venerdì 1 aprile 2011

E se li sbarcassimo a Nizza?

Post in rielaborazione
sulla scorta delle nuove notizie,
ma anche delle osservazioni degli stessi lettori.


Penso di avere degli obblighi verso i miei quattro, cinque o trenta Lettori che seguono assiduamente ciò che esce su questo blog. Ho già formulato altre volte le ragioni di questo mio scrivere “sull’acqua” e non voglio adesso ripetermi, avendo poco tempo e volendo concentrami su un solo pensiero, che è ora nella mia mente e che a cascata ne potrebbe generare tanti altri. Provo dunque ad immaginare la situazione che segue, insieme con i miei Lettori abituali e fedeli, quelli cioè che mi chiedono, anche in privato, cosa ne penso su questa o l’altra questione.

Immaginiamo dunque l’isola di Lampedusa svuotata degli immigranti clandestini, irregolari o come altro si voglia chiamarli, ma non “profughi” che non ce ne sono. Quali sarebbero poi mai questi profughi? I libici? Scacciati da chi? Da Geddafi o dal Consiglio dei Ribelli? Ma se se sono libici filo-geddafi non sarebbero per questo dei “criminali” essi stessi, essendo ormai stato battezzato Geddafi come il Criminale? La stessa persona che fino al giorno prima veniva ricevuta con tutti gli onori da chi oggi scarica missili e bombe sulla sua testa, sulla sua famiglia, sulla sua gente? L’evoluzione sul campo in momenti in cui scrivo indica che non è affatto improbabile che a chiedere asilo politico siano i cittadini pro-Geddafi in fuga dalla truppe ribelli, armate e ammaestrati dalla CIA e dai servizi inglesi, che operano in incognito, per dare man forte ad una delle parti nella guerra civile ormai delineatasi. Leggo addirittura sul Corriere di oggi, in un articolo di Guido Olimpio, che i comandanti NATO:
«Ieri hanno ammonito gli stessi insorti: se minacciate i civili pro Gheddafi sarete colpiti anche voi. Un avvertimento che non farà piacere agli oppositori. La Babele atlantica è totale».
Se non fosse altamente tragica, sarebbe una situazione esilarante. E dunque risulta quanto mai verosimile che dovremmo concedere asilo politico ai sostenitori di Geddafi, appena il Consiglio della Rivoluzione, ovvero il Governo di Transizione, già riconosciuto da alcuni paesi, di fatto compreso il nostro, si saranno insediati al potere, con l’aiuto dei nostri aerei, delle nostre basi, della Santa Alleanza NATO, i cui obiettivi strategici restano: a) tenere Israele impunita; b) mantenere le basi americane in Europa. Il resto è tutto chiacchiera.

Mah! Veniamo però ai Tunisini che sono sbarcati a Lampedusa con l’intenzione di andare in Francia, praticamente una loro patria matrigna. In Italia, ferve il dibattito su dove si debbano allocare questi “clandestini” o “irregolari”. In un modo o nell’altro li respingono tutti, nessuno li vuole, tutti facendo a scaricabarile ma tutti dando la colpa al governo italiano, non alla Francia e all’Inghilterra, che scientemente hanno voluto metterci in questa situazione senza assumersene gli oneri. La cultura della “solidarietà” occupa curiosamente molto spazio, in quei “postriboli” televisivi detti “talk show”, in un paese che ha celebrato l’ennesimo tradimento della sua lunga, secolare storia di ribalderie di ogni genere, il cui brillante inizio possiamo associarlo ad un nome: Maramaldo, ossia un soldato di ventura della prima metà del Cinquecento a cui fu riferita l’apostrofe:

«Vile, tu uccidi un uomo morto!»

