mercoledì 8 giugno 2011

Verso Gaza 24: una corrispondenza da Istanbul, nell’imminenza della partenza della FF2.

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Pubblico volentieri un testo, peraltro già apparso su “Istanbul, Avrupa”, con data 1° giugno 2011, che mi giunge proprio adesso da un Lettore, Giuseppe Mancini, con queste parole che riporto integralmente: «Volevo segnalarvi questo mio articolo, magari potete riprenderlo sul vostro sito. visto che vivo a Istanbul, nei prossimi giorni seguiranno altri interventi e forse un'intervista...». Non solo pubblico volentieri il testo segnalato, ma rispondo al Lettore che continuerò a pubblicare ogni corrispondenza che vorrà inviarmi da Istanbul, non importa in quanti altri siti possa venire contemporaneamente pubblicata. Ci riserviamo soltanto di curare l’editing che ci è proprio e lasciando interamente a lui la responsabilità delle notizie che ci comunica e la verifica delle stesse, non avendo noi una nostra diretta possibilità. Il momento storico è assai grave ed ognuno di noi sopprerisce come può ad una stampa, apertamente e chiaramente schiacciata sulla linea governativa di Tel Aviv, di cui anche il nostro governo e buona parte, se non tutta, un’inesistente opposizione è schiacciata. Mentre parlano a più non posso di “diritti umani”, questi vengono negati a schiacciati proprio là dove andrebbe difesi e tutelati: nel Lager a cielo aperto di Gaza, autentica vergogna della nostra epoca e dei nostri governi. Alcune foto sono originali, inviate dall’autore.
CIVIUM LIBERTAS


Una nuova flottiglia è in partenza. Opportunamente dopo le elezioni del 12 giugno in Turchia: una missione umanitaria, con 15 navi e 1500 partecipanti, guidata dalla ong turca di simpatie islamiche Ihh e dalla Mavi Marmara rimessa in sesto. Rotta su Gaza, per consegnare materiali da costruzione, equipaggiamento medico, medicine, giocattoli e quaderni – tutto quello che il blocco israeliano rende raro o introvabile. Una missione internazionale, una coalizione di associazioni di 22 paesi (ma i partecipanti saranno ancor più diversificati nella loro provenienza): che muoverà da porti europei per congiungersi al largo di Cipro e dirigersi verso le acque palestinesi. Nel corso di una conferenza stampa a Istanbul, a bordo della nave abbordata lo scorso anno dai commandos israeliani che uccisero nove cittadini turchi, il vice-presidente dell’Ihh è stato coraggiosamente fiducioso: “La nostra è una nave pacifica, su cui prenderanno posto volontari pacifici. Tutte le navi potranno essere liberamente ispezionate da chiunque. Non pensiamo che Israele ci attaccherà un’altra volta.”

Flotta pacifica e umanitaria, sì: ma l’intento parimenti politico – bucare il blocco israeliano, affinché venga revocato – è manifesto. Echeggiava nei cori, nella serata tra il 30 e il 31 maggio nell’anniversario dell’eccidio del 2010, scanditi da almeno diecimila persone sull’Istiklâl Caddesi, il corso principale della Istanbul europea: Gaza libera, Palestina libera, Palestina aspetta la Mavi Marmara sta arrivando, milioni mano nella mano in rotta verso Gaza, la cooperazione con Israele è un crimine contro l’umanità. Una manifestazione riuscitissima, emozionante nel ricordo delle vittime ed esplicita nella rivendicazione: la fine dell’occupazione israeliana, la nascita dello stato di Palestina; una manifestazione organizzata alla perfezione, a cui hanno partecipato non solo gruppi organizzati (alcuni inneggianti ad Hamas) ma moltissime famiglie al completo, con bambini anche piccoli al seguito. Non una manifestazione di odio, ma di testimonianza: con un palco per l’intrattenimento musicale, per le preghiere, per i discorsi politici di turchi e palestinesi. “Non verremo da soli, stavolta verremo insieme ai nostri nove martiri” – ha promesso il presidente dell’Ihh Bülent Yıldırım. “Un anno fa 600 persone avevano chiesto di unirsi a noi, dopo che il nostro sangue è stato versato nelle acque del Mediterraneo le richieste sono diventate oltre cinquecentomila.”

Ovviamente Israele non vuole saperne di lasciarli passare: ma a quanto pare verranno prese tutte le precauzioni necessarie per evitare una nuova tragedia. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha chiesto ai governi dei paesi mediterranei – nei fatti, principalmente al governo di Ankara – di scoraggiare la partecipazione e la partenza, pur ammonendo Tel Aviv sull’inammissibilità di azioni platealmente contrarie al diritto internazionale. La Turchia ha però risposto picche a tutti: ripetendo che il governo non ha la facoltà di impedire le attività di organizzazioni non governative e che, nelle parole del ministro degli esteri Davutoğlu, è Israele che deve evitare un nuovo bagno di sangue e soprattutto porre termine al blocco – definito illegale e inumano – imposto contro i palestinesi di Gaza. I rapporti tra i due paesi, più che tesi rimangono inesistenti: e continueranno a esserlo fino a quando Israele, come richiesto, non si scuserà per quanto accaduto nel 2010 ed offrirà un congruo risarcimento. Sempre che non avvenga un nuovo scontro in mare aperto: perché allora la crisi comunque rimasta nell’alveo della diplomazia – e più volte la Turchia ha offerto invano spiragli di normalizzazione – diventerebbe definitivamente ingestibile.

Giuseppe Mancini



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