Parla Egeria
La situazione del Bahrein è una storia di atrocità e violenze. E' così oggi ed è stato così fin dalla nascita del piccolo reame, da sempre uno stato semi-coloniale - prima dell'impero britannico, poi di US-rael. E questo nonostante la popolzione del Bahrein costituisca una delle società più progredite da ogni punto di vista: economico, culturale, accademico, scientifico.
In contrastante antitesi con la popolazione evoluta, i "monarchi del Bahrein conservano tuttavia la caratteristica di regnanti di stampo oscurantista wahabi, che considera il popolo alla stregua di sudditi al servizio della "casa reale". E' contro queste condizioni di sottomissione e sfruttamento che si ribella l'eroico popolo del bahrein. Ma niente vienedella rivolta trapela nei media occidentali, asserviti al potere neo-con sionista di USA-Israel_Gran Bretagna.
Infatti è grave questa notizia che ha dell’incredibile: Vvene confermato da parte delle agenzie americane per i diritti umani che negli Stati Uniti è stato chiesto alla stampa e alle emittenti televisive di 'Non trasmettere notizie sulla repressione del Bahrein per non imbarazzare il governo Obama' - così raccontava per telefono a PressTV il presidente del Centro dei Diritti Umani di Manama, Nabeel Rajab. Aggiungeva che Washington e le potenze occidentali hanno scelto il silenzio in merito alle atrocità del Bahrein in ragione del loro supporto per il regime autoritario.
Ora mi spiego perché non vedo niente sul Bahrein nei canali americani a diffusione internazionale. ... E di conseguenza neanche nei media europei.
E mentre nei paesi occidentali i media di massa sono totalmente latitanti in merito al Bahrein, è in atto il tentativo di oscurare il prezioso canale PressTV nella regione del Golfo Persico per non fare sapere cosa accade nel Bahrein: il canale è stato oscurato su un satellite egiziano che trasmette nell'intero Medio Oriente e nel Nord Africa. Tuttavia PressTV informa che attualmente l’emittente dovrebbe essere visibile puntando l’antenna sulle coordinate di un altro satellite che trasmette nella regione. Speriamo che i cittadini del Bahrein e del Golfo riescano a ricevere questa informazione. Sappiamo che le popolazioni nel Golfo sono tutte solidali con i cittadini del Bahrein: ogni giorno vediamo manifestazioni di protesta contro l’invasione e l’aggressione ai civili. Le vediamo in Iraq, in Arabia Saudita, nel Kuwait, in Giordania, in Yemen (pensate!) in Oman, in Libano, in Egitto.
In tanto il canale Al Jazeera è sotto accusa per i suoi reportages ingannevoli in merito al Bahrein (e altre situazioni nel Medio Oriente), e per le manovre in atto di attribuire all’Iran la responsabilità dell’insurrezione in Bahrein e Saudi Arabia, che secondo Al Jazeera l’Iran avrebbe fomentato. Che poi è stata la versione ufficiale dei media di massa in USA fino a quando hanno trasmesso notizie sul Bahrein, omettendo tuttavia di mostrare le violenze terribili che accadono nella piccola isola nel Golfo Persico da parte delle forze di occupazione. E' importante ricordare che Al Jazeera è un canale del Qatar, al momento coinvolto in Libia in appoggio alle forze dell’Impero occidentale.
E vorrei precisare questo. Chiunque segua, come me, molto attentamente le reazioni dell’Iran alle rivolte arabe, ha potuto constatare che sì, l’Iran ha ufficialmente condannato le repressioni, ma non ha mai lanciato messaggi né diretti né subliminali ai rivoltosi. Si guarda bene dal farlo: sarebbe immediatamente preso di mira dall’Impero e dal regime sionista.
Altrettanto è sicuro, che l’Iran non ha alcuna possibilità di intervenire nei paesi del Golfo direttamente - niente può passare dall’Iran verso il Golfo o verso i paesi del Golfo in rivolta passando attraverso l’unica frontiera con uno dei paesi coinvolti: il Kuwait. Il Kuwait è sotto stretta sorveglianza perché è contemporaneamente uno dei paesi in rivolta e fa inoltre parte del contingente di invasione del Bahrein.
Le acque del Golfo invece sono pattugliate in modo serrato dalle flotte americane con navi da guerra e sottomarini nucleari. A volte vìolano le acque territoriali dell’Iran che prontamente denuncia queste manovre in quanto tecnicamente rappresenterebbero un’invasione, ma le proteste vengono sistematicamente ignorate dall’Onu. L’Iran e la sua rivoluzione di 3 decenni fa - con cui ha spodestato il tiranno, Shah Reza Palewi, alleato con le potenze occidentali - viene vista dalle popolazioni del Golfo come una fonte di ispirazione e speranza per tante genti oppresse nella regione. Sono tuttavia perfettamente consapevoli che l’Iran non può intervenire in loro favore.
Al Jazeera è anche molto occupata ad accanirsi sulle vicende della Siria. E perché mai? Per tentare manovre di disinformazione analoghe a quelle del Bahrein. Infatti sta emergendo negli ultimi giorni che le agitazioni e uccisioni in Siria sarebbero opera di agenti provocatori di diverse nazionalità, al soldo di Israele. Le autorità siriane hanno individuato gruppi di infiltrati agitatori e altri infiltrati nelle forze dell’ordine con incarico di uccidere i manifestanti. Tuttavia alcuni sono stati catturati e hanno confessato.
