mercoledì 22 giugno 2011

Verso Gaza 26: Riprende la navigazione contro il blocco e con essa la diffamazione dei naviganti.

Home / PrecedenteSuccessivo
No - Riconoscimento - BDS

Le notizie sulla FF2 di questi ultimi mesi sono stati contrassegnati da continui arresti, rinvii e riprese. Sono stati fortissimi gli interventi della diplomazia israeliana sui governi “amici” per indurli a frapporre ogni possibile ostacolo alle partenze delle navi dai rispettivi porti.
Le bugie di ogni genere si sono sprecate e non metteva conto scriverne per ognuna di esse. Abbiamo detto più volte che nostro scopo non è la cronaca degli eventi, ma la riflessione su di essi. La nostra memoria corre ai primi navigli che da Cipro erano giunti a Gaza, superando incredibilmente il blocco israeliano. Su quelle “barchette” navigava Vittorio Arrigoni, che a Gaza ci è rimasto per anni, trovandovi la morte. Noi non abbiamo dubbi su chi è responsabile della sua morte e poco ci interessano le manovre diversive sul significato della sua vita e sulle circostanze della sua morte, che non è diversa da quella di Rachel Corrie. Adesso la “barchetta” è diventata una Flotilla, la numero 2, che porta il nome di “Vittorio Arrigoni”, alla quale seguirà – si spera – una 3, 4, 5… fino a quando non verrà tolto l’infame blocco che tiene prigionieri un milione e mezzo di persone: la più grande prigione del mondo! In questa pagina, seguiremo le esternazioni di«odio» di quanti della caccia all’«odio» e dell’attribuzione ad altri di un «odio» inesistente, hanno fatto professione, diffamando chi non ha altro fine che la pace, la giustizia, l’umanità, e perché no, l’amore fra gli uomini.

SOMMARIO : 1. Da “Shalom” e da un ricercatore del CDEC. – 2. Liste e liste. – 3. Triste ed esilarante: la carità pelosa degli “amatori” di professione. – 4. La vergogna istituzionale. – 5. La diffamazione quotidiana. – 6. La favola brutta del terrorismo. – 7. Fandonie targate UCEI. – 8. Analisi istruttive e degne di attenzione. – 9. Hanno smesso di sghignazzare. – 10. Questo sì che è un uomo! –

1. Da “Shalom” e da un ricercatore del CDEC. – Sia la rivista “Shalom” sia il “ricercatore” ci sono noti. Abbiamo loro scritto più volte, ma senza esito. Prendiamo atto di ciò che ora scrivono e ci asteniamo da una polemica, che non vogliamo inasprire e portare su un piano personale, come anche evitiamo di commentare altre patetiche esternazioni contro la contestazione della kermesse milanese. Vivaddio, è ancora possibile manifestare in Italia il proprio dissenso e la propria critica politica, senza dover leggere le veline che ci vengono consegnate. Ribadiamo tuttavia che è ormai stancante e totalmente priva di senso l’accusa di “odio” che così spesso questi signori attribuiscono ad altri, ma che non ha nulla a che fare con le pagine evangeliche dove si parla di “amore del prossimo”, di cui non ci sembra essi abbiano mai dato prova. La condizione di un milione e mezzo di persone che vivono sotto assedio in Gaza da oltre 5 anni, l’esistenza di campi profughi che risalgono alla pulizia etnica del 1948, di cui proprio un ebreo israeliano ha reso edotta perfino la rivista “Civiltà Cattolica”, che ne recepisce pienamente i risultati e la fondatezza storico-scientifica, tutto questo non è ammissibile con condizioni di civiltà, per le quali oggi i nostri governanti pretendono di essere su uno standard etico superiore ai governi europei degli anni trenta. L’orrore è stato di gran lungo superato ed è cresciuta a dismisura una ipocrisia che “nega” l’evidenza delle cose e dei fatti. L’apparato ideologico e le strutture, anche carcerarie, su che le organizzazioni lobbistiche ispirate dal governo di Israele, premono l’acceleratore, hanno per lo meno il pregio di far uscire allo scoperto quanti operano ordinariamente nell’ombra. È da sperare che la politica assuma in pieno la sfera della pubblicità che la caratterizza e ne determina l’essenza, aprendo gli occhi a 60 milioni di italiani, che si trovano in guerra senza saperlo, in Iraq, in Afghanistan, il Libia, e che attraverso un governo, ostaggio di una potente Lobby, sostengono la peggiore tirannia del Medio Oriente, ossia il “governo sionista di Israele”, di cui “Piombo Fuso”, il rapporto Goldstone, per nulla sconfessato, malgrado le pressioni esercitare su uno dei suoi relatori, la strage della Mavi Marmara ed il ultimo il “tiro al tacchino” sulle alture del Golan, fanno aprire gli occhi a quanti non vogliono tenerle colpevolmente chiusi. La nozione di “stato criminale”, per quanto io sappia, è stata coniata nel 1957 dal filosofo tedesco Karl Jaspers, che l’applicava allo stato nazista, ma poi è stata spesso riferita dall’ebreo Noam Chomsky allo stato di Israele, ed il nostro filosofo Bontempelli non fa che basarsi su una consolidata tradizione, per verificare un dato che oggi giorno diventa sempre più evidente anche ad osservatori distratti. Speriamo non vogliano tentare una nuova campagna contro la libertà di pensiero e di espressione di Massimo Bontempelli, che non conosciamo, ma al quale già da adesso esprimiamo la nostra solidarietà. Se, per citare un solo esempio, la pulizia etnica del 1948 in Palestina è stata – come dimostra l’ebreo Ilan Pappe – l’equivalente dell’odierno normativa sul genocidio, allora la nozione di Israele come “stato criminale”, è la semplice conclusione di un sillogismo. Si può lasciare in pace Massimo Bontempelli e chiunque altro abbia la facoltà del raziocinio. Il ricercatore del CDEC, cha va a caccia di pregiudizi altrui, poco curandosi dei suoi, piuttosto che denigrare i critici del sionismo, farebbe meglio ad elencarcene i pregi, del sionismo “più becero” e anche di quello meno becero, in modo che tutti noi, che non riusciamo a vederli, possiamo ricrederci dei nostri “pregiudizi”, ringraziandolo fin d’ora per i “lumi” che certamente ci porterà.

