domenica 10 aprile 2011

Egitto - Di Nuovo Tutti In Piazza Contro Israele e La Giunta Militare Egiziana - Bahrein verso la distruzione

Homepage Egeria - N° 16
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Parla Egeria

Erano milioni gli egiziani in piazza durante questo weekend e quello della settimana scorsa. I cittadini si sono resi conto dell’inganno da parte della Giunta Militare al comando del paese. Niente riforme democratiche in vista. Niente apertura della frontiera con Gaza: i Colonnelli autorizzano iniziative per forniture di materiale da costruzione destinato a Gaza, ma poi agiscono nell’ombra per impedire l’entrata dei camion in Gaza. I cittadini avevano chiesto con insistenza una revisione del cosiddetto Trattato di Pace con Israele, e invece i Colonnelli stanno a guardare mentre ogni giorno Israele colpisce Gaza con missili, e i carri armati israeliani aprono il fuoco sulla popolazione. 19 morti, decine di feriti e centinaia di arresti: questo il bilancio degli ultimi 3 giorni in Gaza e altri territori occupati della Palestina.

Venerdì scorso la rabbia verso Israele e la complicità dei Colonnelli egiziani è scoppiata nelle piazze del Cairo e di Alessandria. Ma la Giunta militare è intervenuta con violenza e brutalità. In basso la cronaca delle manifestazioni con immagini che testimoniano quanto successo. Che sia ben chiaro, gli egiziani non si limitano a chiedere: prendono iniziative. Nel mio prossimo post sull'Egitto racconterò 2 tentativi da parte degli attivisti egiziani di fare aprire i cancelli di Gaza, e quali sono state le criminali reazioni del regime egiziano. Tuttavia, prima di arrivare alla cronaca delle ultime vicende egiziane, in basso, vorrei ricordare la terribile situazione del Bahrein che sta deteriorando di giorno in giorno.

Breve aggiornamento sul Bahrein


In tre post recenti ho parlato dell’invasione della piccola isola da parte delle forze dei paesi del Golfo, capeggiati dall’ammiraglia Arabia Saudita.

Ho raccontato le violenze, uccisioni, distruzioni di edifici pubblici e privati e luoghi di culto, l’assedio dei villaggi, le file di checkpoint tra un villaggio e l’altro per isolare i cittadini e impedire qualunque tentativo di rivolta organizzata. Ho relazionato in merito agli ospedali razziati e messi sotto sequestro militare, e dell’impossibilità per i feriti di essere ammessi: chiunque abbia tentato di farsi medicare è stato arrestato e torturato e alcuni feriti sono morti sotto tortura mentre erano in custodia militare. Ho parlato di medici e infermieri abbattuti stile esecuzione perché tentavano di soccorrere i feriti. Ho parlato di case abbattute o distrutte perché abitazioni degli attivisti politici o esponenti della comunità medica. Ho parlato di centinaia di arresti e altre centinaia di persone sparite, di corpi che vengono rinvenuti in luoghi nascosti alla vista pubblica.

Da qualche tempo ho interrotto il racconto del Bahrein per un motivo preciso. Sto compilando un dossier che non sia una semplice cronaca delle recenti atrocità. L’intenzione è quella di illustrare – brevemente – il tipo di società moderna, avanzata e organizzata che caratterizza il Bahrein, in totale antitesi con la realtà della monarchia che lo governa (per così dire), culturalmente arretrata, di stampo oscurantista wahabi, che si vanta di essere ‘una dinastia di conquistatori’ perché si è instaurata nel Bahrein mediante il brigantaggio e la pirateria. È contro questa combricola di gangster in antitesi con il mondo arabo moderno che il popolo si sta rivoltando. Ma raccontare questa parte è facile. Esiste invece un altro aspetto che non è semplice documentare e per il quale contavo sulle analisi degli esperti autorevoli in materia.

Perché ciò che ho visto profilarsi, da qualche tempo, in questa repressione della protesta popolare per riforme democratiche, è uno schema che ho già osservato in altri casi, in altri paesi in cui si tentava di sopprimere l’autonomia di un popolo. L’ho visto succedere in Palestina e l’ho visto succedere in Iraq. E l’analogia non è casuale: in entrambi i casi – come ora nel Bahrain – il metodo applicato è quello concepito dai sionisti: quello della decapitazione della classe accademica, scientifica, intellettuale di un popolo, per distruggere il collante culturale della società che si vuole assoggettare e piegare all’invasore – o anche sopprimere come nel caso della Palestina. Ma per affermare ciò – e cioè che nel Bahrein sia in atto di proposito la repressione di stampo sionista – è necessario l’apporto degli esperti in materia – che per ora esiste solo verbalmente in forma di commenti che accompagnano le immagini di filmati amatoriali trasmessi in tv, mentre mancano articoli pertinenti sul web.