Oggi in Siria milioni di cittadini si sono riversati nelle strade di Damasco provenienti da diverse località della Siria per manifestare in favore del presidente Assad che aveva annunciato per oggi il suo discorso alla folla.
Questo non significa che i cittadini non abbiano protestato. Come in tutti i paesi arabi, anche in Siria esistono motivi ben validi per protestare. I cittadini siriani lo hanno detto forte e chiaro: vogliamo riforme. Senza manifestazioni in merito è difficile che un monarca arabo si mostri disponibile a introdurre politiche democratiche. Infatti il discorso di re Assad non mi è piaciuto per niente. E' vero, ha annunciato riforme, ma da implementare ‘con calma’, così si è espresso ‘perché la fretta potrebbe farci prendere decisioni non ottimali’. Tuttavia ha liberato 250 prigionieri politici e sono in atto cambiamenti nel Consiglio dei Ministri.
Tuttavia in Siria la situazione è ben diversa rispetto ad altri paesi arabi attualmente in rivolta. Intanto la Siria fa parte di quel piccolo gruppo di governi, insieme a Iran e Libano, - e di recente anche la Turchia -, uniti tra loro per resistere a Israele - stavo per scrivere ‘per combattere Israele’, ma sarebbe impossibile per i singoli paesi arabi rivoltarsi militarmente contro il regime sionista: ne uscirebbero annientati visto l’arsenale miltare che Israele ha ricevuto da Washington e perché comunque gli Usa verrebbero in soccorso immediato dello stato sionista.
Anche se i siriani chiedono riforme, rimangono comunque in supporto del loro sovrano. E il motivo è semplice. Il presidente Assad ha interrotto l’alleanza con Washington quando l’Impero ha invaso l’Iraq. Washington ha tentato di frequente negli anni di ricucire il rapporto, ma senza successo. E quindi la Siria rappresenta una spina nel fianco sionista sia in Usa che Israele, mentre il re siriano si è guadagnato il rispetto del popolo nonostante la Siria sia in realtà un regime dittatoriale in tanti aspetti.
In questi giorni nei canali americani sento molti discorsi di condanna della Siria: ‘quel dittatore rappresenta una minaccia per i siriani come Gaddafi per il popolo libico’: è questo il linguaggio che viene usato. E' chiaro il tentativo di preparare il terreno mediatico per giustificare un’operazione ‘Libia’ anche in Siria (un paragone spesso usato nei media alternativi), ma non si fanno i conti con il popolo siriano.
Come ha spesso fatto notare l’autore Alan Hart, uno dei maggiori esperti in questioni mediorientali, basterebbe che i leader arabi si accordassero (ma tra loro non concordano mai) per minacciare la chiusura dei rubinetti del petrolio, e l’Impero si vedrebbe costretto a negoziare e rinunciare a proteggere il regime sionista. Ma questo non succederà mai, perché i dittatori arabi intascano personalmente i proventi del petrolio.
La Cina non vede l’ora di potere accedere al petrolio arabo in veste di cliente principale, ma si scatenerebbe la guerra con gli Usa, che si sa, dispongono di un arsenale militare che è maggiore della somma di tutte le altre risorse militari del mondo.
Dovrei parlare di cosa succede in molti paesi dell’Africa, dove il tentativo di favorire i cinesi, molto rispettosi degli accordi e della popolazione locale, è stato contrastato con manovre subdole e violente da parte dei sionisti e dell’Impero che hanno provocato conflitti senza fine e condizioni di impoverimento che hanno causato carestie con milioni di vittime per fame (es. in Somalia).
Ma esiste al momento la necessità di narrare le vicende arabe, che potrebbero modificare totalmente l’assetto politico mondiale qualora i popoli avessero successo con le rivolte: e finora non è avvenuto ancora in nessuno dei paesi, neanche in Egitto. Le apparenze potrebbero ingannare l’occhio meno allenato, ma gli egiziani sono vigili. Erano tutti in piazza, oggi con una mega-manifestazione di protesta contro il governo militare. Ne relazionerò in un post successivo, anche perché le notizie sull’Egitto sono molto importanti in questo momento. Per venerdì prossimo è programmata la “Marcia dei Milioni”. Lo scopo è di mandare un messaggio forte e chiaro alla giunta militare attualmente in controllo di tutto: intendiamo ottenere ciò che chiediamo, non state agendo correttamente, andate via, vogliamo un governo civile: non militare.
Anche questa volta, quindi, mi vedo costretta a parlare della situazione atroce in Bahrein che il corrispondente di PressTV definisce «una nuova Palestina».
Visto che l’Occidente tace, diventa una questione di principio informare su ciò che accade nella piccola isola, ormai un luogo di devastazione. Alla fine della cronaca degli eventi, il commento di alcuni esperti autorevoli. Successivamente alcuni accenni sulla storia recente del Bahrein, che permetterà di capire meglio le ragioni della situazione attuale.