2. Liste e liste. – Ad aver pubblicato una lista di nomi simili, qualche anno fa, si gridò alla “Lista nera” e la persona che aveva semplicemente riportato nomi che ancora sono pubblici in numerosi siti subì un procedimento giudiziario, di cui non so nulla. Era allora una lista di nomi di “anti-boicottatori”. I firmatari intendevano opporsi ai docenti inglesi che avevano deciso il boicottaggio delle università israeliane. Naturalmente, ognuno che metta la firma in un appello pubblico, se ne assume un onere che è pubblico. Può essere un titolo di merito o di demerito, a seconda da che parte viene in giudizio, ma certamente non dovrebbe essere né un titolo di reato l’aver dato o non dato la propria adesione ad un appello, e meno che mai un titolo di reato aver riprodotto liste pubbliche di nominativi. La singolarità è che, per un pregiudizio radicato per legge, deve considerarsi “buona” la mia lista, e “cattiva” la tua. Altra singolarità è l’uso infinitamente ipocrita del concetto di “odio”. Lor Signori trucidano ed ammazzano nove persone disarmate sulla “Mavi Marmara” e chiamano “odio” il lamento delle vittime moribonde. Appunto, la vittima che si lamenta o soffre e manifesta la sofferenza di cui è oggetto, per costoro non fa altro che “odiare” il suo carnefice. Il mondo ideale, per costoro, evidentemente, è basato o deve basarsi su rapporti masochistiti, che legano vittima e sua carnefici in una relazione di godimento morboso: nel fare il male da una parte e nel subirlo dall’altra.

3. Triste ed esilarante: la carità pelosa degli “amatori” di professione. – Ci sarebbe da ridere se la cosa non fosse altamente tragica. L’occasione per ridere è data dalle “preoccupazioni” che il team di una nota testata di propaganda sionista, perinde ac cadaver, sempre schiacciata su ogni starnuto che viene da Tel Aviv, alla notizia che una giornalista del “Corriere della Sera” parteciperebbe alla spedizione della Flotilla II, di cui sono stati fino adesso infiniti i tentativi e le pressioni per non farla partire. In Israele, sono state fatte dall’esercito israeliano simulazioni di assalto alla Flotilla, ma il rischio che si verifichino gli stessi luttuosi incidenti della Mavi Marmara, permangono. Giova ricordare che ai partecipanti della Flotilla I furono sequestrati tutti gli apparati fotografici, computer e quanto altro potesse servire per comunicare al mondo ciò che succedeva in tempo reale. Israele, come già durante “Piombo Fuso”, teme l’informazione indipendente, diversa da quella “embedded” normalmente praticata. Che una giornalista del principale quotidiano italiano intenda fare “giornalismo d’inchiesta” è cosa che non dovrebbe stupire. È da ricordare, per chi non lo sapesse, che il modo ordinario in cui i giornalisti svolgono il loro mestiere di informarci consiste nello starsene in albergo, a quattro stelle, ed aspettare i motociclisti dell’esercito americano o israeliano, i quali portano loro i comunicati ed i filmati. Un notissimo giornalista, che ha fatto grande carriera, usava fare stendere un lenzuolo dell’albergo, far proiettare il filmato ed apparire davanti come se stesse lui sulle scene di guerra. L’episodio fu rivelato durante una pubblica presentazione, ma ciò non impedì a quel giornalista di percorrere tutti i gradi della sua splendida carriera. È questo un ordinario esempio del modo di fare giornalismo. Che vi sia ancora qualcuno – se è questo il caso – che affronti i rischi del mestiere, è cosa che consente di sperare ancora su un’informazione meno “corrotta” di quella che abbiamo.