Negli ultimi giorni alcuni degli esperti interpellati da PressTV hanno fatto notare che dietro a questa sistematica repressione della rivolta del Bahrein c’è chiaramente la mano del Mossad e della Cia e che non è certo un mistero la collaborazione tra le forze militari saudite, americane e israeliane, mirata a salvaguardare l’egemonia sionista nella regione. Tuttavia sono ancora in attesa che vengano trascritti sul sito i commenti fatti in diretta – quelli più esemplificativi. Purtroppo non tutti i commenti vengono poi trascritti e pubblicati. È successo proprio di recente e proprio in merito a commenti preziosi sul Bahrein. Certo, io posso citare quanto la memoria mi permette di registrare, ma assume tutt’altro peso un’analisi qualificata per bocca dell’esperto.

Esiste tuttavia la rivelazione di Wikileaks in merito alle connessioni tra la monarchia del Bahrein e il Mossad (v. articolo della testata israeliana Haaretz). Viene anche evidenziato che il re al Khalifa ha espressamente vietato agli esponenti del governo di chiamare Israele ‘regime sionista’ - anzi, il monarca vieta l’uso del termine sionista tout-court.

Appena possibile, quindi, tornerò di nuovo sul Bahrein, dove la situazione peggiora di giorno in giorno, di ora in ora. Ed è davvero obbligatorio parlare del Bahrein, in quanto è stato imposto da parte di Washington il black-out mediatico mondiale su quella grave situazione «per non imbarazzare l’amministrazione Obama» aveva detto un portavoce della Casa Bianca ai giornalisti secondo quanto rivelato da un'istituzione umanitaria di Washington ai suoi colleghi di Manama. È ovvio, a Manama, capitale del Bahrein si trova la Base della 5a Flotta della Marina Militare americana, con 4.500/5.000 soldati a cui è stato dato l’ordine di non intervenire. Se il mondo ne parlasse diventerebbe subito chiaro chi è il mandante degli attacchi ai cittadini del Bahrein.

E qui bisogna ricordare il patto tra Usa e Arabia Saudita in merito alla repressione violenta del Bahrein, rivelato e riportato in molti articoli sul web. Scrive Pepe Escobar, un esperto in questioni mediorientali di grande spessore. «Due fonti diplomatiche indipendenti delle Nazioni Unite confermano che Washington ha dato il via libera all’Arabia Saudita per l’invasione del Bahrein e la repressione del movimento pro-democratico, in cambio del SI' della Lega Araba per la No Fly Zone sulla Libia» - e si sa che la Lega Araba è presidio dell’Arabia Saudita: un motivo per cui la Lega è stata sempre totalmente assente o perlomeno del tutto inetta nel difendere la Palestina dall’aggressore sionista. E pensare che ora il capo della Lega Araba, Amr Moussa, osa candidarsi alla Presidenza dell’Egitto - e spero che gli egiziani non si facciano di nuovo ingannare.

I dati degli ultimi giorni in merito alla grave situazione del Bahrein sono questi: 800 arresti tra cui anche donne incinte; centinaia di persone scomparse: escono di casa per non tornare più ed è meglio per i familiari non informarsi perché si rischia di essere molestati o arrestati in casa nelle prime ore del mattino, come spesso succede. I corpi che vengono restituiti mostrano i segni di espianto di organi (come in Palestina: e spero i lettori siano informati in merito), che le autorità spiegano ai congiunti come «operazioni chirurgiche per tentare di salvare la vita al ferito».

Presi di mira sono soprattutto: medici, infermieri, insegnanti, docenti e ricercatori, studenti, scienziati, avvocati, giudici, giornalisti, artisti, scrittori – e ovviamente gli esponenti dell’opposizione politica. Ma perfino 200 atleti sono stati sospesi perché alcuni hanno espresso solidarità con la rivolta popolare. E 1.500 impiegati statali sono stati licenziati per lo stesso motivo.

E proprio mentre scrivo arrivano queste notizie: scuole prese di assalto e ora sotto assedio, insegnanti arrestati perché avevano annunciato una prossima protesta organizzata.