E a proposito di Palestina, il cui nome è inciso nell’anima con lettere di fuoco, tutto sembra suggerire un prossimo attacco massiccio contro la Striscia di Gaza, al limite della sopravvivenza.
Niente di ciò che avviene nella cronaca delle rivolte arabe è paragonabile all’attacco subìto 2 anni fa da parte della popolazione di Gaza durante la Guerra dei 22 Giorni in cui abbiamo visto bambini morire bruciati vivi, arrostiti dal fosforo bianco, che continua a bruciare fino all’osso anche se le ferite vengono curate in superficie.
Anche ieri un bombardamento in 3 zone diverse di Gaza: tre morti e un numero non specificato di feriti. Ma gli attacchi sono quotidiani e si sono intensificati dall’inizio delle rivolte arabe. Ma questo non sembra disturbare le coscienze né dell’Onu, né degli Usa, né della Nato, né dell’Unione Europea. Niente No Fly Zone su Gaza per contrastare i missili israeliani. Niente No Fly Zone sulle teste degli eserciti - 6 in tutto - che si accaniscono sulla popolazione totalmente inerme della minuscola isola del Bahrein.
“Il Bahrein come la Palestina”
Ecco cosa succede in questi giorni in quell’isola ormai completamente sotto attacco da parte delle forze di invasione con la complicità del sovrano, re al-Khalifa, che il prof. Rodney Shakespeare si rifiuta di chiamare ‘re’, come ha spiegato in diretta su PressTV, dicendo: «Non si può definire re un killer feroce che invita 5 eserciti a reprimere brutalmente una popolazione di soli 700.000 abitanti, e assolda migliaia di disperati pakistani, yemeniti, e altri immigrati in cerca di lavoro per assaltare i manifestanti con spranghe, mazze, coltelli e arnesi di ogni tipo».
Come è noto, nel mese di marzo il "re" del Bahrein, Hamad bin-Issa al-Khalifa, ha permesso agli eserciti dei paesi del Golfo Persico di invadere la piccola isola che governa (in realtà un arcipelago di 33 isole) allo scopo di reprimere l’insurrezione popolare che la monarchia sta affrontando.
Saudi Arabia, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Oman e Qatar, alleati del Bahrein e degli Stati Uniti, si sono affrettati a dare man forte al monarca al-Khalifa, preoccupati per l’intensità e persistenza della rivolta, in cui vedevano il pericolo del contagio nei loro stessi paesi. Sappiamo infatti, che da almeno un mese in vari paesi del Golfo, tutti regimi semi-coloniali asserviti all’Occidente, sono in atto tentativi di rivolta contro i governi e la loro alleanza con Usa e Israele.
In particolare l’Arabia Saudita, la Potenza Ammiraglia del Golfo, teme che eventuali concessioni da parte della monarchia del Bahrein possa incoraggiare i propri cittadini all’insurrezione organizzata per mettere fine alla monarchia saudita e di conseguenza al dominio saudita/americano nella regione del Golfo.
L’intervento militare da parte degli eserciti del Golfo ha segnato per gli abitanti del Bahrein l’inizio di un incubo senza fine: una repressione brutale, che non risparmia nessuno, si è abbattuta sulla popolazione pacifica e prende di mira soprattutto chi tenta di soccorrere i manifestanti feriti negli scontri con le forze del Bahrein e quelle di invasione.
Come già illustrato nel mio post precedente, almeno 25 persone sono morte in questa fase iniziale degli scontri, e i feriti sono migliaia. Ma mancano all’appello centinaia di persone - non si sa se morti o arrestati.
Negli ultimi giorni vengono rinvenuti in diversi luoghi, nascosti alla vista immediata, i corpi di persone picchiate a morte o abbattute con armi da fuoco. Tra i morti anche alcuni leader dell’opposizione, arrestati e torturati a morte.
Gli ospedali sono sotto assedio e in alcuni casi sono stati fatti sgombrare. Come riportato dall’organizzazione umanitaria Human Rights Watch: ‘ai feriti viene negato l’accesso alle strutture mediche anche quando in pericolo di vita; non solo, i feriti vengono arrestati e portati in questura per interrogazione sotto tortura; al personale medico viene impedito di entrare negli ospedali; e chi abbia provato a uscire, medici o infermieri, è stato arrestato e perfino brutalmente picchiato a morte o abbattuto con armi da fuoco …
In alcuni casi, gli ospedali sono stati assaltati e i feriti presi in consegna dalle forze militari. «Non può esserci giustificazione alcuna per arrestare una persona semplicemente perché si è ferita in scontri dovuti a proteste», – dichiarava mercoledì Joe Stork, vice direttore della HRW per il Medio Oriente – «è contrario ad ogni principio umanitario privare i feriti delle cure mediche necessarie a salvare la vita o evitare danni irreparabili».
La HRW ha inoltre documentato casi in cui i feriti sono stati picchiati durante l’assalto al Salmaniya Hospital nella capitale Manama. Dichiarava alla Reuters Faraz Saneif, un ricercatore della HRW nel Bahrein: «E’ incredibile: queste persone che hanno bisogno di cure devono scegliere tra il rischio di essere arrestati se arrivano in ospedale, o il rischio di infezioni o conseguenze anche peggiori se tornano a casa».
