descrivono un secondo cecchino, che non portava una divisa della polizia. Aveva i capelli scuri e l’aspetto nordico. Aveva una pistola nella mano destra e un fucile sulla schiena. «Ritengo che fossero in due a sparare», dichiara Alexander Stavdal.»Il 23 luglio, la polizia di Oslo dichiarava che potevano essere molteplici i tiratori responsabili delle sparatorie. Attualmente sono in corso indagini in entrambi gli attentati.

Il 25 luglio, il Pakistan News Service (Pak Tribune) mostrava il titolo: «Analisi degli attacchi di Oslo: attentato terrorista o depistaggio sotto ‘falsa bandiera’?». Dichiarava:
Il timing (degli attentati) potrebbe non essere casuale, visto che gli attacchi si sono verificati in un momento in cui le tensioni socio-politiche in Europa aumentano, l'euro è in caduta, e la crisi del debito avanza. Un’ennesima manovra sulla falsa riga dello spauracchio di al-Qaeda per indurre la gente ad unirsi contro un nemico esterno.


Quali che siano le conclusioni a cui si voglia arrivare, è indiscutibile che gli attacchi di Oslo forniscano una distrazione ‘provvidenziale’ e materiale su cui speculare per coloro che vogliono perseguire la farsa della “guerra al terrore”.
1 commento:
C`e`poco da commentare, l`analisi e` chiara ed e` chiaro che se il governo Norvegese nasconde le testimonianze dei testimoni che riferiscono della presenza di altri tiratori sull`isola, e` evidente che hanno paura di altri attentati.
Voi li definite attacchi sionisti, io li definisco demoniaci.
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