4. La vergogna istituzionale. – Ci sarebbe molte cose da dire e commentare, ma intanto preferiamo dare il link che conduce ai dati della vergogna. Il dibattito si svolge, per così dire, fra sordi. Da una parte si sostiene che non vi sarebbero ragioni “umanitarie” e che gli “aiuti umanitari” possono transitare da canali “legittimi”. Ma non è più questa la coscienza globale che sempre più si va delineando: è totalmente “illegittimo” il principio stesso che un milione e mezzo di persone possano essere mantenute in una sorta di enorme campo di prigionia, il cui accesso è impedito da un soggetto che si chiama e si fa chiamare “Stato ebraico di Israele”. Il mondo dice ai governi, che contano sempre meno, all’incirca come un condominio alle prese con banche e usurai, dice loro che non possono impedire a chicchessia di andare a Gaza, la cui condizione è di gran lunga peggiore a quella di Auschwitz, che era un campo di prigionia. È questa ambiguità che probabilmente si andrà sciogliendo durante la FF2, che parta o non parla, che la si lasci o non si lasci partire. Ma in questo caso resterà la domanda: perché non possono partire?

Se vi era bisogno di una prova di “tradimento”, analoga a quella che gli italiani sperimentarono con la fuga del re o l’8 settembre, questa è data dal diniego che il sottogretario alla presidenza del consiglio alla richiesta di protezione proveniente dai cittadini italiani. La relazione protezione / obbedienza è il cardine in cui regge la legittimità del potere. Le conseguenze politiche filosofiche sono di una gravità incalcolabile, di cui solo gli addetti ai lavori, cioè al pensiero politico-filosofico, vedono i contorni. Le essenze filosofiche sono in movimento e nessuno può sapere dove sfoceranno. Si legge che per il governo sarebbe “inopportuna” l’impresa della nave italiana, volta a contestare il blocco inumano di Gaza da parte del governo sionista, me giunge proprio la notizia di un militare ucciso in Afghanistan, il 38°, senza però che si manifestino da parte del governo dubbi sulla “opportunità”, di mantenere 4.000 uomini per invadere un paese, che non ci ha mai dichiarato guerra. E ciò mentre gli italiani si devono preparare a sostenere sacrifici di tipo greco. Aumentano negli italiani, quelli che non hanno prebende e non fanno parte delle Lobbies, i dubbi sull’adeguatezza e la rappresentatività di un’intera classe politica. La vicenda della Flotilla II è rivelatrice dei condizionamenti di politica interna ed estera del governo italiano.

5. La diffamazione quotidiana. – A volte mentre si tenta di occultare determinate verità, altre ben più gravi ne vengono fuori. Si tenta in ogni modo di impedire e diffamare la “Flotilla” e la sua missione. Il braccio di ferro è tuttora in atto. Ma se appena si riflette, non può non risaltare l’assurdità di tutta la situazione. In pratica, un milione e mezzo di persone vivono da cinque anni in una zona recintata, che non può essere definita altrimenti che una prigione. Di tanto in tanto i carceri disinfestano la prigione con bombe al fosforo o infliggono tutte le possibili misure per ridurre il tasso di natalità, per far ammalare e morire di morte in apparenza naturale le persone che ci vivono dentro. Si impedisce infine al resto del mondo, alla cosiddetta “comunità internazionale” di andare a ficcare il naso nelle prigioni israeliane. Paradossalmente si sta inscenando una manifestazione di protesta per un carceriere di confine, che catturato vive pure prigioniero dentro la prigione: prigioniero fra prigionieri. Un mondo decisamente surreale che supera tutte le fiction televisive. E non usciamo fuori dalla ordinaria diffamazione con un poco di latinorum da scuola dell’obbligo. Al tempo stesso, pare alquanto maldestra e inverosimile una controcampagna di immagine, tirando fuori il soldatino Shalit, catturato mentre sorvegliava i confini del lager, e portato prigioniero dentro la stessa prigione di cui sorvegliava i confini e le sbarre. Davvero una situazione surreale come quello del secondino, catturato e tenuto prigioniero nella stessa cella che doveva sorvegliare. Netanyahu non sembra poi voler rispettare la stessa proporzione di 1 a 1000, quando si tratta di scambio di prigionieri. Nel genocidio di “Piombo Fuso” il rapporto era di 1000 morti palestinesi per un morto israeliano, ma Netanyahu non sembra voler accettare lo stesso rapporto sullo scambio dei prigionieri. Probabilmente, e sembra che i genitori lo abbiano capito, a Netanyahu fa più comodo uno Shalit prigioniero che non libero. Nulla di nuovo da segnalare da parte della centrale di propaganda sionista torinese, per la quale non si riesce ad avere quel rispetto che i cavalieri antichi, pur combattendo l’un contro l’altro, riuscivano ad avere. Qui siamo lontani le mille miglia ed è ben strano che facciano il conto del costo delle navi proprio quelli che hanno lucrato e continuano a lucrare in quella che ben altro ebreo, di nome Finkelstein, ha bollato come «L’Industria dell’Olocausto», vera base dell’economia israeliana e della floridezza di cui mena vanto. Dice Alice Walker, pure citata dai sionisti nostrani: «…Tre miliardi di dollari l’anno dei contribuenti vanno al governo di Israele, che spesso li usa per spese militari». E si chiedono invece chi paga le navi della Flotilla! Ma costoro non leggono il Vangelo, non è un loro Libro. Son rimasti indietro. Vedono ciò che vogliono nell’occhio altrui, e non vedono la trave che è nel loro: Gesù Cristo ci aveva avvertito già 2000 anni fa. Potremmo titolare a parte con «L’odio che si affaccia», ma non vogliamo farci prendere da verve polemica, limitandoci ad una notazione di mera cronaca. Non poteva mancare la voce del demografo: ce ne ricorderemo, quando ci chiederanno di firmare per il boicottaggio delle università israeliane. La miserabile sparata, non degna di commento, è la dimostrazione di come uno studioso accreditato non dimostri migliore intelligenza politica di un normale cittadino, quando si tratti di giudicare e decidere sui temi della politica. Diamo nota di una nuova infamia quotidiana.