Che Geddafi sia un “uomo morto”, è cosa data per scontata da tutti gli analisti. Personalmente, per un senso di pietà, mi auguro che Geddafi scelga per sé la via più dignitosa: la morte per mano dei suoi ignobili nemici. Avendo vissuto ormai abbastanza e rimanendogli pochi anni di naturale decorso della sua vita, potrà celebrare una sua vittoria postuma, scegliendo di morire con le armi in mano e lasciando ai posteri di giudicare chi faccia più bella figura in questa storia assai brutta e per nulla edificante. Accettare l’esilio da parte sua, sarebbe riconoscere ai suoi aggressori un “diritto” ed una “dignità” che non hanno. Il “dittatore”, accettando una via di fuga, aggiungerebbe il suo “suicidio” politico e morale all’«omicidio» che si va consumando sul suo corpo e sul suo popolo. Se catturato, possono inscenare un “processo”, ma solo dopo aver definitivamente sancito quella morte del diritto internazionale, su cui ha scritto anche Noam Chomsky, chiarendo come ormai con questo termine si intenda ciò che gli US-Israel dicono esser tale: ciò il loro più assoluto arbitrio. Quando Bettino Craxi gli salvò una volta la vita, non volle sporcarsi le mani di quel sangue che i killer americani, nostri alleati, spargono diffusamente in ogni angolo del pianeta, fin dagli inizi della loro “gloriosa” democrazia – la più “antica” del mondo così come quella israeliana è l’«unica» nel medio oriente – costruita sul genocidio degli indiani d’America, il cui “destino” era quello di lasciar spazio a tanto seme!

Geddafi un dittatore? Può darsi. Anzi certamente! E non sono io il suo cantore! Ma sorgono una serie di problemi. Innanzitutto una definizione rigorosa di cosa sia “dittatura”. Mi permetto di rinviare alla mia edizione del libro di Carl Schmitt dedicato appunto alla “Dittatura”, dove si parte dalla dittatura di epoca romana per poi distinguere sul piano teorico fra dittatura sovrana e dittatura commissaria. Si scopre perfino che la dittatura può avere un fondamento democratico. Altro ordine di problemi è poi la ridefinizione dei nostri concetti di “democrazia” e di istituzioni rappresentative ovvero di procedure elettorali. I passaggi logici sarebbero numerosi e complessi, ma se ne avessimo il tempo potremmo arrivare alla conclusione che una certa democrazia è certamente peggiore di una certa dittatura.

Dunque, Geddafi è l’«uomo morto» della giostra fiorentina. E chi invece il Maramaldo? Io non avrei esitazione a riconoscerlo in questa Italia dalem0-napoletanesca, ma senza escludere quel Bocchino che l’altra sera faceva del sarcasmo linguistico sul “casinò” ventilato da Berlusconi ai lampedusani, proprio lui con quel nome! Aggiungo anche gli innumerevoli personaggi che ogni sera il regime ci ammannisce come se fossero nostri legittimi rappresentanti, che pensano e rappresentano ciò che noi stessi secondo loro penseremmo o dovremmo pensare. Ma se io sono e posso dirmi italiano, non ho gioito per i ringraziamenti che Obama ha fatto al nostro Presidente. Ringraziamenti di cosa e per cosa? Di essere stati buoni servi? E vili traditori di un trattato di amicizia ancora fresco di inchiostro, dove era testualmente scritto che l’Italia non avrebbe mai concesso le sue basi per attacchi alla Libia? Il problema è qui se noi, comuni cittadini, senza potere – tanti “signor Nessuno” – dobbiamo considerarci responsabili e addossarci gli oneri per cose che altri hanno fatto in nostro nome e che noi invece non abbiamo mai riconosciuto come nostri legittimi rappresentanti. Se ai “ribelli” libici è riconosciuto da una presunta “comunità internazionale” il diritto di “non” riconoscere quello stesso governo che fino al giorno prima veniva riconosciuto e ricevuto come rappresentante del “popolo” libico, perché a noi non dovrebbe essere riconosciuto un eguale diritto di “non” riconoscere chi non ci aggrada e non si accorda con il nostro modo di sentire? Dobbiamo credere alla farsa elettorale di un sistema che perfino l’ex-Congo Belga ha rifiutato perché considerato antidemocratico? Abbiamo un parlamento che con il suo attuale ministro degli esteri mi ha fatto sempre pensare ad una sottocommissione della Knesset che non al parlamento sovrano di un popolo sovrano, che dovrebbe essere ma non è il popolo italiano, costretto alla guerra ed alla violazione della sua stessa costituzione, pur imposta con la sconfitta bellica, ogni volta che il Padrone lo comanda.

