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Questa non è e non vuole essere una recensione, nel senso accademico del termine. Non lo sono neppure le altre che precedono in serie e non lo saranno neppure quelle che seguono. Da un punto di vista tecnico la metodologia è del tutto differente. Quanto per incominciare il libro non l’ho neppure aperto, dopo averlo appena comprato. E già ne parlo. Come mai? È un assurdo! Mi spiego. Ero l’altra sera ad un incontro dove rivedevo l’Autore dopo un intervallo di anni, salvo brevi comunicazioni telefoniche. Veneziani, che rivedevo comunque volentieri, ha parlato di questo suo ultimo libro, ma non solo. Il dibattito è stato più ampio. Naturalmente, ho quindi comprato il libro, ma il suo contenuto mi è noto dall’esposizione che ne ha fatto l’Autore stesso.
La spiegazione del libro, che è una riflessione su Seneca, è tutta nel suo titolo. Intende dire che non possiamo accontentarci di un’esistenza puramente vegetativa, che può avere forse un parziale riscontro nell’aspressione “tirare a campare”. Le nostre sono state descritte come le società del benessere, anche se poi questo benessere si scopre che è sempre stato assai inegualmente distribuito e attraverso i condizionamenti mediatici il più poveraccio di tutti si sentiva un vicino di casa di un Agnelli, perché insieme faremmo tutti parte di un “noi”. Non è mai stato così e l’inganno si sta rivelando ai nostri giorni in modo flagrante: la FIAT dopo aver lucrato infiniti aiuti di stato, che abbiamo pagato “noi” poveracci, porta quegli stessi soldi, al sicuro, all’estero. Quindi sono portato a credere che la “società del benessere” in realtà non è mai esistita.
È invece esistita, ed esiste tuttora, sempre più forte, l’atomizzazione degli individui. La loro riduzione da ogni tendenza all’aggregazione comunitaria ed identitaria a quella atomistica del consumatore dove tanto più sei un “Qualcuno” quanto più consumi e quanto più appari, magari in televisione o i giornali parlano di te. Si assiste sempre più ad uno svuotamento interiore dell’individuo che lo rende poi permeabile a qualsiasi contenuto gli si voglia dare. I processi qui sono lunghi, molteplici e complessi. Ed andremmo fuori strada, smarrendoci, se cercassimo di delinearli e descriverli. Veneziani ha perfettamente intuito il problema, ma non credo che sia nelle sue intenzioni una sociologia dello smembramento sociale.
Non ho fatto a Veneziani la classica domanda che uno del pubblico fa all’Autore del libro che si presenta. Non sarebbe stata né un’obiezione e nemmeno un’osservazione, ma solo una riflessione a margine che però Marcello aveva ben presente, come ho potuto accorgermi da una risposta che ha dato ad altri. Quello che lui dice è che dobbiamo reagire con tutte le nostre forze alla riduzione nel privato più angusto, accompagnato o no sa benessere. Giustamente, non indica Veneziani il come, la forma in cui ciò debba avvenire. Se lo facesse, si trasformerebbe nell’ennesimo propagandista di quella o quell’aggregazione politica, ormai tutte screditate, una più dell’altra. Vedendolo dopo non so quanti anni mi sono premurato io dargli un volantino, che ha la sola pretesa di essere una stessa reazione a quel processo di disintegrazione della nostra società. Quando dobbiamo reagire? Ora o mai più! Su alcune cose, riguardanti l’attualità politica, da lui accennate, potrei forse non essere d’accordo con Veneziani. Ma si tratta di questioni che spero di poter affrontare con lui direttamente in una prossima occasione.
Conoscevo Marcello Veneziani come saggista politico, non come cultore di filosofia ed è per me una piacevole sorpresa questa sua profonda vena, che lui stesso dice essenziale per tutta la sua formazione. Il libro pare non abbia avuto finora nessuna recensione sui giornale, pur avendo un successo di lettori e di vendita. Ho già detto che neppure questa è una recensione. E non saprei neppure se sarei in grado di scriverlo, in un senso strettamente tecnico, non essendo io uno specialista di Seneca. Ne ho parlato qui per la valenza “politica” e “civile” di questa nuova opera di Veneziani, con la quale – ci ha detto – non intende ritirarsi dal mondo negli orti privati della filosofia. Ma anzi, al contrario, proprio traendo impulso dalla filosofia egli ci dice che dobbiamo impiegare tutte le nostre forze, hic et nunc, per rifondare le ragioni del nostro stare insieme. Senza ricette precostituite, ma rimboccandoci le mani e lavorando sodo senza ripetere gli errori dei nostri verdi anni e soprattutto non andando dietro a quei ciarlatani, profittatori di regime, che ci taglieggiano e tiranneggiano ogni giorno. Forse questa è la sfida maggiore, non se se espressamente contemplata da Veneziani, quella di produrre un intero nuovo ceto politica, diffidando in via preventiva di tutti i riciclati che intendessero affacciarsi dopo il crollo prossimo ventura.