La diffamazione continua e ne prendiamo nota, per non dimenticare. Si insiste su un’altra bufala diffamatoria, diffusa da un’altra testata sionista, che ha messo in rete una preseunta dichiarazione di un presunto funzionario della Croce Rossa Israeliana, che non solo si arrischia a pronunciare inverosimili giudizi sulla situazione umanitaria di Gaza, dove una popolazione di un milione e mezzo di persone vive in condizione carceraria da oltre cinque anni – e ci si chiede quale idea di umanità abbia siffatto funzionario della Croce Rossa Israeliana – ma stranamente un simile funzionario si pronuncia sul merito della politica israeliana, dando in pratica un beneplacito della Croce Rossa all’Operazione “Piombo Fuso”. Su una simile dichiarazione, originaria dell’«Occidentale», di cui non è difficile ricostruire le connessione mediatiche. Insomma, crediamo di aver individuato una trama mediatica. In effetti, dobbiamo riconoscere, che i grandi media sono piuttosto silenziosi riguardo all’evento FF2. È come se ubbidissero ad un regia. Ma è da vedere il bicchiere anche mezzo pieno. La Flotilla II esiste e se le navi restano di proprietà di chi le ha comprate, ed il governo greco non pensa pure di espropriarle, rivendendole per sanare il suo debito, potranno essere sempre utilizzate per una Flotilla III, magari aumentate di qualche unità. Lo scenario internazionale è in movimento e non si potrà escludere un qualche porto più ospitale, o anche una diversa traiettoria di marcia. È di oggi, 2.7.11, una notizia apparsa su Avvenire, una notizia che fa bene sperare:
«La commissione di riforma politica tunisina ha annunciato ieri di aver adottato - a maggioranza - un «patto repubblicano» che sarà la base della futura nuova Costituzione e in cui si stipula in particolare il rifiuto di qualsiasi normalizzazione con Israele. Il presidente della commissione, Yadh Ben Achour, nel dare l'annuncio del «patto», non ha fornito particolari, ma la stampa tunisina in lingua araba ha pubblicato il contenuto, che definisce la Tunisia un Paese democratico e libero, la cui lingua è l’arabo e la cui religione è l'islam. Il patto, che farà da base alla futura Costituzione, respinge categoricamente «qualsiasi forma di normalizzazione con lo Stato sionista», e appoggia la causa palestinese. La clausola sui futuri rapporti con Israele è stata oggetto di disaccordo tra i membri della commissione. Per il suo inserimento aveva insistito soprattutto il movimento islamico Ennahda…».
Ormai, il dibattito è comunque avviato ed è parso chiaramente che non si tratta semplicemente di portare aiuti umanitari, cosa a cui già provvede la Carovana “Viva Palestina”, ma di contestare fermamente la legittimità di un assedio medievale. L’unità della “primavera araba” sarà forse più facile da ricostituirsi sui temi della solidarietà con la causa palestinese di quanto non lo fosse con i regimi dei Mubarak, che erano in effetti i migliori amici e alleati di Israele. La “democrazia”, quella vera, ha assai poco a che fare con il regime sionista e la causa palestinese resta per tutto il mondo arabo e la coscienza araba una ferita lancinante, che non smette mai di sanguinare. Ma è anche un’offesa profonda per la coscienza democratica europea, quella che non si riconosce nella soggezione agli Usa e non fa della “cupidigia di servilismo” il fondamento della sua pratica di governo e della sua dottrina e filosofia politica. L’irrisione e analisi saputelle erano prevedibili da parte di taluni ambienti e non è il caso di perdervi troppo. Registro per scrupolo filologico e completezza questo genere di articoli, spesso ripetitivi, ma ripeto quanto detto in analoghe circostanze: ai fini della conoscenza del fatto simili articoli non valgono nulla, ma servono soltanto a capire gli ambienti e gli interessi cui siffatti giornalisti sono al servizio. Anzi, è tutta qui e solo qui la loro utilità.