Sento che mi sto allontanando da quello che voleva essere un discorso semplice, in pratica, la descrizione di uno scenario fantastico ma possibile, se appena il buon Silvio avesse gli attributi che pare gli manchino ovvero se qualcuno non lo tenesse ben stretto per quegli stessi attributi: non possiamo conoscere i misteri della politica e non capiamo perché Berlusconi non abbia negato l’uso delle basi, rispettando il trattato italo-libico e salvando il nostro onore oltre che i nostri interessi. Dunque, facciamo salire sulle navi i “tunisini”. Li laviamo, curiamo, rifocilliamo sulle navi stesse, durante il lungo viaggio dall’isola di Lampedusa al porto di Nizza, che fu la patria del nostro eroe Garibaldi, prima che i Savoia la barattassero con i cugini francesi. E quindi li consegniamo allo spirito umanitario di Sarko, di cui qualche anno addietro si vociferava, se ben ricordo sul Figaro, che fosse stato un agente del Mossad, cosa che un gruppo di francesi, incontrato per le vie di Roma, credo lo stesso giorno in cui Sarkò era a san Giovanni in Laterano, escludeva con la motivazione che una spia è normalmente persona intelligente, cosa che che – dicevano quei francesi – non si poteva riconoscere per il loro Sarkò.

Giunti a Nizza o nelle sue vicinanze, il messaggio dei comandanti delle navi italiane, dovrebbe essere all’incirca il seguente: «Ecco, vi portiamo i vostri figliastri, che avete colonizzato per più di un secolo. Parlano perfino la vostra lingua. Vengono dalla Tunisia, dove il vostro ministro degli esteri è stato ospite fino a pochi mesi addietro. Sono vostri figli che vogliono congiungersi a voi, che siete la loro madre o il loro padre. Come potete non accoglierli in questa emergenza prodotta dai vostri bombardamenti “umanitari” sulla Libia? O volevate forse che ci facessimo noi carico dei vostri figli? Noi che con la Libia eravamo appena riusciti a farci perdonare i nostri trascorsi coloniali! E voi ci avete rotto le uova nel paniere? Volevate il petrolio? E lasciare a noi i disatri “umanitari” prodotti dalle vostre bombe? Siete proprio dei gran figli di p...! Provate adesso a bombardare pure noi!»

Conosciamo già i miserabili sofismi con cui i cugini francesi cercano di liberarsi dei loro “figli del peccato” coloniale, che è larga parte della loro non gloriosa storia. Noi abbiamo avuto i nostri peccati, in particolare con la Libia. Ma stavamo riparando, avevamo appena stipulato e ratificato un “trattato di amicizia italo-libico” che poteva essere una quasi-federazione: voi ci date il vostro petrolio e gas e noi vi diamo in cambio tutto quello che vi serve. I libici godevano già del migliore tenore di vita di tutto il continente africano. Geddafi non faceva mancare loro nulla: casa, lavoro, assistenza... Mancava loro la “libertà”? Ma quale libertà? Che roba è? Bisogna essere assai ignoranti di storia libica per non sapere dell’assetto tutto tribale della società libica. Probabilmente nei prossimi giorni si parlerà di Senussia e si scoprirà che è di gran lunga irriducibile ai nostri logori ideologismi. Non abbiamo forse appena visto i “ribelli” abbandonare l’imparaticcio sulla “libertà” e i “diritti umani”, per mettere subito le mani sul... petrolio, che il Qatar (!) si è subito offerto di commercializzare? A chi? Ma quale libertà del c…? Dicono libertà, ma si intende petrolio, sfruttamento, asservimento, oggi come ieri: cambia la forma, ma non la sostanza. Il lupo colonialista franco-britannico perde il pelo, ma non il vizio. Un petrolio che non andrà più verso l’Italia, che lo comprava a prezzi che costarono la vita a Enrico Mattei. Adesso il petrolio andrà verso la Francia, la Gran Bretagna, gli USA... All’Italia, se farà la brava, sarà riservata qualche briciola! A caro prezzo, beninteso! È questa più o meno la grande linea politica alternativa della nostra Opposizione democratica: facciamo i bravi maramaldi e ce ne verrà qualcosa in tasca. Altrimenti resteremo a bocca asciutta. Si dice vogarmente: “cornuti e mazziati”.