Il presidente del Centro per i Diritti Umani di Manama, Nabeel Rajab, ha ricevuto notizia di molti casi di personale medico femminile che viene fisicamente e sessualmente molestato da parte di guardie mascherate che invadono gli ospedali.
Il più noto chirurgo di Manama è stato trascinato fuori dalla sala operatoria mentre stava operando un paziente ed è stato abbattuto davanti ai colleghi e pazienti. In seguito anche la casa è stata distrutta. Ma la stessa sorte è toccata a tanti altri.
Dallo scorso mercoledì sono in atto condizioni di vera e propria occupazione militare. Nelle località vicine alla capitale Manama vige il coprifuoco totale, anche di giorno. E’ stato imposto il black-out mediatico, ma PressTV ha trasmesso alcuni video amatoriali, da cui ho catturato immagini dalla diretta streaming. Nei filmati si vedono strade deserte e posti di blocco. Chi si azzarda a circolare in macchina nonostante il divieto, viene fermato, trascinato fuori dall’auto e picchiato.
«Proprio come in Palestina – continua il corrispondente – ogni singolo villaggio è sotto assedio totale e completamente isolato dal contatto con i villaggi confinanti. Per spostarsi da una località all’altra bisogna passare attraverso un’infinità di posti di blocco. Si viene sottoposti a lunghe perquisizioni. Molti non riescono a passare: vengono picchiati e la macchina viene distrutta».
Nelle strade di Manama, quasi deserte, si assiste a cortei di mezzi da demolizione che abbattono edifici di persone dell’opposizione arrestate. Demoliscono anche edifici e monumenti simbolo della fede islamica e mausolei di martiri e religiosi. Dagli edifici vengono tolte le bandiere del Bahrein e issate quelle dell’Arabia Saudita. Conosciamo queste scene: le abbiamo viste in Iraq quando le forze di occupazione americane sono entrate in Baghdad.
Oggi tuttavia la gente era di nuovo in piazza a manifestare. Davanti alle telecamere hanno dichiarato: non desistiamo, siamo determinati. Prima chiedevamo solo le dimissioni del re al-Khalifa, ora vogliamo giustizia per i morti: il re deve essere condannato a morte. O si vince o si muore. Si sono uditi spari e si è visto molto fumo nelle strade della capitale Manama, oggi.
«Ci sono stati oltre 50 arresti tra gli attivisti solo durante questa notte» – dichiarava Saeed Shahabi del Bahrain Freedom Movement oggi a PressTV in diretta da Londra. «Il mondo non sta facendo niente per fermare le atrocità che vengono commesse da parte del monarca al-Khalifa e dei suoi complici invasori. Non sento condanne per i massacri. Non sento condanne per l’invasione e l’occupazione. Non sento condanne per gli arresti di massa dei manifestanti».
Con certezza sono noti 420 casi di arresti, finora, tra cui anche donne incinte. Ma molte persone mancano all’appello.
Ieri un video amatoriale mostrava i funerali di un ragazzo di 15 anni ucciso dalle forze di sicurezza. Sayed Ahmed, di Sa'ar, aveva osato uscire per giocare e aveva tentato invano di scappare quando si è accorto delle guardie che si avvicinavano. Lo hanno brutalmente abbattuto con colpi di arma da fuoco. Il caso è stato riportato nella pagina Facebook del partito Al Wefaq.
Personalmente mi chiedo come la ‘casa reale’ del Bahrein pensi di continuare a regnare su una popolazione ormai irreparabilmente ostile e probabilmente decimata alla fine delle ostilità – che dovranno pur finire prima o poi. Ma non tutti sono ottimisti in questo senso. Alcuni ipotizzano un esito che vedrà il Bahrein incatenato all’Arabia Saudita e la popolazione ridotta a stato di semi-schiavitù della potenza maggiore saudita.
Bisogna anche ricordare, che il Bahrein, come tutti i regimi del Golfo (eccetto lo Yemen), non è una nazione povera. Al contrario. È noto per il commercio di perle (da cui il simbolo del monumento di Pearl Square, recentemente abbattuto per ordine del monarca). È un paese produttore di petrolio. Gode di un turismo florido. Manama ospita l’enorme struttura del World Trade Center del Bahrein e il distretto finanaziario del Bahrain Financial Harbour. È anche una delle tappe del Gran Prix di Formula 1.
«Tutto questo è ora compromesso e ci vorranno anni per ristabilire lo status economico antecedente l’occupazione militare» - dichiara il prof. Shakespeare durante una diretta PressTV, commentando i gravi fatti del Bahrein. «Nessuno si sentirà più al sicuro nel Bahrein. Gli investitori stranieri - essenziali per un’economia moderna - spariranno. Non capisco come un monarca che sia tale possa decidere di sacrificare il patrimonio della nazione pur di rimanere al potere. Potere su cosa?»
La situazione del Bahrein è una storia di atrocità e violenze. E' così oggi ed è stato così fin dalla nascita del piccolo reame, da sempre uno stato semi-coloniale - prima dell'impero britannico, poi di US-rael. E questo nonostante la popolzione del Bahrein costituisca una delle società più progredite da ogni punto di vista: economico, culturale, accademico, scientifico.