Le vicende quotidiane della Flotilla sono certamente seguite con attenzione dalle testate apertamente e dichiaratamente, anzi ufficialmente sioniste, in lingua italiana. Il tono costante è quello del dileggio e della della saccenza che nulla sa tuttavia di diritto, etica, morale. Inutile cercare la dignità della logica, che pure esiste in politica. Poi è singolare come dai commenti, sempre anonimi, trasudi un “odio”, vero, reale, palpabile, rispetto a quello del tutto inconsistente che viene attribuito agli “odiatori” di Israele. In realtà, sono ormai più che convinto che non si tratti di una richiesta di “amore” in luogo dell’«odio», ma di un perfido espediente per far scattare quella legge Mancino che la stessa Lobby, non solo in Italia, ha previsto e predisposto per colpire gli avversari politici o qualsiasi critica possa venire rivolta ad Israele ed alla Lobby stessa. Purtroppo, non si vede all’orizzonte una qualche forza politica che possa chiedere ed ottenere l’abrogazione di questa legge “politica” disposta a favore di una parte contro l’altra. Consuete farneticazioni e apparenti analisi nonché vistose distorsioni dimostrano tuttavia come quella in atto sia un “guerra ideologica” dove la presentazione dei fatti e delle proprie motivazioni giochi un ruolo assai rilevante. Se tuttavia la “compagnia della FF2” resterà compatta e rafforzerà la sua unità sarà stata una vittoria dei popoli di fronte alle compromissioni dei governi. Nel marasma generale di quanti cercano di pescare nel torbido è un buon che vengano respinte le mani losche del sionismo da parte della dissidenza siriana. Lo si comprende chiaramente da virgolettato di un testo pur chiaramente orientato. La rivoluzione araba probabilmente non è ancora neppure incominciata. Di Ben Alì non si dice ciò che maggiormente interessa ossia che fosse un agente della CIA, il quale comprensibilmente per questo «uno dei più accesi sostenitori della “svolta normalizzatrice” con Gerusalemme». Ma adesso la pacchia è finita, a meno non si trovi subito qualcun altro da corrompere e collocare ai vertice del potere. La costante corruzione dei governanti arabi è stata la costante della politica estera israeliana. I popoli vedono invece nella sofferenza e umiliazione inferta ai palestinesi la propria sofferenza e la propria umiliazione. Corrompere lo spirito di 350 milioni di arabi non è la stessa cosa che pagare trenta danari ciascuno a 350 Giuda Iscariota. Se la FF2 e chissà domani la FF3 avrà contribuito ad una nuova coscienza geopolitica, ad una nuova solidarietà dei popoli contro la corruzioni dei governi, come quello greco, non certo molto amato dal popolo greco, allora forse potremo tutti sperare in una nuova alba, per la nostra generazione, e per quella che ci succederà.

Che quella in atto sia una «campagna di diffamazione» contro la Flotilla lo dicono 10 associazioni pacifiste che a Tel Aviv in un comunicato stampa congiunto hanno condannato il governo israeliano come responsabile di una siffatta campagna.

6. La favola brutta del terrorismo. – Uno dei motivi più ricorrenti della propaganda israeliana, che ha pervaso tutti gli angoli mediatici, divenendo banalità che più non si può, è il cosiddetto “terrorismo”, del quale sarebbero colpevoli tutti i propri critici ed oppositori. Di fronte ad una simile accusa non è più possibile nessuna discussione, nessun contraddittorio, che non si vuole, che si evita accuratamente. Ricordo l’allora non ancora ministro Frattini che subito rimproverava una giornalista per aver usato la parola “resistenza” in Iraq, in luogo della parola “terrorismo”. Da Frattini non vi è da aspettarsi molto, ma sul “terrorismo” resta a mio avviso mirabile questa pagina di Robert Fisk:
La parola «terrorismo» è diventata il flagello del nostro vocabolario, la scusa, la ragione, la giustificazione morale della violenza di stato - la nostra violenza - che oggi ricade sugli innocenti del Medio Oriente in modo sempre più vergognoso e indiscriminato. Terrorismo, terrorismo, terrorismo. È un punto a capo, un segno di interpunzione, una frase fatta, un’orazione, un sermone, l’alfa e Iomega di tutto ciò che dobbiamo odiare per riuscire a ignorare l’ingiustizia, l’occupazione, l’assassinio su scala di massa. Terrore, terrore, terrore, terrore. È una sonata, una sinfonia, un’orchestra sintonizzata su ogni stazione radio e televisiva, su ogni dispaccio di agenzia, la telenovela del diavolo, servita calda in prima serata, o stancamente distillata nelle forme più noiose e mendaci dai «commentatori» di destra della costa orientale degli Stati Uniti, o dal Jerusalem Post, o dagli intellettuali europei. Colpire il Terrore. Vittoria su] Terrore. Guerra al Terrore. Guerra eterna al Terrore. Di rado, nella storia, soldati, giornalisti, presidenti e re sono stati tanto pronti a schierarsi compatti in questi ranghi stolidamente acritici. Nell’agosto 1917 i soldati erano convinti che sarebbero tornati a casa per Natale. Oggi, si è decisi a combattere per sempre. La guerra è eterna. Il nemico è eterno; cambia solo la sua faccia sui nostri teleschermi. Una volta stava al Cairo, aveva i baffoni e nazionalizzava il canale di Suez. Poi stava a Tripoli, vestiva con una ridicola uniforme militare, aiutava l’IRA e metteva le bombe nei bar americani a Berlino. Poi portava la veste di un imam musulmano, mangiava yogurt a Teheran e progettava la rivoluzione islamica. Poi indossava una veste bianca, e viveva in una caverna dell’Afghanistan, e poi ancora ripescava quegli stupidi baffi e risiedeva in una serie di palazzi intorno a Baghdad. Terrore, terrore, terrore. Infine, ostentava la kefiyah e una vecchia mimetica di taglio sovietico, si chiamava Yasser Arafat, ed era il signore del terrore nel mondo, poi un superstatista, poi ancora un signore del terrore collegato - a detta dei suoi nemici israeliani - al Meister di tutti i terrori, quello della caverna afghana.