Già, mazziati. Concordo con chi dice che si è in realtà trattato non di un “attacco alla Libia”, ma di un attacco trasversale all’Italia. Lo stesso attacco che sul piano interno le nostre Quinte Colonne combattono a colpi di bunga bunga. Nella geopolitica tutto si tiene. Se i nostri cugini o i nostri padroni d’Oltreoceano, pensano che per i selvaggi beduini della Libia le bombe e i missili siano il linguaggio adeguato, per la civilizzata Italia lo strumento adatto sia il bunga bunga ed un giustizialismo dipietrista di assai oscure ed inquietanti origini. Forse, a qualche mio lettore urta questa mia sortita contro Di Pietro, ma il personaggio mi è venuto in forte sospetto da quando si è schierato con i sionisti per cancellare anche in Italia ogni residua libertà di pensiero. Altro qui non aggiungo. Le guerre inter-europee non sono affatto finite. E quella tra Francia ed Italia è una vera e propria guerra. Perché guerra sia non è affatto necessario che vengano lanciati missili dall’una e dall’altra parte. In Italia, poi, la guerra civile non è mai cessata dai tempi delle rivolte di popolo contro Murat, percorrendo tutto il nostro Risorgimento e fino alla celebrazione della Resistenza e della Liberazione, di cui raccogliamo i frutti proprio a Lampedusa e a Ventimiglia o a Trapani e in ciascuno delle oltre 100 basi in cui i nostri Vincitori/Liberatori si sono insediati in pianta stabile, per l’eternità, for ever, come loro dicono nel loro linguaggio che presto soppianterà il nostro idioma-

Sono già stanco. Mi avvio alla conclusione di queste disordinate annotazioni sulle quali dovrà ritornare, spero di poter ritornare. Proviamo dunque ad immaginare cosa potrebbe succedere quando le nostre navi, battenti bandiera italiana, fossero giunte all’ingresso del porto di Nizza. Una scena alla Mavi Marmara? Ho detto bene: Mavi Marmara! Cosa ha fatto allora la Francia? Per il milione e mezzo di palestinesi che vivono nel campo di concentramento di Auschwitz, pardon di Gaza, ha forse sentito il bisogno di mandare i suoi aerei a bombardare le infrastutture militari israeliani?

Anche le infrastrutture atomiche che proprio la Francia ha fornito a Israele? Ricordate cosa successe nel 1956? Francia, Inghilterra e Israele avevano tentato il colpaccio contro l’Egitto! La nostalgia coloniale di allora non ha ancora abbandonato il duetto anglo-francese. Che diamine! Sono stati grandi potenze! In tutto il mondo hanno lasciato il marchio delle loro infamie. Hanno stuprato tutto il mondo. Alla vigilia della prima guerra mondiale, nel 1914, l’85% delle terre emerse era sotto dominio coloniale europeo, in larga parte inglese e francese. La Tunisia faceva parte dello stupro coloniale. La lingua francese che si parla in Tunisia è il frutto tangibile di questo stupro. Ma oggi i francesi, il cui spirito “umanitario” li porta a bombardare la Libia, per poi a parziale rimborso spese prenderne il petrolio, non ne vogliono sapere di accogliere in casa loro i loro figli tunisini e proprio a noi vengono a sciorinare il loro latinorum di trattati che si applicano quando conviene e si respingono quando non fa comodo.

La partita, certamente, non è ancora chiusa. Forse è solo appena cominciata. Cercherò di seguirla e capirci qualcosa, per poi raccontarlo ai miei quatto, o cinque, o trenta Lettori. Se fosse per me, starei zitto, perché so bene come nei momenti critici della storia è tremendamente difficile saper distinguere fra chi è il nemico e chi l’amico. Per me, è nemico chi ci tiene servi e ci opprime con oltre 100 basi militari, che per giunta dobbiamo pagare, mentre cresce la disoccupazione e le fabbriche che ci hanno spillato tanti soldi oggi lasciano il Bel Paese, per fare migliore affari altrove. La perdita della sovranità ci lascia indifesi e privi di lavoro, benessere, salute, dignità.




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