I carri armati sauditi stanno circondando l’enorme e modernissimo ‘Distretto Finanziario di Manama’ - Considerate l’importanza di questo centro economico: l’Indice della City of London relativo ai ‘Distretti Finanziari Globali’ ha messo il Bahrein al primo posto come ‘Centro Finanziario con la crescita più rapita’ nella classifica mondiale.

Ovviamente è presto perché possano esistere scritti approfonditi da parte di autori di spessore in merito allo smantellamento sistematico della classe intellettuale del Bahrein. Tuttavia, nel tentativo di fornire ai lettori un’idea dell’orrore in atto in quest’isola minuscola ma di enorme importanza strategica, mi è venuto in mente che esiste un documento scritto dal grande James Petras intitolato ‘The US War Against Iraq: The Destruction of a Civilization’ (la guerra degli Usa contro l'Iraq: La Distruzione di una Civiltà). Per chi non lo conoscesse, James Petras è un docente in sociologia a New York, un vero e proprio guru dell’informazione alternativa, amato e rispettato dalla blogosfera e dagli autori stessi che lo citano di frequente.

Come dice il titolo, si tratta dell’analisi – completa di dati scientifici – di come le forze di invasione dell’Iraq abbiano mirato a distruggere l’intera infrastruttura accademica, intellettuale, scientifica, culturale dell’Iraq seguendo il modello sionista concepito per l’eliminazione della cultura e resistenza Palestinese. Non è un semplice articolo, quello di Petras. È reperibile online in formato PDF nel sito The James Petras Website. E stavo appunto prendendo in considerazione di tradurre il documento, ma per fortuna ho fatto una ricerca e ho visto che la traduzione italiana già esiste online. Leggendo il documento si riceve il quadro di cosa avviene attualmente nel Bahrein, seppure rapportato ad una popolazione che consiste in una frazione di quella irachena (il rapporto è di circa 23 a 1).

Ecco due link in cui trovare il testo italiano del rapporto scritto da J. Petras:

http://www.mondoarabo.it/distruzione-di-una-civilta.html

http://forum.politicainrete.net/comunismo-e-comunita/37485-la-guerra-usa-contro-liraq-la-distruzione-di-una-civilta.html

Consiglio vivamente la lettura ma avverto: vi spezzerà il cuore – tanto più sapendo che è tutt’ora in corso, in Iraq, quanto riportato nel documento di James Petras. L’Iraq è la ‘guerra dimenticata’ perché i media da una parte la ignorano e dall’altra ci forniscono resoconti fraudolenti sulla cessazione ufficiale delle operazioni militari e dell’occupazione.

Ma niente è più lontano dalla verità. Almeno 50.000 soldati Usa e Nato sono tuttora presenti nel paese, molti per proteggere la cosiddetta ‘Zona Verde’ di Baghdad, circondata da un altro Muro di Apartheid in tutto e per tutto identico a quello in Palestina, dietro il quale si cela quella che chiamano in modo ingannevole ‘Ambasciata Americana’ e che in realtà è un compound grande quanto l’intero Vaticano: una città nella città - una città americana all'interno di Baghdad. Altri soldati sono dispiegati nelle zone di produzione del petrolio.

Ma il vero scandalo consiste nelle 250.000 unità mercenarie, i feroci mastini della guerra della ex-Blackwater, armati fino ai denti che sfuggono ad ogni controllo istituzionale e – al contrario dei soldati dell’esercito regolare – non sono soggetti alle cosiddette ‘regole di ingaggio’ – in altre parole hanno il via libera per commettere qualunque efferatezza rimanendo impuniti.

E l’aspetto straordinario è che in questi giorni, anzi da settimane, vediamo i coraggiosi cittadini iracheni manifestare nelle strade e nelle piazze in protesta a quanto accade in Bahrein e Yemen.

Di seguito la cronaca e foto-cronaca degli ultimi eventi nelle piazze dell'Egitto. E alla fine il racconto della solidarietà di New York con le rivolte arabe e la popolazione palestinese.


Egitto - Di Nuovo Tutti In Piazza Contro Israele e La Giunta Militare Egiziana


Erano milioni gli egiziani in piazza nel Cairo e in Alessandria durante questo weekend e quello della settimana scorsa. Erano furiosi. Si sono resi conto che niente è cambiato da quando hanno iniziato la rivolta. La Giunta Militare - arrivata di recente al comando della nazione per mezzo di quello che gli esperti definiscono un golpe militare - ha cambiato nomi e facce dei politici in carica, ma certo non le regole di governo. Vige tutt’ora lo Stato di Emergenza che dura da 32 anni: chiunque può essere arrestato senza imputazione formale e rimanere in carcere a tempo indeterminato. I prigionieri politici non sono stati liberati. L’Egitto continua ad essere un vero e proprio Stato di Polizia.