(Robert FISK, Cronache mediorientali,
Il Saggiatore, 2006, pp. 450-51)
Anche di recente il ministro degli esteri Lieberman, degno collega di Frattini, ha intonato la solfa del “terrorismo” a proposito della Flotilla. Con questi signori è ingenuo credere che si possa avere un “dialogo”, che siano esseri umani con i quali si possa parlare di umanità. Caro Vittorio, se ci senti dall’altra parte, ti rispondo che noi dobbiamo sì cercare di restare umani, ma costoro non sono umani. Sono degli alieni, venuti da chissà dove. E dobbiamo difenderci e liberarci da essi.

7. Fandonie targate UCEI. – È un fatto assodato lo sposalizio fra buona parte, se non tutte, le organizzazioni ebraiche italiane e lo stato di Israele. Sembrerebbe quasi che le comunità italiane siano delle colonie israeliane. Ad esempio, una notizia recente proveniente dal notiziario UCEI (al 1.7.11) cita con disinvolture notizie di intelligence israeliana, dove danno una visione fantastica della Flotilla. È per noi quanto mai istruttivo il libro di Jacob Rabkin sui rapporti fra giudaismo e sionismo. La compromissione dell’ebraismo italiano con il sionismo israeliano ha superato ogni limite di guardia. La teologia non è il mio mestiere, nel senso che non sono né un prete né un rabbino, ma considero ormai defunto l’ebraismo in quanto religione. Ma sarà altra la sede e il momento per questo genere di approfondimenti, che al momento non ci paiono né urgenti né particolarmente interessanti. Ma si può però rinviare a questo ultimo commento di Gilad Atzmon, che è un osservatore acuto dell’ebraicità della nostra epoca.

8. Analisi istruttive e degne di attenzione. – Volgendo in positivo la nostra attenzione, ed anche per ritemprarci l’animo, non vogliamo perdere di vista, in questo paragrafo, articoli intelligenti, utili da leggere e da ricordare. Ne diamo qui di seguito l’elencazione in ordine casuale, via via che li individuiamo.
  1. Verso Gaza nonostante tutto. Del 5 luglio 2011, in “Il Pane e le rose”, articolo di Enrico Campofreda.
  2. Grecia ferma nave canadese diretta a Gaza. - È una breve notizia che esce sul Corriere canadese, dove leggo per la prima volta la notizia dell’affondamento della nave canadese: «È stata fermata dalla guardia costiera greca una nave canadese diretta a Gaza insieme al resto della piccola flotta che sta cercando di forzare l’embargo imposto dalle autorità israeliane sulla Striscia. Di più, una volta fatti sbarcare gli occupanti, la nave è stata diretta contro un molo di cemento in modo da danneggiarsi al punto tale da affondare e quindi divenire inservibile. Per questo le persone fatte sbarcare dal piccolo vascello hanno chiesto ieri l’intervento del primo ministro Stephen Harper. Il Tahrir, questo il nome del vascello ispirato all’omonima piazza teatro della rivoluzione che recentemente ha travolto l’Egitto, era salpato soltanto da 15 minuti da un porto greco quando le autorità marittime di Atene lo hanno bloccato. Oltre agli aiuti diretti nella Striscia, a bordo si trovavano 30 cittadini canadesi». La notizia ha dell’incredibile e vado alla ricerca di conferme e risconti, ma vi sarebbe qui un chiaro atteggiamento criminale da parte della guardia costiera greca. Ho mandato un mio commento alla rubrica “Dite la Vostra”, in attesa di approvazione. Non ne ho salvato il testo per poterlo in ogni caso qui riprodurre.
  3. Flotilla: verso Gaza con “dignità”. – Un articolo del 6 luglio 2011 che è ripodotto su “il Pane e le rose”.
  4. No-fly zone d’Israele. Sul blocco degli attivisti pro palestinesi negli aeroporti. – Un articolo del 9 luglio 2011, riprodotto sul “Il pane e le rose”.
  5. Israele, con la complicità dei governi europei, blocca la Flottiglia Aerea. – Un altro articolo del 9 luglio 2011, riprodotto sul “Il pane e le rose”.
  6. Freedom Flotilla “barca” a Roma. Israele “minaccia i nostri diritti”. – Articolo di Tommaso Cicconi, sul Mainfatti dell 11/7/11.
Di ognuno di essi diamo le coordinate essenziali, titolo originale, testata, data, autore, con qualche eventuale osservazione aggiuntiva.