In contrastante antitesi con la popolazione evoluta, i "monarchi del Bahrein conservano tuttavia la caratteristica di regnanti di stampo oscurantista wahabi, che considera il popolo alla stregua di sudditi al servizio della "casa reale". E' contro queste condizioni di sottomissione e sfruttamento che si ribella l'eroico popolo del bahrein. Ma niente vienedella rivolta trapela nei media occidentali, asserviti al potere neo-con sionista di USA-Israel_Gran Bretagna.
Infatti è grave questa notizia che ha dell’incredibile: Vvene confermato da parte delle agenzie americane per i diritti umani che negli Stati Uniti è stato chiesto alla stampa e alle emittenti televisive di 'Non trasmettere notizie sulla repressione del Bahrein per non imbarazzare il governo Obama' - così raccontava per telefono a PressTV il presidente del Centro dei Diritti Umani di Manama, Nabeel Rajab. Aggiungeva che Washington e le potenze occidentali hanno scelto il silenzio in merito alle atrocità del Bahrein in ragione del loro supporto per il regime autoritario.
Ora mi spiego perché non vedo niente sul Bahrein nei canali americani a diffusione internazionale. ... E di conseguenza neanche nei media europei.
E mentre nei paesi occidentali i media di massa sono totalmente latitanti in merito al Bahrein, è in atto il tentativo di oscurare il prezioso canale PressTV nella regione del Golfo Persico per non fare sapere cosa accade nel Bahrein: il canale è stato oscurato su un satellite egiziano che trasmette nell'intero Medio Oriente e nel Nord Africa. Tuttavia PressTV informa che attualmente l’emittente dovrebbe essere visibile puntando l’antenna sulle coordinate di un altro satellite che trasmette nella regione. Speriamo che i cittadini del Bahrein e del Golfo riescano a ricevere questa informazione. Sappiamo che le popolazioni nel Golfo sono tutte solidali con i cittadini del Bahrein: ogni giorno vediamo manifestazioni di protesta contro l’invasione e l’aggressione ai civili. Le vediamo in Iraq, in Arabia Saudita, nel Kuwait, in Giordania, in Yemen (pensate!) in Oman, in Libano, in Egitto.
In tanto il canale Al Jazeera è sotto accusa per i suoi reportages ingannevoli in merito al Bahrein (e altre situazioni nel Medio Oriente), e per le manovre in atto di attribuire all’Iran la responsabilità dell’insurrezione in Bahrein e Saudi Arabia, che secondo Al Jazeera l’Iran avrebbe fomentato. Che poi è stata la versione ufficiale dei media di massa in USA fino a quando hanno trasmesso notizie sul Bahrein, omettendo tuttavia di mostrare le violenze terribili che accadono nella piccola isola nel Golfo Persico da parte delle forze di occupazione. E' importante ricordare che Al Jazeera è un canale del Qatar, al momento coinvolto in Libia in appoggio alle forze dell’Impero occidentale.
E vorrei precisare questo. Chiunque segua, come me, molto attentamente le reazioni dell’Iran alle rivolte arabe, ha potuto constatare che sì, l’Iran ha ufficialmente condannato le repressioni, ma non ha mai lanciato messaggi né diretti né subliminali ai rivoltosi. Si guarda bene dal farlo: sarebbe immediatamente preso di mira dall’Impero e dal regime sionista.
Altrettanto è sicuro, che l’Iran non ha alcuna possibilità di intervenire nei paesi del Golfo direttamente - niente può passare dall’Iran verso il Golfo o verso i paesi del Golfo in rivolta passando attraverso l’unica frontiera con uno dei paesi coinvolti: il Kuwait. Il Kuwait è sotto stretta sorveglianza perché è contemporaneamente uno dei paesi in rivolta e fa inoltre parte del contingente di invasione del Bahrein.
Le acque del Golfo invece sono pattugliate in modo serrato dalle flotte americane con navi da guerra e sottomarini nucleari. A volte vìolano le acque territoriali dell’Iran che prontamente denuncia queste manovre in quanto tecnicamente rappresenterebbero un’invasione, ma le proteste vengono sistematicamente ignorate dall’Onu. L’Iran e la sua rivoluzione di 3 decenni fa - con cui ha spodestato il tiranno, Shah Reza Palewi, alleato con le potenze occidentali - viene vista dalle popolazioni del Golfo come una fonte di ispirazione e speranza per tante genti oppresse nella regione. Sono tuttavia perfettamente consapevoli che l’Iran non può intervenire in loro favore.
Al Jazeera è anche molto occupata ad accanirsi sulle vicende della Siria. E perché mai? Per tentare manovre di disinformazione analoghe a quelle del Bahrein. Infatti sta emergendo negli ultimi giorni che le agitazioni e uccisioni in Siria sarebbero opera di agenti provocatori di diverse nazionalità, al soldo di Israele. Le autorità siriane hanno individuato gruppi di infiltrati agitatori e altri infiltrati nelle forze dell’ordine con incarico di uccidere i manifestanti. Tuttavia alcuni sono stati catturati e hanno confessato.
Oggi in Siria milioni di cittadini si sono riversati nelle strade di Damasco provenienti da diverse località della Siria per manifestare in favore del presidente Assad che aveva annunciato per oggi il suo discorso alla folla.