Il recente referendum – che ha visto un’affluenza alle urne del 90% - si è rivelato essere una beffa: i cittadini sono stati ingannati a votare Sì dove occorreva il No. Nessuna delle richieste specifiche e ben articolate presentate dai rappresentanti dei cittadini è stata finora soddisfatta.

Le richieste sono mirate a cambiare radicalmente sia le politiche interne che quelle estere. I cittadini invocano una gestione democratica della cosa pubblica con partecipazione attiva dei cittadini. E vogliono la revoca del cosiddetto ‘Trattato di Pace’ con Israele che impedisce l’apertura della frontiera tra Egitto e Gaza e che fa sentire i cittadini egiziani in pratica complici dell’assedio, dei crimini e della riduzione in miseria assoluta dei loro fratelli in Gaza – perché è così che gli egiziani definiscono i palestinesi: fratelli e sorelle. «Ogni giorno che passa senza segnali di una prossima apertura della frontiera è un giorno di lutto per me», dichiarava una donna egiziana al microfono del corrispondente di PressTV nel Cairo. «Come si fa ad andare a letto tranquilli sapendo che non lontano da noi i bambini di Gaza sono affamati e terrorizzati dagli elicotteri e dagli aerei che pattugliano il cielo sopra Gaza ogni giorno e ogni notte».

In basso la foto-cronaca della protesta di Piazza Tahrir contro il regime israeliano. La piazza era inondata di bandiere Palestinesi. L’ambasciata di Israele è stata assediata e i manifestanti hanno tentato di sostituire la bandiera israeliana con quella palestinese. Molte bandiere israeliane bruciate in piazza sia nel Cairo che in Alessandria. Alcuni soldati e sottufficiali dell’esercito si sono uniti ai manifestanti del Cairo, ma sono stati arrestati e alcuni sono stati direttamente ‘giustiziati’ con colpi di arma da fuoco.

Vediamo cosa hanno chiesto i manifestanti nelle strade e piazze che durante l’intero fine settimana erano gremite a perdita d’occhio.

«Sono un avvocato - diceva uno dei manifestanti ai microfoni dell'inviato di PressTV nel Cairo. È ovvio che molti protestano perché vivono in condizioni economiche disperate, molti sono costretti a vendere un rene, destinato a Israele, per sostenere la famiglia. Ma c’è in piazza anche la rappresentanza della classe accademica che si è organizzata per presentare da mesi - mesi! - elenchi molto articolati e ben formulati in merito a cosa sia necessario per avviare la nazione verso una gestione democratica delle istituzioni. Prima di tutto abbiamo identificato e compilato una lista di nomi di esponenti della magistratura e di altre istituzioni per formare un governo civile ad interim e riformulare interamente il testo della Costituzione. Tra i nomi anche quelli di alcuni esponenti dell’opposizione attualmente in carcere. È ovvio: vogliamo l’immediato passaggio di potere dalla giunta militare al governo civile ad interim»


Comanda Mubarak per mezzo dei Colonnelli della giunta militare egiziana

Diceva questo ai microfoni di PressTV il giornalista esperto in analisi politica Said Zulficar:
«La giunta militare in comando è un gruppo elitario di pochi eletti da sempre fedeli a Mubarak, che è in antitesi con i regolari capi dell’esercito. Conosciamo bene ogni singolo esponente del Consiglio Militare al potere. Sono pagati da Mubarak e da Washington per mantenere lo status quo, per proteggere Mubarak, la sua famiglia e i suoi interessi finanziari. Sono pagati per tenere chiuse le frontiere con Gaza e garantire l’egemonia di Israele nella regione. Sono pagati per fornire a Israele il gas e il petrolio a prezzi stracciati. Sono pagati per dare a Usa e ai paesi della Nato l’accesso preferenziale e prioritario agli impianti per l’estrazione del petrolio, mantenendo la Cina a distanza. Sono pagati per fare entrare i proventi del petrolio nelle tasche di Mubarak e dei suoi fedelissimi, tra cui in particolare proprio i Colonnelli della Giunta Militare».
Ma come, Mubarak non era stato deposto? E non era fuggito chiedendo asilo al suo amico del cuore il re Abdullah dell’Arabia Saudita, che aveva alzato la voce con Washington per avere abbandonato il fedele servitore senza lottare più di tanto?