9. Hanno smesso di sghignazzare. – Proprio mentre gioivano per il “flop” della FF2 noto che le rassegne stampa sioniste ed le testate esclusivamente vocate alla causa del sionismo oggi tacciono senza nulla riportare di notizie che pure in rete esistono. La “Dignité’” ha eluso la sorveglianza carceraria e vola in mare in direzione di Gaza per portare la solidarietà della Flotilla e del mondo intero. Una piccola imbarcazione che la fa in barba alle maggiori potenze del pianeta. Anche per i “corrotti informatori” ci vuole una presa d’aria prima di poter partorire nuove contumelie. Almeno per oggi deve esercitare tutta la loro inventiva per produrre nuove colate di fango. Sono sicuro che fecondi come sono ne troveranno. E li andremo a registrare in questo paragrafo dedicato alle loro nuove prodezze intellettuali, alla loro posta, alle loro cartoline agli “amici” ed agli “amici degli amici”.

In questo contesto di riorganizzazione dell’Hasbara, sembra questa la giusta collocazionale redazione del Jerusalem Post, tradotto in italiano da una testat sionista:
«I nemici di Israele non si sono mai tirati indietro quando si è trattato di agganciarsi alle forze di qualunque ideologia che sembrasse utile ai loro scopi. In alcune fasi del conflitto contro il sionismo, sono stati volonterosi reggicoda e collaboratori dei nazisti». (Fonte)
Non ci vuole molto a vedere l’anacronismo: Israele non esisteva quando il nazismo era al potere, mentre sono documentati rapporti sostanziali fra nazismo e sionismo. Il riferimento è alla nuova iniziativa dei partecipanti della Flotilla: ci impedite di venire per nave? E noi veniamo in aereo! Ed ecco che Israele esercita sulle compagnie aeree le stesse pressioni che ha esercitato sugli stati per non far partire le navi dai porti. Veramente una storia senza fine. Dura del resto da un secolo, da quando prende corpo il progetto sionista che nella sua essenza è un progetto genocidario, come ha detto di recente un filosofo italiano: criminale è Israele non per “accidente”, per “effetto collaterale” non voluto ed indesiderato, ma “per essenza”, a causa del progetto sionista che ha sempre avuto come suo obiettivo essenziale la pulizia etnica ed il genocidio dei palestinesi. Basta rifletterci un momento per accorgersi che questa non è contro-propaganda, ma pura descrizione della realtà tangibile. Di positivo in tutta questa storia è che i partecipanti sono più determinati che mai. Arrigoni sarebbe stato tra gli animatori, ma dicono che è stato ucciso dai salafiti. Chi ci crede?

È poi esilarante quest’altro brano del Jerusalem Post, dove si finisce per ammettere in positivo quello da cui ci si dovrebbe difendere davanti ad un tribunale per criminali:
«È illuminate un dettaglio apparentemente secondario: gli organizzatori dell’ “irruzione via aeroporto” si rifiutano di indicare la destinazione delle loro intenzioni facinorose col suo nome di “Aeroporto Ben-Gurion”. Preferiscono indicarlo come “Aeroporto di Lydda”, usando il nome della minuscolo e rudimentale aerodromo che vi esisteva ai tempi del Mandato Britannico. Questo lessico implica una esplicita negazione della sovranità e dell’esistenza di Israele, non solo una critica alla politica dei suoi governi. Nessuno stato può tollerare un simile assalto, men che meno il piccolo e assediato stato d’Israele» (stessa Fonte).
È da ricordare, con Ilan Pappe, che nel 1948 oltre ad essere stato espulso dalla palestina qualcosa come 750.000 palestinesi, pari al 50% della popolazione residente, sono poi stati distrutti e cancellati dalla carta geografica la metà dei villaggi palestinesi. I nomi palestinesi sono stati sostituiti con nomi ebraici. Esattamente ciò di cui la propaganda accusa Ahmadinejad di voler fare, è stato fatto e continua ad essere fatto da Israele. Abbiano trovato in rete un’immagine dell’aeroporto di Lydda, dove i pacifisti dicono di voler andare, non all’aeroporto “Ben Gurion”.

Per chi abbia un sia pur minima consuetudine con la logica ed abbia una qualche terzietà è quanto mai difficile riconoscere la “sovranità” di una stato che nasce non solo sulla negazione della sovranità altrui, che ignora ogni regola internazionale del diritto delle genti stabilito durate secoli, ma che si fonda su una politica di immigrazione, agevolata al massimo, e che non ha nessuna relazione con l’ebraismo religioso di movimento come quello di Neturei Karta. Non può riconoscersi natura religiosa a quell’ideologia di stato che si maschera di giudaismo, con un proprio rabbinato, e giustifica ogni sorta di omicidi. Se questa è religione, non si è mai conosciuta tanta barbarie. Inoltre se ci si va a documentare si trova un forte flusso di emigrazione di tanti israeliani che non giudicano una contropartita sufficienti i vantaggi offerti per venirsi a stabilire in Israele, sulla base di una presunta appartenenza religiosa ai quali gli interessati sono decisamente restii. Gli ebrei non sono uomini più pii e religiosi di quanto lo sono i cittadini di altri stati. In effetti, più che di un gruppo religioso, o peggio ancora di un “razza”, di una “etnia”, pare più rispondente alla realtà dei fatti parlare di uno strato sociale di soggetti uniti da un sistema di interessi e di vantaggi concessi a danno di terzi. È una miscela antisociale che non può non suscitare notevoli perplessità non solo in Israele, ma soprattutto nei paesi che ospitano siffatte lobbies.