Questo non significa che i cittadini non abbiano protestato. Come in tutti i paesi arabi, anche in Siria esistono motivi ben validi per protestare. I cittadini siriani lo hanno detto forte e chiaro: vogliamo riforme. Senza manifestazioni in merito è difficile che un monarca arabo si mostri disponibile a introdurre politiche democratiche. Infatti il discorso di re Assad non mi è piaciuto per niente. E' vero, ha annunciato riforme, ma da implementare ‘con calma’, così si è espresso ‘perché la fretta potrebbe farci prendere decisioni non ottimali’. Tuttavia ha liberato 250 prigionieri politici e sono in atto cambiamenti nel Consiglio dei Ministri.
Tuttavia in Siria la situazione è ben diversa rispetto ad altri paesi arabi attualmente in rivolta. Intanto la Siria fa parte di quel piccolo gruppo di governi, insieme a Iran e Libano, - e di recente anche la Turchia -, uniti tra loro per resistere a Israele - stavo per scrivere ‘per combattere Israele’, ma sarebbe impossibile per i singoli paesi arabi rivoltarsi militarmente contro il regime sionista: ne uscirebbero annientati visto l’arsenale miltare che Israele ha ricevuto da Washington e perché comunque gli Usa verrebbero in soccorso immediato dello stato sionista.
Anche se i siriani chiedono riforme, rimangono comunque in supporto del loro sovrano. E il motivo è semplice. Il presidente Assad ha interrotto l’alleanza con Washington quando l’Impero ha invaso l’Iraq. Washington ha tentato di frequente negli anni di ricucire il rapporto, ma senza successo. E quindi la Siria rappresenta una spina nel fianco sionista sia in Usa che Israele, mentre il re siriano si è guadagnato il rispetto del popolo nonostante la Siria sia in realtà un regime dittatoriale in tanti aspetti.
In questi giorni nei canali americani sento molti discorsi di condanna della Siria: ‘quel dittatore rappresenta una minaccia per i siriani come Gaddafi per il popolo libico’: è questo il linguaggio che viene usato. E' chiaro il tentativo di preparare il terreno mediatico per giustificare un’operazione ‘Libia’ anche in Siria (un paragone spesso usato nei media alternativi), ma non si fanno i conti con il popolo siriano.
Come ha spesso fatto notare l’autore Alan Hart, uno dei maggiori esperti in questioni mediorientali, basterebbe che i leader arabi si accordassero (ma tra loro non concordano mai) per minacciare la chiusura dei rubinetti del petrolio, e l’Impero si vedrebbe costretto a negoziare e rinunciare a proteggere il regime sionista. Ma questo non succederà mai, perché i dittatori arabi intascano personalmente i proventi del petrolio.
La Cina non vede l’ora di potere accedere al petrolio arabo in veste di cliente principale, ma si scatenerebbe la guerra con gli Usa, che si sa, dispongono di un arsenale militare che è maggiore della somma di tutte le altre risorse militari del mondo.
Dovrei parlare di cosa succede in molti paesi dell’Africa, dove il tentativo di favorire i cinesi, molto rispettosi degli accordi e della popolazione locale, è stato contrastato con manovre subdole e violente da parte dei sionisti e dell’Impero che hanno provocato conflitti senza fine e condizioni di impoverimento che hanno causato carestie con milioni di vittime per fame (es. in Somalia).
Ma esiste al momento la necessità di narrare le vicende arabe, che potrebbero modificare totalmente l’assetto politico mondiale qualora i popoli avessero successo con le rivolte: e finora non è avvenuto ancora in nessuno dei paesi, neanche in Egitto. Le apparenze potrebbero ingannare l’occhio meno allenato, ma gli egiziani sono vigili. Erano tutti in piazza, oggi con una mega-manifestazione di protesta contro il governo militare. Ne relazionerò in un post successivo, anche perché le notizie sull’Egitto sono molto importanti in questo momento. Per venerdì prossimo è programmata la “Marcia dei Milioni”. Lo scopo è di mandare un messaggio forte e chiaro alla giunta militare attualmente in controllo di tutto: intendiamo ottenere ciò che chiediamo, non state agendo correttamente, andate via, vogliamo un governo civile: non militare.
Anche questa volta, quindi, mi vedo costretta a parlare della situazione atroce in Bahrein che il corrispondente di PressTV definisce «una nuova Palestina».
Visto che l’Occidente tace, diventa una questione di principio informare su ciò che accade nella piccola isola, ormai un luogo di devastazione. Alla fine della cronaca degli eventi, il commento di alcuni esperti autorevoli. Successivamente alcuni accenni sulla storia recente del Bahrein, che permetterà di capire meglio le ragioni della situazione attuale.
E a proposito di Palestina, il cui nome è inciso nell’anima con lettere di fuoco, tutto sembra suggerire un prossimo attacco massiccio contro la Striscia di Gaza, al limite della sopravvivenza.
Niente di ciò che avviene nella cronaca delle rivolte arabe è paragonabile all’attacco subìto 2 anni fa da parte della popolazione di Gaza durante la Guerra dei 22 Giorni in cui abbiamo visto bambini morire bruciati vivi, arrostiti dal fosforo bianco, che continua a bruciare fino all’osso anche se le ferite vengono curate in superficie.