Certo, ma non è chiaro quale fosse lo scopo di Mubarak presso la corte saudita, dalla quale è tornato per barricarsi nella sua residenza imponente di Sharm el-Sheikh. Dove si dice sia ufficialmente agli arresti domiciliari, mentre gli esperti ci mettono sull’avviso che in realtà le guardie presidenziali sono dispiegate intorno e all’interno la residenza estiva presidenziale per proteggere il dittatore e concedergli il tempo necessario per mettere al sicuro le sue ingenti fortune. Le quali fortune, secondo alcuni osservatori politici, ammonterebbero a cifre astronomiche, inimmaginabili: Mille Miliardi di Dollari in metalli rari e molti altri ‘assets’ che Mubarak sembra stia tentando di convertire in liquidi. Non ho ancora avuto riscontri dal web per tali affermazioni, ma mi documenterò e ne relazionerò in questo blog.

Quanto al cosiddetto ‘abbandono’ del dittatore da parte del padrone occidentale, vale la pena ricordare che da sempre gli USA si impadroniscono di autocrati al potere e li trasformano in fantocci di Washington, per poi disfarsene quando diventano scomodi. Stringono con il tiranno di turno un patto di questo tipo: tu ci garantisci l’accesso privilegiato e a basso costo alle risorse per noi preziose (petrolio o altro), noi in cambio ti appoggiamo politicamente sulla scena politica mondiale, ti forniamo armi e finanziamenti per mantenere efficiente l’apparato militare e quello della polizia segreta, ti inviamo esperti per addestrare le guardie presidenziali per garantire che rimani al potere e per scoraggiare il popolo a rivoltarsi contro questo sfruttamento. Noi non interferiremo nelle tue politiche interne, sono affari tuoi come intendi tenere il popolo a bada. La questione dei ‘diritti umani’ non ci riguarda. E quando si tratta di dittatori arabi la richiesta principale è «la salvaguardia dell’egemonia di Israele nella regione». Nella regione del Golfo Persico è l’Arabia Saudita a fare da guardiano per le politiche favorevoli a Israele. Nell’Africa del Nord è l’Egitto a ricoprire questo ruolo onorevole da decenni.

Ieri, durante una trasmissione radiofonica di alta qualità di un’emittente con sede in Chicago, la discussione era tra due esperti ed autori molto noti alla blogosfera americana: Stephen Lendman (spesso interpellato anche da PressTV) e Robert Abele. Si discuteva delle rivolte arabe e, parlando della Libia, ecco quanto espresso da Bob Abele: tra tutti i dittatori ora contestati dai popoli arabi, Gaddafi viene sacrificato perché è comunque ‘scomodo’ dal punto di vista dell’Impero. È vero che da tempo, e in particolare dal 2003, Gaddafi si è in un certo senso conformato ai diktat di Washington, ma non è mai stato un vero ‘cane fedele’ fino in fondo, ha sempre conservato una certa autonomia e distanza critica dall’impero occidentale. Forse il più fedele di tutti, commentava Stephen Lendman, è il presidente yemenita Saleh, che da anni viene sfruttato per fare passare come ‘Lotta contro al-Quaeda’ la guerra proxy condotta dagli Usa in Yemen contro i ribelli Houthi per mezzo delle forze saudite. Ecco perché ora gli Usa non possono abbandonare il fedele Saleh: si sentirebbe tradito e in segreto sta minacciando di rivelare tutto e imbarazzare gli Usa - (e la corte saudita e soprattutto Israele, aggiungo io, ma poi mi chiedo se sia possibile ‘imbarazzare’ Israele più di tanto, visto quanto il regime sionista è già discreditato agli occhi della comunità internazionale).

Mi chiedo questo: davvero l'Impero ha abbandonato Mubarak? I segnali che arrivano dall'Egitto sembrano smentire questa ipotesi. E il popolo egiziano deve stare molto attento: sta lottando contro un mostro di proporzioni gigantesche, come lo sono tutte le creature concepite dall'Impero Usa, NeoCon, Sionista.