E che il libro non intendo leggerlo? Non aprirlo neppure? Ho già accennato a Marcello Veneziani di questa mia “scrittura sull’acqua”, del tutto diversa dalla scrittura sulla carta stampa, che dà un senso di solidità e durata. Tra i miei tanti blogs ve ne uno negletto e trascurato da parecchio tempo, intitolato “Meditazioni filosofiche”, dove intendevo ed intendo perseguire un “ritiro” credo analogo a quello di Veneziani nel suo “Vivere non basta”. Mi riprometto quindi, ma su tempi lunghi, di annotare a margine di pagina, tutte le mie modeste riflessione, di nessuna pretesa, che emergeranno dalla lettura del libro. Glielo ho annunciato all’Autore, che dopo questo primo pronunciamento sul suo libro seguiranno a distanza di tempo, di volta in volta, magari intervallando il libro con la bella edizione di Seneca che vedo sulla destra, in uno scaffale della mia Biblioteca... Ma guarda un po’ che razza di recensione sarebbe mai stata questa! Non ho neppure detto l’essenziale sul libro. E cioè che Veneziani immagina che il Lucilio al quale sono indirizzate le famose Lettere di Seneca, rispondesse a sua volta al Maestro, verso il quale scrive in tono dimesso e referente, come si addice ad un allievo. Si tratta chiaramente di lettere apocrife e qualche Lettore piuttosto ingenuo ha chiesto a Veneziani se sono veramente le lettere di Lucilio, scoperte chissà dove. Può essere forse solo vero che Veneziani si identifichi con il Lucilio storico e immagini una risposta. Ma per giocare anche noi con questa finzione dobbiamo rinviare alle nostre proprie «Meditazioni Filosofiche», dove appena postato un post (= chiedo scusa di queste brutte espressioni, ormai tcniche) dal titolo: «Leggendo Marcello che si finge Lucilio e scrive a Seneca».
La spiegazione del libro, che è una riflessione su Seneca, è tutta nel suo titolo. Intende dire che non possiamo accontentarci di un’esistenza puramente vegetativa, che può avere forse un parziale riscontro nell’aspressione “tirare a campare”. Le nostre sono state descritte come le società del benessere, anche se poi questo benessere si scopre che è sempre stato assai inegualmente distribuito e attraverso i condizionamenti mediatici il più poveraccio di tutti si sentiva un vicino di casa di un Agnelli, perché insieme faremmo tutti parte di un “noi”. Non è mai stato così e l’inganno si sta rivelando ai nostri giorni in modo flagrante: la FIAT dopo aver lucrato infiniti aiuti di stato, che abbiamo pagato “noi” poveracci, porta quegli stessi soldi, al sicuro, all’estero. Quindi sono portato a credere che la “società del benessere” in realtà non è mai esistita.
È invece esistita, ed esiste tuttora, sempre più forte, l’atomizzazione degli individui. La loro riduzione da ogni tendenza all’aggregazione comunitaria ed identitaria a quella atomistica del consumatore dove tanto più sei un “Qualcuno” quanto più consumi e quanto più appari, magari in televisione o i giornali parlano di te. Si assiste sempre più ad uno svuotamento interiore dell’individuo che lo rende poi permeabile a qualsiasi contenuto gli si voglia dare. I processi qui sono lunghi, molteplici e complessi. Ed andremmo fuori strada, smarrendoci, se cercassimo di delinearli e descriverli. Veneziani ha perfettamente intuito il problema, ma non credo che sia nelle sue intenzioni una sociologia dello smembramento sociale.