Anche ieri un bombardamento in 3 zone diverse di Gaza: tre morti e un numero non specificato di feriti. Ma gli attacchi sono quotidiani e si sono intensificati dall’inizio delle rivolte arabe. Ma questo non sembra disturbare le coscienze né dell’Onu, né degli Usa, né della Nato, né dell’Unione Europea. Niente No Fly Zone su Gaza per contrastare i missili israeliani. Niente No Fly Zone sulle teste degli eserciti - 6 in tutto - che si accaniscono sulla popolazione totalmente inerme della minuscola isola del Bahrein.
“Il Bahrein come la Palestina”
Ecco cosa succede in questi giorni in quell’isola ormai completamente sotto attacco da parte delle forze di invasione con la complicità del sovrano, re al-Khalifa, che il prof. Rodney Shakespeare si rifiuta di chiamare ‘re’, come ha spiegato in diretta su PressTV, dicendo: «Non si può definire re un killer feroce che invita 5 eserciti a reprimere brutalmente una popolazione di soli 700.000 abitanti, e assolda migliaia di disperati pakistani, yemeniti, e altri immigrati in cerca di lavoro per assaltare i manifestanti con spranghe, mazze, coltelli e arnesi di ogni tipo».
Come è noto, nel mese di marzo il "re" del Bahrein, Hamad bin-Issa al-Khalifa, ha permesso agli eserciti dei paesi del Golfo Persico di invadere la piccola isola che governa (in realtà un arcipelago di 33 isole) allo scopo di reprimere l’insurrezione popolare che la monarchia sta affrontando.
Saudi Arabia, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Oman e Qatar, alleati del Bahrein e degli Stati Uniti, si sono affrettati a dare man forte al monarca al-Khalifa, preoccupati per l’intensità e persistenza della rivolta, in cui vedevano il pericolo del contagio nei loro stessi paesi. Sappiamo infatti, che da almeno un mese in vari paesi del Golfo, tutti regimi semi-coloniali asserviti all’Occidente, sono in atto tentativi di rivolta contro i governi e la loro alleanza con Usa e Israele.
In particolare l’Arabia Saudita, la Potenza Ammiraglia del Golfo, teme che eventuali concessioni da parte della monarchia del Bahrein possa incoraggiare i propri cittadini all’insurrezione organizzata per mettere fine alla monarchia saudita e di conseguenza al dominio saudita/americano nella regione del Golfo.
L’intervento militare da parte degli eserciti del Golfo ha segnato per gli abitanti del Bahrein l’inizio di un incubo senza fine: una repressione brutale, che non risparmia nessuno, si è abbattuta sulla popolazione pacifica e prende di mira soprattutto chi tenta di soccorrere i manifestanti feriti negli scontri con le forze del Bahrein e quelle di invasione.
Come già illustrato nel mio post precedente, almeno 25 persone sono morte in questa fase iniziale degli scontri, e i feriti sono migliaia. Ma mancano all’appello centinaia di persone - non si sa se morti o arrestati.
Negli ultimi giorni vengono rinvenuti in diversi luoghi, nascosti alla vista immediata, i corpi di persone picchiate a morte o abbattute con armi da fuoco. Tra i morti anche alcuni leader dell’opposizione, arrestati e torturati a morte.
Gli ospedali sono sotto assedio e in alcuni casi sono stati fatti sgombrare. Come riportato dall’organizzazione umanitaria Human Rights Watch: ‘ai feriti viene negato l’accesso alle strutture mediche anche quando in pericolo di vita; non solo, i feriti vengono arrestati e portati in questura per interrogazione sotto tortura; al personale medico viene impedito di entrare negli ospedali; e chi abbia provato a uscire, medici o infermieri, è stato arrestato e perfino brutalmente picchiato a morte o abbattuto con armi da fuoco …
In alcuni casi, gli ospedali sono stati assaltati e i feriti presi in consegna dalle forze militari. «Non può esserci giustificazione alcuna per arrestare una persona semplicemente perché si è ferita in scontri dovuti a proteste», – dichiarava mercoledì Joe Stork, vice direttore della HRW per il Medio Oriente – «è contrario ad ogni principio umanitario privare i feriti delle cure mediche necessarie a salvare la vita o evitare danni irreparabili».
La HRW ha inoltre documentato casi in cui i feriti sono stati picchiati durante l’assalto al Salmaniya Hospital nella capitale Manama. Dichiarava alla Reuters Faraz Saneif, un ricercatore della HRW nel Bahrein: «E’ incredibile: queste persone che hanno bisogno di cure devono scegliere tra il rischio di essere arrestati se arrivano in ospedale, o il rischio di infezioni o conseguenze anche peggiori se tornano a casa».
Il presidente del Centro per i Diritti Umani di Manama, Nabeel Rajab, ha ricevuto notizia di molti casi di personale medico femminile che viene fisicamente e sessualmente molestato da parte di guardie mascherate che invadono gli ospedali.
Il più noto chirurgo di Manama è stato trascinato fuori dalla sala operatoria mentre stava operando un paziente ed è stato abbattuto davanti ai colleghi e pazienti. In seguito anche la casa è stata distrutta. Ma la stessa sorte è toccata a tanti altri.
Raccontava un corrispondente di PressTV dal Bahrain di cui non viene fatto il nome per motivi di sicurezza:
«Proprio come fanno gli israeliani quando arrestano un palestinese, le forze dell’esercito saudita e i mercenari del Bahrein dopo l’arresto dei manifestanti o del personale medico 'colpevole' di soccorso ai feriti, mette poi a soqquadro oppure distrugge l’abitazione della persona arrestata e malmena i componenti della famiglia.’
Che poi è quello che succedeva anche mesi fa in previsione delle elezioni (farsa) nel Bahrein, quando sono stati arrestati praticamente tutti insieme gli esponenti dell’opposizione del Bahrein.
Circa 300. Tutti in carcere, sotto tortura.
Case saccheggiate e famiglie aggredite.
Dallo scorso mercoledì sono in atto condizioni di vera e propria occupazione militare. Nelle località vicine alla capitale Manama vige il coprifuoco totale, anche di giorno. E’ stato imposto il black-out mediatico, ma PressTV ha trasmesso alcuni video amatoriali, da cui ho catturato immagini dalla diretta streaming. Nei filmati si vedono strade deserte e posti di blocco. Chi si azzarda a circolare in macchina nonostante il divieto, viene fermato, trascinato fuori dall’auto e picchiato.
«Proprio come in Palestina – continua il corrispondente – ogni singolo villaggio è sotto assedio totale e completamente isolato dal contatto con i villaggi confinanti. Per spostarsi da una località all’altra bisogna passare attraverso un’infinità di posti di blocco. Si viene sottoposti a lunghe perquisizioni. Molti non riescono a passare: vengono picchiati e la macchina viene distrutta».
Nelle strade di Manama, quasi deserte, si assiste a cortei di mezzi da demolizione che abbattono edifici di persone dell’opposizione arrestate. Demoliscono anche edifici e monumenti simbolo della fede islamica e mausolei di martiri e religiosi. Dagli edifici vengono tolte le bandiere del Bahrein e issate quelle dell’Arabia Saudita. Conosciamo queste scene: le abbiamo viste in Iraq quando le forze di occupazione americane sono entrate in Baghdad.
Oggi tuttavia la gente era di nuovo in piazza a manifestare. Davanti alle telecamere hanno dichiarato: non desistiamo, siamo determinati. Prima chiedevamo solo le dimissioni del re al-Khalifa, ora vogliamo giustizia per i morti: il re deve essere condannato a morte. O si vince o si muore. Si sono uditi spari e si è visto molto fumo nelle strade della capitale Manama, oggi.
«Ci sono stati oltre 50 arresti tra gli attivisti solo durante questa notte» – dichiarava Saeed Shahabi del Bahrain Freedom Movement oggi a PressTV in diretta da Londra. «Il mondo non sta facendo niente per fermare le atrocità che vengono commesse da parte del monarca al-Khalifa e dei suoi complici invasori. Non sento condanne per i massacri. Non sento condanne per l’invasione e l’occupazione. Non sento condanne per gli arresti di massa dei manifestanti».
Con certezza sono noti 420 casi di arresti, finora, tra cui anche donne incinte. Ma molte persone mancano all’appello.
Ieri un video amatoriale mostrava i funerali di un ragazzo di 15 anni ucciso dalle forze di sicurezza. Sayed Ahmed, di Sa'ar, aveva osato uscire per giocare e aveva tentato invano di scappare quando si è accorto delle guardie che si avvicinavano. Lo hanno brutalmente abbattuto con colpi di arma da fuoco. Il caso è stato riportato nella pagina Facebook del partito Al Wefaq.
Personalmente mi chiedo come la ‘casa reale’ del Bahrein pensi di continuare a regnare su una popolazione ormai irreparabilmente ostile e probabilmente decimata alla fine delle ostilità – che dovranno pur finire prima o poi. Ma non tutti sono ottimisti in questo senso. Alcuni ipotizzano un esito che vedrà il Bahrein incatenato all’Arabia Saudita e la popolazione ridotta a stato di semi-schiavitù della potenza maggiore saudita.
Bisogna anche ricordare, che il Bahrein, come tutti i regimi del Golfo (eccetto lo Yemen), non è una nazione povera. Al contrario. È noto per il commercio di perle (da cui il simbolo del monumento di Pearl Square, recentemente abbattuto per ordine del monarca). È un paese produttore di petrolio. Gode di un turismo florido. Manama ospita l’enorme struttura del World Trade Center del Bahrein e il distretto finanaziario del Bahrain Financial Harbour. È anche una delle tappe del Gran Prix di Formula 1.
«Tutto questo è ora compromesso e ci vorranno anni per ristabilire lo status economico antecedente l’occupazione militare» - dichiara il prof. Shakespeare durante una diretta PressTV, commentando i gravi fatti del Bahrein. «Nessuno si sentirà più al sicuro nel Bahrein. Gli investitori stranieri - essenziali per un’economia moderna - spariranno. Non capisco come un monarca che sia tale possa decidere di sacrificare il patrimonio della nazione pur di rimanere al potere. Potere su cosa?»