Ma proprio mentre scrivo, ecco che viene trasmesso un servizio in merito alla natura delle armi impiegate dagli Usa e dalla Nato. Così come nel Kossowo e in Iraq, dicono gli esperti, ora anche in Libia vengono impiegate armi all’uranio impoverito per bombardare i civili. E qualora venisse in mente a qualche speranzoso di coltivare illusioni sulle intenzioni della coalizione di ‘proteggere i civili’ della Libia, sentivo poco fa un giornalista parlare del rapporto UNICEF (basta cercare sul web per trovarlo) che avverte sulla situazione disperata della popolazione di Misratah dove molti bambini muoiono perché colpiti dall'artiglieria delle forze militari in campo oppure rimangono orfani o rischiano di morire di fame perché la popolazione non viene raggiunta dagli aiuti umanitari che erano stati promessi.

Breve aggiornamento sulla situazione in Yemen

E faccio qui una parentesi per un breve aggiornamento in merito al Yemen. Tra ieri e oggi vanno in onda su PressTV in ogni Tg le immagini dei manifestanti yemeniti colpiti dal gas “lacrimogeno” - tra virgolette perché sembra proprio che questo gas sia molto più tossico dei lacrimogeni convenzionali usati in genere in varie parti del mondo per disperdere i manifestanti.

Le immagini sono terribili e ho tentato di ‘catturare’ delle istantanee dallo streaming online, ma i singoli fotogrammi non rendono affatto l’idea di quello che si vede nei filmati amatoriali: persone a terra incapaci di riprendersi. Alcuni si dimenano freneticamente come se colti da crisi epilettica, in altri si vede il bianco degli occhi e la bava sull’intero viso, altri sono in stato catatonico e sembrano paralizzati. Altri sono paonazzi perché non riescono a respirare. Non ho ancora trovato rapporti ufficiali in merito all’analisi chimica dei gas usati, ma i medici yemeniti che soccorrono i feriti continuano a essere molto allarmati. Sembra che vengano usate o ‘sperimentate’ diverse formule di gas, contemporaneamente durante gli attacchi ai civili.

I quali civili continuano a manifestare incessantemente, ogni singolo giorno e ogni singola notte, da mesi. Di notte si vedono vere e proprie scene di guerriglia urbana. Ci sono decine di morti e feriti ogni giorno.

Intanto il presidente Saleh sta rifiutando le offerte congiunte dei vari governi del Golfo Persico per una soluzione pacifica del conflitto. E l’unica proposta che accetterebbe viene tuttavia respinta dal popolo yemenita, che chiede l’arresto e processo del dittatore, e la restituzione delle fortune accumulate da Saleh e la sua famiglia, stimate in decine di miliardi dollari, ma alcuni suggeriscono che i miliardi siano in realtà centinaia. E pensare che metà della popolazione vive in miseria totale. Ma Saleh è ben protetto e comunque la situazione è in realtà estremamente complessa e meriterebbe un vero e proprio trattato per spiegare tutti i risvolti politici interni e internazionali connessi con il paese e il suo governo. Saleh è in controllo del potere centrale, ma la configurazione politica dello Yemen si articola in decine di territori controllati da altrettante tribù con poteri regionali molto importanti - alcuni alleati altri in conflitto con il potere centrale. E' uno stato basato su un sistema di corruzione a tutti i livelli dell'amministrazione e del potere economico, controllato dal dittatore Saleh. Molti avrebbero tutto da perdere con la dipartita di Saleh. Per questo esiste anche una lotta interna per impedire che il dittatore sia fatto fuori politicamente.

E per tornare ai Colonnelli egiziani.

Diceva inoltre l’avvocato al microfono del corrispondente al Cairo, che la giunta militare sta assistendo le operazioni della Nato in Libia con invio di mercenari e artiglieria per assistere i ‘ribelli’.
«Chi poi siano questi ribelli, diventa sempre più sospetto», continuava l'intervistato. «E noi cittadini non siamo neanche stati informati e tantomeno interpellati in merito alle operazioni militari egiziane in Libia».
Ma mi chiedo anche chi siano le forze militari egiziane inviate in Libia, perché a detta degli esperti non si tratta affatto di regolari soldati dell’esercito egiziano, ma piuttosto di mercenari reclutati tra immigrati russi, serbi, africani delle zone sub-sahariane. E ovviamente vanno in soccorso dei ‘ribelli’ controllati dalle forze segrete della Nato presenti sul suolo libico.