L’articolo del Jerusalem Post è sconcertante per la sua totale mancanza di spirito critico, o meglio autocritico. È come se una banda di rapinatori reclamasse il suo diritto alla rapina e lamentasse come una ingiustizia ad essa fatta la richiesta di restituzione del maltolto. Ecco come conclude il quotidiano israeliano, tradotto in italiano da una testata fiancheggiatrice che ritiene di guadagnare consensi sul web italiano, che finché resterà libero non potrà che avere diverse vedute e giudizi di valore:
«Quello che è all’opera è l’ennesimo di una serie incessante di tentativi di violare le frontiere di questo paese. In questo senso, le “flottiglie” sono identiche alle irruzioni sui confini d’Israele della Nakba e della Naksa. Lo show all’aeroporto è dello stesso stampo. Quando le frontiere di uno stato vengono proclamate illegittime e violabili, lo è anche la sovranità stessa di quello stato. Il comun denominatore di tutto questo è il tentativo di cancellare le linee di confine post-’67, per poi cancellare quelle armistiziali del 1949 e infine la risoluzione di spartizione sdell’Onu del 1947 a favore del cosiddetto “diritto al ritorno”, vale a dire del “diritto di inondare Israele con milioni di nemici”. Ecco perché il “fronte” dell’aeroporto non è meno vitale e cruciale dei confini di terra e di mare» (Stessa fonte).
Potrà non piacere, comprensibilmente, ma è proprio così. Si tratta di smantellare una stato “criminale”. Dovrebbe essere la stessa cosiddetta “comunità internazionale” a farlo, ma in realtà dietro questa espressione letteraria si nascondono un gruppo di governi non meno “criminali” di quello di Israele, degni compari. Il caso recentissimo della Grecia dimostra, per chi sa leggere gli eventi, come la “rappresentanza politica” è soltanto una casta sociale che non risponde più per nulla a quei cittadini che hanno eletto i loro parlamentari perché non possono fare altro, oppressi oggi non meno che nei secoli passati. Il governo “socialista” di Grecia ha venduto tutto quello che poteva vendere ed ha trasformato quei cittadini che doveva tutelare in povera gente, non diversa dalle partite di frutta o di latte eccedentario che deve essere mandato al macero, per mantenere un regime di mercato che produce da una parte un numero sempre inferiore di pochi ricchi sempre più ricchi e dall’altro un mumero crescente di gente sempre più povera. Questo il sistema di riferimento che la cricca di Tel Aviv ha ricattato servendosi della sua diplomazia. Solo che chi ha intenzione di resistere e di protestare, se non lo può fare in un modo, trova un altro modo per farlo. L’importante è: resistere, resistere, resistere.

10. Questo sì che è un uomo! – Se si va al link si trova un tentativo di diffamazione del ministro degli esteri islandese, rappresentante della politica estera di un piccolo paese di poco più di 300.000 abitanti. Ma la grandezza di un paese e dei suoi abitanti non la si misura dal numero. La colpa del ministro islandese è di non averne voluto sapere di Israele. Recatosi a fare visita ai palestinesi, ai quali ha promosso pieno appoggio in settembre all’Assemblea ONU, non ha fatto nessuna visita diplomatica al governo israeliano. L’Islanda è uscita dalla crisi finanziaria in un modo esemplare, non facendosi rapinare dagli speculatori della finanza. È un caso tutto da studiare. Cercheremo di non perdere di vista quest’uomo davvero fantastico. Diffamandolo il Tizio di cui un altro Tizio traduce in italiano i suoi articoli, non ha fatto altro che rendere il classico omaggio del vizio alla virtù, della disonestà all’onestà, del crimine alla giustizia. Dimenticavo la cosa più importante in questo contesto. L’Islanda ha condannato l’attacco israeliano alla Mavi Marmara, ha sostenuto la prima e la seconda Flotilla. Se è l’unico stato ad averlo fatto, è l’unico ad aver meritato. Per il bene dell’Islanda vi è da augurarsi che non entri a far parte dell’Unione Europea, questa così cattiva unione, nemica dei suoi cittadini e agente del loro servaggio. Il problema per chi ci sta è di uscirne, non per chi non ci sta di entrarne. Siamo europeisti, ma questa Europa è stata fatta contro i popoli europei, non per la loro vera ed effettiva unione, che non è mai stata voluta, quando sembrava possibile ed a portata di mano.

Nessun commento: