Carl Schmitt La guerra d’aggressione come crimine
internazionale. Il Mulino Bologna 2015 pp. 142, € 16,00.
Nel 1945 il grande
industriale tedesco Friedrick Flick, che aveva fondate ragioni di credere di
venire accusato dagli alleati per la collaborazione a guerra d’aggressione,
richiese a Carl Schmitt un parere per la difesa da tale (eventuale) accusa. Accusa che non venne mai mossa a Flick, il
quale fu tuttavia condannato per un “capo d’imputazione” diverso: lo
sfruttamento di manodopera straniera deportata dalle S.S..
Schmitt in tale
promemoria distingue tra i crimini di guerra tra classi le “violazioni delle
regole e degli usi della guerra, commesse principalmente da appartenenti alle
forze armate di uno Stato belligerante. Si tratta d’infrazioni del cosiddetto
diritto in guerra, lo jus in bello … Tale regole presuppongono
che la guerra sia permessa e legale”; “Di natura essenzialmente diversa è il
secondo tipo di crimini di guerra che qui deve essere distinto. Si tratta delle
atrocities in un senso specifico:
uccisioni pianificate e crudeltà disumane, le cui vittime erano uomini inermi”.
Neppure la “esimente” dell’esecuzione di un ordine superiore può escludere in
tali casi l’imputabilità e la punibilità. Infine la terza “Crimini di guerra
nel terzo significato del termine è la guerra di aggressione, concepita come un
crimine in sé, vale a dire come un crimine secondo il diritto internazionale.
Qui, dunque, la guerra stessa è un crimine e non si tratta propriamente di un
crimine di guerra ma, più precisamente, del «crimine di guerra»”.
Schmitt valuta queste
tre classi alla luce sia del “politico” che dei principi dello jus publicum europaeum. In primo luogo
se la guerra è, nel sistema westphaliano, non solo un fatto pubblico ma che
presuppone la distinzione tra pubblico e privato, allora non può farsi carico a
un privato (come Flick) di aver concorso
ad una guerra di aggressione.
Come scrive Galli nella
presentazione, Schmitt considera “la guerra come un atto di sovranità di cui
sono responsabili gli Stati – una responsabilità politica soprattutto – e non
certo i singoli cittadini, tenuti solo ad obbedire al potere legale. Schmitt
recupera quindi l’ordine moderno che egli invece ha descritto, già da una
decina d’anni, come periclitante: ovvero lo jus
publicum europaeum all’esterno, per cui la guerra è affare di Stato, che
non può essere processata; e, all’interno, un rigido positivismo giuridico
statocentrico”.
D’altra parte il
giurista di Plettenberg distingue tra il pensiero giuridico inglese (e in larga
misura anche americano) da quello continentale in relazione alla guerra
d’aggressione come crimine: “si pone anche per la concezione americana la
questione di che cosa propriamente sia la novità di un crimine. La conseguenza
è che qui si giunge spesso a una sintesi e a una mescolanza di punti di vista
morali e giuridici. Per il modo di pensare del giurista di formazione
positivistica, continentale, la separazione del punto di vista giuridico da
quello morale è familiare da quasi due secoli, proprio rispetto alla questione
della penalizzazione di nuove fattispecie di reato. Negli Stati Uniti d’America
l’unione dei due punti di vista potrebbe far sì che gli ostacoli che derivano
dal principio nullum crimen sine lege
siano addirittura meno presenti per il giurista americano di quanto lo siano
per un giurista della tradizione inglese pura”.
Per la guerra
d’aggressione prosegue: “In questo caso, sia la fattispecie stessa (atto di
aggressione e guerra di aggressione) sia la connessione tra il carattere
internazionale e quello criminale, rappresentano davvero un novum, la cui particolarità deve essere
portata a consapevolezza per mostrare come il principio nullum crimen abbia qui il significato di un limite alla
punizione”.
È chiaro che poi
l’argomentazione di Schmitt va sul concetto di giusta causa, la quale cancella il
requisito dello justus hostis che nel
pensiero dei teologi (da Suarez a Bellarmino) andava con quello di conserva:
ambedue, insieme allo jus in bello e
alla recta intentio, condizioni dello
justum bellum.
Nel complesso un libro
interessante che completa i numerosi scritti dedicati da Schmitt alla
modificazione del concetto di guerra nel XX secolo.
Teodoro
Klitsche de la Grange
Nessun commento:
Posta un commento