Da due settimane i cittadini egiziani in piazza chiedono con insistenza l’arresto di Mubarak, la confisca dei suoi beni e conti all’estero, e il processo al dittatore per i crimini contro il popolo commessi durante i 32 anni di ‘stato di emergenza’. Ma chiedono anche le dimissioni del generale Tantawi, capo supremo delle forze armate e in comando della nazione. Si erano fidati di lui, gli egiziani, e ora si sentono traditi. Lo hanno visto conferire con i capi del Pentagono, poi con il premier britannico Cameron in visita nel Cairo appena dopo la caduta di Mubarak per vendere armi a Tantawi e la sua giunta militare. Poi è arrivata Hillary a conferire con Tantawi e ha suscitato le ire del popolo egiziano per avere osato calpestare il suolo di Piazza Tahrir consacrato dal sangue dei 400 martiri uccisi durante l'insurrezione.

Dichiarava il giornalista egiziano Said Zulficar:
«abbiamo davvero poche speranze di portare Mubarak in tribunale e ancora meno di riappropriarci dei suoi fondi che sono sparsi ovunque nei paradisi fiscali e non certo intestati a lui. Ci sono al potere ovunque in Egitto i suoi fedeli. Ora c'è Tantawi al comando, che è stato prescelto da Mubarak 21 anni fa come capo della élite militare al controllo da sempre del paese. Forse gli egiziani hanno una speranza di potersi disfare di lui e di altre figure militari, ma sarà comunque difficile. Ma è soprattutto l’apparato della terribile polizia segreta, con 1, 5 milioni di agenti, che deve essere smantellato. Non solo. Esiste l’enorme e incredibilmente potente partito fondato da Mubarak, l’NDP (National Democratic Party). È un partito con fondi illimitati che non ha rivali politici. I suoi esponenti sono ricchi, potenti e molto influenti ad ogni livello istituzionale. Di recente hanno tenuto un’assemblea e hanno assoldato centinaia di immigrati russi per infiltrare i manifestanti e provocare azioni violente per giustificare l’intervento dei militari in piazza e scoraggiare ulteriori manifestazioni. Ovunque in Egitto gli esponenti di questo partito sono al potere. Non sono stati eletti, ma semplicemente incaricati da Mubarak. Ogni giunta comunale, ogni istituzione, di ogni città e di ogni villaggio, è sotto il controllo degli esponenti del Partito. È di queste figure che dobbiamo disfarci. E credete che sia una cosa semplice? Non certo con questi Colonnelli al comando. Il referendum? È stato un inganno, era ‘tagliato su misura’ per affermare una dittatura. Le prossime elezioni? E chi riuscirà a contrastare il potente NDP? Il 50% degli egiziani vota quello che loro viene suggerito di votare, perché analfabeti. L’altro 50% non sa per chi votare. I movimenti politici di opposizione non godono né di finanziamenti né di leader noti, forti e carismatici».
Ecco di seguito la foto-cronaca degli ultimi giorni nelle piazze del Cairo e di Alessandria. Gli slogan dei manifestanti erano tutti contro Mubarak, Tantawi e Israele. Alcune immagini non sono di grande qualità: sono state 'catturate' da video amatoriali andati in onda in 'streaming'.


Come dicono i titoli dell'immagine in alto: oltre 1 milione in piazza nel Cairo, 500.000 in Alessandria.

In Basso. In Piazza Tahrir tutti chiedono l'apertura della frontiera con Gaza - ovunque le bandiere Palestinesi ...






Come dicono i titoli delle immagini in basso: i manifestanti chiedono la revoca del cosiddetto 'Trattato di Pace' von Israele, si avviano verso l'ambasciata israeliana, e tentano di sostituire la bandiera israeliana con la bandiera Palestinese ...



In basso: come dicono i titoli delle immagini, i manifestanti bruciano le bandiere israeliane in Cairo e Aalessandria ...


... e dichiarano che continueranno a protestare finché la richiesta (dell'apertura di Gaza) sarà accolta ... al momento della messa in onda dei filmati amatoriali, da cui le immagini, uno dei titoli spiega che ci sono stati morti e feriti in Piazza Tahrir ...



In basso: i manifestanti chiedono l'arresto di Mubarak, di altri funzionari al governo, e del generale Tantawi capo supremo delle Forze Armate e del Consiglio Militare ...


In basso: in piazza a manifestare anche alcuni soldati dell'esercito egiziano che denunciano la corruzione all'interno del Consiglio Militare in comando della nazione ...


Venerdì sera molti manifestanti decidono di pernottare nelle tende in Piazza Tahrir, formando un gruppo di protezione intorno ai soldati a cui gli agenti del Consiglio Militare avevano deciso di dare la caccia ... ma le forze al comando di Tantawi fanno irruzione nella piazza di notte ...



... chiedono la consegna dei soldati che hanno protestato contro il Consiglio ...


... poi fanno carica sui manifestanti e sulle tende ...




... ma i manifestanti oppongono resistenza nel tentativo di proteggere i soldati ...

... la mattina dopo, sabato, un soldato scampato racconta che ha visto 2 dei suoi compagni giustiziati stile esecuzione ...


... i colonnelli della giunta miliatare mettono sull'avviso: «non verranno tollerate altre manifestazioni in piazza - ogni tentativo verrà represso con la forza»


In sintonia e solidarietà con la manifestazione annunciata in Piazza Tahrir, anche New York manifesta sabato 9 aprile, contro l'occupazione della Palestina, l'assedio di Gaza, e tutte le guerre in atto nel Medio Oriente ... decine di migliaia i manifestanti e oltre 500 le organizzazioni che partecipano alla marcia ...



In basso. Prende la parola Vinie Burrows: «Siamo uniti con il popolo dell'Egitto, della Palestina, dello Yemen - siamo uniti nell'opporci contro le guerre in Iraq, in Afghanistan, in Pakistan - siamo uniti con i 5 milioni del popolo della Libia, attaccati durante i primi giorni della loro protesta»



In basso. Prende la parola l'autore indo-americano Vijay Prashad: «Molti dicono di essere confusi sulla guerra in Libia, ma non c'è niente da equivocare: è una guerra imperialista come lo sono tutte le altre guerre che facciamo in Iraq, in Afghanistan, in Pakistan»


Prende la Parola Omar Barghouthi della Campagna BDS per il boicottaggio di Israele: «... Abbiamo l'obbligo morale di mettere fine alla nostra complicità con questo crimine, si tratta di semplice decenza umana interrompere la nostra complicità con questi crimini»


Anche nelle strade di New York le bandiere della Palestina e dell'Egitto sventolano fianco a fianco ...


Le immagini sono tratte dal video relativo al servizio della corrispondente di PressTV da New York, Susan Modaress, e si può visionare in questo link.

* * *

E mi permetto di aggiungere questa riflessione.

Il destino dei palestinesi è diventato per me una questione molto personale da molti anni ed è difficile per tanti che conosco condividere questo senso di urgenza che provo. Ecco, vorrei riuscire a fare comprendere ad altri quanto sia in realtà davvero molto PERSONALE per tutti noi la liberazione dei Palestinesi, e ovviamente di tutto il mondo arabo. Quanto ci riguardi e dovrebbe toccarci da vicino.

Non penso di esagerare con la mia affermazione. E so per certo di non essere l'unica persona a coltivare questa convinzione. Propongo una piccola riflessione, che prendo in prestito dall’autore e amico Alan Hart (uno dei maggiori esperti in questioni mediorientali) per spiegare la portata dell’ingiustizia che i palestinesi sono costretti a subire da decenni – a dire il vero da oltre un secolo, ma questo fatto non è noto alla maggioranza delle persone in occidente.

La persecuzione degli ebrei è avvenuta qui, in Europa, non in Palestina. Anzi, i palestinesi sono stati per secoli i migliori protettori degli ebrei. Eppure sono i palestinesi a pagare per la strage degli ebrei commessa in Europa, e anche in Italia.

Abbiamo un obbligo morale a venire in soccorso dei nostri fratelli in Palestina, ognuno nel ruolo che può rivestire o che gli sia più congeniale. Anche solo parlarne è di aiuto: le opinioni possono influenzare le persone che sanno ascoltare.

Un risveglio collettivo delle coscienze può costituire un potere contrattuale molto efficace nei confronti di chi prende decisioni.

E abbiamo l’obbligo morale di aprire gli occhi sulla realtà del regime razzista di Israele, la cui mira è la pulizia etnica dei palestinesi – e non solo dei palestinesi, e lo è da oltre cento anni , da decenni prima dell'ascesa del nazismo in Germania.

Altrimenti Israele diventerà un “Mostro fuori controllo”, sempre per citare Alan Hart, che tuttavia afferma che Israele è già al di là di ogni possibile controllo che si voglia tentare di esercitare.

Quando la frontiera con Gaza si aprirà, sarà il segnale che sta iniziando un vero cambio di Regime in Egitto. E nel mondo arabo. E sarà il segnale che la morsa micidiale esercitata dall’Impero NeoCon Sionista sul Medio Oriente allargato, sta perdendo forza.

Egeria

... continua ...

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