Non ho fatto a Veneziani la classica domanda che uno del pubblico fa all’Autore del libro che si presenta. Non sarebbe stata né un’obiezione e nemmeno un’osservazione, ma solo una riflessione a margine che però Marcello aveva ben presente, come ho potuto accorgermi da una risposta che ha dato ad altri. Quello che lui dice è che dobbiamo reagire con tutte le nostre forze alla riduzione nel privato più angusto, accompagnato o no sa benessere. Giustamente, non indica Veneziani il come, la forma in cui ciò debba avvenire. Se lo facesse, si trasformerebbe nell’ennesimo propagandista di quella o quell’aggregazione politica, ormai tutte screditate, una più dell’altra. Vedendolo dopo non so quanti anni mi sono premurato io dargli un volantino, che ha la sola pretesa di essere una stessa reazione a quel processo di disintegrazione della nostra società. Quando dobbiamo reagire? Ora o mai più! Su alcune cose, riguardanti l’attualità politica, da lui accennate, potrei forse non essere d’accordo con Veneziani. Ma si tratta di questioni che spero di poter affrontare con lui direttamente in una prossima occasione.
Conoscevo Marcello Veneziani come saggista politico, non come cultore di filosofia ed è per me una piacevole sorpresa questa sua profonda vena, che lui stesso dice essenziale per tutta la sua formazione. Il libro pare non abbia avuto finora nessuna recensione sui giornale, pur avendo un successo di lettori e di vendita. Ho già detto che neppure questa è una recensione. E non saprei neppure se sarei in grado di scriverlo, in un senso strettamente tecnico, non essendo io uno specialista di Seneca. Ne ho parlato qui per la valenza “politica” e “civile” di questa nuova opera di Veneziani, con la quale – ci ha detto – non intende ritirarsi dal mondo negli orti privati della filosofia. Ma anzi, al contrario, proprio traendo impulso dalla filosofia egli ci dice che dobbiamo impiegare tutte le nostre forze, hic et nunc, per rifondare le ragioni del nostro stare insieme. Senza ricette precostituite, ma rimboccandoci le mani e lavorando sodo senza ripetere gli errori dei nostri verdi anni e soprattutto non andando dietro a quei ciarlatani, profittatori di regime, che ci taglieggiano e tiranneggiano ogni giorno. Forse questa è la sfida maggiore, non se se espressamente contemplata da Veneziani, quella di produrre un intero nuovo ceto politica, diffidando in via preventiva di tutti i riciclati che intendessero affacciarsi dopo il crollo prossimo ventura.
E che il libro non intendo leggerlo? Non aprirlo neppure? Ho già accennato a Marcello Veneziani di questa mia “scrittura sull’acqua”, del tutto diversa dalla scrittura sulla carta stampa, che dà un senso di solidità e durata. Tra i miei tanti blogs ve ne uno negletto e trascurato da parecchio tempo, intitolato “Meditazioni filosofiche”, dove intendevo ed intendo perseguire un “ritiro” credo analogo a quello di Veneziani nel suo “Vivere non basta”. Mi riprometto quindi, ma su tempi lunghi, di annotare a margine di pagina, tutte le mie modeste riflessione, di nessuna pretesa, che emergeranno dalla lettura del libro. Glielo ho annunciato all’Autore, che dopo questo primo pronunciamento sul suo libro seguiranno a distanza di tempo, di volta in volta, magari intervallando il libro con la bella edizione di Seneca che vedo sulla destra, in uno scaffale della mia Biblioteca... Ma guarda un po’ che razza di recensione sarebbe mai stata questa! Non ho neppure detto l’essenziale sul libro. E cioè che Veneziani immagina che il Lucilio al quale sono indirizzate le famose Lettere di Seneca, rispondesse a sua volta al Maestro, verso il quale scrive in tono dimesso e referente, come si addice ad un allievo. Si tratta chiaramente di lettere apocrife e qualche Lettore piuttosto ingenuo ha chiesto a Veneziani se sono veramente le lettere di Lucilio, scoperte chissà dove. Può essere forse solo vero che Veneziani si identifichi con il Lucilio storico e immagini una risposta. Ma per giocare anche noi con questa finzione dobbiamo rinviare alle nostre proprie «Meditazioni Filosofiche», dove appena postato un post (= chiedo scusa di queste brutte espressioni, ormai tcniche) dal titolo: «Leggendo Marcello che si finge Lucilio e scrive a Seneca».
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