mercoledì 25 marzo 2009

Giornate di boicottaggio contro Israele: 28, 29 e 30 marzo 2009. Invito alla Mobilitazione generale.



Ricevo e pubblico il seguente appello alla mobilitazione generale. Per far comprendere meglio le ragioni del boicottaggio non mi stancherò mai di ripetere un concetto appreso da Ilan Pappe nel seminario romano dello scorso gennaio. Bisogna respingere con grande fermezza l’inganno mediatico che presenta la tragedia dei palestinesi come la fatale conseguenza di un “conflitto” fra gli stessi palestinesi e gli ebrei israeliani, ovvero sionisti. In realtà, non esiste nessuna “dualità”. Da oltre un secolo in Palestina si conduce un’aggressione coloniale, la cui teoria e prassi conduce al genocidio e alla pulizia etnica. L’apartheid israeliano fa pensare all’apartheid sudafricano, ma in realtà è qualcosa di peculiare e di peggiore al tempo stesso. Siamo purtroppo abituati a pensare per analogie. Se però la Shoah è assurta a mito politico-teologico della nostra epoca, il genocidio, l’ignobile aggressione consumata contro il popolo palestinese supera in orrore di gran lunga la Shoah con la non piccola differenza che nessuna controversia storica può esservi sulla realtà attuale del genocidio palestinese, di cui l’operazione «piombo fuso» è stata l’ultima manifestazione, peraltro non conclusa giacché il massacro continua ogni giorno nel colpevole silenzio dei media nostrani, gli stessi che hanno dato copertura ad Israele nella fase calda e visibile e che ora continuano a farlo tacendo sul genocidio che continua a luci spente. Pertanto, la mobilitazione di boicottaggio contro Israele da condurre negli anni con diuturna costanza è il nostro modo di combattere ogni giorno per il popolo palestinese e per noi stessi.

Antonio Caracciolo
“Civium Libertas”


Giornate nazionali e internazionali per il boicottaggio di Israele del 28-29-30 marzo
Comincia anche in Italia la campagna di
Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni contro Israele

28-29-30 marzo iniziative in tutte le città

Aderendo alla campagna internazionale per il Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni contro Israele che vedrà in lunedì 30 marzo una giornata mondiale di mobilitazione BDS, invitiamo in tutte le città italiane a dare vita a iniziative tese a promuovere il boicottaggio dei prodotti israeliani, il disinvestimento delle aziende italiane attive sul mercato israeliano e la richiesta di sanzioni contro le autorità israeliane e i loro apparati economici, politici, scientifici, industriali.

La campagna italiana comincerà sabato 28 marzo con presidi, sit in, manifestazioni davanti ai centri commerciali e ai grandi supermercati.

In questi giorni arrivano quasi quotidianamente notizie e denunce che confermano i crimini di guerra commessi dalle forze armate e dal governo israeliano contro la popolazione palestinese di Gaza, mentre gli assetti politici che si vanno configurando in Israele dopo le recenti elezioni confermano il progetto di apartheid contro i palestinesi sia nei Territori Occupati che all’interno stesso di Israele.

Il sistema di apartheid e l’economia di guerra israeliani vanno isolati e indeboliti con una forte campagna di boicottaggio internazionale.

Invitiamo per questo tutte le reti, le associazioni, i movimenti a mettere in campo le prime iniziative di boicottaggio per le giornate del 28-29-30 marzo.

Comunicate quanto prima il calendario, gli appuntamenti e le caratteristiche delle iniziative che realizzerete nella vostra città.

Una giornata di mobilitazione coordinata a livello nazionale e internazionale può cominciare a mandare il segnale giusto sia alla resistenza del popolo palestinese che all’arroganza delle autorità israeliane.

Vi indichiamo le prime iniziative già previste a Milano e Roma

Il 28 marzo a Milano

inizia la campagna con il presidio di numerosi centri commerciali, e, sono stati organizzati, fino ad ora, i seguenti presidi di controinformazione a cui invitiamo tutti e tutte a partecipare:

Ipercoop di viale Umbria dalle ore 16,00

Esselunga di viale Sarca dalle ore 16.00

EsseLunga di via Legnone angolo Jenner

Corbetta, Esselunga, alle 17:30.

Per il 30 marzo stiamo discutendo dell’organizzazione di un altro presidio comune e unitario e vogliamo sottolineare che sarà unico per tutti il materiale di propaganda, manifesto e volantini che sarà diffuso in queste e altre giornate di mobilitazione. invitiamo chiunque sia interessato a partecipare alle iniziative, associazioni, comitati, partiti o singole persone a contattarci scrivendo o telefonando: palestinamilano@yahoo.it oppure 347.7851682 e a partecipare alla riunione cittadina, per un organizzazione precisa e unitaria delle scadenze, che si terrà : MARTEDI 24 alle ore 18,00 al csa vittoria via friuli angolo via Muratori Milano.

il 28 marzo a Roma

alle ore 10.00 davanti ad Auchan a Casalbertone

alle ore 14.30 spezzone e distribuzione materiale informativo alla manifestazione nazionale dei sindacati di base

il 30 marzo alle ore 17.30 manifestazione in piazza S. Marco

Buon lavoro a tutte e a tutti

Il Forum Palestina

Biblioteca: Tesi e antitesi: a) «L’antisémitisme. Son Histoire et ses causes» (1894) di Bernard Lazare; b) Edouard Drumont: «La France Juive» (1886).

Ver. 1.3
Status: 7.6.09
Lazare - Drumont


Trattando on line talune problematiche pare opportuno fornire qualche spiegazione a lettori sia buoni che male intenzionati. Intanto per me l’editing di un testo è diventato un modo per leggerlo e studiarlo. Ragioni di studio sia di ordine concettuale che linguistico mi spingono ad occuparmi del testo di Bernard Lazare che occupa un posto di rilievo nella letteratura sulla questione ebraica. La situazione al riguardo si è decisamente rovesciata. Se vi è stato un tempo – e lo vedremo – in cui gli ebrei avevano di che temere dai non-ebrei, oggi è esattamente il contrario. Trattando di “judaica”, beninteso con meri interessi di studio e di conoscenza, vi è di che temere, rischiando e la vita e il carcere. L’accusa di antisemitismo è così diffusa da costringere perfino ad una riforma del vocabolario linguistico. Usi metaforici ed estensivi di ciò che è la “tragedia” ebraica non sono consentiti ed hanno la stessa valenza del comandamento “Non pronunciare il nome di Dio invano”. Un vero e proprio terrorismo ideologico grava su chiunque osi esprimere anche una modesta opinione riguardante gli ebrei. Le varie enciclopedie ebraiche che popolano la rete si sentono in dovere di esordire nelle schede su singoli autori, avvertendo che si tratta o non si tratta di un autore “antigiudaico”, quasi che l’essere antiqualcosa sia già un argomento dirimente e risolutivo: non occorre sapere altro. O meglio l’altro che è da sapere servirà soltanto a confermare l’assunto iniziale. Ma la prospettiva dell’anti qualsivoglia cosa non ci attrae e non è mai stata la nostra. Esistono temi e problemi complessi che hanno semplicemente bisogno di essere conosciuti, studiati, valutati. È questa la prospettiva con cui affrontiamo non già la semplice opera di Lazare, nel stuo testo originale francese del 1894, ma tutte le linee di ricerca e di riflessione che la sua sintesi ci ispirerà. Esiste una traduzione italiana che cercheremo di procurarci quanto prima per accompagnare la lettura del testo originale. Ci sembra particolarmente significativo l’anno in cui Lazare terminava la sua opera: il 1894. Sono gli anni dell’affare Dreyfus, ma sono ancora lontani gli anni del periodo nazista, intorno ai quali mi sembra si concentri eccessivamente l’attenzione su una questione che ha una storia plurimillenaria. Lazare tratta la questione ebraica fin dai suoi esordi. Il termine “antisemitismo” è di epoca relativamente recente. Lo si colloca nella seconda metà del XIX secolo, ma io ne ho trovato documentazione agli inizi di secolo. Ne darò il rinvio, appena lo ritroverò. Spero che questa breve prefazione serva a tenere lontani i blogger israeliani e sionisti, sempre in agguato e mai stanchi di diffamare il popolo dei goym. Ho rinunciato ormai ha ottenere da costoro quei lumi di conoscenza che desidera avere chiunque studi una nuova questione che ha suscitato il suo interesse non importa in quale circostanza ed in quale contesto. Per sapere e capire è più utile seguire una via più lunga, leggendo testi recenti ed altri vecchi di secoli e sepolti nelle biblioteche o negli archivi. L’edizione di riferimento è quella apparsa in Parigi nel 1934 presso le Èditions Jean Cres, con uno Ètude d’Andrè Fontainas, che omettiamo per andare subito al testo di Lazare, ossia secondo quanto promette il frontespizio la sua «Èdition définitive».

Poiché il testo di Lazare, dicono, è stato scritto come “risposta” a Drumont, la cui “France Juive” era popolarissima, ci sembra ovvio che si possa capire il testo di Lazare solo se lo si pone a confronto con quello di Drumont. Per questa ragione, finchè il limite tecnico di un solo post lo consentirà, pubblicheremo insieme i due testi. Anche così non siamo sicuro di poter parare gli attacchi dei detrattori e di quanti hanno perso il lume della ragione e vedono “antisemiti”, “terroristi”, “negazionisti” in ogni anfratto reale e virtuale. Contro costoro non possiamo nulla, soprattutto a causa della loro malafede spesso evidente, ma non possono impedirci di leggere e studiare quel che ci pare. Ho già detto che per me l’editing di un testo è un modo particolarmente approfondito per leggerlo e studiarlo. Farlo in rete significa aprirsi alla discussione e al dibattito con quanti possono avere interesse simili, anche in contradditorio. Le obiezioni critiche, quando formulate in modo intelligente da persone intelligenti e informate, sono per me assai gradite. Purtroppo, ne trovo assai poche di siffatte critiche. Ma non dispero.

Avverto che, finché sarà tecnicamente possibile, terrò su uno stesso file i due testi di Drumont (1886) e di Lazare (1894), al fine di farne meglio risaltare la lettura e lo studio contestuale. Dopo sarà giocoforzo dividerli in numerosi post. Prevedo già quel che potrò succedere, ma non posso lasciarmi condizionare dalla stupidità e malafede altrui. Devo dire a questo riguardo che ho potuto io stesso sperimentare l’esistenza di una certa antropologia pure descritta in letteratura. Non ritengo che ciò costituisca un dato scientifico in se, ma è pur sempre un dato empirico che ci pone fin da adesso in un atteggiamento di attesa e di conferma sperimentale.

Abbiamo strutturato il nostro piano di studi dando una precedente temporale all’opera di Lazare, che è successiva cronologicamente di almeno otto anni a quella di Drumont, ma a differenza di Drumont è un autore che ancora può essere letto, credo, senza rischi. A leggere invece Drumont si corre il rischio per lo meno di venir tacciati come “antisemita”, un termine che occorrebbe studiare nella sua genesi e nel suo uso. Se dunque Lazare è la tesi e Drumont l’antitesi, cioè l’autore senza la cui esistenza Lazare non avrebbe pensato di scrivere il suo libro, che tuttavia dice di non voler essere partigiano, né antisemita né filosemita, quasi che sia qui possibile una posizione neutra, vi dovrà essere una sintesi che sarà necessariamente il nostro commento. Questo non può giungere che alla fine della lettura dei due testi e dopo lo studio delle questione connesse. Il commento sarà probabilmente annesso alla divisione dei paragrafi e capitoli in files più piccoli, quando sarà toccato il limite operativo di questo singolo post. Quindi, per ragioni tecniche e di opportunità il nostro commento seguirà la pubblicazione dei due testi. Aggiungo che fra le varie ragioni che mi animano ne esiste una prettamente linguistica. Il mio francese trarrà qui un certo profitto e ne sarà rinfrescato.

Aggiungo che il mio interesse per Drumont, e per altri che verranno, nasce non da una mia preventiva adesione alle sue tesi, che ancora non conosco, ma come una reazione generale ad una certa pretesa della cultura e dell’ideologia dominare di dare come una sorta di Indice dei libri proibiti e di quelli raccomandati. Avendo letto fino ad oggi ed essendo giunto ad un’età ormai avanzata voglio acquisire una conoscenza diretta di tutti quegli autori di cui si è parlato male e si continua a parlar male. Forse, oggi, nelle condizioni della nostra cultura, per un autore di cui si dice male si può esser certi che è una buona referenza, per lo meno per non essere ignorato.

Da osservare che la struttura del libro di Lazare sembra ricalcare quella già adottata da Drumont. Tuttavia è difficile in Lazare trovare una corrispondente, adeguata trattazione di ciò che il riassunto, diviso in paragrafetti sembra annunciare. Alcuni temi sono appena annunciati nel sommario, ma poi mancano di trattazione. È quasi un indice dei nomi. Data la diversa, pià vasta dimensione del libro di Drumont, sembrerebbe che così non sarà e cià sarà per noi di grande utilità, potendo redigere un percorso interno che per il testo di Lazare è piuttosto difficoltoso. Vedremo. È da verificare. Ma se così è, diventa più vero che Lazare ha scritto principalmente per rispondere a Drumont, quasi una corrispondenza fra i due. Di un epistolario si può leggere solo la lettera di uno dei corrispondenti? È come se Drumont avesse scritto nel 1886 una lettera a cui Lazare risponde nel 1894. Noi abbiamo incominciato a leggere la seconda lettera, ma questa ci resterà incomprensibile se non leggeremo anche la lettera a cui si è inteso rispondere. I nostri eventuali commenti, necessari per dare il valore aggiunto che giustifica il nostro editing, saranno inseriti alla bisogna. Insomma, è un lavoro, un percorso che qui si inizia. Quando arriveremo e se arriveremo al termine del viaggio non lo sappiano. Quali saranno le nostre conclusioni non lo sappiamo. Ciò che apprenderemo non lo sappiamo. Se lo sapessimo non inizieremmo un viaggio faticoso, impegnativo e di questi tempi perfino rischioso.

Antonio Caracciolo
25 marzo 2009


* * *
Indice

BERNARD LAZARE

L’ANTISEMITISME
Son histoire et ses causes



Paris, 25 avril 1894

___


TABLE DES MATIÈRES

Préface.

CHAPITRE PREMIER

LES CAUSES GÉNÉRALES DE L’ANTISÉMITISME

L’exclusivisme. - Le culte politico religieux. - Iahvé et la Loi. - Ordonnances civiles et ordonnances religieuses. - Les colonies juives. - Le Talmud. - La théorie du peuple élu. - L’orgueil juif. - La séparation d’avec les nations. - La souillure. - Pharisiens et Rabbanites. - La foi, la tradition et la science profane. - Le triomphe des Talmudistes. - Le patriotisme juif. - La patrie mystique. -Le rétablissement du royaume d’Israël. - L’isolement du Juif.

CHAPITRE II

L’ANTIJUDAISME DANS LANTIQUITE

Les Hyksos. - Aman. - L’antisémitisme dans la société antique. - En Egypte: Manéthon, Cherémon, Lysimaque. L’antsémitisme à Alexandrie. Les Stoïciens Posidonius, Apollonius Mob. Appion, Josèphe et Philon : le Traité contre les Juifs, le Contre Appion et la Légation A Calus. Les Juifs à Rome. L’antisémitisme romain. Cicéron élève d’Appion et le Pro Flacco. Perse, Ovide et Pétrone. Pline, Suétone et Juvénal. Sénèque et les Stoïciens. Mesures gouvernementales. Antisémitisme à Antioche et en Ionic. Antisémitisme et antichristianisme.

CHAPITRE III

L’ANTJJUDAISME DANS L’ANTIQUITÉ CHRÉTIENNE, DEPUIS LA FONDATION DE L’EGLISE JUSQU’A CONSTANTIN

L’Eglise et la Synagogue. Les privilèges juifs et les premiers chrétiens. L’hostilité juive. Le patriotisme judaïque. Le prosélytisme chrétien et les rabbins. Attaques contre le christianisme. Les apostats et les malédictions. Etienne et Jacques. Les influences juives combattues. Pagano christianisme et judéo christianisme. Pierre et Paul. Les hérésies judaïsantes. Les Ebionites, les Elkasaïtes, es Nazaréens, les Quartodécimans. La gnose et l’Al.xandrisme juif. Simon le Magicien, les Nicolaïtes et Cérinthe. Les premiers écrits opostoliques et les tendances des judaïsants. Les Epîtres aux Colossiens et aux Ephésiens, les Pastorales, la Il« Epître de Pierre, l’Epître de Jude, l’Apocalyse. La Didaché, l’Epître à Barnabé, les sept Epitres d’Ignace d’Antioche. Les Apologistes chrétiens et l’exégèse juive. La lettre à Diognète. Le testament des douze Patriarches. Justin et le Dialogue avec Tryphon. Ariston de Pella et le Dialogue de Jason avec Papiscus. L’expansion chrétienne et le prosélytisme juif. Les rivalités et les haines ; les persécutions l’affaire de Polycarpe. Les polémiques. La Bible, les Septante, la version d’Aquila et les Hexaples. Origène et le rabbin SimIai. Abbahu de Césarée et le médecin Jacob le Minéen. Le « Contre Celse » et les railleries juives. L’antijudaïsme théologique. Tertullien et le De adversus Judœos. Cyprien et les trois livres contre les juifs. Minucius Felix, Commodien et Lactance. Constantin et le triomphe de l’Eglise

CHAPITRE IV

L’ANTISÉMITISME DEPUIS CONSTANTIN JUSQU’AU HUITIÈME SIÈCLE

L’Eglise triomphante. La décadence du Judaïsme. La Pâque et les hérésies judaïsantes. La Judaïsatian. Le Concile de Nicée. L’antijudaïsme théologique se transforme. La fin des Apologies. Antijuclaïsme des Pères et du clergé. Les Insultes. Hosius, le pape Sylvestre, Eusèbe de Césarée, Grégoire de Nysse et saint Augustin. . Saint Ambroise, saint Jérôme et saint Cyrille de Jérusalem. Saint jean Chrysostome. Les écrivains ecclésiastiques. L’édit de Milan et les Juifs. Prosélytisme suif et prosélytisme chrétien. Les juifs’ l’Eglise et les empereurs chrétiens. Action de I’Eglise sur la législation impériale. Les lois romaine. Les vexations contre les Juifs. Les mouvements populaires. La défense des Juifs, leurs révoltes. Isaac de Sepphoris et Natrona. Benjamin de Tibériade et la conquête de la Palestine. Julien l’Apostat et la nationalité juive. Les Juifs parmi les peuples. Généralisation de l’antiudaïsme. En Perse.

mages, les docteurs juifs et les académies juives. En Arabic. L’influence des Juifs dans le Yemen. La victoire du Mahométisme et les persécutions contre les juifs. L’Espagne et les lois wisigothiques. Les Burgondes. Les Francs et la législation romaine. Le droit canonique, les conciles et les Judaïsme. La situation des Juifs, leur attitude. Le Catholicisme

CHAPITRE V

L’ANTIJUDAISME DU HUITIÈME SIÈCLE A LA REFORME

Expansion du christianisme. Diffusion des Juifs parmi les nations. Constitution des nationalités. Le rôle des Juifs dans la Société. Les Juifs et le commerce. L’or et les Juifs. L’amour de l’or et du négoce acquis par les juifs. Le Juif colon et émigrant. L’Eglise et l’usure. Naissance du patronat et du salariat. Transformation de la propriété. La révolution économique et la recherche de l’or. L’instinct de la domination. L’or et l’exclusivisme juif. Maïmonide et l’obscurantisme. Salomon de Montpellier. Ben Adret, Asther ben Yehiel et Jacob Tibbon. Le Moré Neboukhim. Abaissement intellectuel et moral des Juifs. Le Talmud. Influence de cet abaissement sur la condition sociale des Juifs. Transformation de l’antijudaisme. Les causes sociales, les causes religieuses, leur combinaison. Le peuple et les juifs. Les Pastoureaux, les Jacques et les Armleder. Les rois et les juifs. Les moines et l’antijudaïsme. Pierre de Cluny, Jean de Capistrano et Bernardin de Feltre. L’Eglise et l’antijudaïsme théologique. Christianisme et mahométisme. Les Albigeois, les Hérétiques d’Orléans, les Pasagiens. Les hérésies et la judaïsation. Les Hussites. L’inquisition. La bourgeoisie et les juifs. La législation ecclésiastique et la législation civile contre les Juifs. Les controverses et la condamnation du Talmud. Les vexations. Les expulsions. Les massacres. La situation des Juifs’ et celle du peuple. La relativité des souffrances juives. La Réforme et la Renaissance

CHAPITRE VI

L’ANTIJUDAISME DEPUIS LA REFORME JUSQU’A LA REVOLUTION FRANÇAISE

Situation des Juifs aux débuts du seizième siècle. Défaite des Maures. Expulsion d’Espagne. Adoucissement des moeurs. Les dernières persécutions. L’inquisition en Portugal. La Renaissance et la Réforme de l’Egiise. Les attaques contre la Primauté romaine. Les Humanistes et le Talmud.

Reuchiin et Pfefferkorn. La Réforme et l’Esprit juif. La Bible. Luther et les juifs. Transformation de la question sociale et de la question religieuse. Les guerres des Paysans. Les Juifs ne sont plus les principaux ennemis de l’Eglise. L’Etat chrétien. Le catholicisme, les réformés et les juifs. Les papes et le Judaïsme. Les mesures contre le Talmud et les conversions. La législation antijuive. Les vexations et les avanies. L’antijudaïsme dogmatique. Le rappel des Juifs. Les Juifs en Europe au dix huitième siècle. Les Juifs en Hollande, en Angleterre, en Pologne et en Turquie.

Les Juifs portugais en France. Etat intellectuel et moral des Juifs. Cabbalisme et Messianisme. Sabbataï Zévi et Franck. Les sectes mystiques lee Hassidim et les Néo Hassidim, les Donméh et les Trinitaires. Le Talmudisme. Joseph Caro et le Schulchan’Aruch; le Pilpoul. La réaction juive contre le Talmud. Mardochée Kolko8. Uric! da Costa, Spinoza. Mendelshonn, le Méassef et l’émancipation juive. La philosophie humanitaire et les juifs. L’état social et les Juifs. Les objections économiques et les objections politiques. Mausy et Clermont Tonnerre ; Rewbel et Grégoire. La Révolution. L’entrée des Juifs dans la société

CHAPITRE VII

LA LITTÉRATURE ANTIJUDAIQUE ET LES PRÉJUGES

L’antijudaïsme scripturaire et ses formes. L’antijudaïsme théologique. La transformation de l’Apologétique chrétienne. La judaïsation et ses ennemis. Anselme de Cantorbéry, Isidore de Séville. Pierre de Blois. Alain de Lille. L’étude des livres juifs. Raymond de Penaforte et les dominicains. Raymond Martin et le Pugio Fidei. Nicolas de Lyra et son influence. La littérature antijuive théologique et les conversions. Nicolas de Cusa. Les convertis juifs et leur rôle. Paul de Santa Maria, Alphonse de Valladolid. L’antitalmudisme et les convertis Pfefferkorn. Les controverses sur le Talmud et la religion juive. Controverses de Paris, de Barcelona et de Tortose. Nicolas Donin, Pablo Christiani et Jérôme de Santafé. Les Extractiones Telmut. L’antijudaïsme social. Agobard, Amolon, Pierre le Vénérable, Simon Maiol. L’antijudaisme polémique. Alorizo da Spina. Le livre de l’Alboraïque. Pierre de l’Ancre. Francisco de Torrejoncillo et la Centinela contra .Judios. Lantijudaisme polémique et les préjugés. Les Juifs et les races maudites. Juifs, Templiers et sorciers. Le meurtre rituel. La défense des Juifs. Jacob ben Ruben, Moïse Cohen de Tordesillas, Semtob ben Isaac Schaprut. La littérature polémique juive en Espagne au quinzième siècle. L’antichristianisme. Hasdaï Crescas et joseph ibn Schem Toib. Lee attaques contre le Nouveau Testament. Les Nizachon et le Livre de Joseph le Zélateur. Le Toledot Jeachu. Attaques contre les apostats. Isaac Pulgars, Don Vidal ibn Labi. Transformation de l’antijudaïsme scripturaire au dix septième siècle. Les convertisseurs. Les Hébraïsants et les exégètes Bauxtorf et Richard Simon. Wagenseil, Voetius, Bartolocci. Eisenmenger. John Dury. Parenté et similitude des ouvrages antijuifs : les initiateurs. L’antijudaïsme littéraire ancien et l’antisémitisme moderne. Leurs affinités.

CHAPITRE VIII

L’ANTIJUDAISME LEGAL MODERNE

Le judaïsme émancipé. La situation des Juifs dans la société. L’usure et les affaires d’Alsace. Napoléon et l’organisation administrative de la religion juive. Le grand Sanhédrin. . Les lois restrictives et la libération progressive en France. L’émancipation en Hollande. L’émancipation en Italie et en Allemagne. La réaction antinapoléonnienne et les Juifs. La renaissance de la législation antijuive. Les mouvements populaires. L’émancipation en Angleterre. En Autriche. La Révolution de 1848 et les juifs. La fin de Fantijudaïsme légal en Occident. L’antijudaïsme ordental. Les Juifs en Roumanie. Les Juifs russes. Les persécution. Question sociale et question religieuse.

CHAPITRE IX

L’ANTISÉMITISME MODERNE ET SA LITTÉRATURE

Le juif émancipé et les nations. Les Juifs et la Révolution économique. La bourgeoisie et le Juif. La transformation de lantijudaisme. Antijudaïsme et antisémitisme. Antijudaïsme instinctif et antisémitisme raisonné. L’antijudaïsme légal et l’antisémitisme scripturaire. Classification de la littérature antisémitique. L’antisémitisme chrétien et 19 J’antijudaïsme du moyen âge. L’antitalmudisme. Gougenot des Mousseaux, Chiarini, Rohiing.

! ,*antisémitisme christiano social. Barruel, Eckert, Don Deschamps. Chabeauty. Edouard Drumont et le pasteur Stoecker. L’antisémitisme économique. Fourier et Proudhon Toussenel, Capefigue, Otto Glagau. L’antisémitisme ethnologique et national. L’Hégélianisme et l’idée de race. W. Marr, Treitschke, Schoenerer. L’antisémitisme métaphysique. Schopenhauer et Stirner. Duhring, Nietsche et l’antisémitisme antjchrétjen. L’antisémitisme révolutionnaire. Gustave Tridon. Les griefs des antisémistes et les causes de l’antisémitisme.

CHAPITRE X

LA RACE

Le grief ethnologique. L’inégalité des races. Sémites et Aryens. La supériorité aryenne. La lutte des Sémites et des Aryens. L’apport sémitique dans les civilisations dites aryennes. La colonisation sémitique. Les premières années de l’ère chrétienne et les judéo chrétiens. Les éléments juifs dans les nations européennes. L’idée de race chez le juif. La supériorité juive. Les origines de la race juive. Les éléments étrangers dans la race juive. Le prosélytisme juif. Dans l’antiquité païenne. Après l’ère chrétienne. Les infiltrations ouroaltaïques dans la race juive. Les Khasars et les peuples du Caucase. Les diverses variétés de Juifs. Dolichocéphales et Brachycéphales. Askenazim et Séphardim. Juifs de Chine, de l’Inde, d’Abyssinie. La modification par le milieu et par la langue. L’unité juive. La nationalité.

CHAPITRE XI

NATIONALISME ET ANTISÉMITISME

Les Juifs dans le monde, Race et nation. Les Juifs sont ils une nation ? Le milieu, les lois, les coutumes. La religion et les rites. La langue et la littérature. L’esprit juif. Le Juif croit il à sa nationalité ? La restauration de l’Empire juif. Le chauvinisme juif. Le Juif et les étrangers à sa foi. Le Talmud est il antisocial ? Autrefois et aujourd’hui. La permanence des préjugés. L’exclusivisme juif et la permanence du type. Le principe des nationalités au dix neuvième siècle. En Allemagne et en Italie. En Autriche, en Russie et dans l’Europe orientale. Le Pangermanisme et le Panslavisme. L’idée de nationalité, le Juif et l’antisémitisme. Les éléments hétérogènes dans les nations. Elimination ou absorption. L’Egoïsrne national. Conservation ou transformation. Les deux tendances. ¬Le Patriotisme et l’Humanitarisme. Nationalisme, internationalisme et antisémitisme. Le cosmopolitisme juif et l’idée de patrie. Les juifs et la Révolution.

CHAPITRE XII

L’ESPRIT RÉVOLUTIONNAIRE DANS LE JUDAISME

Communisme et Révolution. ._ L’agitation juive. L’optimisme et l’eudémonisme d’Israël. Les théores sur la vie et sur la mort. L’immortalité de l’âme et la résignation. Le matérialisme et la haine de l’injustice. L’idée de contrat dans la théologie juive. L’idée de justice. Les prophètes et la justice. Le retour de Babylone, les Ebionims et les Ava. nims. La conception de la divinité. Autorité divine et gouvernement terrestre. Les Zélateurs et l’anarchisme. L’égalité humaine. Le Riche et le Mal. Le Pauvre et le Bien. Le lahvéime et la Liberté. Le libre arbitre, la raison humaine et la puissance divine. L’individualisme juif. La subjectivité juive et le sentiment du moi. L’idéalisme hébraïque. L’idée de Justice, l’idée d’Egalité, l’idée de Liberté et leur réalisation pussible. Les temps messianiques. Le Messie et la révolution. L’instinct révolutionnaire et le talmudisme. Les Juifs modernes et la révolution.

CHAPITRE XIII

LES JUIFS ET LES TRANSFORMATIONS DE LA SOCIÉTÉ LES CAUSES POLITIQUES ET RELIGIEUSES DE L’ANTISÉMITISME

Les juifs agents révolutionnaires. Le Juif du moyen âge et l’incrédulité. Le rationalisme juif et la foi chrétienne. Les Juifs et les sociétés secrètes.

Les Juifs dans la Révolution française et dans les révolutions du siècle. Les Juifs et le socialisme. Les transformations politiques, sociales et religieuses de la société contemporaine. Les griefs des onservateurs et l’antisémitisme. Le juif pertubateur et dissolvant. La judaïsation des peuples chrétiens et l’affaiblissement de la foi. Le Juif est il encore antichrétjen ? La persistance des préjugés contre les Juifs. Le meurtre rituel. Les Juifs et le Talmud. La Synagogue et l’indifférence religieuse chez les Juifs. Les juifs émancipés. Les Juifs, le libéralisme et l’anticléricalisme. Le judaïsme et l’Etat chrétien. La lutte moderne. Esprit conservateur et esprit révolutionnaire. Tradition et transformation. L’âge de transition et l’antisémitisme. Le Juif dans la société.

CHAPITRE XIV

LES CAUSES ÉCONOMIQUES DE L’ANTISÉMITISME

L’antisémitisme économique. Les griefs. Le grief moral. La malhonnêteté juive. L’astuce et la mauvaise foi du Juif. La corruption talmudique. Les mesures restrictives et la fourberie juive. La dégradation par le mercantilisme et l’usure, L’or et l’abaissement moral. Le grief économique. Le Juif et l’état social actuel. La part du Juif dans la constitution de la société capitaliste. Le juif agioteur et industriel. Le Juif détenteur du capital. Comment le juif pâtit de l’état actuel. Les Juirs prolétaires, en Europe et en Amérique.

Les Juifs dans la classe bourgeoise. La suprématie relative du Juif. . Les causes de cette suprématie. L’appui mutuel et l’individualisme bourgeois.

La solidarité juive. Comment elle naquit dans l’antiquité. Les synagogues. Le moyen âge. Les ghettos. Les temps modernes. Le Kahal des pays d’Orient. Les minorités de l’Occident et la solidarité de classes. L’opposition des formes du capital et l’antisémitisme. Capital agricole et capital industriel. L’agio juif et la petite bourgeoisie commerçante. La concurrence et l’antisémitisme. Concurrence capitaliste et concurrence ouvrière. . Les préventions contre les juifs et l’antisémitisme économique. L’antisémitisme et les luttes intestines du capital.

CHAPITRE XV

LES DESTINÉES DE L’ANTISÉMITISME

Les causes de l’antisémitisme. L’antisémitisme actuel et l’antijudaïsme d’autrefois. La cause permanente. Le juif étranger et les manifestations de l’antisémitisme. Le Juif et l’assimilation. Le Juif et les milieux. Les modifications du type juif.

La disparition des constantes extérieures. La disparition des constantes intérieures. L’état religieux de la synagogue contemporaine. L’extinction et la ruine du talmudisme. Le Juif est un élément absorbé. La disparition du préjugé religieux contre le Juif. L’affaiblissement du particularisme et de l’exclusivisme national. Les progrès du cosmopolitisme. L’antisémitisme et es transformations économiques. La lutte contre le capital. L’union des capitalistes. Le capital et la révolution. Les antisémites auxiliaires de la révolution, La fin de l’antisémitisme.




EDUARD DRUMONT

La France Juive

Paris
Marpon & Flammarion
1886

Tome Premier

LIVRE PREMIER
Le Juif

Les lieux communs sur le Juif. - Le type véritable. - Les Aryens et les Sémites. - Absence de tout idéal et de tout esprit d’invention. - Les variations de Renan. – Une conférence devant Alphonse de Rothschild. - L’oppression du juif. – Le mépris du goy. - Le Juif civilisé et le Juif nature. - Le Schlossberg. - Impuissance du Juif à comprendre l’art élevé.- L’ignorance des Juifs au moyen âge. – La constitution physique. – le Juif portugais et le Juif allemand. - La voix de la race. – Daniel Deronda. – Les tribus perdues. - La Femme de Claude. - Les Juifs du Sahara. – Les Juifs chinois. – Les Falachas. - Coningsby. - La solidarité des Juifs. – Les piaillements des Juif. – Pacifico, Lévy de l’Enfida, le petit Mortara, Victor Noir, Lipmann, Selikowitch. La duchesse de Berry et Deutz. - Un cas de conscience jugé par Crémieux. – L’espionnage juif. - La criminalité juive. - Un passage de Maxime du Camp. – Les célébrités du vol. - Les associations de voleurs juifs. - L’affaire Peschard. – Impunité presque absolue accordée aux Juifs aujourd’hui. - Les grands accaparements. – Les rois juifs. - Les réhabilitations. - Levy Bing. - Les révolutionnaires de l’orthographe. – Les Juifs et la peine de mort. - La prostitution juive. - Les hiérodules. – Les Juives. - influence des prescriptions religieuses. - Le chiffre de la population juive. Chiffres et documenta contradictoires. - Le Juif au point de vue nosologique. – Les immunités du Juif devant la peste. - L’odeur juive’ et Victor Hugo La névrose juive. - Son caractère particulier. - Les existences romanesques. – Mme de Païva. - Midhat pacha. - Naquet. - La politique et la régénération du cuir chevelu. - L’article 1965. - Le drame juif. - La dégénérescence de la race. - Le tristesse juive. – Les crises religieuses du Judaïsme. - La question du Messie. - Israël phare des nations. – Le Juif moderne d’après Renan. - La campagne anti-sémitique. - Ce qui doit se faire se fera.

*
* *
* * * * *
* *
*

Parte Prima
LAZARE
(1894)

Préface

Indice di Drumont - Indice generale - Indice di Lazare

Quelques fragments de ce livre ont paru à longs intervalles dans des journaux et dans des revues; on leur a fait le grand honneur de les discuter et c’est parce qu’on les a discutés que j’écris ici ces quelques lignes. On m’a reproché à la fois d’avoir été antisémite et d’avoir trop vivement défendu les Juifs, et pour juger ce que j’avais écrit on s’est placé au point de vue de l’antisémitisme ou à celui du philosémitisme. Ona eu tort car je ne suis ni antisémite, ni philosémite; aussi n’ai je voulu écrire ni une apologie, ni une diatribe, mais une étude impartiale, une étude d’histoire et de sociologie.

Je n’approuve pas l’antisémitisme, c’est une conception étroite, médiocre et incomplète, mais j’ai tenté de l’expliquer. Il n’était pas né sans causes, j’ai cherché ces causes. Ai-je réussi à les déterminer, c’est à ceux qui liront ces pages d’en décider..

Il m’a semblé qu’une opinion aussi universelle que l’antisémitisme, ayant fleuri dans tous les lieux et dans tous les temps, avant l’ère chrétienne et après, à Alexandrie, à Rome et à Antioche, en Arabie et en Perse, dans l’Europe du moyen âge et dans l’Europe moderne, en un mot, dans toutes les parties du monde où il y a eu et où il y a des juifs, il m’a semblé qu’une telle opinion ne pouvait être le résultat d’une fantaisie et d’un caprice perpétuel, et qu’il devait y avoir à son éclosion et à sa permanence des raisons profondes et sérieuses.

Aussi ai-je voulu donner un tableau d’ensemble de l’antisémitisme, de son histoire et de ses causes, j’en ai voulu suivre les modifications successives, les transformations et les changements. Dans une telle étude il y aurait eu la matière de plusieurs livres, j’ai été par conséquent obligé de resserrer le sujet, d’en montrer les grandes lignes et d’en négliger le détai. Je compte en reprendre quelques parties, et un jour que j’espère prochain je tenterai de montrer quel a été dans le monde le rôle intellectuel, moral, économique et révolutionnaire du Juif, rôle que je n’ai fait ici qu’indiquer.

Paris, 25 avril 1894
B. L.


Parte Seconda
DRUMONT
(1886)

Introduction

Indice di Drumont - Indice generale - Indice di Lazare


Taine a écrit La Conquête jacobine. Je veux écrire La Conquête juive.
A l’heure actuelle, le Jacobin, tel que nous l’a décrit Taine, est un personnage du passé égaré au milieu de notre époque, il a cessé d’être dans le mouvement, comme on dit. Le temps n’est plus ce que nous ont dépeint les Goncourt, où « ce que l’architecture a de merveilles, ce que la terre a de magnificences, le palais et ses splendeurs, la terre et ses richesses, la forêt et ses ombres étaient les jetons de cette Académie de sang: - la Convention. »
Quand il veut se nantir lui-même, le Jacobin d’aujourd’hui échoue misérablement. Voyez Cazot, voyez Marius Poulet et Brutus Bouchet, ces purs hirsutes et mal peignés n’ont pas eu la légèreté de touche qu’il fallait pour réussir. Figurez-vous un pick-pocket qui ferait des bleus à ceux qu’il fouillerait, marcherait sur la queue des chiens ou casserait des carreaux au moment d’opérer, tous les regards se porteraient sur lui et la foule le poursuivrait en criant : «hou! hou!»
La seule ressource du Jacobin, en dehors de ce qu’il nous extorque par le budget, est de se mettre en condition chez Israël, d’entrer comme administrateur dans quelque compagnie juive où on lui fera sa part.
Le seul auquel la Révolution ait profité est le Juif. Tout vient du Juif, tout revient au Juif.
Il y a là une véritable conquête, une mise à la glèbe de toute une nation par une minorité infime mais cohésive, comparable à la mise à la glèbe des Saxons par les soixante mille Normands de Guillaume le Conquérant.
Les procédés sont différents, le résultat est le même. On retrouve ce qui caractérise la conquête, tout un peuple travaillant pour un autre qui s’approprie, par un vaste système d’exploitation financière, le bénéfice du travail d’autrui. Les immenses fortunes juives, les châteaux, les hôtels juifs ne sont le fruit d’aucun labeur effectif, d’aucune production, ils sont la proélibation d’une race dominante sur une race asservie.
Il est certain, par exemple, que la famille de Rothschild, qui possède ostensiblement trois milliards rien que pour la branche française, ne les avait pas quand elle est arrivée en France, elle n’a fait aucune invention, elle n’a découvert aucune mine, elle n’a défriché aucune terre, elle a donc prélevé ces trois milliards sur les Français sans leur rien donner en échange.
Cette fortune énorme s’accroît par une progression en quelque sorte fatale.
Le Dr Ratzinger l’a dit très justement « L’expropriation de la société par le capital mobile s’effectue avec autant de régularité que si c’était là une loi de la nature. Si on ne fait rien pour l’arrêter, dans l’espace de 50 ans, ou, tout au plus, d’un siècle, toute la société européenne sera livrée, pieds et poings liés, à quelques centaines de banquiers juifs. »
Toutes les fortunes juives se sont constituées de la même façon par une prélévation sur le travail d’autrui.
La spéculation, dit Schaeflle, qui fit partie du ministère conservateur de Hohenwarth, en Autriche, a touché, grâce à l’agiotage, deux milliards six cent vingt¬six millions de francs en sus du prix d’émission sur les actions des six grands chemins de fer français. Ces actions étaient ensemble au nombre de trois millions et le prix total de leur émission ne s’élevait qu’à 1.529.000.000.
A ce gain fabuleux, mais qui n’est qu’un détail dans l’ensemble, ajoutez les innombrables affaires financières et industrielles qui ont attiré l’argent des actionnaires avec de pompeuses promesses, à ce qu’ont apporté à ces entreprises des centaines de milliers de petits rentiers, d’ouvriers économes et vous aurez une faible idée de ce que le Juif, maître absolu de la finance, a pu extraire depuis soixante-dix ans de cette France laborieuse, qui recommence toujours un nouveau miel, quand on l’a dépouillée du précédent.
L’emprunt du Honduras, pour prendre un autre exemple que celui des Rothschild, est un de ces faits typiques que les Taine de l’avenir ne se lasseront pas d’étudier. Il ne s’agit pas ici d’une spéculation séduisante, au premier abord, et qui n’a pas réussi, jamais situation ne fut plus nette. Le Honduras est un minuscule pays de 500.000 habitants, dont le tiers au plus appartient à la race blanche, il ne possède aucune espèce de ressources, et quand ces gros emprunts furent émis, il était depuis cinquante ans hors d’état de payer un sou d’intérêt sur une dette qui s’élevait à 400.000 francs.
C’est dans de telles conditions que les Bischoffsheim, les Scheyer, les Dreyfus ont pu enlever à l’Épargne, en Angleterre et en France, une somme de 157 millions, (cent cinquante-sept millions), sur laquelle le Honduras a toujours affirmé n’avoir absolument rien reçu (1).
Certaines de ces affaires, dont les actions valent aujourd’hui zéro, et qui n’ont pu être lancées que par des moyens frauduleux, sont évidemment de pures et simples escroqueries.
Ce détournement énorme de l’argent acquis par les travailleurs ne s’en est pas moins accompli avec une impunité absolue.
Sans doute, il est très explicable que des ministres de la Justice, Francs-Maçons et inféodés aux Juifs, comme les Cazot, les Humbert, les Martin Feuillée, les Brisson, ne trouvent point ces faits répréhensibles. Mais la magistrature a eu à sa tête, avant eux, des hommes d’une intégrité indiscutable, comme les Tailhand, les Ernoul, les Depeyre, ils n’ont pas agi davantage que les ministres Francs-Maçons.
Regardez le duc de La Rochefoucauld-Bisaccia que je prends ici, sans nulle animosité particulière, comme un personnage représentatif, ainsi que s’expriment les Anglais, comme le représentant de l’aristocratie. Il reçoit parfaitement Erlanger chez lui, la baronne Erlanger fait partie à Deauville de la société select de la duchesse de Bisaccia. Le duc de La Rochefoucauld ne soupçonne même pas qu’il y ait un commandement de Dieu qui dit:

« Le bien d’autrui tu ne prendras,
Ni retiendras à ton escient. »

Ne vous payez pas de mots, ne vous arrêtez pas aux apparences, et vous constaterez que le duc de La Rochefoucauld et le prince Kropotkine ont à peu près les mêmes idées sur la propriété, et que la notion du Bien et du Mal est également oblitérée chez les deux. «Choisissez dans le tas, emparez-vous de tout ce qui est à votre convenance!» dit le chef des Anarchistes. Au fond, c’est exactement ce que fait Erlanger avec l’approbation tacite de la haute société française. Le révolutionnaire a du moins pour excuse d’être vivement ému par les souffrances des déshérités, et de vouloir leur donner le nécessaire. L’aristocratie française admet, au contraire, qu’un seul homme dépouille à son profit des milliers d’êtres humains pour s’assurer le superflu.
Ce symptôme est grave et l’on peut dire que ce qui fait l’immoralité des jours actuels ce n’est pas tant le nombre des coquins qui volent que le nombre des honnêtes gens qui trouvent tout simple que l’on vole.
S’il en est ainsi, c’est que la plupart des catholiques eux-mêmes sont absolument étrangers à l’économie sociale chrétienne. Ils ne se doutent pas que si l’homme a été condamné par Dieu au travail, le devoir de la société, sa raison d’être est d’empêcher qu’on ne le dépouille, soit par la violence, soit par la ruse, du fruit de ce travail.
Si l’ancienne société put vivre tranquille et heureuse sans connaître les guerres sociales, les insurrections, les grèves, ce fut parce qu’elle reposait sur ce principe: «Pas de bénéfice sans travail.» Les nobles devaient combattre pour ceux qui travaillaient, tout membre d’une corporation était tenu de travailler lui-même et il lui était interdit d’exploiter, grâce à un capital quelconque, d’autres créatures humaines, de percevoir sur le labeur du compagnon et de l’apprenti aucun gain illicite.
C’est une des prétentions sottes de notre temps que de croire qu’il a inventé l’économie politique. Ceux qui s’occupaient alors de ces questions n’étaient point sans doute, comme aujourd’hui, des membres de l’Institut, Malthusiens hypocrites et lubriques, des orateurs de réunions publiques irrités du spectacle de la misère et préoccupés de s’attirer les applaudissements de la foule en flattant ses passions. C’étaient les saints eux-mêmes qui cherchaient à mettre l’harmonie sur la terre, des rois comme saint Louis, discutant au Palais, avec Etienne Boileau, l’organisation du travail, des moines comme saint Thomas d’Aquin s’efforçant de définir le caractère du crédit. Ce crédit, saint Thomas d’Aquin le voulait chrétien et non judaïque, il entendait qu’il fût une aide donnée par un frère! Son frère et non une exploitation, un moyen d’opprimer cruellement ceux qui n’ont rien et de dépouiller ceux qui ont peu et qui veulent avoir davantage sans se donner la peine de le gagner. Volontiers il eût appelé l’argent, dont on fait un usage abusif, du nom que le peuple lui donne aujourd’hui, il l’eut appelé l’infâme capital.
Avant lui saint Jean Chrysostome s’était élevé contre l’agent paresseux et avide à la fois qui, sans travail, veut réaliser des gains odieux.
« Quoi de plus déraisonnable, avait-il dit, que de semer sans terre, sans pluie, sans charrue? Aussi tous ceux qui s’adonnent à cette damnable agriculture n’en moissonnent-ils que de l’ivraie qui sera jetée dans les flammes éternelles. Retranchons donc ces enfantements monstrueux de l’or et de l’argent, étouffons cette exécrable fécondité ! »
Les disciples de saint François d’Assise, le sublime mendiant qui aima tant les pauvres qu’il voulut être encore plus pauvre qu’eux, eurent, avec le sûr instinct que donne l’amour, la compréhension très nette de ces problèmes.
Aujourd’hui, grâce au Juif, l’argent auquel le monde chrétien n’attachait qu’une importance secondaire et n’assignait qu’un rôle subalterne est devenu tout puissant. La puissance capitaliste concentrée dans un petit nombre de mains gouverne à son gré toute la vie économique des peuples, asservit le travail et se repaît de gains iniques acquis sans labeur.
Ces questions, familières à tous ceux qui pensent en Europe, sont presque inconnues en France. La raison en est simple. Le Juif Lassalle lui-même a constaté combien était mince le fond intellectuel de la bourgeoisie dont les opinions sont fabriquées par les gazettes. «Celui qui lit aujourd’hui son journal, écrivait-il, n’a plus besoin de penser, d’apprendre, d’étudier. Il est prêt sur tous les sujets et se considère comme les dominant tous». Il y a soixante ans que Fichte, dans une espèce de vision prophétique qui n’omettait aucun détail, a peint ces lecteurs «qui ne lisent plus de livres, mais seulement ce que les journaux disent des livres, et à qui cette lecture narcotique finit par faire perdre toute volonté, toute intelligence, toute pensée et jusqu’à la faculté de comprendre».
Or, presque tous les journaux et tous les organes de publicité en France étant entre les mains des Juifs ou dépendant d’eux indirectement, il n’est pas étonnant que l’on nous cache soigneusement la signification et la portée de l’immense mouvement antisémitique qui s’organise partout.
[Nostro Commento: Si noti. Siamo nel 1886, ma già a questa data è scontato che i mezzi di comunicazione siano in mano ebraica. La citazione di Fichte è illuminante per la funzione che attribuisce alla stampa periodica: risparmiare al lettore il ricorso diretto al libro, giudicato come fonte primaria di conoscenza. Se è così, al libro si sostituisce ciò che del libro si dice ed il lettore si sente liberato dall’onere di leggere il libro. Può succedere così, per venire ai nostri giorni, che libri poderosi, costati molto studio e fatica ai loro autori, vengano “demoliti” perché alcuni giornalisti dicono che sono stati “demoliti” da un’altro libro che corrisponde meglio alle proprie opzioni politiche. Non mi sembra dubbio, che siano gli ebrei a farlo o altri, che vi sia questo uso della gazzettistica e che Drumont denuncia una degenerazione della stampa quotidiana, che è quanto mai fondata]
Tandis que le moindre personnage juif est surfait, tambouriné, célébré sur tous les tons, de vrais grands hommes, des patriotes au cœur ardent comme Simonry, Istoky Onody, Stœcker, sont absolument ignorés de nous. Il faut avoir approché quelques-unes de ces magnifiques individualités, avoir causé avec un de ces penseurs austères illuminés par le génie pour comprendre ce qu’a encore en réserve cette admirable race aryenne qui a déjà rendu tant de services à l’Humanité.
L’âme attristée, desséchée, atrophiée par les basses calomnies, les dénonciations ignobles qui alimentent seules notre vie intellectuelle d’aujourd’hui si étrangement abaissée, se dilate et respire devant les vastes horizons que déroulent ces nobles esprits, devant la conception grandiose qu’ils se font de l’Europe chrétienne.
En tous cas, il m’a paru intéressant et utile de décrire les phases successives de cette Conquête juive, d’indiquer comment, peu à peu, sous l’action juive, la vieille France s’est dissoute, décomposée, comment à ce peupler désintéressé, heureux, aimant, s’est substitué un peuple haineux, affamé d’or et bientôt mourant de faim.
Mon livre se rattache à tous les travaux tentés sous des formes différentes, par les psychologues et les romanciers, par les critiques et les chroniqueurs au jour le jour, par les Daudet, les Goncourt, les Zola, les Bourget, les Claretie, les Platel, les Scholl, les Maupassant, les Uzanne, les Bonnières, les Fournel, pour peindre ce monde qui change en quelque manière à vue d’oeil.
Chacun a le pressentiment d’un immense écroulement et s’efforce de fixer un trait de ce qui a été, se hâte de noter ce qui demain ne sera plus qu’un souvenir.
Ce qu’on ne dit pas, c’est la part qu’a l’envahissement de l’élément juif, dans la douloureuse agonie d’une si généreuse nation, c’est le rôle qu’a joué, dans la destruction de la France, l’introduction d’un corps étranger dans un organisme resté sain jusque-là. Beaucoup le voient, en causent à table, s’indignent de rencontrer partout des Sémites tenant le haut du pavé, mais ils aiment la paix et, pour des causes multiples, évitent de coucher leurs impressions sur le papier.
Il eût été plus sage, peut être, d’imiter cette prudence, mais je me souviens que saint Jean range les timides parmi ceux qui peuplent l’abîme infernal et ne regrette pas d’avoir publié ce livre.
Combien de fois m’est-il arrivé, après quelque séance dans une bibliothèque, de songer à un écrivain dont l’ouvrage, souvent inconnu, m’avait donné la révélation du passé, bien fait voir, bien expliqué un point’ d’histoire énigmatique !
Ce guide revivait vraiment pour moi, il était immortel, l’image que je me faisais de ce contemporain des jours disparus cheminait quelque temps avec moi à travers les rues de Paris. Mon livre, mal apprécié dans le présent, me vaudra plus tard quelque ami qui, lui aussi, pensera à moi, il me saura gré de lui avoir bien fait comprendre comment cette France, la terre des lys, le royaume au manteau bleu comme l’azur du ciel, s’est laissé enjuiver, affubler de la loque jaune.
Je ne me dissimule pas cependant les imperfections de mon travail, imperfections qui tiennent à plusieurs causes.
Tout d’abord l’œuvre latente du Juif est très difficile à analyser, il y a là toute une action souterraine, dont il est presque impossible de saisir le fil. Henri Heine l’a dit très justement: «Les faits et gestes des Juifs, ainsi que leurs moeurs, sont choses inconnues du monde. On croit les connaître parce qu’on a vu leur barbe, mais on n’a vu d’eux que cela, et, comme au Moyen Age, ils sont toujours un mystère ambulant».
En outre, l’histoire écrite ainsi en présence des événements a des inconvénients si elle a des avantages, elle donne l’accent précis et comme le rythme des faits, elle constitue le plus précieux des témoignages pour l’avenir. En revanche, il lui manque les documents que les chancelleries ne livrent que lorsque le temps a fait de la poussière des hommes et des passions d’une époque. Semblable à ces bâtons sigillaires qui contenaient chacun un fragment d’un acte ou d’une lettre, et qui, en se rejoignant, servaient comme d’un irrécusable témoignage, l’histoire définitive ne se constitue que par rapprochement des documents d’un pays, avec les documents d’un autre pays.
C’est un simple classement préparatoire, je le répète, que j’ai voulu tenter. Qu’on ne cherche point dans cet ouvrage les Mémoires secrets de la troisième République, quoique les écrivains juifs aient pénétré sans cesse dans la vie privée de tous pour les déshonorer, et que tout soit permis contre eux, je ne suis pas organisé pour les imiter, j’ai pris simplement, pour le passé, les documents historiques, pour le présent, les faits divers, les faits publics, évidents, racontés dans tous les journaux.
C’est dans la rue que je vous propose de regarder, en apportant seulement à cet examen la réflexion qui aide à tirer un enseignement du moindre détail, le bon sens du patriote qui cherche à se rendre compte du lamentable état dans lequel est tombé son pays.
En réunissant dans cette étude des raisons et des causes tout l’effort de notre travail et de notre bonne volonté, nous mériterons que ceux qui viendront après nous disent de nous : «Ils n’ont rien pu empêcher, sans doute, mais ils ont bien discerné les sources du mal, et ils les ont signalées avec intelligence et courage, ils n’ont été traîtres ni envers Dieu, ni envers la Patrie, ils n’ont été ni imbéciles, ni lâches».
Que de gens, aujourd’hui en belle situation, dont la Postérité ne pourra pas dire autant!

8 décembre 1885



NOTE

(1) «Le Honduras, dit la Gazette des tribunaux du 6 mars 1880, prétend n’avoir rien reçu de tout cet argent et son gouvernement fait aujourd’hui une enquête pour savoir ce que sont devenus les millions souscrits et dégager ainsi, s’il est possible, sa responsabilité devant les nations européennes en se réservant de poursuivre ceux qui seraient coupables. »
Vous savez, disait M. Sourigues à la Chambre, dans la séance du 1er février 1881, que dans l’émission des emprunts du Honduras, les lanceurs et concessionnaires de l’affaire se sont partagés [sic] entre eux et leurs auxiliaires, ou ont gaspillé 90 pour 100 de la somme demandée aux souscripteurs: 140 millions sur 167 ».
Il faut lire en entier ce discours de M. Sourigues. L’orateur fait preuve d’un véritable courage en continuant, malgré les interruptions incessantes des députés vendus, les cris: aux voix ! de l’Union républicaine, les lazzis du président. Le discours a été réuni en brochure sous ce titre: Vérités que chacun pense et que nul n’ose dire.



LIVRE PREMIER

LE JUIF

Indice di Drumont - Indice generale - Indice di Lazare

Les faits et geste des juifs, ainsi que leurs moeurs
sont choses inconnues du monde. On croit les
connaître parce qu’on a vu leurs barbes, mais on n‘a
vu d’eux que cela et comme au moyen âge ils sont
tojours un mystère ambulant.

Henri Heine

Sommario: 1. Les lieux communs sur le Juif. - 2. Le type véritable. - 3. Les Aryens et les Sémites. - 4. Absence de tout idéal et de tout esprit d’invention. - 5. Les variations de Renan. – Une conférence devant Alphonse de Rothschild. - L’oppression du Juif. – Le mépris du goy. - Le Juif civilisé et le Juif nature. - Le Schlossberg. – Impuissance du Juif à comprendre l’art élevé. - L’ignorance des Juifs au moyen Age. - La constitution physique. - Le Juif portugais et le Juif allemand. – La voix de la race. -Daniel Deronda. - Les tribus perdues. -La Femme de Claude. - Les Juifs du Sahara. - Les Juifs chinois. - Les Falachas. - Coninysby. – La solidarité des Juifs. -- Les piaillements du Juif. – Pacifico, Lévy de l’Enfida, le petit Mortara, Victor Noir, Lipmann, Selikuwitch, La duchesse de Berry et Deutz. - Un cas de conscience jugé par Crémieux. - L’espionnage juif. - La criminalité juive.- Un passage de Maxime du Camp. – Les célébrités du vol. - Les associations de voleurs juifs. – L’affaire Peschard. - Impunité, presque absolue accordée aux Juifs aujourd’hui. – Les grands accaparements. - Les rois juifs. - Les réhabilitations. ¬saint Bing. – Les révolutionnaires de l’orthographe. - Les Juifs et la peine de mort. – La prostitution juive. - Les hiérodules. - Les Juives. – Influence des prescriptions religieuses. - Le chiffre de ta’ population juive. Chiffres et documents contradictoires. - Le Juif au point de vue nosologique. – Les immunités du Juif devant la peste.. - L’odeur juive et Victor Hugo. – La névrose juive, Son caractère particulier. - Les existences romanesques. Mme de Païva. -Midhst pacha. - Naquet. - La politique et la régénération du cuir chevelu. ¬L’article 1965. - Le drame juif. - La dégénérescence de ta race. - La tristesse juive.
- La question du Messie. - Israël phare des nations. - Le Juif moderne d’après Renan. - La campagne antisémitique. - Ce qui doit se faire se fera.


1. Les lieux communs sur le Juif. - Il nous faut au début de cette étude essayer d’analyser cet être particulier, si vivace, si complètement différent des autres êtres: le Juif.
La tâche, au premier abord, paraît facile. Nul type n’a une physionomie plus énergiquement caractérisée, nul n’a conservé plus fidèlement la netteté de l’effigie première. En réalité ce qui nous gène pour le bien comprendre et pour le bien peindre ce sont nos propres idées, le point de vue où nous nous plaçons et qui est absolument distinct du sien.
«Le Juif est lâche,» dit le vulgaire. Dix-huit siècles de persécutions supportées avec une force d’endurance incroyable témoignent que, si le Juif n’a pas la combativité, il a cette autre forme de courage qui est la résistance.
Lorsque nous voyons certains hommes qui sont riches, qui avaient des noms honorés, servir un gouvernement qui outrage toutes leurs croyances, pouvons-nous sérieusement traiter de lâches des gens qui ont tout souffert plutôt que de renoncer à leur foi?
«Le Juif a le culte de l’argent.» Cette constatation d’un fait évident est encore une phrase déclamatoire dans la bouche de la plupart de ceux qui la prononcent.
Voilà des grands seigneurs, des femmes pieuses, des habituées de Sainte-Clotilde et de Saint-Thomas-d’Aquin qui quittent l’église pour aller faire des salamalecs à un Rothschild qui regarde comme le plus vil des imposteurs le Christ qu’ils adorent. Qui les force à aller là! L’amphitryon qui les attire a-t-il un esprit extraordinaire? Est il un causeur incomparable? A-t-il rendu des services à la France? Nullement. C’est un étranger, un Allemand peu parleur, quinteux et qui fait souvent payer en grossièretés à ses hôtes de l’aristocratie l’hospitalité qu’il leur donne par vanité.
Quel motif amène sous ce toit ces représentants de la noblesse? - Le respect de l’argent. Que vont-ils faire là ? - S’agenouiller devant le Veau d’or.

Torna al Sommario del Libro Primo.
Introduzione del Blogger.
Indice di Drumont - Indice generale - Indice di Lazare.

2. Le type véritable. - Ce que nous disions du duc de Larochefoucauld Bisaccia, dans notre introduction, peut s’appliquer au duc d’Aumale. Quand le duc d’Aumale arrive, la mine humble, faire sa révérence à Rothschild, qui l’appelle le vieux sous-off, alors qu’il lui serait si commode de rester chez lui à relire la glorieuse histoire de sa race, le descendant des Condé avoue implicitement que l’action d’avoir gagné beaucoup d’écus dans des spéculations plus ou moins propres équivaut à l’action d’avoir gagné la bataille de Rocroy, puisqu’on ne va que chez ses égaux et qu’il va chez ces gens-là.
Au fond, tous ces mépriseurs d’argent sont bien contents quand ceux qui l’ont ramassé veulent bien les en faire profiter.
Après leur déchéance ils sont les premiers à se railler eux-mêmes:
– Voulez-vous savoir ce que c’est que la voix du sang? demandait à ses amis un duc français qui, malgré les larmes de sa mère, avait épousé une Rothschild de Francfort, regardez…
Il appelle son petit garçon, tire un louis de sa poche et le lui montre. Les yeux de l’enfant flamboient…
– Voyez, reprend le duc, l’instinct sémitique se révèle de suite…

Torna al Sommario del Libro Primo.
Introduzione del Blogger.
Indice di Drumont - Indice generale - Indice di Lazare.

3. Les Aryens et les Sémites. – Laissons donc de côté ces lieux communs. Demandons à un examen plus attentif et plus sérieux les traits essentiels qui différencient le Juif des autres hommes et commençons notre travail par la comparaison ethnographique, physiologique et psychologique du Sémite et de l’Aryen, ces deux personnifications de races distinctes irrémédiablement hostiles l’une à l’autre dont l’antagonisme a rempli le monde dans le passé et le troublera encore davantage dans l’avenir.
Le nom générique d’Aryens ou Aryas, d’un mot sanscrit, qui signifie noble, illustre, généreux, désigne, on le sait, la famille supérieure de la race blanche, la famille indo européenne qui eut son berceau sur les vastes plateaux de l’Iran. La race aryenne rayonna sur le monde par des migrations successives. Les Ario Pélasges (les Grecs et les Romains) s’arrêtèrent sur les bords de l’Hellespont et de la Méditerranée, tandis que les Celtes, les Ario Slaves et les Ario Germains se dirigeaient vers l’Occident en contournant la mer Caspienne et en franchissant le Danube.
Rien, dit Littré, ne peut disputer aux Romains le caractère aryen, le latin qu’ils parlaient en est le signe assuré. Ce n’est pas sans surprise, mais avec une pleine certitude que l’érudition moderne a reconnu la parenté du latin avec le grec, de tous deux avec le persan et le sanscrit, et a rangé tous ces frères, étonnés de leur fraternité, en un même groupe.
Les chrétiens occidentaux sont les héritiers directs des Romain et, à ce titre, ils entrent dans tous les droits de leurs auteurs. Mais il y a plus, quand, à la lumière de la linguistique, on examine leurs titres on voit qu’ils ont les leurs propres. Les Italiens, en tant que latins, sont, cela va sans dire, Aryens, les Celtes de la Gaule et d’Albion le sont aussi, le celtique est un dialecte de ce parler dont les peuplades sont répandues jusqu’au fond de l’Occident. C’est aussi de l’une de ces peuplades émigrantes que la Germanie tire sa langue, et dès lors elle est dite aryenne, comme les autres. Pour l’Espagne seule il y aurait lieu de contester, ce sont des Ibères qui ne tiennent aux Aryens ni par la langue ni par la race, mais le gouvernement de Rome, par une longue possession et par une civilisation supérieure, les a fait parler latin, et malgré la diversité primordiale, il n’est plus possible de les séparer des Italiens et des Gaulois dont ils sont devenus frères par l’éducation.
Toutes les nations de l’Europe, on le voit, se rattachent donc par les liens les plus étroits à la race aryenne d’où sont sorties toutes les grandes civilisations.
Les Sémites, représentés par des familles diverses : la famille araméenne, la famille hébraïque et la famille arabe, semblent être originairement partis des plaines de la Mésopotamie.
Sans doute Tyr, Sidon, Carthage atteignirent à un moment un haut degré de prospérité commerciale, l’empire arabe, plus tard, eut une splendeur passagère, mais rien, dans ces établissements éphémères, ne ressemble à ces civilisations fécondes et durables de la Grèce et de Rome, à l’admirable société chrétienne du moyen âge.
La race aryenne ou indo-européenne possède seule la notion de la justice, le sentiment de la liberté, la conception du Beau.
Les civilisations sémitiques si éclatantes qu’elles paraissent, dit très bien M. Gellion-Danglar (2), ne sont que de vaines images, des parodies plus ou mains grossières des décors de carton peint que certaines gens ont la complaisance de prendre pour des oeuvres de marbre et de bronze Dans ces sociétés artificielles le caprice et le bon plaisir sont tout et sont seulement couverts du nom prostitué de la justice qui n’est rien… Le bizarre, le monstrueux y tiennent la place du beau et la profusion a banni de l’art le goût et la décence. Le Sémite n’est point fait pour la civilisation et pour l’état sédentaire. Au désert, sous la tente, il a sa beauté, sa grandeur propre, il suit sa voie, il forme harmonie avec le reste de l’humanité. Ailleurs, il est déplacé, toutes ses qualités disparaissent : ses vices ressortent. Le Sémite, homme de proie dans les sables de l’Arabie, héroïque dans un certain sens, devient un vil intrigant dans la société.
Dès les premiers jours de l’histoire nous voyons l’Aryen en lutte avec le Sémite. Ilion était une ville toute sémitique et le duel entre deux races explique le retentissement particulier qu’eut la guerre de Troie (3).
Le conflit se perpétua à travers les Ages et presque toujours c’est le Sémite qui a été le provocateur avant d’être le vaincu.
Le rêve du Sémite, en effet sa pensée fixe a été constamment de réduire l’Aryen en servage, de le mettre à la glèbe. Il a essayé d’arriver à ce but par la guerre, et Littré (4) a montré, avec sa lucidité habituelle, le caractère de ces grandes poussées qui faillirent donner aux Sémites l’hégémonie du monde. Annibal qui campa sous les murs de Rome fut bien près de réussir. Abdérame qui, maître de l’Espagne, arriva jusqu’à Poitiers, put espérer que l’Europe allait être à lui. Les ruines de Carthage, les ossements de Sarrasins que la charrue rencontre parfois dans les champs, où triompha Charles Martel, racontent quelle leçon fut donnée à ces présomptueux.
Aujourd’hui le Sémitisme se croit sûr de la victoire. Ce n’est plus le Carthaginois ou le Sarrasin qui conduit le mouvement, c’est le Juif, il a remplacé la violence par la ruse. A l’invasion bruyante a succédé l’envahissement silencieux, progressif, lent. Plus de hordes armées annonçant leur arrivée par des cris, mais des individualités séparées, s’agrégeant peu à peu en petits groupes, se mettant à l’état sporadique, prenant possession sans éclat de toutes les places, de toutes les fonctions d’un pays depuis les plus basses jusqu’aux plus élevées. Au lieu d’attaquer l’Europe en face, les Sémites l’ont attaquée à revers: ils l’ont tournée, dans les environs de Wilna, ce Vagina Judeorum (5), se sont organisés des exodes qui ont occupé l’Allemagne, franchi les Vosges et conquis la France.
Rien de brutal, je le répète, mais une sorte de prise de possession douce, une manière insinuante de chasser les indigènes de leurs maisons, de leurs emplois, une façon mœlleuse de les dépouiller de leurs biens d’abord, puis de leurs traditions, de leurs mœurs et enfin de leur religion. Ce dernier point, je le crois, sera la pierre d’achoppement.
Par leurs qualités comme par leurs défauts les deux races sont condamnées à se heurter.

4. Absence de tout idéal et de tout esprit d’invention. – Le Sémite est mercantile, cupide, intrigant, subtil, rusé, l’Aryen est enthousiaste, héroïque, chevaleresque, désintéressé, franc, confiant jusqu’à la naïveté. Le Sémite est un terrien ne voyant guère rien au-delà de la vie présente, l’Aryen est un fils du ciel sans cesse préoccupé d’aspirations supérieures, l’un vit dans la réalité, l’autre dans l’idéal.
Le Sémite est négociant d’instinct, il a la vocation du trafic, le génie de tout ce qui est échange, de tout ce qui est une occasion de mettre dedans son semblable. L’Aryen est agriculteur, poète, moine et surtout soldat, la guerre est son véritable élément, il va joyeusement au-devant du péril, il brave la mort.
Le Sémite n’a aucune faculté créatrice, au contraire l’Aryen invente, pas la moindre invention n’a été faite par un Sémite (6). Celui-ci par contre exploite, organise,
passion, il avait enlevé aussi la caisse aux bijoux. Hérodote nous le montre forcé par une tempête d’aborder en Egypte et dénoncé au Pharaon comme coupable non seulement d’avoir déshonoré l’hôte qui l’ avait accueilli, mais encore de lui avoir dérobé ses trésors. Le Pharaon ne voulut pas violer envers le Sémite les lois de l’hospitalité qu’il avait si peu respectées lui-même et lui ordonna seulement de sortir immédiatement de ses États.
Le Sémite Halévy n’a pas montré tout cela dans la Belle Hélène. Comment, dans deux situations historiques, les Sémites entrèrent en compétition avec les Aryens pour l’hégémonie du monde, et comment ils y faillirent.
5 Wilna est le grand réservoir qui verse les Juifs en Europe. Ce sont les Juifs de Wilna et des environs qui, après la campagne de Russie, assassinèrent nos blessés. Thiers a raconté cet épisode dans son histoire Du Consulat et de l’Empire, tome XIV. « Chose horrible à dire, écrit-il, les misérables Juifs polonais qu’on avait forcés de recevoir nos blessés, dès qu’ils virent l’ennemi en retraite, se mirent à jeter les blessés par les fenêtres et quelquefois même à les égorger, s’en débarrassant ainsi après les avoir dépouillés. Triste hommage offert aux Russes dont ils étaient les partisans. 6 Il est inutile de dire qu’il n’y a pas un mot de vrai dans la phrase stéréotypée : « Les Juifs ont inventé la lettre de change. » La lettre de change, la lettre de crédit, le chèque étaient d’un usage courant à Athènes quatre siècles avant notre ère, le symbolon, les kollubiestika symbola étaient de véritables
fait produire à l’invention de l’Aryen créateur des bénéfices qu’il garde naturellement pour lui.
[10]
L’Aryen exécute les voyages d’aventure et découvre l’Amérique, le Sémite, qui aurait eu une si belle occasion de s’arracher fièrement à l’Europe, à la persécution et de montrer qu’il était susceptible de faire quelque chose par lui-même, attend qu’on ait tout exploré, tout défriché, pour aller s’enrichir aux dépens des autres.
En un mot tout ce qui est une excursion de l’homme dans des régions ignorées, un effort pour agrandir le domaine terrestre est absolument en dehors du Sémite et surtout du Sémite juif, il ne peut vivre que sur le commun, au milieu d’une civilisation qu’il n’a pas faite.
Le malheur du Sémite, - retenez bien cette observation fondamentale en mémoire de moi, - est qu’il dépasse toujours [11] un point presque imperceptible qu’il ne faut pas franchir avec l’Aryen.
L’Aryen est un géant bon enfant. Il est heureux pourvu qu’on lui conte une de ces légendes dont a besoin son imagination éprise du merveilleux. Ce qui lui plaît ce ne sont pas des aventures dans le genre des sémitiques Mille et une Nuits, où des enchanteurs découvrent des trésors, où des pécheurs, jetant leurs filets dans la mer, les retirent pleins de diamants. Il est nécessaire, pour qu’il soit touché, que sur la trame de toutes ces fictions se détache un être qui se dévoue, qui combatte pour une cause, qui se sacrifie, qui aille comme Parsifal à travers mille dangers à la conquête du Saint-Graal : la coupe remplie du sang d’un dieu.
L’Aryen est resté l’être candide qui se pâmait au moyen âge en écoutant les chansons de geste, les aventures de Garain le Loherain, d’Olivier de Béthune ou de Gilbert de Roussillon qui, après avoir refusé d’épouser la fille d’un sultan, transperçait cinq mille mécréants d’un seul coup de lance. Il a écouté longtemps la légende de 89 comme il eut écouté le récit d’un cycle chevaleresque. Un peu plus et les rédacteurs de la République française lui auraient fait croire que les membres du gouvernement de la Défense nationale, montés sur des chevaux fougueux, comme les anciens preux, avaient bravé les plus affreux périls peur gagner la bataille de l’emprunt Morgan. Pendant qu’il est naïvement intéressé par ces prouesses, rien n’est plus facile que de lui enlever sa bourse et même, de lui enlever ses bottes sous prétexte qu’elles le gêneraient pour marcher dans la voie du progrès.
A l’Aryen, je le répète, on peut tout faire, seulement il faut éviter de l’agacer. Il se laissera dérober tout ce qu’il possède [12] et tout à coup entrera en fureur pour une rose qu’on voudra lui arracher. Alors soudain réveillé, il comprend tout, ressaisit
lettres de change. Les banquiers, les trapézistes ne se contentaient pas d’échanger les beaux statéres à tête de femme de Cyzique contre les tétradragmes à la chouette d’Athènes, les dariques à l’image d’un sagittaire de la Perse contre les pièces d’Égine marquées à la tortue, ils usaient constamment des instruments de crédit en usage aujourd’hui.
Il suffit, pour être convaincu de cette vérité, de parcourir le Trapézitique d’Isocrate, qui nous fait assister à l’histoire d’une maison de banque pendant plus d’un siècle.
Écoutez ce que dit le fils de Sopeos : « Statoclès devait s’embarquer pour le Pont, et moi je voulais faire venir de ce pays le plus d’argent possible. Je priais donc Statoclès de me laisser tout l’or dont il était porteur, à son arrivée dans le Pont il se ferait payer par mon père sur les sommes que celui-ci avait pour moi. Je regardais en effet comme un grand avantage de ne point exposer mes écus aux périls du voyage alors surtout qu’à cette époque les Lacédémoniens étaient maîtres de la mer. »
L’endossement de la lettre de change, l’aval, la seconde signature tout cela était parfaitement connu, ouvrez encore le Trapézitique : « Statoclès me demanda qui le rembourserait de ses avances si mon père ne se conformait pas aux instructions données dans la lettre et s’il ne me retrouvait pas au retour de son voyage. Je lui présentai alors Pasion qui s’engagea à lui rendre le capital et les intérêts échus. »
Dans une de ses lettres à Atticus, Cicéron, au moment d’envoyer son fils à Athènes, se demande s’il faut lui donner de l’argent comptant ou lui donner une lettre de crédit.
Voir à ce sujet un intéressant travail de M. Caillemer : Études sur les antiquités juridiques d’Athènes : lettre de change et contrat d’assurance.
l’épée qui traînait dans un coin, tape comme un sourd et inflige au Sémite qui l’exploitait, le pillait, le jouait, un de ces châtiments terribles, dont l’autre porte la trace pendant trois cents ans.
Le Sémite, du reste, n’est nullement étonné. Il est dans son tempérament d’être oppresseur, et dans ses habitudes d’être châtié. Il trouve presque une certaine satisfaction quand tout est rentré dans l’ordre normal, il disparaît, s’évanouit dans un brouillard, se terre dans un trou où il rumine une nouvelle combinaison pour recommencer quelques siècles après. Quand il est tranquille et heureux au contraire, il éprouve ce qu’un académicien de beaucoup d’esprit appelait la nostalgie du San Benito…
L’intelligence du Sémite si perspicace et si déliée est au fond bornée, il n’a ni la faculté de prévoir, ni celle de voir au-delà de son nez recourbé sur la terre, ni le don de comprendre certaines petites nuances délicates comme des fleurs et qui sont les seules choses en ce monde qui méritent que l’homme expose sa vie sans regret.
Renan a distingué beaucoup de ces points. « La race sémitique, selon lui, se reconnaît presque uniquement à des caractères négatifs, elle n’a ni mythologie, ni épopée, ni science, ni philosophie, ni fiction, ni arts plastiques, ni vie civile, en tout,
absence de complexité de nuances, sentiment exclusif de l’unité7 .
La moralité elle-même, dit-il, fut toujours entendue par cette race d’une manière fort différente de la nôtre. Le Sémite ne con[13]naît guère de devoirs qu’envers lui-même. Poursuivre sa vengeance, revendiquer ce qu’il croit être son droit, est à ses yeux une sorte d’obligation. Au contraire, lui demander de tenir sa parole, de rendre la justice d’une manière désintéressée, c’est lui demander une chose impossible. Rien ne tient donc dans ces âmes passionnées contre le sentiment indompté du moi. La religion d’ailleurs est, pour le Sémite, une sorte de devoir spécial, qui n’a qu’un lien fort éloigné avec la morale de tous les jours.
Ailleurs il ajoute encore :
L’esprit des peuples sémitiques manque en général d’étendue et de délicatesse. L’intérêt n’est jamais banni de leur morale. La femme idéale, dont le livre des Proverbes XXXI, 100 et suivant nous trace le portrait, est une femme économe, intéressée, profitable à son mari : mais d’une moralité fort peu élevée. Le plus saint homme chez les Juifs et chez les Musulmans ne se fait pas faute de commettre des crimes atroces pour en arriver à ses fins. La poésie sémitique nous offre à peine une page qui ait un charme de sentimentalité. Quand l’amour s’y exprime c’est sous la forme d’une volupté lascive et brûlante, comme dans le Cantique des Cantiques, ou sous la forme d’une courtoisie de harem comme dans
les Moultakar8 .
Tout ceci, il est vrai, est écrit avant les succès inouïs du sémitisme dans ces dernières années. Rien n’est curieux à étudier comme la façon dont cet homme, si bien doué au point de vue artistique, si bas au point de vue du caractère, se met à plat ventre devant ces triomphants.
[14]
7 Histoire générale des langues sémitiques 8 Consulter à ce sujet le Molochisme juif, ouvrage posthume de Gustave Tridou, l’ancien membre de la Commune qui, malgré ses erreurs et ses blasphèmes, contient quelques points de vue exacts. Gustave Tridon est le seul parmi les révolutionnaires qui ait osé attaquer les sémites qu’il appelle « l’ombre dans le tableau de la civilisation, le mauvais génie de la terre. » « Tous leurs cadeaux, dit-il, sont des pestes. Combattre l’esprit et les idées sémitiques est la tâche de la race indo-aryenne. » Il est bon de remarquer qu’il n’a pas publié de livre de son vivant.
Il reconnaît, en 1862, dans son discours d’ouverture du cours d’hébreu au collège de France, que les Juifs forment partout une race à part. Dans sa conférence au cercle Saint Simon, en 1883, il affirme contre toute évidence que le Judaïsme est non une race, mais simplement une religion.
Il faut ajouter que si les Juifs ont quelque intérêt à l’heure présente à faire soutenir publiquement par Renan cette thèse qui est absolument fausse, ils déclarent le contraire entre eux de la façon la plus précise et la plus formelle. Rien de moins
équivoque que ce passage des Archives9 .
« Israël est une nationalité ». Nous sommes nés Juifs, « natu », parce que nous sommes nés Juifs. L’enfant issu de parents israélites est Israélite. La naissance lui fait incomber tous les devoirs d’un Israélite. Ce n’est pas par la circoncision que nous recevons la qualité d’Israélite.
Non, la circoncision n’a aucune analogie avec le baptême chrétien. Nous ne sommes pas Israélites parce que nous sommes circoncis, mais nous faisons circoncire nos enfants parce que nous sommes Israélites. Nous acquérons le caractère d’Israélite par notre naissance et nous ne pouvons jamais perdre ce caractère ni nous en démettre, même l’Israélite qui renie sa religion, même celui qui se fait baptiser, ne cesse pas d’être Israélite. Tous les devoirs d’un Israélite continuent à lui incomber.
Ajoutons que ces devoirs l’Israélite les remplit presque toujours, il sert sa race dans un autre camp et n’en est que plus utile à Israël. C’est généralement à lui, en, effet, que les chrétiens s’abandonnent avec le plus d’ardeur, c’est à celui-là qu’ils confient leurs plus secrètes espérances.
Dans son désir de plaire aux Juifs, Renan ne s’émeut pas pour si peu. Après avoir constaté jadis que les prétendus [15] services rendus à la civilisation par les Juifs d’Espagne se réduisaient à rien, que le rôle philosophique des Juifs au moyen âge avait été celui de simples interprètes, il déclare tout à coup, dans une conférence organisée par la Société des Études juives, que les Juifs sont nos bienfaiteurs.
La conclusion du discours du savant conférencier, disent les Archives israélites du 31 mai 1883, c’est que l’avenir appartient au judaïsme. C’est à cette religion épurée et débarrassée de ses scories, que l’humanité se ralliera, car elle seule assurera le règne de la justice, cet idéal si superbement décrit par les grands prophètes d’Israël.
L’esprit moderne, ajoute Renan, le monde en se convertissant aux idées de liberté, d’égalité, de tolérance, est fait juif.
Pendant qu’il parle ainsi tenant la main fermée, On voit le sequin d’or qui luit entre ses doigts.
Alphonse de Rothschild, en effet, préside la réunion, ce qui explique bien des choses, il boit du lait, il fait le gros dos en apprenant que la véritable égalité c’est qu’il possède trois milliards pendant que tant de Français meurent de faim. Il sourit à l’orateur prosterné devant lui d’un sourire à la fois protecteur et méprisant.
Quel valet ! Semble-t-il dire. Quel malheureux ! dirons-nous10. N’est-il pas à plaindre ? Vous tous petits et grands qui défendez comme vous pouvez la victime du
9 Archives israélites, année 1864.
Nous voyons, le Samedi Saint 12 avril 1884, Renan prendre part en compagnie d’un Juif, nommé Armand Lévy, un des organisateurs du Congrès anti-clérical, à une cérémonie rendue burlesque par la présence de ce personnage, l’inauguration du buste de Mickiewicz, au collège de France. Cet Armand Lévy n’a absolument aucun titre littéraire. D’après le Gaulois, c’est un ancien homme d’affaires qui occupe aujourd’hui ses loisirs en s’adonnant à la politique des clubs. On le rencontre dans toutes les réunions publiques, socialiste chez les socialistes, marchand de vin chez les marchands de vins. Le
Calvaire, le [16] Dieu qu’ont prié vos pères, ne vous sentez-vous pas plus heureux que cet apostat qui baise la main du bourreau du Christ pour une poignée d’écus qu’on lui jette avec dégoût ?
Croyez-vous que le vieux pasteur dépouillé par Goulet, le pauvre prêtre de Savoie auquel le misérable Isaïe Levaillant a volé son petit traitement, qui disent leur bénédicite devant un morceau de pain noir, n’ont pas l’âme plus tranquille au fond que cet académicien riche, bien renté et ami des Rothschild ?
Les défauts du Sémite expliquent que l’antagonisme naturel qui existe entre l’Aryen et lui se perpétue à travers les siècles.
Si vous voulez comprendre l’histoire du moyen âge regardez ce qui se passe chez nous.
La France, grâce aux principes de 89 habilement exploités par les Juifs, tombait en dissolution. Les Juifs avaient monopolisé toute la fortune publique, tout envahi, à part l’armée. Les représentants des vieilles familles, gentilshommes ou bourgeois, s’étaient divisés en deux classes : les uns se livraient au plaisir, avaient pour maîtresses des filles juives qui les corrompaient ou les ruinaient, des marchands de chevaux et des usuriers juifs également, qui aidaient les filles. Les autres obéissaient à cette attraction de la race aryenne vers l’infini, vers le Nirwana indoue, le paradis d’Odin, ils se désintéressaient presque du mouvement contemporain, ils se perdaient dans l’extase, ils n’avaient presque plus pied dans la vie réelle.
[17]
Si les Sémites avaient eu quelques années de patience ils touchaient au but. Un des rares hommes vraiment sages qu’ils comptent parmi eux, un disciple de Philon, un représentant de l’école juive d’Alexandrie, Jules Simon, leur dirait bien ce qu’il fallait faire : occuper la terre tout doucement et laisser les Aryens émigrer au ciel.
Les Juifs n’ont jamais voulu entendre de cette oreille-là, au Sémite Simon ils ont préféré le Sémite Gambetta. Sous prétexte que ce Fontanarose avait fait avaler aux Français les bourdes les plus énormes, ils l’ont soutenu, commandité, appuyé, ils ont cru qu’il allait les débarrasser de ce Christ qu’ils haïssent comme au jour où ils l’ont crucifié. La Franc-maçonnerie a donné, les journaux juifs ont monté l’opinion, on a prodigué l’or, on a payé largement les commissaires de police qui, jusqu’au dernier moment, refusaient de se rendre coupables d’un crime.
Qu’est-il arrivé ? Ce que nous disions plus haut. L’Aryen agacé, troublé, blessé dans les sentiments de noblesse et de générosité innés chez lui, a senti le rouge lui monter au visage devant le spectacle de malheureux vieillards traînés hors de leurs cellules par des argousins. Il lui a fallu un peu de temps pour réfléchir, pour rassembler ses idées, se recueillir.
– Enfin au nom de quel principe agit-on ? a-t-il demandé.
- Au nom du principe de liberté, ont répondu en chœur les journaux des Porgès, des Reinach, des Dreyfus, des Eugène Mayer, des Camille Sée, des Naquet.
- En quoi consiste ce principe ?
-En ceci : un Juif quelconque sort de Hambourg, de Francfort, de Wilna, de n’importe où, il amasse un certain nombre de millions aux dépens des goym, il peut prome[18]ner partout ses équipages, son domicile est inviolable, à moins d’un mandat d’amener que naturellement on ne décerne jamais. Au contraire un Français natif, un Français naturel, pour employer le mot de Saint-Simon, se dépouille de tout ce qu’il possède pour le donner aux pauvres, il marche pieds nus, il habite une chambre étroite et blanchie à la chaux dont ne voudrait pas le domestique du domestique de Rothschild, celui-là est hors la loi, on peut le jeter dans la rue comme un chien.
L’Aryen réveillé de sa somnolence jugea, non sans raison, que du moment où l’on comprenait ainsi cette fameuse tolérance dont on parlait tant depuis cent ans, il fallait
plus étonné a dû être ce pauvre Mickiewicz qui, en maintes occasions, notamment dans son livre populaire Ksieje pielgrzymstwa a flétri « l’âme sordide des Juifs et leur vil esprit. »
Nous verrons, dans ce livre, Renan tombé plus bas encore.
encore mieux donner des coups que d’en recevoir ; il estima qu’il n’était que temps d’arracher le pays à des maîtres aussi peu endurants. « Puisque la robe de bure du moine gêne ta redingote, nous te remettrons la loque jaune, mon vieux Sem » . Telle fut la conclusion de ces méditations. C’est de cette époque que date en France la première constitution du comité anti-sémitique ou, pour être plus précis, anti-juif.
Ce qui se passe en France s’est passé en Allemagne. Les Juifs avaient aidé tant qu’ils pouvaient au Kulturcampft, poussé de toute leur énergie aux vexations contre les catholiques. Le Kulturkampf est fini et la guerre antisémitique commence à peine.
En lisant cet ouvrage jusqu’au bout vous verrez d’ailleurs le même fait se reproduire dans des conditions presque identiques à toutes les époques et dans tous les pays.
II semble que le Juif, en revenant toujours aux procédés qui le font toujours chasser, obéisse véritablement à une impulsion irrésistible. L’idée de se conformer aux habitudes, ou à [19] la religion des autres n’entre pas dans ces cervelles. C’est vous qui devez vous soumettre au Juif vous plier à ses coutumes, supprimer tout ce qui le gêne.
De cette société du passé, remarquez-le, ils veulent bien accepter tout ce qui flatte leur vanité, ils recherchent avec un grotesque empressement les titres militaires de barons et de comtes qui vont à ces manieurs d’argent comme un chapeau de femme à un singe. Il n’est pas d’abject tripoteur ou de marchand de chaînes de sûreté appartenant de près ou de loin à Israël, qui ne soit au moins chevalier de la Légion
d’honneur11. Mais là s’arrête la condescendance, dès qu’un de nos usages les choque il faut qu’il disparaisse12 .
Le droit du Juif à opprimer les autres fait partie de sa religion, il est pour lui un article de foi, il est annoncé à chaque ligne dans la Bible et dans le Talmud.
[20]
Tu gouverneras, disent les psaumes de David (ps.2), tu gouverneras les
autres peuples que tu soumettras avec une verge de fer, tu les briseras comme le
potier fait un vase.
Il consumera peu à peu les nations devant vous par parties, dit le
Deutéronome, car vous ne pourriez les exterminer toutes ensemble, de peur que
les bêtes de la terre ne se multiplient trop.
Il vous livrera leurs rois entre vos mains. Vous détruirez jusqu’à leur nom. Rien ne pourra vous résister.
Contre le chrétien, le gentil, le goy (au singulier goy, au pluriel goym), tous les moyens sont bons.
Le Talmud contient, sous ce rapport, des assertions que nos députés si chatouilleux en théologie se garderaient bien de porter à la tribune sous peine de se voir fermer au nez les guichets des banques juives où ils émargent.
11
L’avidité des juifs pour les croix n’a d’égale que leur insolence vis-à-vis des gouvernements qui les leur ont accordées. En 1868, les Archives Israélites s’apitoyaient sur le chagrin qu’éprouvaient les Israélites à porter des décorations comme Isabelle la Catholique, Saint-Nicolas de Russie, les saints Maurice et Lazare et demandaient « qu’on rendît le nom de ces décorations plus laïque. »
12
L’oppression du juif, la nuance, je crois, est bonne à signaler, s’est pas la maîtrise en quelque sorte inconsciente de l’être supérieur, c’est l’oppression de l’inférieur qui s’impose à l’élite par je ne sais quelle obstination grossière, quel mépris tenace et sourd de la liberté d’autrui, quel vouloir persévérant dans les détails les plus minuscules. Qu’est-ce qui n’a pas subi un jour ou l’autre cette tyrannie d’en bas qui ressemble un peu à l’entêtement de la cuisinière qui, si le maître est faible, finit par lui faire manger tout ce qu’il ne peut pas souffrir ?
Les Goncourt ont merveilleusement dépeint cet envahissement graduel du Juif dans Manette Salomon, oû l’on voit un grand artiste qui en arrive peu à peu à être annihilé, réduit à rien, foulé aux pieds par une drôlesse israélite qui s’est introduite dans son atelier, comme les Juifs se sont introduits en France, par la pitié.
On peut et on doit tuer le meilleur goym.
L’argent des goym est dévolu au juif, donc il est permis de les voler et de les
tromper13 .
L’évolution sociale du Sémite elle même est absolument différente de la nôtre. Le type de la famille aryenne dans l’état de civilisation est la gens romaine qui devint la maison féodale. Pendant de longues générations la force vitale, le génie s’économisent, puis l’arbre dont les racines plongent dans le sol porte au sommet un homme illustre qui est comme le résumé des qualités de tous les siens. L’être prédestiné met un siècle parfois à se développer, mais de l’extraction la plus humble sort une de ces figures complètes, charmantes et vaillantes, héroïques et lettrées, comme notre histoire en compte tant.
Dans la race sémitique les choses se passent autrement. [21] En Orient, un chamelier, un porteur d’eau, un barbier est distingué par le souverain. Le voilà soudain pacha, vizir, confident du prince, comme ce Mustapha-Ben-Ismaïl qui s’introduisit au Bardo en vendant des petits gâteaux et qui, selon l’expression égrillarde de M. Dauphin, procureur général, « rendait à son maître des services de jour et de nuit, » ce qui lui mérita de notre gouvernement, peu scrupuleux comme on sait, la croix de grand officier de la Légion d’honneur.
Il en est de même chez le Juif. En dehors des familles sacerdotales qui constituent une véritable noblesse, la noblesse n’existe pas, il n’y a pas de familles illustres, quelques unes se transmettent du crédit de père en fils, dans aucune on ne se lègue de la gloire.
En moins de vingt ans, si les circonstances lui sont favorables, le Juif atteint tout son développement, il naît au fond d’une judengasse, il gagne quelques sous dans une première opération, il se lance à Paris, se fait décorer par l’entremise d’un Dreyfus quelconque, achète un titre de baron, se présente hardiment dans un grand cercle, prend les allures de quelqu’un qui a toujours été riche. Chez lui la transformation est en quelque manière instantanée, il n’éprouve nul étonnement, il ignore absolument certaines timidités.
Prenez un Juif de Russie chez lui, sous sa thouloupe crasseuse, avec ses tirebouchons et ses boucles d’oreille et, après un mois de bains, il s’installera dans une loge à l’Opéra avec l’aplomb d’un Stern ou d’un Gunzburg.
Prenez comme opposition un brave entrepreneur de bâtisse français, enrichi très honorablement, il aura toujours l’air un peu emprunté et gêné, il fuira les milieux trop élégants. Son fils, né dans des conditions meilleures, [22] initié aux raffinements de la vie, sera tout différent. Le petit-fils, si la famille continue en s’élevant à rester honnête et chrétienne, représentera le vrai gentilhomme, il aura une délicatesse de pensée et une noblesse de sentiment que le youtre n’aura jamais.
Par contre, si le Juif arrive tout de suite à l’aplomb il ne parvient jamais à la distinction. A part certains Juifs portugais qui, jeunes, ont de beaux yeux, vieux, une certaine majesté orientale, vous ne trouverez jamais chez aucun d’eux ce je ne sais quoi de calme, d’aisé, de courtois, de digne qui fait qu’un grand seigneur français authentique, un français de race, eût-il un vêtement râpé, se reconnaît partout. Le Juif est insolent, jamais fier, il ne dépasse jamais ce premier degré auquel, d’ailleurs, il atteint très facilement. Les Rothschild, malgré leurs milliards, ont l’air de revendeurs d’habits. Leurs femmes, avec tous les diamants de Golconde, ressembleront toujours à des marchandes à la toilette, non point endimanchées, mais ensabbatées.
Il manquera toujours au Juif vis-à-vis du chrétien ce qui est l’attrait des rapports sociaux : l’égalité. Le Juif - qu’on tienne bien compte encore de cette observation - ne sera jamais l’égal d’un homme de race chrétienne. Il rampe à vos genoux, ou il vous écrase sous son talon, il est dessous ou dessus, jamais à côté.
13 Citations du Talmud reproduites par la Revue des Etude juives.
Ceux de mes lecteurs intelligents entre les mains desquels ce livre tombera n’ont qu’à rappeler leurs souvenirs. Même dans une conversation de dix minutes avec un Juif ce phénomène apparaît. Dès que vous vous abandonnez avec lui à cette familiarité, à cette bonhomie, à cette liberté qui fait le charme des commerces mondains, il vous monte immédiatement sur le dos, il attente à votre cerveau, il [23] vous supprime, il faut le tenir à la main soigneusement. Que l’on cause avec un millionnaire ou avec un besogneux, il faut lui rappeler à chaque instant qui vous êtes et qui il est…
Une autre cause rend le Juif peu propre aux relations où l’on se propose un autre but que l’intérêt, c’est la monotonie du type, il n’a point cette culture raffinée, ce superflu intellectuel, chose si nécessaire, qui est le sel de tout entretien, on ne rencontre que très rarement chez lui ces théories brillantes et chimériques, ces aperçus piquants, ces paradoxes amusants que certains causeurs sèment au hasard dans leurs propos. S’il était fourni de ces idées le juif se garderait bien de les gaspiller entre camarades et il tâcherait d’en tirer de l’argent, mais en réalité il vit sur la masse. C’est un monocorde, et la causerie la plus longue n’offre nulle surprise avec lui.
Tandis que la race aryenne comporte une variété infinie d’organisations et de tempéraments, le Juif, lui, ressemble toujours à un autre Juif, il n’a point de facultés, mais une aptitude unique, qui s’appliqua, à tout : la Thebouna, cette subtilité pratique si vantée par les Moschlim, ce don merveilleux et inanalysable qui est le même chez l’homme politique que chez le courtier et qui le sert si admirablement dans la vie.
C’est le Juif nature qu’il faut voir pour comprendre le Juif civilisé. Le Schlossberg de Presbourg particulièrement donne bien une idée de l’état intermédiaire entre le Juif sordide de la Galicie et le Juif presque élégant des capitales.
Figurez-vous aux flancs d’une montagne une chaussée qui grimpe aride, poussiéreuse, blanchâtre. A droite et à [24] gauche, des échoppes ou de petites maisons basses comme celles d’Orient, garnies de barreaux comme au moyen âge, Sur la voie publique grouille pêle-mêle au milieu de défroques de toutes sortes, de vieilles ferrailles, de meubles disparates, de tas de légumes, de monceaux d’ordures, une population de sept à huit mille Juifs.
Il y a là des vieux étonnants de laideur à côté de jeunes filles adorablement belles drapées dans des haillons, la redingote domine néanmoins chez les hommes qui se rattachent au présent par le chapeau haut de forme, et au passé par les pieds nus qui contrastent avec la coiffure.
L’aspect général cependant éveille plutôt le sentiment de la vie moderne qu’une impression d’autrefois. A vrai dire, il semble à chaque instant reconnaître des figures de connaissance, et ce coin de ghetto a l’air d’un petit Paris. Ces deux youtres à mine futée en train de dépecer les décors d’un théâtre, n’est-ce pas Dreyfus et Lockroy ? Cet homme vautré sur un canapé de reps exposé dans la rue et sur lequel on a placé des choux, n’a t-il pas une frappante ressemblance avec Stern, du cercle de la rue Royale ? Regardez cette jeune fille osseuse, qui marche pieds nus, couverte seulement d’une camisole sale et d’un jupon qui ne va que jusqu’aux genoux, c’est Sarah Bernhardt enfant. Voici Melle Isaac qui mord à bouche que veux-tu à une grappe de maïs tout cru. Examinez cette femme qui se pavane sur le pas de sa porte, son allure ne vous rappelle-elle pas le mouvement de cou insolent et niais à la fois d’une célèbre baronne, ce cou d’oie enorgueillie qui n’a aucun rapport avec l’ondulation gracieuse et souple de la Lagide au col de cygne qu’a chantée Gautier ? Mettez du velours, des diamants, des vêtements corrects sur tout ce [25] peuple de revendeurs, de receleurs, de préteurs sur gages et vous aurez une salle de première.
Eux-mêmes semblent avoir la notion de cette situation. A la fois arrogants et humbles ils paraissent attendre philosophiquement le coup de marée qui les portera à la ville, à la fortune, aux honneurs. Ils ne sont point pressés et ne se trouvent pas malheureux.
Au centre de ce quartier plein de loques s’élève une synagogue dans le style oriental qui est une merveille, on la montre avec complaisance à l’étranger, on prend même parfois le goy curieux pour quelque frère arrivé qui veut se rendre compte de la position des frères en retard. J’ai donné là vingt kreutzers à une femme chaussée de bottes énormes qui voulait absolument m’embrasser la main. Inutile, ma vieille, lui ai¬je dit, je suis charmé de t’être agréable, ton fils sera probablement mon maître et je serais très content de gagner un morceau de pain en, collant des bandes dans son journal. »
Un Christ, pliant sous le faix douloureux de la croix, dont l’expression vous arrache des larmes, indique l’endroit où finit ce ghetto libre où les Juifs restent volontairement. Prudents en ce pays, et pour cause, les Israélites n’ont encore que légèrement mutilé ce Christ devant lequel une lampe brûle toute la nuit, ils se dédommageront quand ils seront ministres, sénateurs, députés, conseillers municipaux, préfets en France en jetant dans le tombereau à ordures les crucifix de nos églises après ceux de nos écoles.
Au bout de la montée on est devant le château de Schlossberg où furent longtemps couronnés les rois de Hongrie et que Marie Thérèse habita. Rien n’est saisissant comme ce burg où l’incendie n’a laissé que les murs, ouvert à tout vent, béant, formidable encore, il se détache avec un étrange [26] relief sur l’horizon. Au bas le Danube, non plus impétueux comme il était en sortant de Vienne, comme il sera quelques lieues plus loin, mais endormi, morne, semblant opposer comme une inerte résistance aux bateaux à vapeur qui le remontent péniblement. A gauche, l’île d’Au avec ses guinguettes, devant vous des bancs de sable, dans le lointain les grandes îles qu’on appelle le Jardin d’or.
Par un temps brumeux, comme il faisait quand j’allai visiter ce qui fut une demeure royale, le lieu est d’une mélancolie profonde. Le monde féodal avec ses gloires, ses souvenirs héroïques, ses pompes triomphales est en ruines comme ce château abandonné, le monde nouveau s’agite à quelques pas de vous dans cette cité juive d’où sortiront, jusqu’à l’heure d’une renaissance chrétienne, les millionnaires adulés par une société servile, les artistes acclamés sur la foi de réclames par la foule imbécile et badaude.
Il ne faut point juger en effet du mérite artistique ou littéraire des Juifs par tout ce qu’ils impriment aujourd’hui. Ils diraient volontiers de tous leurs savants ce qu’ils disent du rabbin Éliezer dans la Bibliothèque rabbinique de Bartolocci : « Quand le firmament serait de vélin et quand l’eau de la mer se changerait en encre, elle ne suffirait pas à écrire tout ce qu’il sait. » Des chefs-d’oeuvre chrétiens sont laissés dans l’ombre, on bat la grosse caisse au contraire pour tout ce qui porte la marque juive, on décerne l’épithète d’honneur, l’épithète chover, au moindre plumitif ou au plus affreux barbouilleur qui appartient de près ou de loin à la confrérie.
La vérité est que le Juif est incapable de dépasser un degré très peu élevé. Les Sémites n’ont aucun homme de génie de la taille du Dante, de Shakespeare, de Bossuet, [27] de Victor Hugo, de Raphaël, de Michel-Ange, de Newton, et on ne comprendrait pas qu’ils en eussent. L’homme de génie, presque toujours méconnu et persécuté, est un être supérieur qui donne quelque chose à l’humanité, or, l’essence même du Juif est de ne rien donner. Rien d’étonnant à ce qu’ils s’en tiennent à un talent d’écoulement facile. Leur Corneille c’est Adolphe d’Ennery, et leur Raphaël c’est
Worms14 .
Quoi de plus frappant exemple de cette impuissance créatrice du Sémite que cette Carthage qui, après avoir été un moment la maîtresse du monde, n’a pas laissé une œuvre d’art ? Quand les Sémites tout-puissants à l’heure actuel, les Rothschild, les Camondo, les Stern, souverains de la Tunisie, grâce à Gambetta, se sont décidés à sacrifier quelques sous sur leur bénéfice pour interroger les ruines de Carthage, ils n’ont trouvé que quelques objets insignifiants, tandis que la plus humble bourgade de la Grèce nous livre chaque jour de nouveaux trésors. Il y avait plus d’art dans la fabrique d’un potier habitant un hameau de la Béotie, Tanagra, que dans Carthage tout entière.
En art, ils n’ont créé aucune figure originale, puissante ou touchante, aucune œuvre maîtresse, ils n’admettent que ce qui se vend, ils font le sublime au besoin, le faux sublime bien entendu, mais ils préfèrent le bas, ce qui leur permet à la fois de s’enrichir en flattant les appétits grossiers de la multitude et de servir leur cause en tournant en risée les enthousiasmes, les souvenirs pieux, les traditions augustes des peuples aux dépens de qui ils vivent.
[28]
S’agit-il de déchaîner avec une musique de carrefour la bande hurlante des Clodoches ? Strauss, le chef d’orchestre, lève son archet. Veut-on tourner l’armée en ridicule au moment où une guerre terrible se prépare ? Voilà Ludovic Halévy qui invente le général Boum. Est-il opportun pour nos ennemis que tout ce qu’un peuple respecte : l’héroïsme, l’amour honnête, les chefs-d’œuvre immortels soient raillés à outrance ? Offenbach, l’agent prussien, est tout prêt. Est-il utile de déshonorer le théâtre de Racine et de Molière, de mettre la guillotine sur les planches, et d’introduire sur notre scène qui fut glorieuse un personnage qui dise s. n. d. D ? Le
Juif Busnach s’offre à cette tâche15 .
Souhaitez-vous que les salles de danse, où la jeunesse d’autrefois prenait ses ébats avec un entrain honnête deviennent un mauvais lieu ? Le Juif Markoswki est votre homme. Simia la Juive, l’androgyne Wolf est là pour prôner toutes ces
turpitudes et pour amener les gens du monde16 .
Le coup est double, géminé comme ils disent. Pendant que des Juifs allemands viennent commettre ces infamies en France, d’autres Juifs écrivent en Allemagne : « Voilà où [29] en est la France, voilà sa littérature, voilà ce qu’elle produit ! »
Quand les ancêtres de ces hommes ont-ils prié avec les nôtres ? Dans quel coin de village ou de ville sont donc leurs tombeaux de famille ? Dans quel vieux registre de paroisse trouvez-vous le nom de ces nouveaux venus qui, il y a moins d’un siècle, n’avaient pas le droit d’habiter sur cette terre d’où ils veulent nous chasser maintenant ? En quoi se rattachent-ils aux traditions de notre race ?
Ainsi on répond aux vrais Allemands, aux compatriotes de Goethe et de Schiller, en répudiant toutes ces pornographies et toutes ces opérettes. Ils nous disent alors : « Tant pis pour vous, il ne fallait pas recevoir ces gens-là, vous deviez bien supposer qu’ils ne venaient chez vous que pour vous déshonorer et vous trahir.
Ainsi qu’un certain théâtre infime, la peinture et la musique (une certaine peinture et une certaine musique toujours), réussissent aux Juifs, ils s’en assimilent d’autant plus facilement les procédés que, dans l’abaissement actuel du niveau artistique, le mode d’expression, le côté exclusivement formel l’emporte sur l’essence de l’idée.
Comme nous le montrent MM. Georges Perrot et Charles Chipiez dans leur Histoire de l’art dans l’antiquité, les Phéniciens régnèrent pendant des siècles sur la Méditerranée, sans inspirer aux peuples avec lesquels ils étaient sans cesse en rapport d’autres sentiment que la défiance et l’effroi pour leur âpreté au gain, pour leur perfidie, pour leurs méfaits. « On savait que, par ruse ou par force, ils prenaient ce qu’on ne leur vendait pas, qu’ils faisaient le commerce des esclaves et que tous les moyens leur étaient bons pour s’emparer, par force ou par ruse, d’une belle fille ou d’un enfant. On ne pouvait se passer d’eux et on les craignait, on les détestait. On les appelait polupaïpaloï, les hommes « très fins » « ceux qui savaient tromper », apotêlia eidotès, « ceux qui exploitaient, qui dévoraient », trôktai, et « qui faisaient une foule de maux aux hommes. » 15 Petit Jacquet, drame en 5 actes, représenté à l’Ambigu le 12 novembre 1881.
Notez encore que le Juif ne crée même pas dans cet ordre, il se borne à corrompre ce qui existe, il avilit une chose restée décente et propre tant qu’il ne s’en est pas mêlé. De l’ancienne danse française, bonne enfant et rieuse, il fait le cancan ignoble, le chahut canaille, de la chanson, ariette naïve ou noël joyeux que nos pères entonnaient au dessert, il fait l’opérette aux Evohés rauques, aux sous-entendus obscènes, au rythme lubrique ; du journalisme parfois un peu vif, mordant, agressif de nos pères, il fait la chronique à chantage ; de la gravure seulement badine, légère, un peu décolletée du XVIIIe siècle, il fait la gravelure ; de la caricature de Gavarni, de Saumier, de Traviée, il fait la grosse saleté que Strauss, digne parent du musicien, vend rue du Croissant.
Notons ce nouveau point encore que vous ne pourrez pas citer un Juif qui soit un grand écrivain français.
Le Juif attrape admirablement le jargon parisien. Heine, Albert Wolff, Halévy dont nous parlions tout à l’heure, beaucoup de nos confrères allemands sont plus parisiens que nous qui sommes nés à Paris. Il y a là effectivement [30] un chic, une allure artificielle, une verve conventionnelle et factice que le Juif s’approprie de suite dès qu’il lui est démontré que ces chroniques, ces opérettes, ces articles Paris sont d’un débit avantageux. En outre sa haine pour tout ce qui est beau et glorieux dans notre passé l’inspire dans cette œuvre de démolition par la raillerie à laquelle les Français applaudissent avec un sourire idiot.
Parler français est autre chose. Pour parler une langue il faut d’abord penser dans cette langue, il y a entre l’expression et la pensée une corrélation étroite. On ne peut pas s’adresser à quelque Leven ou à quelque Reinach pour faire naturaliser son style comme on fait naturaliser sa personne, il faut avoir sucé en naissant le vin de la patrie, être vraiment sorti du sol. Alors seulement, qu’il s’agisse d’attaquer comme Voltaire, Paul Louis, ou Proudhon, de défendre comme Louis Veuillot, votre phrase a un goût de terroir puisé à un fonds commun de sentiments et d’idées.
Quelle preuve plus convaincante de ce fait que Gambetta, dont nous aurons l’occasion d’apprécier plus loin l’étonnante phraséologie ?
Les autres Juifs plus prudents ont évité en partie ce ridicule et se font une langue à eux, la langue bizarre citée maintenant dans presque tous les journaux, et qui délaie dans des périodes insipides et grises un certain nombre de banalités.
En constatant cet envahissement de notre littérature, on songe involontairement au récit du rabbin Benjamin de Tudèle qui, visitant la Grèce au moyen âge, rencontra des hordes de Juifs campés sur le Parnasse. Le contraste n’est-il pas émouvant ?
Des bandes sordides de ces circoncis qu’Aristophane méprisait tant, installés parmi ces lauriers-[31]roses qui virent, aux heures radieuses de l’Hellade, le dieu à l’arc d’argent, Smynthée Apollon guider le choeur sacré des Muses sœurs !
Cette impuissance à s’assimiler dans sa substance même la langue d’un pays s’étend jusqu’à la prononciation. Le Juif, qui parle si facilement tous les idiomes, garde toujours je ne sais quel accent guttural qui le décèle à un observateur attentif. Richard Andrée a constaté ce fait dans ses Observations intéressantes sur le peuple juif. « Quelque habiles, dit-il, que soient les Juifs pour s’approprier partout la langue du pays, et quoiqu’ils la regardent à la longue comme leur langue maternelle, ils n’arrivent que rarement à la parler assez correctement pour qu’on ne puisse pas les distinguer des indigènes. La plupart de nos Juifs instruits eux-mêmes ont un accent particulier qui les fait reconnaître sans les regarder. C’est une marque de race qui se trouve chez les Juifs de toutes les nations, Rohep (Premier séjour au Maroc) a été frappé du même phénomène.
Les Juifs, écrit-il, ne peuvent nulle part apprendre complètement la langue du pays qu’ils habitent. On reconnaît de suite le Juif allemand à sa prononciation bizarre, il en est de même des Juifs de l’Afrique septentrionale. On reconnaît le juif entre cent arabes à son accent, bien qu’il ne diffère pas par sa physionomie et son costume. Rien n’est plus risible que d’entendre un juif parler l’arabe et la langue des États barbaresques.
Incapable de s’élancer à la découverte dans les régions de l’art, le Sémite n’a pas davantage interrogé les domaines inconnus de la science. Tout ce qui est une exploration de l’infini par l’homme, un effort pour agrandir le monde terrestre est absolument en dehors de sa nature. Il vend des lorgnettes ou fabrique des verres de lunettes comme [32] Spinoza, mais il ne découvre pas d’étoiles dans l’immensité des cieux comme Leverrier il ne pressent pas plus un continent à l’horizon comme Colomb17, qu’il ne devine les lois de la pesanteur dans l’espace comme Newton.
Maintenant qu’ils sont les arbitres de l’opinion, qu’ils minent dans les académies grâce à la lâcheté des chrétiens, les Juifs nous racontent des histoires de l’autre monde : ils ont gardé le dépôt de la science dans le moyen âge, ils nous ont transmis les découvertes des Arabes. Rien n’est plus faux, les Juifs ont paru savants en utilisant quelques bribes des livres d’Aristote, mais dès qu’on a été à la source on s’est aperçu que rien ne venait d’eux ; malgré leur horreur pour les reliques, ils jouaient simplement le rôle de l’âne de la fable.
Pendant des siècles ils ont monopolisé l’exercice de la médecine qui leur rendait l’espionnage facile en leur permettant de s’introduire partout, et ils ne se sont pas doutés une minute de la circulation du sang. Bail18, qui leur est pourtant bien favorable, reconnaît qu’ils étaient mille fois plus ignorants encore que leurs contemporains sous le rapport scientifique, ils croyaient que les cieux étaient [33] solides, le firmament, rakiak, était percé d’ouvertures par lesquelles la pluie tombait. Ils regardaient l’os Luz, comme la racine du corps où aboutissaient tous les viscères, et qui ne pouvait être ni brisé ni moulu ; ils formulaient des axiomes comme ceux-ci : « un peu de vin et de pain pris à jeun préserve le foie de soixante maladies, » « c’est un signe certain de pléthore sanguine lorsqu’on rêve à une crête de coq. »
Cela n’empêche pas M. Darmesteter19 , sous-directeur à l’école des Hautes Études, de nous affirmer « que le moyen âge a été chercher au ghetto sa science et sa philosophie.
Que M. Darmesteter nous parle de « l’action sourde et invisible » des Juifs contre l’Église, « de la polémique religieuse qui, pendant des siècles, ronge obscurément le christianisme, » à la bonne heure. Mais prétendre que les juifs ont rendu un service quelconque à la science, c’est se moquer de la candeur des jeunes gens chrétiens que Ferry a chargé ce Juif d’instruire.
C’est à l’Aryen qu’on doit toutes les découvertes petites ou grandes, l’imprimerie, la poudre, l’Amérique, la vapeur, la machine pneumatique, la circulation du sang, les lois de la pesanteur. Tous les progrès se sont produits par le naturel développement de la civilisation chrétienne. Le Sémite, il ne faut pas se lasser de le répéter, n’a fait qu’exploiter ce que le génie ou le travail d’autrui avait conquis. Le véritable emblème du Juif c’est le vilain oiseau qui s’installe cyniquement dans le nid construit par les autres.
Maintenant que nous avons indiqué les traits principaux [34] qui sont communs à peu près à tout les Sémites, examinons de plus près la race et l’espèce.
Il y aurait évidemment une étude très complète et très curieuse à faire de la physiologie du Juif. Malheureusement, les éléments sont peu nombreux. Avec leur entregent habituel, leur activité ordinaire, les Juifs se sont fourrés dans toutes les sociétés d’anthropologie, dans toutes les associations qui permettent d’écrire un titre sur une carte de visite, une fois là, ils mettent tout en oœuvre pour empêcher qu’on ne s’occupe d’eux d’une façon trop précise.
Comme saint Louis, comme le Dante, Christophe Colomb était un tertiaire de l’ordre de Saint-François. il paraît maintenant démontré que Jeanne d’Arc appartenait aussi au Tiers Ordre, elle fut encouragée et soutenue dans sa mission par le F. Richard, le célèbre prédicateur de l’époque. Les Franciscains ont joué un grand rôle dans la délivrance de la France et dans la guerre contre les Anglais. Les agents juifs allemands déguisés eu républicains savaient bien ce qu’ils faisaient en traquant nos religieux.
Voir, à ce sujet, un article de M. Siméon Luce dans la Revue des Deux Mondes du 1er mai 1881, et le magnifique ouvrage Saint François d’Assise publié par les R. P. Capucins sous la direction du P. Arsène de Châtel et du P. de Porrentruy. 18 État des Juifs. 19 Coup d’exil sur l’histoire du peuple juif.
Les principaux signes auxquels on peut reconnaître le Juif restent donc : ce fameux nez recourbé, les yeux clignotants, les dents serrées, les oreilles saillantes, les ongles carrés au lieu d’être arrondis en amande, le torse trop long, le pied plat, les genoux ronds, la cheville extraordinairement en dehors, la main moelleuse et fondante de l’hypocrite et du traître. Ils ont assez souvent un bras plus court que
l’autre20 .
Il est certain que les tribus ont conservé presque intacts les traits qui les distinguaient jadis et dont plusieurs sont indiqués dans la Bible. Gambetta, avec son nez d’une courbe si prononcée, se rattachait à la tribu d’Ephraïm. Il en est [35] de même de Reinach et de Porgès, ce qui explique leur sympathie mutuelle. Camondo noir et velu est de la tribu de Jacob. Henry Aron, avec ses yeux striés de filaments rouges, se réclamait de la tribu de Zabulon. La Kaulla blanche et fine est de la tribu de Juda. Lockroy, avec sa petite tête chafouine, est d’Asser. Les innombrables Lévy, malgré des différences apparentes, appartiennent à la tribu de ce nom. Les tribus se flairent, se sentent, se rapprochent entre elles, mais dans l’état actuel de cette science embryonnaire, on ne peut formuler aucune règle précise.
En dehors de ces nuances de tribus encore mal définies, il faut distinguer dans le Juif deux types absolument distincts : le Juif du Midi et le Juif du Nord, le Juif portugais et le Juif allemand.
Les Juifs du rite portugais, on le sait, prétendent s’être installés en Espagne dès la plus haute antiquité : ils rejettent avec horreur toute solidarité avec les déicides, ils prétendent même que les Juifs habitant Tolède ont écrit alors à leurs frères de Jérusalem pour les détourner de commettre un si grand crime. Beaucoup d’historiens, le Juif Emmanuel Aboab entre autres, dans sa Nomologie, admettent l’authenticité de cette missive dans laquelle Lévi, chef de la synagogue, Samuel et Joseph, Juifs de Tolède, s’adressent au grand prêtre Eléazar, aux hommes sages, Samuel Canut, Anne et Caïphe, Juifs de la Terre Sainte. Graëtz, au contraire, déclare toutes ces assertions erronées, mais il faut remarquer qu’il est allemand, c’est-à-dire animé de sentiments
hostiles contre les Portugais21 .
[36] Quoi qu’il en soit, la différence est très considérable entre les deux spécimens de Juifs.
Réchauffé par le soleil de l’Orient, le Juif du Midi est parfois beau physiquement, il n’est pas rare de trouver en lui le type arabe conservé presque dans toute sa pureté. Quelques-uns font songer avec leurs yeux de velours doux et caressants, un peu faux toujours, leur chevelure d’ébène, à quelque compagnon des rois Maures et même à quelque hidalgo castillan, il faut, par exemple, qu’ils conservent leurs mains gantées, la race avide et basse apparaît vite dans ces doigts crochus, dans ces doigts toujours agités par la convoitise, toujours contractés pour le rapt.
Le Juif allemand n’a rien de ces allures. Les yeux chassieux ne regardent point, le teint est jaunâtre, les cheveux couleur de colle de poisson. La barbe presque toujours d’un roussâtre indéfinissable est parfois noire, mais d’un noir vert désagréable et qui a des reflets de redingote déteinte. C’est le type de l’ancien marchand d’hommes, de l’usurier de bas étage, du cabaretier borgne. La Fortune, je l’ai dit, ne les change pas
20
Lavalier observe que les Juifs, en général, ont le visage blafard, le nez crochu, les yeux enfoncés, le nez proéminent, les muscles constricteurs de la bouche fortement prononcée, les cheveux crépus, roux on bruns, la barbe rare, marque ordinaire de tempéraments efféminés. « La dégradation physique, ajoute-t-il, suit toujours la dégradation morale, elle se fait remarquer plus fortement chez les Hébreux, c’est le résultat d’une complète dépravation. »
Le portrait est un peu chargé. Les Juifs entre eux ne sont pas dépravés : le mal qu’ils font aux goym n’est que l’exercice de la guerre, tant pis pour vous si vous êtes trop vils pour défendre votre Dieu et trop bêtes pour protéger votre argent.
21
Voir : Études historiques, politiques et littéraires sur les Juifs d’Espagne, par Amador de Los Rios, traduction de M. Magnabal et les Juifs d’Espagne, par Graëtz, traduction de M. Georges Stenn.
en les touchant de sa baguette. Quand on voit passer certains personnages parisiens, que des purs sang emportent au bois dans un landau décoré d’un tortil de baron, on a des réminiscences de figures entrevues déjà, de négociants en vieux galons, de colporteurs de fil et d’aiguilles. Ceux-là ont été décrits par un coreligionnaire appartenant à une famille bien cotée et presque considérable dans la Juiverie, M. Cerfbeer de Medelsheim.
Le juif allemand, dit-il, est au moral vaniteux, ignorant, cupide, ingrat, bas, rampant, insolent, au physique il est sale, galeux et déguenillé. Les juives sont impérieuses, crédules, médisantes, acariâtres et fort sujettes à caution en matière de
foi conjugale22 .
[37]
L’auteur porte ensuite contre les rabbins des accusations que nous ne reproduisons pas, car jamais un écrivain chrétien n’attaque un prêtre, à quelque religion qu’il appartienne, il laisse cela aux écrivains de la presse juive.
Parmi les Juifs allemands, les connaisseurs distinguent encore une variété : le Juif polonais à gros nez et cheveux crépus23 . A ses entreprises de finance le Juif du Midi mêle un grain de poésie, il vous prend votre bourse, -c’est la race qui veut cela, - mais à l’aide de conceptions qui ne manquent pas d’une certaine grandeur. Comme Mirés, comme Millaud, comme Péreire, il se frotte volontiers aux lettrés, il y a des journaux où l’on écrit quelquefois en français, il recherche l’homme de plume et s’honore de l’avoir à sa table, à la rigueur, si l’écrivain lui avait fait gagner cent mille francs, il lui mettrait cinq cents francs sous sa serviette.
[38]
Le Juif du Nord n’a même pas le génie du commerce, c’est le rogneur de ducats d’autrefois, celui qui, ainsi qu’on le disait à Francfort, faisait subir aux écus l’opération de la circoncision. Son confrère du Midi s’agite, se remue, s’ingénie, lui ne bouge pas, immobile et stagnant il attend le moment derrière son guichet, il déprécie les titres comme il dépréciait les monnaies, il s’enrichit sans produire jamais. L’un est la puce sautillante et gaie, l’autre est le pou visqueux et gluant, vivant dans l’inertie aux dépens du corps humain.
Le Sémite religieux, celui qui se souvient encore des jours où il ouvrait sa tente pour prier aux rayons du soleil levant, le Sémite relativement tolérant aussi, est l’homme du Midi. Le haineux, le faiseur de caricatures obscènes, celui qui crache sur le crucifix, est l’homme du Nord.
Les Juifs du Midi cependant ont beaucoup plus souffert que les Juifs du nord, mais ils ont été moins méprisés. Le martyre, comme il arrive, a grandi les descendants des victimes, tandis que l’habitude de vivre dans les humiliations publiques a plongé dans la dégradation les fils des Juifs allemands.
Ne vous y trompez pas cependant, le plus fort, le vrai Juif est le Juif du Nord. Pereire, poète et artiste jusqu’à un certain point, a essayé en vain de lutter contre
22 Les Juifs leur histoire, leurs mœurs. Il existait autrefois quatre rites : le rite sephardi, le rite askenazi, le rite pullen et le rite français. Le rite français disparut à la suite de l’expulsion des juifs de France. La secte des Karaïtes compte 500 membres dans les Etats de Wilna et de Wolhynie, 200 à Odessa et près de 4.000 en Crimée.
Les Karaïtes ne reconnaissent pas l’autorité du Talmud et n’admettent que la règle de l’Ecriture. Les rabbins orthodoxes qualifient les Karaïtes de Samaritains, de Sadducéens, d’Epicuriens. Cette secte, d’après eux, aurait été fondée par un rabbin du VIIe siècle, Anus ben David qui s’était présenté à Babylone comme candidat à la haute dignité de Gaon ou Resch Gloutha. Furieux d’avoir été repoussé, il aurait constitué une secte dissidente.
Les Karaites, de leur côté, prétendant que leur secte existait déjà du temps du premier temple. En 1836, le Chacham de Troki répondit à l’empereur Nicolas, qui l’interrogeait en passant par cette ville : « On ne peut nous reprocher d’avoir crucifié Jésus-Christ, car nous n’étions plus à Jérusalem depuis la destruction de la première église. »
Rothschild, il a été obligé de renoncer au combat d’où il était sorti fort meurtri. La presse et la banque juives n’ont pris Gambetta sous leur protection, et n’ont travaillé à faire presque passer grand homme le petit secrétaire de Crémieux que parce qu’en dépit de son sobriquet italien, il était Juif allemand d’origine.
Il semble que par une logique assez naturelle, le triomphe momentané du Juif doive s’incarner dans le Juif complet, [39] dans le vrai Juif, dans le Juif le plus rampant, le plus longtemps honni au détriment du Juif déjà décrassé, poli, civilisé, humanisé.
Il ne faudrait pas d’ailleurs attacher plus d’importance qu’il ne convient à ces divisions. Portugais ou Allemands24, Askenazim ou Sephardim25 , comme on dit à Jérusalem, tous, en dehors de dissentiments passagers, se tiennent étroitement unis contre le goy, l’étranger, le chrétien.
La question religieuse même ne joue qu’un rôle secondaire à côté de la question de race qui prime toutes les [40] autres. Dans ceux mêmes qui ont abandonné le Judaïsme depuis deux ou trois générations, le Juif sait retrouver les siens, il démêle à des signes certains si une goutte de sang juif coule dans leurs veines, parfois même, ¬ce qui est très bien, - il épargne un ennemi parce qu’il a reconnu que c’était un frère qui avait perdu sa route.
Dans Daniel Deronda26 cette merveilleuse étude de l’hébraïsme pour laquelle le Juif Lewes avait fait lire à sa compagne, Georges Elliot, le plus grand romancier de l’Angleterre après Dickens, deux ou trois cents volumes d’histoire, ce point est admirablement mis en lumière.
Daniel Deronda est un véritable héros de roman, un patricien beau, jeune, intelligent, éloquent qui ne se doute assurément pas qu’il est de la famille de Jacob, l’attraction de la race le pousse à s’éprendre d’une Juive. Alors intervient Mordecaï un de ces illuminés, un de ces sectaires qui mènent le monde à l’heure actuelle au profit de la cause sémitique. Il a reconnu le coreligionnaire sous le gentleman, il soulève devant lui un coin du voile qui cache cette politique du siècle incompréhensible pour les superficiels et les naïfs.
Daniel ne tarde pas à connaître toute la vérité. Il est le fils d’une cantatrice célèbre, l’Alcharisi. L’Alcharisi a prié un de ses amants, lord Mallinger, d’adopter son fils et de l’élever comme un futur pair d’Angleterre. Tandis que l’enfant grandit, la comédienne poursuit le cours de ses succès, elle épouse un prince allemand, et quand Daniel a l’âge d’homme, elle se décide à lui révéler cette vérité [41] qu’ elle croit devoir l’attrister : « Ma mère, répond simplement Daniel, je suis heureux et fier d’être Juif. »
24
Portugais et Allemands attendent, pour se réconcilier complètement, que l’ennemi commun, le christianisme, soit détruit. Rien n’est plus instructif sous ce rapport que le début d’une brochure publiée en 1865 au moment où il était question de la fusion des deux rites. On voit bien là que la haine du Christ est toujours aussi vive chez les juifs, qu’elle est leur point de ralliement à tous, qu’elle anime aussi bien les Juifs pratiquants que les Juifs prétendus libres-penseurs.
Voici le préambule de cette brochure adressée à « Messieurs les commissaires de la fusion :
« Messieurs, avant de modifier quoi que ce soit aux formes de notre culte, une question, une grave question doit vous être présentée.
« La divinité de Jésus-Christ peut-elle résister à la lumière que notre époque a fait jaillir sur elle ?
« Si cette divinité devait conserver son prestige, si l’unité de Dieu, la divinité de Jésus, la Sainte Trinité et l’adoration de la Vierge peuvent encore être réunies dans un même culte sans que la raison humaine se trouve offensée, si l’heure n’est pas venue, gardons-nous, Messieurs, de l’esprit de modification ou de réforme, soyons patients, résignés et remettons intact le culte de nos pères à la génération qui aura la gloire de faire triompher l’idée religieuse juste, du Dieu unique. » (De la Fusion des rites portugais et allemands. - MICHEL Lévy.)
25
Aschkenez est, d’après la Genèse, le nom d’un des fils de Gomer, fils aîné de Japhet. D’après M. Théodore Reinach il est considéré par les rabbins comme le père des Allemands. Séfarade est le nom biblique de l’Espagne. 26 Deux volumes, Calmann Lévy.
Mordecaï complète son initiation, il énumère à Daniel les services qu’il peut rendre aux siens, l’action qu’il peut exercer, il lui démontre qu’il est nécessaire de rétablir la nationalité d’Israël. Vous ne devineriez jamais pourquoi ? Pour servir de modèle à l’Europe affranchie. Deronda a compris, il a trouvé selon son expression « sa direction sociale. » Il part pour l’Orient où tout le Sémitisme s’agite en ce moment. Il aura vu probablement Gambetta avant sa mort, il aura causé avec les banquiers juifs et les politiques juifs influents et leur aura dit : « Voyons, vieux frères, tâchez donc de faire tuer sur les rives lointaines quelques milliers de ces imbéciles de Français, cela fera du bien à Israël, à l’Angleterre… et à votre bourse.
On comprend l’enthousiasme qu’inspirait à Alexandre Weill cette oeuvre si puissante et qui touche à tant de choses. Nul romancier en France ne serait de taille à écrire un livre de cette profondeur. Tout le Judaïsme moderne est là avec son interlopie, ses moeurs cabotines représentées par l’Alcharisi, sa conspiration permanente, sa propagande socialiste personnifiée dans Mordecaï et, dominant tout, la foi ardente dans la mission de la race.
Ainsi d’un bout à l’autre de l’univers, en Amérique comme en Abyssinie, Israël envoie des émissaires pour découvrir les débris des tribus perdues parmi lesquelles Gad et Ioaddé ont complètement disparu, tandis que d’autres ne sont représentées que par des membres peu nombreux. On les cherche avec une impatience qui se comprend, car tant qu’elles seront égarées la famille sera incomplète et on ne peut songer à rebâtir le Temple malgré toute la bonne volonté des Francs-Maçons.
[42]
Pour les retrouver le Juif Benjamin, né en Moldavie à Folscherry et mort à Londres le 4 mai 1864, avait visité pendant de longues années l’Égypte, la Syrie, le Diabekes, le Kurdestan, Mossoul, Bagdad, la Perse. On l’avait surnommé Benjamin II en souvenir de Benjamin de Tudèle, le célèbre voyageur du XIIe siècle. Le rabbin Mardochée avait cru les apercevoir dans le Sahara, mais la chose n’est pas encore éclaircie. Un autre Juif, M. Wiener, professeur au lycée Bonaparte, a été les chercher dans l’Amérique du Sud, et les fonds du ministère du l’instruction publique sont employés à payer des missions qui poursuivent ce but patriotique. Après avoir fait le bonheur des Juifs de l’Algérie et de Tunisie, nous nous occupons de ceux du Maroc et de ceux de la Chine. C’est toujours cela de retrouvé en attendant que quelque nouveau « Flatters » meure pour aller annoncer aux égarés que leurs coreligionnaires sont les
maîtres en Europe27 .
Nul Parisien n’a encore oublié la première de la Femme de Claude, la seule pièce de Dumas qu’on ait réussi à faire tomber complètement. « C’est trop tôt ! C’est trop tôt ! » murmuraient les Juifs gantés de frais, à la fois ravis et effrayés devant l’insolente déclaration de Daniel que Dumas fait parler comme parlait Cagliostro
venant annoncer l’avenir28. Alphonse de Rothschild, qui n’a jamais brillé [43] par la bravoure, se voyait déjà mis sous clef et obligé de rendre les trois ou quatre milliards
27
Flatters était Juif d’origine et il est certainement mort victime d’une idée religieuse autant que de son dévouement à la science, la question des Juifs du Sahara tenant fort à coeur à Israël.
28
Dans un ordre, cette fois très secondaire, il faut encore citer comme avertissement une conférence d’une dame Delaville, au boulevard des Capucines, le 30 octobre 1882 : Les Israélites de Paris, leurs Talents, leur esprit, leur argent, leur puissance…
« Les juifs, disait textuellement la conférencière, sont assez riches pour acheter la France et ils l’achèteront peut-être quand la dynamite aura fait son œuvre ».
Les Juifs dodelinaient de la tète avec des mouvements de crânes chauves que je vois encore. Pas un Français ne se leva pour crier « Taisez-vous, impudente, la France n’est pas encore à vendre! »
Le représentant du comité anti-sémitique allemand, qui, suit ici toutes les manifestations juives, non au point de vue de la France qu’il n’a pas mission de défendre, mais au, point de vue de la race aryenne qu’il souffre de voir si humiliée dans certains pays, disait en sortant : « Si les Juifs se permettaient d’insulter ainsi publiquement l’Allemagne, quel massacre on ferait le lendemain de ces effrontés ! »
qu’il nous a empruntés. Hélas! La France a des oreilles pour ne pas entendre et Dumas pouvait tout dire sûr qu’il ne serait pas compris. Elle est superbe, d’ailleurs, la tirade de Daniel et sans avouer complètement tout ce qu’Israël espère, résume admirablement l’action sémitique29 .
Lorsque Cyrus permit aux Israélites de retourner en Palestine, seule la tribu de Judas reparut, car il ne faut pas compter quelques débris de la tribu de Benjamin. Les onze tribus d’Ephraim ne furent pas reconstituées. Que sont-elles devenues ? où sont elles ? Les uns les veulent en Asie, d’autres parlent de l’Abyssinie ou d’une oasis du centre de l’Afrique, et voilà que les Mormons s’en prétendent issus, affirmant qu’elles ont abordé en masse à ce continent. Eh bien je crois, après de longues recherches, que je sais enfin la vérité sur ce sujet et que je suis peut-être appelé à reconquérir notre patrie. Nous sommes dans une époque où chaque race a résolu de revendiquer et d’avoir bien à elle [44] son sol, son foyer, sa langue et son temple. Il y a assez longtemps que nous autres Israélites nous sommes dépossédés de tout cela. Nous avons été forcés de nous glisser dans les interstices des nations, d’où nous avons pénétré dans les intérêts des gouvernements, des sociétés, des individus. C’est beaucoup, ce n’est pas assez. On croit encore que la persécution nous a dispersés, elle nous a répandus, et nous tenant par la main nous formons aujourd’hui un filet dans lequel le monde pourrait bien se trouver pris le jour où il lui viendrait à l’idée de nous redevenir hostile, ou de se déclarer ingrat. En attendant nous ne voulons plus être un groupe, nous voulons être un peuple, plus qu’un peuple, une nation. La patrie idéale ne nous suffit plus, la patrie fixe et territoriale nous est devenue nécessaire et je pars pour chercher et lever notre acte de naissance légalisé. J’ai donc chance de voir du pays et d’aller de la Chine au Lac Salé et du lac Salé au grand Sahara. Chacun son idéal et sa folie, que Celui qui est nous conduise, et comme nous disons depuis des siècles dans nos jours de fête : l’année prochaine Jérusalem !
Il y a là cependant quelques inexactitudes, toutes les tribus sont retrouvées
excepté, comme nous l’avons dit, Gad et Ioaddé, encore croit-on être sur la trace de Gad qui se trouve mêlée aux Nestoriens et aux Afghans30 (1). C’est pour [45] cela que Disraeli fit entreprendre à l’Angleterre, sous l’éternel prétexte d’une prétendue offense qui n’avait jamais existé, la guerre de l’Afghanistan qui a coûté tant d’hommes et tant d’argent. M. Gladstone, dans le grand meeting tenu le 8 octobre 1881, à Leeds, flétrissait énergiquement cette expédition désastreuse qui « avait eu pour résultat d’aliéner aux Anglais les Afghans amis, et de détruire la barrière morale qui existait entre l’Angleterre et l’empire Russe. « J’ai le plaisir de vous annoncer, ajoutait-il, que nous nous sommes presque complètement retirés de cette entreprise folle et criminelle et que nous avons pu effacer quelques-uns des souvenirs -les plus malheureux et les plus scandaleux inscrits dans les fastes de notre histoire.»
29
M. Emile Montaigut, dans ses Ecrivains modernes de l’Angleterre, a indiqué l’influence qu’avait eue la Femme de Claude sur la composition de Daniel Deronda. « Le néo prophète, écrit-il, presque sifflé des Parisiens, légèrement transformé, devint, selon toute apparence, le personnage de Mordecaï, comme la femme de Claude, par une transformation analogue, devint Gwendolen Harleth.
30
Consulter, à ce sujet, un curieux ouvrage Les Nestoriens ou les tribus perdues, par Israël Grant. Consulter aussi un ouvrage paru il y a une vingtaine d’années en Angleterre : Tableau des Indiens américains, de leur caractère général, de leurs coutumes, de leur langue et leurs rites publiques, rites religieux et traditions les montrant comme les descendants des dix tribus d’Israël, avec le langage des Prophètes à leur égard et le chemin qu’ils ont dû suivre pour passer de la Médie dans le nouveau continent, par Asraël Worsley.
En 1846, des députés furent envoyés à la recherche des tribus, mais ils revinrent sans avoir accompli leur mission. Ils constatèrent, seulement, dit le Jewish Chronicle de l’époque, « la présence de quatre millions de Juifs dans les Indes Orientales, à vingt journées de Sangala », il est probable que dans quelque temps nous serons encore obligés de nourrir ceux-là.
Les événements de 1885 où l’Angleterre, en reculant devant la Russie, perdit tout
son prestige dans les Indes, et prépara la chute prochaine de sa domination prouvent à quel point M. Gladstone avait vu juste dans cette question31 . [46] L’existence des juifs chinois n’est connue que depuis le XVIIIe siècle.
Le P. Ricci, le jésuite, dit M. d’Escayrac de Lauture, le premier et le plus grand missionnaire de son ordre en Chine, fut aussi le premier qui fit mention des Israélites chinois. Le P. Alexi les visita plus tard. Le P. Goyani copia les inscriptions hébraïques de leur synagogue, elles furent perdues, mais recopiées plus tard par le P. Gambit. Les Lettres édifiantes publiées au XVIIIe siècle par les jésuites nous font connaître ce que ces hommes éminents avaient pu apprendre. Depuis cette époque les missions ont été moins florissantes, les missionnaires protestants eux-mêmes ont plus écrit que vu, plus disserté que risqué.
C’est sous la dynastie des Khar (c’est-à-dire il y a deux mille ans au moins), que les Israélites parurent en Chine au nombre de 70 familles ou groupes portant le même nom. Leur nombre paraît s’être réduit, peut-être parce que beaucoup d’entre eux embrassèrent l’islamisme il y a quelques siècles.
Les Israélites occupèrent d’abord plusieurs villes parmi lesquelles Pékin. On ne les rencontre plus aujourd’hui qu’à Khai-Fou, chef-lieu du département du même nom, Khai-Fou-Fou, ainsi que de la province et du gouvernement de Khouan, ville jadis immense et très peuplée, fort réduite après une inondation survenue en 1642, située au sud et à deux lieues environ du fleuve Jaune, par 32°52’ de latitude nord et 1°56’30" de longitude occidentale comptée de Pékin.
Les Israélites chinois ont un respect particulier pour le livre d’Esther qu’ils appellent Ipetha marna (la grande mère). Leurs rouleaux de la Thora n’ont ni points ni virgules, sous prétexte que Dieu a dicté la Loi si vite à Moise qu’il n’a pu mettre la ponctuation.
[47]
Parmi ces dispersés de la famille d’Israël, les Falachas sont peut-être les plus intéressants.
Ils habitent, dit M. Joseph Halévy dans son rapport sur sa mission en Abyssinie, dans les provinces de Chiré, d’Adubo, d’Arguedié, dans le nord, leur teint est noir sans être nègre, ils portent ou des noms hébreux prononcés d’après l’habitude abyssinienne, ou des noms de circonstance, selon la coutume des anciens Hébreux et de la race Queez. Ils prétendent être les descendants des délégués juifs qui formaient un cortège d’honneur pour Maqueda, la, fameuse reine de Saba et pour son fils Menilek qui avait le roi Salomon pour père.
Les Abyssins parlent sans cesse de Jérusalem et comptent bien sur la restauration de la nationalité juive.
Au mois d’avril 1885, la Judische Press a donné quelques détails intéressants sur les Juifs de ces contrées. « On signale, disait-elle, une population juive importante à Merv, dans le Turkhestan et à Seraks qui est l’un des points d’appui de l’armée russe. La plupart sont originaires de la Perse et de l’Afghanistan. Le Schocker de Merv est natif de Merched, en Khorassan. On sait que les Israélites de cette contrée furent contraints par les armes, il y a de cela quarante-cinq ans, d’embrasser l’islamisme. Cinq cents familles coiffèrent ainsi le turban, mais cette conversion, comme celle des Maranas d’Espagne, ne fut qu’apparente. 0ffciellement ils pratiquent la religion musulmane, mais leurs sentiments sont restés israélites, et intérieurement, dans leurs maisons, ils observent scrupuleusement le culte de leurs ancêtres. Chaque famille a son schocket qui saigne clandestinement les animaux de boucherie. Ces Israélites se marient exclusivement entre eux, les jeunes filles, - elles prennent mari vers 9 ou 10 – ans loin de recevoir une dot, dédommagent leurs parents par une contribution versée par l’époux. Le chef religieux de ces Israélites est un certain rabbin Mardochée, qui est en même temps, un des plus grands fabricants de soie du pays. On le dit riche à plusieurs millions. »
Quoique les Juifs ne soient guère tendres pour nous, l’histoire d’un exode manqué de ces pauvres gens m’a ému malgré moi. Un jour, Théodoros « couche en joue » un prêtre Falachas. Épouvantés les malheureux se décident brusquement à se mettre en route pour cette Jérusalem dont le nom revient continuellement dans leurs entretiens. Ils abandonnent leurs cabanes, les vieillards prennent la tête de la caravane en chantant des hymnes et en agitant des branches d’arbres. Personne ne se doute dans la troupe de ce que c’est que le vaste Univers, ils s’attendent tous à rencontrer la mer Rouge et à la franchir à pieds secs comme ont fait leurs pères. Bientôt ils succombent de fatigue, ils voient l’espace s’élargir toujours devant eux, exténués ils s’arrêtent à Axoum, dans le Tigré, et prennent le parti de revenir en arrière.
Hélas ! Les hyènes et les scorpions ont pris possession des huttes abandonnées. Pour punir les fuyards on veut leur arracher leur Pentateuque et ils sont obligés de sacrifier leur dernière vache pour sauver leur précieux livre. [48] La scélératesse humaine est partout la même. De quelque côté que l’on regarde, on rencontre la tristesse et la persécution. Au bout du monde des gens, dont nous soupçonnons à peine l’existence souffrent et meurent victimes de la méchanceté des hommes qui se retrouve identique sous toutes les latitudes.
Mais laissons ces Juifs lointains pour revenir à nos Juifs d’ Europe.
Les Juifs de race plus que d’observance, comme Deronda, sont presque aussi nombreux que les autres. S’il n’y a pas de Jésuite de robe courte, il y a ce qu’on pourrait nommer des Juifs de robe courte. Disraeli, qui s’y connaissait, les a admirablement peints à maintes reprises travaillant mystérieusement à l’oeuvre commune.
Qui ne se rappelle ce passage de Coningsby ou la Nouvelle génération ?
Cette diplomatie mystérieuse, rusée, qui cause tant de soucis à l’Europe occidentale, est organisée et menée à bonne fin principalement par les Juifs, la révolution formidable qui, en ce moment-ci, se prépare en Allemagne et qui, dans le fait, ne sera qu’une deuxième Réforme plus importante, et dont on se doute encore si peu en Angleterre, développe son épanouissement entièrement sous les auspices de juifs qui ont presque monopolisé le professorat en Allemagne. Néander, le fondateur du christianisme spirituel et professeur royal de théologie à l’Université de Berlin, est juif. Benary non moins illustre, attaché à la même Université, est Juif. Wehl, le professeur d’arabe à Heidelberg, est juif… Mais, quant aux professeurs allemands de cette race, leur nom est légion. je crois qu’il y en a plus de dix rien qu’à Berlin.
Il y a quelques années la Russie s’adressa à nous. Or, il n’y a jamais eu d’amitié entre la cour de Saint-Pétersbourg et ma famille. Elle a des relations hollandaises qui généralement ont fourni à ses besoins, et nos réclamations en faveur des Juifs polonais, race nombreuse et la plus dégradée de toutes ses tribus,
[49] n’avaient pas été du goût du czar. Néanmoins, les circonstances amenèrent un rapprochement entre les Romanoff et les Sidonia. Je résolus de me rendre moi-même à Saint-Pétersbourg. Lors de mon arrivée j’eus une entrevue avec le ministre des finances russe, le comte Cancrin : j’eus affaire au fils d’un Juif lithuanien. L’emprunt se reliait à des affaires en Espagne où je résous de me rendre en quittant la Russie.
J’eus une audience avec le ministre espagnol, Senor Mendizabal : je me trouvai en face d’un de mes semblables, le fils d’un Nuevo Christiano, un juif d’Aragon. Par suite des révélations qui transpirèrent à Madrid, je me rendis directement à Paris pour consulter le président du conseil des ministres français. Je trouvai le fils d’un juif français, un héros, un maréchal de l’Empire et ce n’est que juste, car qui voulez-vous qui soient des héros, sinon ceux qui adorent le Dieu des armées ?
- Et Soult est-il juif ?
-Oui, ainsi que d’autres maréchaux de France et non les moins fameux : Masséna par exemple, - son nom réel était Manasseh, - mais revenons à mon anecdote. La conséquence de nos consultations fut qu’on s’adresserait à une des puissances du Nord à titre amiable et médiatif. Notre choix tomba sur la Prusse, et le président du Conseil fit une démarche auprès du ministre prussien qui, quelques jours après, vint assister à notre conférence. Le comte d’Arnim entra dans le salon et je reconnus un juif prussien. Vous voyez donc, mon cher Coningsby, que le monde est gouverné par des personnages bien différents.., à ce que s’imaginent ceux qui ne sont pas dans les coulisses.
Le tableau est intéressant et montre bien comment, sous des formes diverses et des déguisements différents, le Juif est en réalité partout. L’avidité proverbiale de Masséna, les exactions qu’il commit dans toutes ses campagnes tendent à confirmer ce que dit Disraeli de son origine juive, quoique l’acte de baptême du maréchal ait été publié dans L’Intermédiaire (n° du 25 novembre 1882). Ney semble également avoir appartenu à la race. Quand à Soult l’opinion me parait bien hasardée.
[50]
Une autre assertion de Disraeli, qui prétend ailleurs que beaucoup de membres de la Compagnie de Jésus ont été juifs est absolument insoutenable. Les Jésuites, auxquels leurs adversaires eux-mêmes n’ont jamais refusé une certaine intelligence, se sont toujours défiés des Juifs comme de la peste. Les règles de l’illustre Société sont formelles à cet égard, elles défendent absolument de recevoir dans la Compagnie quelqu’un qui descende de race juive ou sarrasine en remontant jusqu’au cinquième degré. C’est un empêchement absolu, "indispensabilis", pour lequel le P. Général lui même ne peut accorder de dispense. « Congregatio declaravit et statuit hoc decretum non essentialis sed indispensabilis impedimenti vim obtinere, sic scilicet ut nullus omnino superior ac ne ipse quidem Proepositus generalis in eo dispensare possit atque ita deinceps integre inviotateque servandum esse »32 .
Le seul Juif qui soit jamais entré dans l’ordre à la suite de circonstances tout à fait exceptionnelles n’a pu y rester33 .
Ces prescriptions n’ont rien qui étonnent. Autrefois, en effet, on ne parlait pas à tout instant de sociologie, mais il existait une science sociale basée sur l’expérience, l’observation des faits, l’étude les types, on savait parfaitement quelle était la puissance de l’hérédité.
Les précautions prises contre les Maranes, les Judaïsants, [51] les Sémites en un mot, qui semblent incompréhensibles à un peuple en pleine décadence comme le nôtre, répondaient à de très justes préoccupations de légitime défense sociale. Ne voyons-nous pas, d’ailleurs, la seule nation qui soit encore solide, qui tienne encore debout, l’Allemagne reprendre la question exactement sous la même forme et, sans s’occuper en aucune façon du point de vue religieux, essayer de réagir contre l’invasion sémitique ?
C’est sur ce terrain que se plaçait la Compagnie de Jésus, Carelle n’excluait nullement de son sein les infidèles convertis, d’origine aryenne. « Pour les Tartares et les autres Mahométans qui sont, soit en Pologne, soit dans d’autres pays, on laisse à
N. R. P. Général de pouvoir dispenser dans les cas de degrés de parenté visés plus haut, car on ne peut, alléguer contre eux la même raison »34ae.
Le Jésuite, d’ailleurs, est tout l’opposé du Juif. Ignace de Loyola est un pur Aryen. Le héros du siège de Pampelune, le chevalier de la Sainte Vierge, est le dernier
32
Institutum societatis Jesu. Roma, typis civitatis catholieœ,1869, tome V. Decreta VN congregationis generalis. Decretum LII.
33
A l’école de la rue des Postes on avait reçu comme répétiteur Dacosta père qui se trouvait dans une position précaire. On sait le rôle que son fils a joué dans l’exécution des otages. L’essai n’avait rien d’encourageant. 34 Decreta VIae eme congregatiouis. Decretum XXVIII.
des paladins. Il y a du don Quichotte dans ce saint, d’allure très moderne cependant, qui sur le tard vint s’asseoir sur les bancs de l’Université de Paris, comme s’il personnifiait en lui le mouvement en train de s’accomplir dans le monde où la plume désormais allait jouer le rôle que l’épée jouait aux âges antérieurs.
Quoi qu’il en soit de cette erreur, qui prouve que Disraéli connaissait mieux les Juifs que les Jésuites, l’homme d’État anglais n’en est pas moins intéressant à consulter.
Dans Endymion, Disraéli revient encore sur cette diplo[52]matie occulte qui depuis un siècle a mis le monde sens dessus dessous.
Les Sémites exercent aujourd’hui une vaste influence sur les affaires par leur branche la plus petite, mais la plus originale : les juifs. Il n’est pas de race qui soit douée d’autant de ténacité et d’autant de qualités d’organisation. Ces dons lui ont acquis un empire sans précédent sur la propriété et sur le crédit illimité. A mesure que vous avancerez dans la vie et que vous gagnerez de l’expérience en affaires, les Juifs vous contrecarreront en tout. Depuis longtemps, ils se sont faufilés dans notre diplomatie secrète dont ils se sont presque emparés, dans un quart de siècle, ils réclameront leur part ouverte de gouvernement. Or, celles-là sont des races dont les hommes et les corporations, influencés dans leur conduite par leur organisation particulière, doivent entrer dans tous les calculs d’un homme d’État…
Les Juifs de robe courte, on le comprend, rendent des services d’autant plus signalés à la cause qu’ils sont moins en évidence. Dans l’administration, dans la diplomatie, dans les bureaux de journaux conservateurs, sous la robe du prêtre même, ils vivent sans être soupçonnés.
L’armée juive a donc à sa disposition trois corps d’armée :
Les vrais Juifs, les Juifs notoires, comme les appellent les Archives, qui vénèrent officiellement Abraham et Jacob et qui se contentent de réclamer la possibilité de faire leur fortune en restant fidèles à leur Dieu.
Les Juifs déguisés en libres-penseurs (type Gambetta, Dreyfus, Raynal), qui mettent leur qualité de Juif dans leur poche, et persécutent les chrétiens au nom des glorieux principes de la tolérance et des droits sacrés de la liberté.
Les Juifs conservateurs qui, chrétiens d’apparence, unis aux deux précédents par les liens les plus étroits, livrent à leurs camarades les secrets qui peuvent leur servir.
[53] Dans ces conditions l’incroyable succès du Juif, quelque invraisemblable qu’il paraisse, la façon inouïe dont il pullule peuvent s’expliquer aisément.
La force du Juif c’est la solidarité. Tous les juifs sont solidaires les uns des autres comme le proclame l’Alliance israélite qui a pris pour emblème deux mains qui se rejoignent et s’entrelacent sous une auréole.
Ce principe est observé d’une extrémité à l’autre de l’univers avec une exactitude véritablement touchante.
On devine quel avantage, au point de vue humain, ce principe de la solidarité donne au Juif sur le chrétien qui, admirable de charité, est étranger à tout sentiment de solidarité.
Nul plus que moi, on peut le croire, n’admire cette fleur sublime que le christianisme a fait éclore dans l’âme humaine, cette charité infatigable, inépuisable, ardente qui donne toujours, qui donne sans cesse, qui donne non point l’argent seulement, mais le cœur lui-même, le temps, l’intelligence.
Ce que je voudrais indiquer dans cette œuvre qui est un travail de rigoureuse analyse, c’est la différence qui existe entre la solidarité du Juif et la charité du chrétien.
Les chrétiens ouvrent leurs bras tout grands à toutes les infortunes, ils répondent à tous les appels, mais ils ne se tiennent pas entre eux. Habitués, ce qui est assez naturel, à se considérer comme chez eux dans un pays qui leur appartient, ils n’ont point l’idée de se former en rangs serrés pour résister au Juif.
Le Juif en a donc assez facilement raison en les frappant isolément. Aujourd’hui, c’est un marchand dont un Juif désire le fonds et que tout le commerce israélite s’entend [54] pour conduire tout doucement à la faillite. Demain, c’est un écrivain qui gène et que les Juifs réduisent au désespoir et mènent à l’ivrognerie ou à la folie. Une autre fois c’est un grand seigneur porteur d’un beau nom et qui aura rudoyé aux courses un baron suspect, on s’arrange pour procurer au malheureux une maîtresse juive, un coulissier affilié à la bande vient lui proposer une affaire avantageuse, on amorce parfois la victime par un premier gain et finalement elle se trouve à la fois ruinée et notée d’infamie.
Si le marchand, l’écrivain, le grand seigneur s’étaient entendus, s’ils s’étaient unis, ils auraient échappé, ils se seraient défendus mutuellement, chacun aurait apporté un appui à l’autre, mais je le répète, ils succombent sans se voir, et sans soupçonner même quel a été leur vrai ennemi.
Grâce à cette solidarité tout ce qui arrive à un Juif, dans le coin le plus reculé d’un désert prend les proportions d’un événement. Le Juif, en effet, a une façon de piailler qui n’est qu’à lui. Ce n’est pas en vain qu’on lui a dit : « Croassez et multipliez, innombrable postérité d’Abraham. »
La criaillerie du Juif rappelle toujours ces tumultes du moyen âge, où un infortuné porteur de loque jaune, rossé pour un méfait quelconque, poussait des lamentations affreuses qui agitaient tout le ghetto.
Par malheur pour les oreilles délicates il y a constamment dans le monde un Juif qui crie et qui réclame quelque chose. - Que réclame-t-il ? Ce qu’on lui a pris, ce qu’on aurait pu lui prendre et enfin ce qu’il aurait pu gagner.
Très souvent l’Anglais, qui sent une affaire, se met à crier derrière le Juif et à pousser des aôh aôh gutturaux qui rendent la cacophonie épouvantable.
Qui ne se souvient du Juif Pacifico que Thouvenel, alors autre représentant en Grèce, en un temps où nos représentants [55] n’étaient ni Juifs, ni domestiques de Juifs, menaça, s’il ne se taisait pas, de faire pendre au grand mât d’un de nos navires de guerre ?
Qui ne se rappelle le Juif Lévy de l’Enfida ?
Qui a oublié Mortara, ce petit Juif à propos duquel toute la presse vendue à Israël accabla d’injures un saint pontife qui se contenta de dire au gamin avec son sourire angélique : « Cher enfant, tu ne sauras jamais ce que ton âme m’aura coûté ! »
Le père Momolo Mortara était un type, il exploitait son fils comme Raphaël Félix exploitait Rachel qu’il s’était réservé le droit, dans son traité avec l’impresario américain, de montrer morte et revêtue du peplum dans son cercueil. Dès que le père Mortara avait besoin d’argent, il sentait sa douleur se renouveler et il allait trouver Cavour. Cavour, qui prétendait que l’affaire Mortara l’avait autant aidé à faire l’Italie que Garibaldi, donnait quelques ducats au père éploré, les journaux libéraux français qui applaudissaient à l’unité italienne, comme ils devaient, avec leur patriotisme ordinaire, applaudir à l’unité allemande, entonnaient leur grand air de bravoure contre le fanatisme éternel, le Saint-Office, le despotisme papal, ils versaient des larmes sur ce père qu’ils appelaient « une victime sacerdotale. »
La mort de Cavour et l’occupation de Rome par les Italiens ruinèrent ce pauvre Mortara qu’on mit au rancart dès qu’on n’eut plus besoin de lui, accusé d’assassinat, il passa devant la cour d’assises de Bologne le 28 octobre 1871, et il eut la chance d’être acquitté, grâce à l’appui des Francs-Maçons.
L’affaire Victor Noir est encore présente à toutes les mémoires. Victor Salmon, dit Victor Noir, était, selon l’Elb-Z[56]eitung, le petit-fils d’un Juif du Palatinat appelé Salure ou Salomon, qui était dans sa jeunesse et jusqu’en 1789 ministre officiant à Kirchheimbolandam. Lorsque le Palatinat devint province française ce Salomon s’engagea, je ne sais à la suite de quelles vicissitudes, dans l’armée italienne, devint officier, abandonna l’armée pour se marier, entreprit un petit commerce, n’y réussit pas et vint se fixer à Paris où il vécut en donnant des leçons.
Comme tous ces descendants d’aventuriers cosmopolites Victor Salomon entra dans le parti de la Révolution. Reporter de vingt-cinquième ordre, il quitte un jour son boulevard et vient insulter et frapper chez lui un prince de la famille impériale. L’autre, un peu moins amolli par le bien être que ses parents, use du droit de légitime défense et tire…
Si le mort avait été chrétien on l’aurait enterré et tout aurait fini là. Le mort s’appelait Salomon et pour arriver à toucher -trente mille francs (depuis Judas le nombre trente est propice à ses descendants), les Juifs mettent tout Paris sur pied et sont sur le point de faire faire une révolution.
Un peintre vexé expose une charge d’un goût douteux. Le personnage raillé, maître incontesté du théâtre contemporain, académicien, auteur de vingt chefs¬d’oeuvre, fort au-dessus de pareilles plaisanteries, hausse les épaules et tout au plus, sur le conseil de ceux que Girardin nommait des « amis mortels, » se prépare paisiblement à intenter un procès. Un Juif se trouve là, éprouve le besoin de faire parler de lui et il se permet, lui incapable de produire une œuvre d’art, de venir abîmer brutalement une création artistique. Toutes les sympathies, qui étaient pour le
[57] vétéran des lettres françaises, se retournent immédiatement vers le peintre.
Supposez un élève de nos religieux indigné par la vue de ces ignobles caricatures, où les maîtres qui ont élevé tant de générations d’hommes éminents sont représentés dans des attitudes obscènes, déchirant brusquement une image ordurière. Vous entendez d’ici le commissaire de police :
- Môsieu, la propriété est sacrée, nul n’a le droit de se faire justice lui-même. Il ne vous reste plus, dans la voie où vous vous engagez, qu’à violer des domiciles et à crocheter des serrures. C’est le bagne alors ……
Plat comme une punaise devant Lipmann, parce qu’il était Juif, le commissaire de police, - un Lévy ou un Schnerb quelconque, -- n’a pas eu une minute la pensée de faire coucher au poste ce Juif sans gêne qui avait détruit volontairement un objet qui ne lui appartenait pas et au sujet duquel un procès était engagé.
Dès que le Juif intervient dans une affaire, vous êtes sûr qu’un effroyable tapage va se produire.
Comment est mort Olivier Pain ? Nul n’en sait rien. Ses amis le regrettent, mais le public ne s’en occupe pas. Par aventure, il se trouve que le prince de Bismarck, qui veut se rapprocher des tories qui viennent de rentrer au pouvoir et isoler la France de l’Angleterre, se dit qu’il ne serait pas mauvais de faire injurier un peu lord Lyons qui est depuis de longues années ambassadeur en France.
Le Juif Goëdschel Selikowitch entre alors en scène. C’est un ancien élève de cette école des Hautes Études devenue peu à peu une espèce de séminaire juif où l’on élève à la brochette des agents révolutionnaires, il a publié une brochure intitulée : le Schéol des Hébreux et le Sest des Egyp[58]tiens. C’est tout ce qu’on connaît de lui, en revanche lui connaît les choses les plus cachées, il a vu fusiller Olivier Pain, il l’affirme sur l’honneur, il déclare que cet attentat ne peut rester impuni.
On le croit, on organise des meetings d’indignation, on outrage grossièrement l’Angleterre, la reine, le prince de Galles, des notes diplomatiques sont envoyées. Rochefort jure qu’il va venger sur lord Lyons la mort de Pain. Les Parisiens savent que le pamphlétaire se bornera à aller parier quelques louis aux courses le lendemain, mais les naïfs s’épouvantent, l’ambassade anglaise ferme ses portes…
Un maudit Juif a suffi pour organiser ce charivari. Comment le Juif fait-il pour déranger ainsi le monde ? Ne me le demandez pas, je n’en sais rien. C’est son secret, c’est un don spécial chez lui. « Cela lui vient naturellement, » comme au tambourinaire de Numa Roumestan.
A quelque pays qu’il appartienne, le Juif est sûr de trouver le même appui. La patrie, dans le sens que nous attachons à ce mot, n’a aucun sens pour le Sémite. Le Juif, - pour employer une expression énergique de l’Alliance israélite, - est d’un inexorable universalisme.
Je ne vois pas très bien pourquoi on reprocherait aux Juifs de penser ainsi. Que veut dire Patrie ? Terre des pères. Le sentiment de la Patrie se grave dans le cœur à la façon des noms écrits sur un arbre et que chaque année qui passe creuse et enfonce plus profondément dans l’écorce à mesure que l’arbre vieillit de façon à ce que l’arbre et le nom ne fassent qu’un. On ne s’improvise pas patriote, on l’est dans le sang, dans les mœlles.
Le Sémite, perpétuellement nomade, peut-il éprouver des impressions aussi durables ?
[59]
Sans doute on peut changer de patrie comme certains Italiens l’ont fait au moment de l’arrivée en France de Catherine de Médicis, comme les protestants français au moment de la révocation de l’édit de Nantes. Mais pour que ces transplantations réussissent il faut que le sol moral soit le même à peu près que celui que l’on quitte, il faut que sous l’humus de surface il y ait le fonds chrétien.
La première condition, en outre, pour adopter une autre patrie, c’est de renoncer à la sienne. Or, le Juif a une patrie à laquelle il ne renonce jamais, c’est Jérusalem, la sainte et mystérieuse cité, Jérusalem, qui triomphante ou persécutée, joyeuse ou attristée, sert de lien à tous ses enfants qui chaque année au Rosch Haschana se disent : « l’an prochain à Jérusalem ! »
En dehors de Jérusalem tout pays, que ce soit la France, l’Allemagne ou l’Angleterre, est simplement pour le Juif un séjour, un lieu quelconque, une agglomération sociale au milieu de laquelle il peut se trouver bien, dont il peut même lui être profitable de servir momentanément les intérêts, mais dont il ne fait partie qu’à l’état d’associé libre, de membre temporaire.
Ici nous touchons à un point que nous avons déjà indiqué et sur lequel nous aurons encore à revenir : l’affaissement incontestable de l’intelligence française, le ramollissement partiel qui se traduit à la fois par un sympathisme vague qui consiste à aimer tout le monde et par une sorte de haine envieuse qui nous pousse à nous détester entre nous. C’est le cas de certains déments qui déshéritent leurs enfants et accablent de bons procédés les étrangers.
Si le cerveau de nos concitoyens fonctionnait de la façon [60] régulière et normale dont fonctionnait le cerveau de leurs pères ils seraient vite convaincus que le Juif n’a absolument aucun motif d’être patriote.
Réfléchissez une minute et demandez-vous pourquoi un Reynal, un Bichofsheim, un Leven seraient attachés à la France des Croisades, de Bouvines, de Marignan, de Fontenoy, de saint Louis, d’Henri IV et de Louis XIV.
Par ses traditions, par ses croyances, par ses souvenirs cette France est la négation absolue de tout le tempérament juif. Cette France, quand elle n’a pas brûlé le Juif, lui a fermé obstinément ses portes, l’a couvert de mépris, a fait de son nom la plus cruelle des injures.
Je sais bien que, selon eux, une France nouvelle serait née dans les massacres de Septembre, qu’elle se serait purifiée de ses vieilles gloires avec le sang qui dégouttait des têtes coupées de vieillards et de femmes, que la révolution aurait été, selon l’expression du Juif Salvador, « un nouveau Sinaï »
Ce sont là des mots sonores mais vides de sens. Un pays reste ce qu’il était en naissant, comme un enfant qui grandit garde sa nature première. La France, l’Allemagne, l’Angleterre ne seront jamais des patries pour les Juifs et ceux-ci ont parfaitement raison, à mon avis, de n’être nulle part patriote et de suivre sous toutes les latitudes une politique distincte, personnelle, la politique juive.
Nos aïeux, qui étaient des gens sensés, savaient parfaitement cela et ils se défendaient. Faites-en autant s’il en est encore temps, mais ne vous étonnez pas, laissez à Victor Hugo, qui a fini par confier ses petits enfants à la garde d’un Juif, les tirades indignées contre Deutz.
Qu’il est charmant, disons-le entre parenthèses, cet épisode! Comme tous les acteurs sont bien à leur place! [61] Voilà la descendante des Bourbons, l’Aryenne intrépide, chevaleresque, convaincue que tout le monde est comme elle, respirant de ses fines narines l’odeur de la poudre prête à s’élancer quand résonne le clairon de la Pénissiére.
A qui va-t-elle se confier ? A quelque fils d’artisan du Midi, à quelque enfant de l’enclos Rey, à quelque frère de ce Merault dont Daudet nous a dépeint, dans ses Rois en exil, l’âme enthousiaste et généreuse ? Non, une tête de linotte conduit cet être sans peur. C’est le Juif huileux, gluant, rampant, lippeux qui s’empare de cette confiance. Pas un Français de bon sens n’est là pour dire à la mère de son roi : « Y pensez-vous, princesse, les pères de ce malheureux ont été brûlés, persécutés, chassés par les rois vos augustes ancêtres, il vous hait et il a raison. »
L’autre est là également très nature, très intéressant, très typique. Il promet, sans rire, de rétablir le trône de Saint Louis qui a expulsé les siens, l’autel de ce Christ qu’il considère comme le plus méprisable des fourbes. Il se convertit même comme un simple Bauër. Il vend la princesse parce que c’est l’intérêt de sa religion et cherche par surcroît dans l’opération - sans ce trait la race ne serait pas complète - un tout bedit penefisse.
Les huées éclatent, il laisse passer l’orage avec la tranquillité que montrent ses congénères quand quelque pouf de bourse, quelque vol plus éhonté que les autres leur attirent des malédictions exaspérées. Crémieux prend son attitude des grands jours d’audience et déclare qu’il refuse de défendre cet indigne qui déshonore le peuple juif connu par sa loyauté proverbiale. Deutz ne bouge mie, puis quand le vacarme est un peu passé, il va trouver Crémieux : Frère, lui dit-il, les injures de toute l’Europe m’émeuvent peu mais je tiens à votre estime et j’ai conscience de [62] l’avoir toujours mérité en agissant au mieux des intérêts d’Israël.
Crémieux naturellement opine du bonnet et délivre au bon Judas le certificat demandé.
Ce serait dommage d’ailleurs de ne pas donner la harangue que s’adressent mutuellement les deux Gaspard.
Deutz parle comme un brave député de l’Union républicaine, comme son coreligionnaire Gambetta il dirait, volontiers : « le cléricalisme c’est l’ennemi.
Cet écrit, dit-il35 , n’est pas une Justification qu’il présente à ses juges, il
n’en a pas besoin et sa conscience, le plus intègre et le plus sévère des juges, lui dit
assez qu’en étouffant la guerre civile près de se rallumer plus active et plus
dévorante, en épargnant le sang de tant de généreux citoyens, en frappant de mort
ce parti, irréconciliable ennemi de nos libertés, il a rendu au pays un immense
service36 .
J’ai sacrifié, conclut-il, à mes convictions de citoyen mes intérêts d’homme.
[63]
35
Deutz : Arrestation de Madame. Lire également dans les Mémoires de M. de Viel-Castel, tome II, le récit d’une étrange conversation à propos de Deutz, entre le maréchal Bugeaud et Romieu.
36
Remarquez que le gaillard n’est pas plus Français que Spuller qui est né de parents Badois, ou que Leven qui est né à Francfort, et qu’il n’a aucune espèce de raison pour se mêler de nos affaires. Ce Deutz est intéressant, en ce sens qu’il est en quelque sorte le précurseur de tous les entremetteurs d’affaires d’outre-Rhin : les Spuller, les Leven, les Reinach, les Strauss, les Bauer, les Meyer, les Wolff, les Blowits qui se sont abattus sur notre malheureux pays à la fin de l’empire, et qui ont pris une telle place depuis la République.
Toute cette famille de Deutz semble sortir d’un roman de Disraeli. Drack, le beau-frère du misérable qui a livré Madame, l’époux de Sara, abjure le Judaïsme et est nommé bibliothécaire du duc de Bordeaux, sa femme s’enfuit avec ses enfants, il fait pénitence dans la synagogue de Mayence, rejoint sa femme en Angleterre, retourne de nouveau au catholicisme et est nommé chevalier de l’Eperon d’or et bibliothécaire de la propagande !
Crémieux, le futur patron de Gambetta, trouve cela fort beau. La définition de l’intention par ce parfait républicain remplirait de joie ce loyal Paul Bert auprès duquel ce pauvre Escobar n’est qu’un enfant.
L’intention, dit le casuiste rouge, est sans aucun doute ce qui constitue l’innocence ou le crime, mais l’intention ne se produit pas tout de suite au grand jour et quand les actes sont de prime abord de nature à soulever la conscience, ce n’est pas l’intention qu’on recherche, ce sont les actes qu’on voit et qu’on juge.
Aux équivoques et aux arguties de Crémieux, on est heureux de pouvoir opposer
la lettre adressée par M. Alexandre Dumas à M. Nauroy, le 13 mars 1883. La scène que décrit Dumas est vraiment dramatique et belle. Voici, d’ailleurs, la lettre en entier.
Monsieur, Voici le fait J’ai eu pour camarade de collège, et pour ami intime depuis, Henri Didier,
député de l’Ariège sous l’Empire, mort en 1868.
Il était le petit-fils de Didier, fusillé à Grenoble sous la Restauration, à la suite d’une conspiration bonapartiste, et fils du Didier qui était secrétaire général au ministère de l’intérieur, quand eut lieu l’arrestation de la duchesse de Berry sur la dénonciation de Deutz.
C’est ce Didier-là qui fut chargé de payer au dénonciateur les 500.000 francs qu’il avait demandés. Mon ami m’a raconté un jour, en me faisant promettre de ne livrer le fait à la publicité qu’après sa mort, que son père, le jour du paiement, l’avait fait cacher, lui, enfant âgé de dix ans à cette époque, derrière une tapisserie de son cabinet, et lui avait dit : « Regarde bien ce qui va se passer et ne l’oublie jamais. Il faut que tu saches de bonne heure ce que c’est qu’un lâche et comment on le paie. » Henri se cacha, Deutz fut introduit.
M. Didier était debout devant son bureau sur lequel se trouvaient les 500,000 francs en deux paquets [64] de 250,000 francs chacun. Au moment où Deutz s’approchait, M. Didier lui fit signe de la main de s’arrêter, puis, prenant des pincettes, il s’en servit pour tendre les deux paquets l’un après l’autre à Deutz, après quoi il lui indiqua la porte. Pas un mot ne fut prononcé pendant cette scène que je vous raconte telle qu’elle m’a été racontée par mon ami, le plus honnête homme de la terre. Voici, Monsieur, tous les renseignements que je puis vous donner à ce sujet. J’ignore aussi la date de la mort de Deutz.
Veuillez agréer, Monsieur, l’assurance de mes sentiments les plus distingués.
A. Dumas.
Selon une opinion assez accréditée les pièces fort intéressantes qui composaient le dossier de Deutz aux Archives nationales auraient disparu. En tout cas la communication de ces pièces a été formellement refusée par le
Franc-maçon Ferry à M. Nauroy, comme en témoigne une lettre publiée par celui-ci dans le Figaro du 19 mars 188337. Le prétexte allégué par Ferry, dans une lettre signée de lui, était des raisons de haute convenance. N’est-ce pas joli cette parole sous la plume d’un des membres de ce gouvernement du 4 Septembre, qui a vidé les tiroirs des Tuileries avec un sans gène de laquais, et livré à la curiosité de tous des papiers d’une nature tout intime ? Pour des documents qui datent de cinquante ans, et qui par conséquent appartiennent déjà à l’ histoire, la question, paraît-il, est toute différente. Il est vrai qu’il s’agit de Deutz, le coreligionnaire de Rothschild.
Un peu suffoqué par une telle réponse venant de Ferry, [65] M. Nauroy fit demander dans L’intermédiaire des renseignements sur -Deutz. Mais une nouvelle complication se produisit. M. Faucou, directeur de L’intermédiaire, reçut des
37 Voir aussi le Curieux du 1er décembre 1908.
renseignements excessivement curieux, mais, soit par un scrupule qui s’explique, soit par la crainte de se brouiller avec Israël et de perdre sa petite situation à Carnavalet, il se refusa à communiquer ces renseignements à M. Nauroy. Celui-ci eut un moment l’intention de lui faire un procès qu’il aurait naturellement perdu.
Ce qui est certain, c’est que Deutz n’est pas mort ruiné en Amérique. Les trente deniers multipliés par cinq cent mille francs ont prospéré entre ses mains.
Deutz a laissé deux fils qui ont pris le nom de Goldsmith. L’aîné a péri dans un naufrage, le second est fixé à Londres.
Le frère de Deutz s’appelle M. Du… Il ne semble pas avoir demandé l’autorisation de changer de nom, du moins on ne trouve nulle trace de cette autorisation dans le Bulletin des lois, il est plus probable qu’il aura suivi l’exemple de beaucoup de Juifs
allemands et qu’il se sera fait naturaliser sous un nouveau nom38. M. Du… possède une fortune énorme gagnée à la Bourse, c’est un habitué de nos théâtres, il habite un splendide appartement dans le quartier de l’Opéra.
La sœur de Deutz existe encore et se nomme Mme S.
[66]
Les enfants ne sont pas responsables des fautes des parents, telle est la thèse invoquée par M. Faucou , pour refuser à M. Nauroy communication des documents en question. Cette thèse serait juste si les enfants avaient renoncé à l’argent du crime, dans ce cas ils seraient dignes de toutes les sympathies, mais vouloir jouir du bien¬être conquis par l’infamie du père et ne pas vouloir supporter le mépris mérité par cette infamie est contraire à toute morale. Dans ces conditions le brave homme, qui résisterait à toutes les tentations pour laisser un nom honorable aux siens, serait une simple dupe, un franc imbécile. Le niveau de la morale publique est tellement bas que la conduite de M. Faucou semblera louable à beaucoup.
Encore une fois il ne faut par juger les Juifs d’après nos idées. Il est incontestable que tout Juif trahit celui qui l’emploie. Cavour disait de son secrétaire le Juif Artom : « Cet homme m’est précieux pour faire connaître ce que j’ai à dire, je ne sais pas comment il s’y prend, mais je n’ai pas plutôt prononcé un mot qu’il m’a trahi avant même d’être sorti de mon cabinet. » « Pourquoi Dieu aurait-il créé le Juif, dit à son tour le prince de Bismarck, si ce n’était pour servir d’espions. »
Sédécias empoisonne Charles le Chauve. Le Juif Meïre empoisonne Henri III de Castille, le Conseil des Dix discute, le 9 juillet 1477, la proposition du Juif Salomoncini et de ses frères qui offrent de faire empoisonner Mahomet II par le médecin juif
Vatcho39 . Le Juif Lopes, médecin d’Elisabeth, [67] est pendu pour s’être vendu à Philippe II. Le Juif Lewis Goldsmith sert d’espion à Talleyrand en Angleterre pendant le premier empire, le Juif Michel est guillotiné pour avoir livré à la Russie des documents militaires. Un autre Goldsmith dérobe, il y a trois ans, les plans du grand État major prussien. On sait le rôle qu’a joué la Païva avant la guerre. Qui ne se rappelle les tentatives faites par la juive Krulla pour surprendre nos plans de mobilisation ? Qui a oublié Esther Guimont et son fameux salon politique ?
Le Juif Gustave Klootz, dont les parents ou les homonymes avaient, je crois, éprouvé quelques désagréments judiciaires à Paris vers 1869, trahit le général Hicks, qui est égorgé avec ses troupes par les soldats du Mahdi. Klootz reçoit une forte somme d’argent et il est nommé général.
38
Nous reviendrons ailleurs sur cette question d’état civil qui permet à beaucoup de juifs allemands de pénétrer dans la société française, et de jouer un rôle important dans la politique, en dissimulant leur première identité, en faisant peau neuve pour ainsi dire. M Guy de Charnacé a touché incidemment ce point important dans le Baron Vampire.
39
Voir la Revue des études juives qui, devant la note présentée l’Académie des inscriptions par M. de Maslatrie, est bien forcé d’avouer les frères Salomoncini ; pour Lopez, l’Histoire de Philippe II de M. Forgeron ; pour Goldsmith, le Département des affaires étrangères pendant la Révolution, par M. Frédéric Masson ; pour la Kaulla et autres les journaux de l’époque.
Krajewski se confie au Juif Adler qui le vend à la Prusse et le vieux poète polonais est jeté dans une forteresse.
Devant ces faits qu’il serait facile de multiplier à l’infini, il est visible qu’il s’agit non d’un cas isolé qui ne prouve rien contre une collectivité, mais d’une vocation spéciale à une race, la vocation d’Abraham.
Pour les Juifs cela constitue-t-il de l’espionnage ou de la trahison ? En aucune façon. Ils ne trahissent pas une patrie qu’ils n’ont pas, ils font les affaires de la diplomatie, de la politique voilà tout. Les vrais traîtres à leur pays sont les natifs qui laissent des étrangers mettre le nez dans ce qui ne les regarde pas. Les ministres républicains qui, non contents de nommer officier de là Légion d’honneur Oppert de Blowits, allemand de naissance et anglais d’occasion, [68] le prennent pour confident, lui livrent le secret de nos arsenaux, sont dignes de tous les mépris. Mais de quel droit empêcheriez vous ce Juif oscillant entre deux patries de favoriser de ses renseignements celle des deux qui paye le mieux ?
Ceci on le comprend rend fort difficile l’étude du Juif au point de vue de la criminalité. Comme dit cet excellent Crémieux, c’est l’intention qui est tout. Le mal que font les Juifs, mal épouvantable, insondable, inconnu, rentre dans la catégorie des crimes commis au nom de la raison d’État. Assassiner, ruiner, dépouiller le chrétien constitue pour eux un crime agréable à Dieu. Comme l’explique Eisenmenger dans Le Judaïsme dévoilé, c’est ce qu’ils appellent faire un Korban.
Tel juif qui aura, à l’aide de ses coreligionnaires, réduit au désespoir ou au suicide un négociant chrétien dont il veut prendre la place, sera vis-à-vis des siens le plus charitable, le plus serviable, le plus désintéressé des amis.
L’absence de tout document statistique sérieux, l’habileté avec laquelle les Juifs, qui sont tous de connivence entre eux, cachent leurs actes, entourent, je le répète, toute recherche de ce genre de difficultés presque insurmontables.
En 1847, M. Cerfbeer de Medelshein40 avait donné quelques chiffres intéressants quoique fort en l’air.
[69]
Il existe, disait-il, dans les vingt-deux principales prisons du royaume,
environ 18.000 condamnés à diverses peines.
Sur ces 18.000 condamnés le nombre des juifs est à peu près de 110.
Or la population totale du royaume étant de 34.000.000 d’habitants, la
proportion d’un condamné est d’à peu près un demi pour cent sur mille individus.
Les juifs au contraire, étant à peu près 100.000, la proportion des
condamnés israélites est donc de plus de un sur mille de leurs coreligionnaires.
Il faut ajouter que les Juifs commettent rarement des crimes violents et qu’en outre soutenus par la Franc-Maçonnerie particulière que Bismarck appelle l’Internationale dorée, Golden internationale, ils échappent presque toujours à la loi.
Dans le numéro de La Revue des Deux Mondes, du 15 juillet 1867, Maxime Du Camp a publié quelques renseignements qui ont pris place, plus tard, avec certaines modifications, dans le beau livre Paris, ses organes, ses fonctions et sa vie, renseignements doublement intéressants en ce sens que les Juifs n’ayant pas encore envahi toutes les places, on peut supposer que ces faits ont une base assez exacte. Aujourd’hui que la Franc-Maçonnerie a pris possession de la Préfecture, on met tous
Ce Cerfbeer paraît vraiment avoir été un homme droit et sensé. Il adressait, en 1847, à la dynastie d’Orléans dominée absolument par les Rothschild, ces lignes qui semblent d’hier, à cette exception près que ceux qui, il :y a cinq ans, ont expulsé des Français de leur domicile, n’étaient ni aveugles, ni fous, mais payée par la Franc-Maçonnerie juive.
« Il y a deux ans, on a disséminé et chassé quelques religieux, et l’on a satisfait en cela à un stupide sentiment de haine populaire. Aveugles ou fous qui les avez persécutés ! Ce n’est pas rue des Postes qu’était le danger, mais bien rue Laffitte. »
les crimes commis par les Juifs sur le dos de ceux qui sont signalés comme catholiques. Si vous alliez demander quelques documents sur Israël, le frère *** Caubet*, qui est à la solde de l’Alliance, aposterait immédiatement des agents juifs qui attesteraient, sous la foi du serment, qu’ils vous ont vu assassiner votre père.
[70]
Il est aisé de comprendre que les innombrables Lévy, Salomon, Mayer, qui peuplent la préfecture de police depuis les commissariats jusqu’au dernier emploi d’inspecteur de la sûreté, n’arrêteront un de leurs coreligionnaires qu’à la dernière
extrémité41 . Voici ce qu’écrivait Maxime Du Camp à une époque déjà bien éloignée de nous moins par les années écoulées que par les changements accomplis.
Les condamnations qui ont atteint les Nathan père, mère, frères et gendres,
en tout quatorze personnes, représentaient un total de deux cents années de prison42. Ce sont les juifs principalement qui, se livrant à des méfaits humbles, mais incessants, accomplissent ces sortes de fonctions héréditaires. Ils sont à craindre non pour leur audace, car rarement ils assassinent, mais par leur persistance dans le mal, par l’inviolable secret qu’ils gardent entre eux, par la patience qu’ils déploient et la facilité [71] qu’ils trouvent pour se cacher chez leurs coreligionnaires. Les voleurs juifs se mettent rarement en lutte ouverte contre la société, mais ils sont toujours à l’état de lutte sourde et astucieuse ; on dirait qu’ils prennent une revanche, qu’ils sont dans leur droit et qu’après tout ils ne font que ressaisir, lorsque l’occasion se présente, un bien dont leurs ancêtres ont été si souvent et si violemment dépouillés par les nôtres.
Parfois ils se réunissent par bandes et font le vol en grand comme on fait le négoce43. Ils ont leurs correspondants, leurs [72] entrepôts, leurs acheteurs. C’est
* Nous rendons par ces trois étoiles le symbole « trois points » de la Maçonnerie, habituellement rendu par trois points en triangle [NdÉ]
41
Dans son livre le Service de la sûreté par son ancien chef, M. Macé nous a montré « les agents signant leurs rapports avec les *** maçonniques, et faisant partout, même en service, les signaux de cette société. »
42
Le doyen des Nathan était un véritable patriarche, il faisait remonter sa première condamnation pour vols au 11 germinal an XIII, il subit la dernière à soixante-dix ans, le 6 mai 1852. A cette époque, il exerçait la profession de marchand de bois et jouissait d’une grande considération dans son quartier ; ami des arts il était le bienfaiteur des artistes du boulevard du Temple, auxquels il prêtait de l’argent à cinquante pour cent.
Le clan des Nathan, disent les Causes célèbres, a eu ses illustrations féminines, Minette ou Esther Nathan, femme Mayer, voleuse de montres (devantures), voleuse à la tire, et surtout sa sœur, Rosine Nathan, élégante et fertile en déguisements. Deux fois, à Saint-Germain et à Bicêtre, Esther put s’évader sous les riches habits de sa sœur, car Rosine Nathan a, pendant de longues années, trompé ses victimes et la police, sous les déguisements les plus divers. Femme du monde au besoin, elle a, comme l’Asie de Balzac, ses gens, sa voiture, ses dentelles, ses diamants. Elle a le langage de la grande dame, comme elle en a les dehors. C’est un Collet femelle, comédienne au moins autant que voleuse.
C’était un peu le type de la Schumacher, cette fille de cocher, qui fut une des élégantes de Paris et qui épousa le marquis de Maubreuil. Le frère était au Bagne, où naturellement il ne resta pas longtemps, tandis que la sœur recevait les gens les plus distingués de Paris.
43
Ces associations de malfaiteurs juifs semblent s’être perpétuées. Au mois d’octobre 1884, on arrêtait à Strasbourg un nommé Meyer dit Leitem, qui avait pour spécialité de centraliser les titres et les valeurs provenant de vols.
On retrouva chez lui un lot de 400.000 francs d’actions volées à Bruxelles, un lot d’un million de valeurs soustraites, iI y a quelques années, à M. Burat, agent de change, 200.000 francs de titres volés à madame veuve Bontemps, propriétaire du café du théâtre Montmartre.
Il parait difficile de comprendre comment Meyer se serait mis en rapport avec tous ces voleurs différents s’il n’existait pas une organisation cosmopolite fonctionnant régulièrement. Quoi de plus significatif, d’ailleurs, que les lettres adressées à la Société Financière, à la suite d’un vol fameux et signées Michael Abrahams ? Tout commentaire, je crois, serait superflu devant la
ainsi que procédaient les Nathan, dont je viens de parler, les Klein, les Blum, les Cerf, les Lévy. Tout leur est bon, les plombs détachés des gouttières aussi bien que les mouchoirs enlevés d’une poche. Le chef prend généralement le titre de commissionnaire en marchandises et fait des expéditions vers l’Amérique du Nord, l’Allemagne et la Russie. Le jargon hébraico-germain, qu’ils parlent entre eux, est incompréhensible et sert encore à égarer les recherches. Ils sont les premiers receleurs du monde et dissimulent leur larcin derrière un métier ostensiblement exercé.
Un vieux juif nommé Cornu, ancien chauffeur, se promenait un jour de
beau temps aux Champs Elysées. Il est rencontré par deux voleurs grands
admirateurs de ses hauts faits qui lui disent :
« Eh bien, père Cornu, que faites-vous maintenant ? « Toujours la grande soulasse, répond-il avec bonhomie, toujours la
grande soulasse.» La grande soulasse, c’est l’assassinat suivi de vol44 (1) !
[73]
Tout cela n’a guère qu’un intérêt rétrospectif. Cornu n’aurait plus besoin maintenant de faire la grande soulasse, il serait comme ministre aux travaux publics au lieu d’être aux travaux forcés et puiserait à même dans l’aerarium. Nathan
tranquille effronterie de ces gens, qui servent d’intermédiaires aux voleurs, qui traitent cela publiquement comme une affaire ordinaire :
Telegraphic address London, le 27 septembre, 8 heures. Mabrams, London. Société Financière, Paris
Nous avons reçu aujourd’hui la visite de M. Samuel, l’agent des détenteurs de vos titres. Il vous informe que ces derniers voudront rendre les valeurs N… en raison d’un paiement de 85 pour cent. Et, quant aux autres valeurs, Ville de Bruxelles, etc., etc., il vous demande que vous leur fassiez une offre d’une somme (par cent) pour en obtenir le recouvrement.
Nous croyons qu’ils rendront bien les actions N… pour moins de 35 pour cent. Veuillez nous écrire quelle somme vos clients voudront sacrifier pour en obtenir le recouvrement. Signé : Michael. Abrahams, Son and C°.
Voici une autre lettre écrite par le même, alors que les volés prolongeaient les pourparlers, dans l’espoir d’obtenir des conditions meilleures.
Depuis la réception de votre lettre du 25 octobre dernier, nous avons reçu la visite de la personne chargée par les détenteurs des valeurs de la négociation. Il nous a fait une visite aujourd’hui, et il nous dit que ses amis ne veulent pas accepter les 100.000 francs que vous offrez, ainsi, il n’y a plus rien à faire.
Recevez, messieurs, nos sincères salutations.
Michael, Abrahams, Son And C°.
Il est regrettable que Maxime Du Camp, dans ses Considérations philosophiques sur la Commune, n’ait point songé à indiquer la part énorme qu’avait là dedans l’élément juif. Renan qui ne se risque guère quand il s’agit d’attaquer les puissants, a écrit cependant « dans les mouvements révolutionnaires français, l’élément juif a un rôle capital. » Du Camp a laissé ce point dans l’ombre. Peut-être existe-t-il des documents sur ce point dans toutes les notes relatives à son livre qu’il a déposées en lieu sûr - en quoi il a eu raison - et qui ne doivent être mises à la disposition du public qu’après sa mort.
En racontant qu’un ordre d’arrestation avait été lancé contre lui par la Commune, l’auteur de Paris ne paraît pas s’être bien rendu compte des raisons de cette mesure. A cette époque l’ancien garibaldien n’avait pas encore la réputation de réactionnaire qu’il a due à la publication de son ouvrage sur la Commune. Evidemment l’ordre venait d’un Dacosta ou d’un Mayer quelconque qui voulait punir l’outrage fait aux juifs. L’apparition, dans la Revue des deux mondes, de ces quelques pages qui tendaient à dépouiller les Juifs de l’auréole de sainteté qui leur va si bien avait indigné Israël.
Nous trouvons trace de ces Colères dans le Bulletin de l’alliance oû nous voyons qu’un orateur, pour calmer l’agitation, déclare « qu’on prendra les mesures nécessaires ».
apprendrait à la France comment on joue du monseigneur ; il serait officier de la Légion d’honneur comme Clément, et deviendrait ainsi le collègue de vieux soldats très honorés d’un tel voisinage. Cerf aurait repris son nom allemand, il aurait une chasse magnifique aux environs de Paris et, comme quelqu’un que vous connaissez, il recevrait l’élite du Jockey. Venus au monde trente ans avant, Hendlé, Cohn, Schnerb, Isaïe Levaillant auraient été casseurs de porte dans une des bandes hébraïco¬germaines dont parle Maxime Du Camp ; ils sont préfets aujourd’hui. Vous me direz peut-être que cela ne les change pas beaucoup d’occupation…
[74]
Après avoir écrit cela, Du Camp a eu de la chance d’entrer à l’Académie. Quiconque a attaqué les Juifs, Toussenel, le savant-poète, Capefigue, l’auteur de cinquante volumes excellents, Goncourt même qui commence à peine à sortir de l’ombre, a été tenu en dehors du succès ; sur un mot d’ordre la presse juive a fait le silence autour de lui.
Dans le cas où la chose est possible, où l’écrivain ennemi n’a pas déjà une notoriété qui le protège, on lui tend simplement un piège dans un quartier où un commissaire juif est de service et le tour est joué.
L’affaire, qui permet d’étudier le plus facilement le Juif, est l’assassinat de l’horloger Peschard à Caen, qui est intéressante comme un roman. Là, tous les accusés sont Juifs allemands. Minder dit Graft, Gugenheim dit Mayer, Louise Mayer ont tous une physionomie caractéristique. Salomon Ulmo, le fourgat, honnête négociant en apparence, en réalité affilié à une bande d’assassins, est particulièrement plein de relief.
Le mot du procès, le mot de la politique juive dans tous les pays et dans tous les rangs de la société, est dit presque naïvement par Mme Ulmo qui répond textuellement au président : « Dans notre religion, toutes les fois que nous pouvons refaire un catholique, c’est pain bénit. »
Rien de plus régulier, que ces intérieurs de bandits, l’assassinat n’est qu’une spéculation comme une autre et n’exclut pas les vertus domestiques. La famille des Ulmo était admirablement posée à Chaumont, ville qui contient du reste pas mal de Juifs. Le fils, disent les témoins, était fort appliqué aux affaires, il ne fréquentait pas les jeunes gens de son âge et n’allait jamais au café, il avait la soumission la plus aveugle pour son [75] père. La parcimonie la plus incroyable régnait dans ce ménage, la dépense ne s’élevait guère à plus de 35 ou 45 fr. par mois.
L’affaire Peschard remonte au 30 août 1857, elle serait étouffée de suite aujourd’hui. On ne poursuit plus les Juifs, sous le gouvernement actuel, que dans des occasions fort rares et quand il est absolument impossible de faire autrement45 .
Quand la justice fait semblant de s’occuper des Juifs c’est pour leur rendre service. Il y a deux ans, un groupe d’actionnaires assigne le baron d’Erlanger et les débats font connaître force faits qui sont loin d’être propres. Que fait le ministre de la justice pour empêcher l’affaire de suivre son cours ? Il fait déclarer par un substitut qu’une instruction est ouverte contre le baron d’Erlanger et le tribunal est bien forcé de surseoir à la continuation des débats. Inutile de dire que personne n’a jamais
Le banquier Hirsch, qui avait fait changer des bancknotes qu’il savait fausses, a été condamné, il est vrai, par la 8e Chambre, le 8 mai 1884, à une amende de 7.500 francs, mais cette amende relativement légère avait le caractère d’une peine disciplinaire, d’un châtiment de famille. Le banquier était frappé parce qu’il s’était adressé à M. Monteaux, qu’il avait voulu tromper un corélégionnaire.
Me voyez-vous me présenter chez Rothschild avec une bancknote fausse ! On m’arrête, on me met au poste, puis de là à Mazas, au secret, on m’interroge, on me demande mes complices, et on me condamne à un an de prison.
Au mois d’août 1885, deux criminels convaincus de l’assassinat d’un fabricant de malles de la rue d’Angoulême, Gaspard et Meyer, se trouvent ensemble à la Roquette. Entraîné par son complice, Gaspard n’a été qu’un instrument inconscient, c’est Meyer qui a eu l’idée du crime et qui en a proposé froidement l’exécution. C’est Meyer qui est gracié et Gaspard qui est exécuté.
entendu parler du [76] résultat de cette instruction qui s’est terminée par une ordonnance de non-lieu.
De cette impunité presque complète des Juifs les preuves s’accumulent chaque jour sous nos yeux.
Est-il nécessaire de rappeler aux Parisiens l’histoire de cette pauvre petite courtisane espagnole, débordante de gaîté et de vitalité, ayant pour l’idée même du suicide une horreur insurmontable et qui passe encore pour s’être jetée par la fenêtre tandis qu’elle a été précipitée du haut du balcon par un Juif qui avait du sang de barbare dans les veines et qui rêvait un mariage princier ? - A la simple inspection des lieux un enfant aurait reconnu l’invraisemblance de cette histoire.
En 1882, une femme, une Smyrniote, est arrêtée dans un grand magasin en flagrant délit de vol. Cette femme se trouve être la belle-sœur d’un acteur d’origine grecque qui lui-même a épousé une comédienne juive qui fatigue Paris du bruit de ses réclames. Parente de juive, il suffit, on déclare que la voleuse est atteinte de cleptomanie, peut-être parce qu’elle venait du pays des Kleptes.
Je suis enchanté, d’ailleurs, pour elle de cette déclaration et je ne suis pas loin d’admettre avec le Dr Lassègue que toutes les voleuses de magasin sont des malades. Imaginez pourtant une femme appartenant à une famille chrétienne et dérobant un objet de dix sous dans un magasin juif et vous verrez si elle sera cleptomane.
Sarah Bernhardt indignée par le livre de Marie Colombier envahit avec trois compagnons l’appartement de sa rivale, armée d’une cravache qui était, comme dit Wolff, « le présent d’un illustre guerrier. ».
Elle brise tout sur son passage. Il y a manifestement violation de domicile. A-t-on poursuivi ?
[77]
Si l’affaire du général Ney n’a jamais été éclaircie c’est qu’il y avait une Juive en cause, et qu’on craignait par dessus tout les conséquences d’un procès en bigamie. La plupart des faillites des commissaires en marchandises juifs, qui ne sont que des escroqueries dans le genre de celle dont parle Du Camp, sont arrangées. Le goy est fait pour être volé.
Pour ne citer que des faits tout récents, n’avons-nous pas vu deux Juifs de Mayence, les frères Bloch s’établir en 1882, rue d’Aboukir, se faire livrer des marchandises de toutes sortes et s’enfuir en septembre 1883, à la veille d’une échéance de trois cent mille francs ? Au mois d’août 1884 un autre Juif allemand, Mendel, établi rue d’Enghien, disparaît en emportant aux fabricants de la place de Paris pour six cent mille francs de diamants. Essayez donc de faire cela en Allemagne.
Les innombrables changeurs juifs qui lèvent le pied avec les économies des pauvres diables qui ont travaillé toute leur vie pour amasser quatre sous s’en vont tranquilles comme Baptiste. Ce sont probablement des agents de police qui portent leurs sacoches à la gare, prennent leur place au guichet et recommandent au chef de
train de ne pas les réveiller en route46 .
Le vol de l’hôtel des Postes prouve, ce qu’on peut se permettre sans être inquiété. Ce vol est commis dans des conditions inouïes, dans un local où ces employés seuls peuvent pénétrer, tout le monde nomme le coupable, un journaliste déclare qu’il le désignera devant le tribunal si on lui fait un procès, on indique avec précision à quelle époque ont été négociés les titres de rente Italienne expédiés par un banquier de Palerme. Le haut fonctionnaire mis en cause n’est pas une minute privé de sa liberté. On dit au magistrat chargé de l’instruction « Ne poussez pas cette affaire » (textuel). On a craint évidemment d’avoir à frapper quelqu’un qui avait été le complice d’Isaïe Levaillant et de Girard et qui avait donné une apparence d’authenticité au fameux Petit Papier trouvé dans un wagon en apposant dessus le cachet de la poste.
Le Juif Edouard Millaud, pour mettre Cocbery à. l’aise, a l’obligeance de lui adresser une question dans la Commission des Finances du Sénat, au mois de mara 1884. Cochery lui répond que la perte se monte à peine à
9.414 francs. « Très bien, dit le compère MiIlaud, cela doit être d’autant plus vrai qu’au moment du vol vous avez publié une note très circonstanciée d’après laquelle le montant des valeurs soustraites se montait à un million. » Ce Juif est réellement d’une discrétion toucbante. A sa place je n’aurais pas pu m’empêcher de demander
[78]
Le Juif Jean David, directeur du Crédit national, enlève plus de trois millions aux malheureux qui lui ont confié leurs fonds. Douze cents personnes l’accusent d’abus de confiance et nos incorruptibles magistrats, qui ont refusé un délai de trois jours pour réunir une assemblée d’actionnaires aux directeurs de l’Union générale contre lesquels une seule plainte, plainte absolument injustifiable, avait été déposée, laissent tranquillement partir David. Ce n’est que par défaut qu’il est condamné par la onzième Chambre correctionnelle à dix ans de prison, à 3.000 francs d’amende et à 5 ans de surveillance ce qui, vous pouvez m’en croire, lui est bien égal.
Quand on fit une perquisition chez ce David on y trouva [79] deux cents lettres de députés. Un magistrat honnête, qui prit sur lui de l’arrêter une première fois au moment où il allait fuir, saisit sur lui quarante mille francs ; dix mille francs, par une bienveillance excessive encore, furent remis à la femme du misérable, qui porte un nom illustre dans l’histoire des arts, trente mille francs déposés au greffe. Le Domaine refusa de profiter de l’occasion pour rentrer dans les amendes qui lui étaient dues et, grâce aux démarches d’hommes politiques, David put aller jouir tranquillement à l’étranger du produit de ses vols.
Sans doute on rencontre encore, par ci par là, quelques substituts naïfs qui prennent leur mission au sérieux et qui n’hésitent pas à flétrir les tripoteurs, même quand ils sont Juifs. M. le substitut Bulot eut ce courage dans l’affaire de Brelay et
d’un second Jean David qui avait été un des acolytes de Gambetta47 .
[80]
M. Jean David, disait-il, a une grande situation politique, qui lui imposait d’être d’autant plus circonspect. Quand on a l’honneur de représenter un collège électoral, on est revêtu d’une dignité qui ne vous appartient pas à vous seul, on n’a pas le droit de la compromettre en de semblables promiscuités, et d’être tour à tour le collègue d’un Philippart ou d’un Giros.
nettement au Miniatre des Postes comment il s’expliquait qu’un voleur ait pu savoir que le sac où étaient déposées les valeurs, déclarées ou recommandées, à distrihuer le lendemain, était placé, dans la nuit du 16 au 17 avril 1882, dans une armoire spéciale, comment on a pu, sans briser cette armoire blindée, ouvrir, pour prendre le sac, deux serrures aux clefs différentes.
L’adminilltration des Postes est devenue une véritable forêt de Bondy. Une partie des employés s’empare des correspondances pour le cabinet noir dont les débats de l’affaire Saint-Elme à la Chambre ont révélé officiellement l’exixtence; l’autre ouvre ce qui reste pour prendre les valeurs qui peuvent s’y trouver.
M. Paul de Cassagnac, dans un jour de verve, a tracé de ce Jean David, qui est mort depuis peu et qui était le chef du parti républicain dans le Gers, un portrait digne du fantastique crayon de Callot. « C’est un grand, maigre, efflanqué, à tête de bossu, à figure grimaçante, ressemblant à ces
Méphistophélès en bronze vert oxydé, qui servent de chandeliers fantastiques.
« Au repos, ou dirait un pendu séché sur le gibet.
« Quand il marche voûté, disloqué, on croit percevoir des bruits étranges, des bruissements parcheminés de la peau que font entendre les vieux manuscrits, et il semble que son tibia fasse castagnette sur son péroné.
« On a peur qu’il ne se casse, comme un squelette mal numéroté et mal assemblé par des fils de fer trop lâches.
« Au moral, c’est le fruit d’un vol électoral.
« Il dirigea trois fois l’invalidation de son concurrent, mon excellent ami Peyrusse, et par un tour de passe-passe qu’il déclara lui-même inexplicable et inexpliqué, il fit changer dans une nuit, étant maire de la ville d’Auch, les feuilles d’émargement, les sacs de bulletins, et se déclara élu, trois jours après le scrutin qui avait proclamé Peyrusse.
« D’ailleurs, c’est l’habitude à Auch. Au grand jour, on fait voter les morts, les absents, les indignes, et on complète l’oeuvre en falsifiant les votes des électeurs conservateurs.
« Quant à surveiller le scrutin, ne l’essayez pas, ils sont trois cents voyous qui font une barrière infranchissable entre l’urne et vous, et qui servent de paravent à la fraude électorale, hautement avouée, et connue là-bas de tout le monde. »
Quelque amertume que j’éprouve à m’exprimer ainsi, je suis obligé de constater que M. Jean David et M. Brelay ont trop longtemps méconnu ces devoirs. M. Jean David était au Comptoir industriel, aux Forges de Champagne, et président du conseil d’administration des Messageries fluviales.
Au comptoir, il a dirigé la Presse, il est d’ailleurs un des membres du conseil qui ont reconnu à l’audience qu’on avait payé la Presse un prix de fantaisie. Il a vu finir la Banque Européenne et créer le Comptoir, il a suivi jusqu’au bout sa fortune ; il a encouru une lourde responsabilité, que vous apprécierez.
Ces passages d’une lettre que je reçois la lui feront comprendre, elle émane d’un actionnaire fort humble. « Si un pauvre diable, comme moi et beaucoup de mes camarades, n’avait pas vu sur les prospectus d’émission les noms connus des députés de son propre arrondissement, M. Jean David, et surtout M. Brelay, aurait-il souscrit ? Assurément non. Gros et Adam que vous poursuivez comme escroquerie, cela est bien ! Mais n’oubliez pas, je vous prie, ceux qui prêtent leurs noms pour attirer le pauvre gogo ! Jean David et Brelay, voilà les coupables ! Ils m’ont enlevé les 5.000 fr. d’économies que j’avais. »
A quoi cela sert-il ? Vous croyez que David va courber la tête sous cette flétrissure méritée ? Allons donc ! Il ricane [81] comme Raynal ricanera plus tard quand on lui parlera des morts du Tonkin, il semble dire : « Ma religion m’ordonne ce que vous condamnez, je n’ai que faire de vos appréciations. » Il est sûr, d’ailleurs, de l’impunité et convaincu de faits punissables du bagne, il se tire d’affaire avec cinq cents francs d’amende, qu’il ne payera probablement pas plus que son homonyme du Crédit national n’a payé les siennes.
Il faut entendre Macé vous raconter comment les mandats, que le parquet lui remettait pour les exécuter immédiatement, étaient repris par Caubet. « Cet homme est Franc-Maçon, vous n’exécuterez pas ce mandat ! »
Comment Caubet refuserait-il quelque chose à la Maçonnerie ? Quelles poursuites n’arrêterait-il pas pour les frères ? Quelles infamies ne glisserait-il pas dans le dossier des adversaires ? Il y, a quelques années, assis derrière son pauvre petit comptoir de papeterie de la rue de Seine, il guettait anxieusement le bruit de la sonnette grêle que faisait tinter un enfant qui venait acheter un crayon ou une feuille d’images d’un sou. Aujourd’hui il touche des appointements fabuleux, il est officier de la Légion d’honneur et, au mépris des règlements, il a, à son service privé, toute une domesticité d’agents détournés de leurs emplois, il dit : « François, faites atteler nos chevaux à notre voiture pour conduire notre maison. »
Cette impunité tacitement garantie non seulement permet aux Juifs d’arracher aux malheureux leurs économies, elle explique par l’accaparement cette cherté de toute chose qui pèse lourdement sur les pauvres.
L’article 420 du Code pénal cependant est formel, il punit l’accaparement d’une peine de deux ans de prison.
[82]
Comment se fait-il alors qu’on ait permis à Bidermann, qui s’est suicidé au mois d’avril 1883, chez son associé, M. Carlin, d’accaparer les huiles du monde entier. C’était le cas ou jamais d’appliquer les lois existantes.
Tous les journaux ont donné des détails sur cette opération gigantesque.
L’événement commercial de la semaine, disait le Journal des Débats, est l’effondrement de cette fameuse « opération » sur l’huile de colza qui tenait en haleine depuis plusieurs mois tous les marchés européens. Un syndicat s’était formé et, soutenu par de grandes puissances financières, avait acheté des quantités considérables d’huile à Paris, à Berlin, à Cologne, à Hambourg et avait, par ses achats continuels poussé les prix de 75 fr. jusqu’à 105 et 110 fr. L’opération avait ainsi acquis 45.000.000 de kilos d’huile. En ces derniers temps, la situation était devenue très tendue.
Ces accaparements formidables, qui troublent si profondément l’équilibre économique et qui donnent à quelques individus une puissance effrayante, sont un des côtés saisissants du règne des Juifs. Il y a des rois comme les appellent les Archives israélites. Éphrussi, propriétaire des 9 marques, est maintenant le roi du blé comme l’était Moïse Friendlender, né à Oldenbourg, en 1822, et mort en 1878 à San Francisco. Moïse Ranger était le roi des cotons, il fit, en 1883, à Liverpool, une faillite de 750.000 livres, 18.000.750 francs. Stroüsberg, de son vrai nom Baruch Hirsch
Stroüesberg était le roi des chemins de fer48 .
[83]
L’audace avec laquelle ces gens traitent ces opérations énormes, qui sont de simples parties de jeu pour eux, est incroyable. En une séance Michel Ephrussi achète ou vend pour dix ou quinze millions d’huiles ou de blés. Nul trouble, assis pendant deux heures près d’une colonne à la Bourse et tenant flegmatiquement sa barbe dans la main gauche, il distribue des ordres à trente courtiers qui s’empressent autour de lui le crayon tendu. Parfois M, de Gontaut-Biron, qui est un habitué de la Bourse, vient le distraire en lui racontant les petits scandales du monde. Le matin il est déjà allé à Chantilly surveiller son écurie et s’assurer que Cunnington donnait un bon ouvrage à Sérénade dans la route des Lions, il a déjeuné au café Anglais jusqu’à une heure 3/4, après la Bourse il va faire un tour au bois et le soir conduit le cotillon dans le faubourg Saint-Germain où, malgré la sordidité de sa naissance, il est le mieux vu des Juifs de Paris et véritablement personna grata.
C’est de cet homme, de la fantaisie qui lui passe par la tête de se mettre à la hausse ou à la baisse, que dépend la question du pain pour des milliers d’êtres humains.
A l’heure présente, il est inutile d’insister sur ce point, nulle recherche sérieuse n’est possible sur la statistique criminelle des Juifs.
Ils ont même inventé, pour les Juifs qui ont eu des chagrins en des temps moins prospères pour Israël, une sorte de réhabilitation spéciale, la réhabilitation ministérielle, qui est aussi légale à peu près que la violation de domicile par décrets. Jadis, un failli n’était réhabilité que quand il avait payé intégralement ses créanciers.
M. David Raynal a changé tout cela en faveur de M. Lévy Bing.
Cette fois c’est un des coreligionnaires du failli, M. Alexandre Weill, [84] qui a protesté par une lettre publiée par l’Evènement au mois de juin 1883, avec d’autant plus d’indignation que l’écrivain, Juif fanatique, mais caractère droit, n’est pas de la juiverie tripotante… et qu’ensuite il avait perdu 36.000 francs qui, selon sa pittoresque expression, « n’avaient pas été réhabilités, » pas plus que les douze millions des autres actionnaires.
« Ce que je sais, dit M. Weill en terminant, c’est que M. Raynal, le gendre de Lévy Bing, la cheville ouvrière de cette malheureuse banque, est le frère de M. Raynal, qui dans ce moment-ci est ministre de… je ne me rappelle plus de quoi. »
Ce David Raynal, un des affidés de Gambetta, est lui-même un personnage extraordinaire. Il figure dans le Bottin de Bordeaux de 1883 avec un nommé Astruc sous la mention suivante :
Astruc (Fernand) et Raynal (David), agents maritimes et transitaires, commissions, consignations, agence de transit de la Compagnie du Canal de Suez et vice versa, sardines à l’huile et à la tomate pour l’exportation, rue Vauban, 40.
Les Juifs ont même un roi du baccarat, c’est le surnom sous lequel était connu W. R. Deutsch, un personnage encore à l’existence fantastique qui, après avoir été quelque temps directeur de théâtre, gagna pendant vingt jours de suite au Washington-club et au Press Club, toutes les parties de baccarat. Le total de son gain s’élevait à 1.700.000 francs qu’il reperdit d’ailleurs avec la même rapidité.
On devine quelle indépendance ce ministre, qui est commissionnaire en marchandises, devait apporter dans les négociations avec les compagnies de chemin de fer et autres.
Je reçus un jour la visite de Bing, homme fort remarquable, et qui a toutes les allures d’un respectable vieillard. Il voulait lui aussi, opérer sa petite révolution, c’était la langue qu’il visait et il avait publié un gros volume intitulé La Linguistique dévoilée dont la conclusion était celle-ci. « L’emploi de la langue phénicienne s’impose nécessairement. » Ne croyez pas à une fantaisie. Le besoin est tel chez les Sémites de tout déranger, de prendre possession [85] de tout, d’imposer aux chrétiens vaincus leur idiome, leurs moeurs, leur façon de voir, que le projet compte de nombreux adhérents.
Un M. de Malberg a patronné cette idée dans le Moniteur Universel, il propose de fonder une académie de polyglottes, « qui s’occupera de la confection de la grammaire et du dictionnaire d’une future langue universelle, aussi simple, aussi intelligible pour tous les peuples, et aussi rapprochée que possible du phénicien, la langue originelle ».
Avant Lévy Bing, le Juif Alexandre Jacob, l’auteur du Maudit, connu sous le pseudonyme poète, et qui fut longtemps correspondant du Temps, s’était efforcé de démontrer dans les Révolutionnaires de l’ A. B. C., que l’orthographe était un préjugé et qu’il fallait écrire comme on parlait. Cet apôtre de la fonografie, comme il disait, écrivit d’après son système néografique un pamphlet anti-chrétien : « La France mystique ou tableau des excentricités religieuses de ce temps, » qui lui valut un an de prison. « Notre orthographe, disait-il dans sa préface, a des défauts graves, voilà ce que reconnaîtront toutes les personnes qui ne la défendent pas uniquement par entêtement et par parti pris. »
Cette irrésistible tendance à bouleverser les mots après les idées est un trait absolument juif.
Les Juifs, Jules Simon en tête, sont les plus déterminés adversaires de la peine de mort, non point pour la peine elle-même, puisqu’on l’appliquait fréquemment dans le royaume d’Israël, mais parce que les formalités religieuses nécessaires pour l’exécution d’un Juif, seraient très difficiles à observer à notre époque.
Le corps d’un condamné, en effet, est considéré, avant l’exécution, comme un cadavre, et d’après les prescriptions [86] de la loi, un cadavre juif ne doit pas être touché par les chrétiens.
L’exécution en 1817, dans une ville d’Alsace, d’un Juif nommé Isaac, fut vraisemblablement la dernière qui se passa selon les règles.
Les dix principaux habitants israélites de la ville demandèrent à monter sur l’échafaud pour former le minian, les prières publiques devant être faites par des hommes âgés de plus de treize ans.
Le coupable, dégagé de tout lien, marchait d’un pas ferme, et était revêtu du sarguenesse, linceul blanc en forme de longue blouse, dans lequel on ensevelit les morts (un semblable linceul est toujours donné comme cadeau de noces à un mari par sa femme). Il portait le taleth, le voile de lin que l’on porte pendant la prière et les tephilines, philactères qu’on applique sur le front et au bras gauche. Le grand rabbin de Winsenheim l’assistait.
Isaac récita une dernière fois le vidoui, la prière que disent les agonisants et que l’on récite le jour du Grand Pardon, et fut attaché sur la planche par ses coreligionnaires eux-mêmes.
Notez qu’en reproduisant ces détails, je n’obéis à nulle arrière-pensée de raillerie. Cette assistance donnée à un malheureux par ses frères me semble absolument touchante quoiqu’on ne voie pas Rothschild ou Camondo venant attacher un de leurs camarades sur la planche.
Ajoutons que les confréries de pénitents qui ont subsisté presque jusqu’à nos jours étaient constituées précisément pour aider un pauvre diable à franchir doucement un pas difficile. Sous l’empire, quand une exécution devait avoir lieu, on envoyait un service à Wolff, comme pour une première, on prévenait sur les boulevards tous les représentants [87] de l’interlopie cosmopolite, tous les cocos et toutes les cocottes. Dans l’appartement du directeur, illuminé à giorno, on buvait et on mangeait dans tous les coins jusqu’à l’heure où le chef de la sûreté venait dire au condamné : « Allons, ma petite vieille, voilà le moment. » L’archevêque de Paris n’a jamais protesté contre ces scandales. M. Darboy s’en est-il souvenu lorsqu’à son tour il a été prisonnier à la Roquette ?
Aujourd’hui, Grévy gracie pêle-mêle, entre deux carambolages, les parricides, les empoisonneurs, les assassins de vieilles femmes et d’enfants. Il a raison. Une société qui supporte les infamies auxquelles nous assistons depuis six ans est déchue même du droit de punir.
Il convient en tout cas de rapprocher le respect montré par le gouvernement de la Restauration pour les usages d’une religion qui est la négation même de la nôtre, de la conduite ignoble que tint à la Roche-sur-Yon, le 22 septembre 1882, un procureur de la République affilié à la Franc-Maçonnerie juive. On n’a pas oublié ces scènes scandaleuses, le magistrat ivre du vin blanc matinal qu’il a bu avec les guichetiers, insultant, raillant, gouaillant cet homme qui va mourir, outrageant le prêtre qui veut consoler ce malheureux, refusant le quart d’heure qu’on lui demande pour célébrer la messe. Avec ses fautes d’orthographe, la lettre écrite à ses parents par Barbier pour annoncer qu’on ne lui a pas permis de recevoir le Saint-Viatique avant son supplice, est un des plus poignants documents que j’aie vus.
Le pauvre prêtre, qui avait essayé de faire son devoir et tenu tête à cet indigne magistrat, fut naturellement destitué par le préfet Calvet. Le procureur de la République fut récompensé.
Voulez-vous encore un exemple d’une tolérance, cette [88] fois presque exagérée, des chrétiens envers les Juifs ? Le 6 février 1875, c’est-à-dire quand les conservateurs étaient encore les maîtres, on apprit que les élèves israélites, nombreux au lycée Charlemagne, se faisaient scrupule d’assister au banquet parce que la viande n’était pas kascher. Le proviseur commanda le repas tout entier chez un restaurateur israélite, tout le monde mangea kascher et « les fils de rabbins, disent les Archives, ont pu prendre part à la Saint-Charlemagne qui est la première de toutes puisqu’elle a lieu au lycée qui a pour patron le grand empereur lui-même. »
Aujourd’hui, quand on fait maigre par hasard le Vendredi-Saint dans un établissement dépendant de l’État, toute la presse juive ouvre ses écluses de blasphèmes et d’injures. « Poignez vilain, il vous oindra, oignez vilain, il vous poindra. »
Ce sont les Juives qui fournissent le plus fort contingent à la prostitution des grandes capitales. Le fait est indéniable et les Archives israélites l’ont reconnu elles¬mêmes :
Depuis un quart de siècle, écrivent-elles, et nous ne pouvons choisir une
date plus éloignée, les moralistes se demandent avec raison : d’où vient que dans
toutes les grandes villes de l’Europe on remarque, parmi les femmes de mauvaise
vie, un plus grand nombre de Juives que de chrétiennes ? Cette question est
malheureusement motivée, car, à Paris, à Londres, à Berlin, à Hambourg, à
Vienne, à Varsovie et à Cracovie, dans ce qu’on est convenu d’appeler le demi¬
monde, sur les places publiques et même dans les maisons de prostitution, on
rencontre plus de Juives que de chrétiennes, en tenant compte de la proportion
qui existe entre les deux populations49 .
[89] Le vice cependant a chez les Juives un caractère particulier.
49 Archives israélites, année 1867.
Sans savoir si le fait est vrai ou non pour Rappaport, il est certain qu’un père et une mère juifs vendent parfaitement leurs filles quand ils sont pauvres, tandis que dans nos grandes villes, nos pauvres, hélas ! se contentent, faute de surveillance, de les laisser se livrer au premier venu. Les courtisanes juives se prostituent pour de l’argent, mais froidement, sans l’ombre d’ivresse, avec l’intention bien arrêtée de se marier quand elles auront ramassé un pécule, elles épousent alors un comédien, un négociant, un financier.
L’an dernier, on jugeait à Vienne (Autriche) une bande d’escrocs qui, associés à des filles, avaient fait d’innombrables ravages.
Au cours des débats, l’avocat, chargé de la défense d’une des accusées, le Juif Glaser dit : « Toute femme a le droit de vendre son corps et de tâcher d’en tirer le meilleur parti possible. »
Le public révolté se mit à pousser des clameurs. Le président exprima son indignation.
Glaser était cependant dans la pure tradition sémitique. Les hiérodules, les prostitutions dans les temples de Cypre et de Paphos ne se rattachaient en rien à la religion de la Grèce, elles étaient d’origine exclusivement phénicienne.
La prostituée, d’ailleurs, sert Israël à sa façon, elle accomplit une sorte de mission en ruinant, en poussant au déshonneur les fils de notre aristocratie, elle est un merveilleux instrument d’information pour la politique juive.
La femme juive de la classe aisée vit à l’orientale, même à Paris, fait la sieste l’après-midi, garde je ne sais quoi de fermé et de somnolent. Elle est étrangère aux passions [90] violentes, qui troublent si souvent le cœur de la chrétienne, que la foi ne garde plus, elle est préservée justement par cette absence de tout idéal, qui est la
caractéristique des Sémites50 .
Quelle est pour la femme et pour l’homme la grande cause des fautes de l’Aryen, cet éternel échappé du monde réel ? C’est l’aspiration vers l’idéal qui se trompe de chemin, le rêve d’un être supérieur à tous les autres, le chimérique espoir de rencontrer une âme sœur de la nôtre, le besoin de vivre, ne fût-ce que pour quelques heures, dans la région des sentiments purs, des amours ardentes, des tendresses infinies. Ni le Sémite, ni la Sémite, n’ont de ces exaltations.
Vous ne verrez jamais une Juive discuter les questions religieuses sur lesquelles elles sont d’une ignorance absolue. Le Juif a parfaitement compris le danger qu’aurait présenté une instruction où l’aveuglement d’ Israël se serait vite révélé et qui, par la comparaison, aurait permis à la femme de constater que l’accomplissement des prophéties et la venue du Christ ne peuvent faire l’objet d’un doute pour les âmes droites. Le cœur de la femme n’ayant point l’entêtement haineux du cerveau de l’homme il serait allé au vrai Dieu dans un élan spontané. Le Talmud interdit formellement aux femmes toute étude de ce genre : « Celui qui enseigne à sa fille la loi sainte est aussi coupa[91]ble que s’il lui enseignait des indécences. » Ainsi parle le traité Sota (fol. 90 recto).
Si elle ne connaît sa religion que très superficiellement, la Juive ne la pratique pas moins fidèlement, même dans l’existence la plus agitée. Voyez Miss Viatique Mencken, que Rothschild, nous racontent les Archives israélites, appelait la Déborah inspirée de sa race et qui eut un moment la vogue que devait avoir plus tard Sarah Bernhardt, elle restait fidèle à sa foi. Après avoir joué trente nuits de suite à San Francisco, elle s’arrêta tout à coup pour célébrer la nuit du Kol nidré et l’alla passer dans un minian polonais. Dès qu’on attaquait ses coreligionnaires quelque part, elle envoyait un article pour les défendre à l’Israélite de Cincinnati.
Ce que je dis des passions de l’amour peut s’appliquer à l’ivresse plus rare chez les juifs que chez les chrétiens. Le besoin de se dédoubler, de s’exciter, de remuer violemment tout notre organisme, est une forme basse du sentiment de l’idéal, c’est l’idéal tombé instinct… Le juif est étranger à ces troubles de l’âme. Dès qu’il lui est démontré que l’ivresse ne rapporte rien, il n’en éprouve pas le désir.
Ici encore il faut louer le respect dont les Juifs entourent une enfant de leur race, quelle que soit la voie qu’elle suive. Est-elle comédienne, jamais le monde n’a rien contemplé d’aussi beau, on se pâme, on s’évanouit, on crie d’admiration dès qu’elle parait. Rentre-t-elle dans la vie normale, toutes les portes lui sont ouvertes.
La réhabilitation de la femme, qui apparaît à chaque pas dans l’œuvre de Dumas, depuis les Idées de Mme Aubray jusqu’à Denise, procède bien moins du pardon catholique qui efface le péché devant Dieu et en laisse subsister les effets devant les hommes, que de la théorie juive infiniment plus accommodante et qui, à la condition surtout que la pécheresse soit une fille de Sion, lui rend tous ses droits dans la société. Même après que le prêtre avait prononcé les paroles de l’absolution, la femme qui avait failli se heurtait dans la civilisation d’autrefois à la jalouse susceptibilité de l’Aryen sur le point d’honneur, à son besoin inné d’idéal qui ne comprenait que la fleur immaculée. [92] Selon l’expression de Dumas qui rend très bien, comme toujours, ce qu’il veut dire, la virginité n’est qu’un capital qu’on doit défendre, mais qu’on peut reconstituer quand il est perdu, la chute n’est qu’une mauvaise affaire sur laquelle il faut passer l’éponge sans se croire obligé de se désoler toute sa vie.
Qu’il s’agisse d’une actrice, d’un boursier, d’un écrivain, vous retrouverez toujours cette admirable solidarité qui est la vertu dominante de la race juive qui explique, qui justifie, qui légitime presque son succès.
Qu’une feuille immonde porte une accusation contre un catholique, tous les autres catholiques s’enfuient en faisant des gestes désespérés et en disant : je ne le connais pas.
Sur le banc d’infamie, au pied de l’échafaud, les Juifs n’abandonnent pas les leurs et ne permettent pas qu’on insulte à ce sujet « la grande famille ». Quel plus magnifique exemple de cette vaillance intellectuelle que cette affaire Peschard que nous rappelions tout à l’heure ?
M. Bertauld, professeur alors à la Faculté de droit de Caen et avocat de la famille Peschard, s’était laissé aller, devant l’horreur du crime, à des indignations qui ne plurent pas, il avait flétri énergiquement les pratiques ordinaires à Israël.
Cette disparition va les compromettre, s’était-il écrié, mais n’importe, ils
sont juifs, et ils disent tout est perdu fors… le capital. Aussi Ulmo père vous est au
besoin offert en holocauste pour le salut du fils, car le fils sauvé réunira entre des
mains toujours fidèles… entre juifs, le dépôt de cette fortune en léthargie. Cette
précaution est naturelle à la race de ces hommes.
Ah ! sans mes grandes idées de libéralisme général, je serais tenté d’excuser
nos aïeux qui ont traqué cette race au moyen âge.
[93]
Aussitôt un tollé général s’élève, tout le monde s’en mêle, le Consistoire central et le Consistoire de Paris se réunissent, on décide qu’on s’adressera au procureur général de Caen pour faire retirer les paroles injurieuses, plusieurs membres du Consistoire se rendent chez le garde des sceaux pour se plaindre du président d’assises qui a laissé passer sans protester des propos horrifiques, des propos qui tendaient à insinuer que les Juifs aiment l’argent.
Ce pauvre M. Bertauld, on le sait, n’a jamais passé pour un modèle de fermeté de caractère, il n’était point du bois dont on fait les de Harlay et les Mathieu Molé, il était de la cire dont on fait les Dauphin, on se souvient qu’après avoir déclaré jadis que le droit des congrégations était inattaquable, il s’empressa de déclarer le contraire, moyennant une place grassement rétribuée de procureur général à la cour de cassation. Épouvanté du haro qui s’élevait sur lui, il rétracta tout ce qu’on voulut, et pour un peu aurait affirmé que c’était l’infortuné horloger qui avait assassiné les Juifs.
En toute chose les Juifs apportent ce beau zèle à la cause commune51 . L’aristocratique public des mardis applaudis[94]sait à tout rompre au Théâtre français des plaisanteries contre la religion. Une pièce au contraire est-elle jouée où figure un Juif en désagréable posture, on empêche par tous les moyens de la représenter ou on la fait tomber. Ce n’est pas seulement le Consistoire qui intervient, chacun dans sa petite sphère défend la race comme il peut.
Un peu après 1830, on devait représenter à la Gaieté une pièce intitulée le Prêteur sur gages où l’usurier était un Juif. Un enfant de 17 ans va trouver le directeur qui était alors le vertueux Marty, celui qui ne consentait à jouer dans un drame qu’à la condition de donner sa bénédiction à la fin ; il lui explique la chose. Marty pleure à chaudes larmes, bénit le jeune homme, et l’usurier devient un chrétien.
Sous l’empire, un opéra-comique Don Pedro, où un Juif espagnol avait un vilain rôle, déchaîne une véritable tempête.
Le Juif Fould en arriva à interdire absolument qu’on mit un Juif au théâtre. Dans son remarquable ouvrage, la Censure dramatique et le Théâtre, M. Hallays-Dabot fait remarquer le ridicule de cette mesure.
[95]
Le théâtre, écrit-il a ses habitudes, ses moeurs, ses conventions dont il est difficile de ne point tenir compte, l’histoire a ses types que l’on ne peut supprimer d’un trait de plume… Si la personnalité religieuse a droit au respect, condition fondamentale de la liberté de conscience, la première de toutes les libertés, il n’en saurait être de même du type essentiellement humain d’une race qui, en tant que race, appartient à la critique, au roman, au drame par ses éminentes qualités comme par ses défauts naturels.
Les instructions ministérielles furent néanmoins exécutées, les Juifs disparurent de toutes les pièces. On alla plus loin, on châtra Shakespeare, pour ne pas blesser des circoncis !
Le théâtre de l’Ambigu-comique, raconte encore M. Hallays-Dabot, voulut reprendre un drame, Le juif de Venise joué en 1854. Le drame était un arrangement de l’oeuvre de Shakespeare. Qu’allait devenir Shylock, l’immortelle création qui fait revivre les siècles d’oppression que la race juive eut à traverser, ses luttes sourdes contre le chrétien, ses joies, ses triomphes, ses humiliations, Shylock la figure saisissante dont le rire sarcastique et les cris de désespoir éclairent tout un côté sombre de la vie du moyen age ? Le vieux juif dut subir la loi commune. Le souvenir de Shakespeare, le côté légendaire du personnage, l’époque et le lieu de l’action, rien ne sauva Shylock. Le farouche circoncis dut dépouiller sa physionomie caractéristique pour devenir un banal usurier vénitien. La pièce fut reprise sous le titre : Shylock ou le Marchand de Venise.
Je vous parlais plus haut de Lévy Bing. Lisez ce que les Archives israélites écrivaient sur lui au moment de ses malheurs, lors de la célébration du Peçach.
« La fête de la délivrance n’a pas été une délivrance universelle, et pour les régions où l’aurore de la liberté de conscience n’a pas lui encore, et pour ceux que le malheur accable. Et parmi ces individus, comment n’aurions-nous pas une pensée pour celui qui vient de succomber, auteur, nous ne savons, mais en tout cas première victime d’un grand sinistre financier qui frappe en même temps et la place de Paris et la région de l’Est ? C’est en dehors de la société de ses proches et séparé même de la société de ses semblables par de trop rigoureuses exigences judiciaires, qu’a célébré la Pâque, l’auteur de ces Méditations religieuses publiées il y a dix ans. »
Comme en termes galants ces choses-là sont mises !
Comme tout cela est tendre et fin ? Est-il possible d’indiquer plus délicatement qu’un coreligionnaire a des démêlés avec Thémis ?
Supposes que condamné, non pour avoir voulu prendre l’argent d’autrui, mais pour avoir défendu la Vérité, je célèbre Peçach dans une prison, quel journal catholique penserait à m’envoyer un souvenir ? quel confrère parlerait de moi en ces termes affectueux ?
Imaginez qu’on ait jamais fait subir une pareille mutilation à l’œuvre d’un des plus grands génies de l’humanité, pour ne pas froisser les chrétiens, et vous entendez d’ici les protestations de Paul Meurice et de Lockroy.
Mais n’est-ce pas bien Juif tout cela ? La race n’est-elle pas tout entière dans ce contraste : maintenant qu’ils sont les maîtres ils vomissent sur nous tous les excréments qu’avait avalés Ezéchiel ; quand ils n’étaient encore [96] qu’une infime minorité, ils ne supportaient pas qu’on touchât à eux et entonnaient immédiatement le grand air des principes de 89.
Je ne suis pas loin de croire, avec M. Alexandre Weill, que les prescriptions religieuses et hygiéniques à la fois de la loi de Moïse exercent une favorable influence sur la santé morale et physique du Sémite. La circoncision est évidemment un préservatif contre de précoces débauches qui émoussent les sens en les éveillant prématurément. Rien n’est sage et tendre en même temps comme les précautions très fidèlement observées dont les Juifs entourent à certains moments leur compagne :
La femme trois fois sainte et douze fois impure,
comme le dit Alfred de Vigny.
Troubler la physiologie de la femme à certaines heures plus douloureuses encore pour l’âme que pour le corps, s’est troubler la source de la vie, c’est nuire aux générations futures.
Tout en reconnaissant avec quel scrupule les Juifs observent ces préceptes, il faut constater néanmoins que toutes les religions se sont occupées de ces questions. Des livres écrits spécialement pour les ministres du sacerdoce initient à ces secrets mystérieux les prêtres qui, par état, doivent être chastes, et leur permettent de répondre à certaines interrogations d’une nature tout intime. Ces manuels du confesseur, ces livres de médecine morale restaient généralement à l’abri des regards comme les livres de médecine ordinaires. Il a fallu un drôle malpropre comme Paul Bert, un salaud - pour employer une expression de Goncourt dans la Faustin - pour traduire un de ces [97] manuels et profiter de son passage au ministère pour en
inonder les campagnes52 .
Pas plus qu’au point de vue de la criminalité, on ne peut accorder aucune créance aux chiffres statistiques sur l’étal civil des Juifs. Le chiffre de 45.000 Juifs en France est définitivement adopté, on n’y peut absolument rien changer, il se reproduit dans toutes les statistiques. Paris serait absolument plein de Juifs, que l’on vous répéterait toujours qu’il y a 45.000 Juifs en France. On refuserait impitoyablement à un examen un élève qui, à cette question : Combien y a-t-il de Juifs en France ? ne répondrait pas « 45.000, Monsieur. »
Les Juifs eux-mêmes ont pris le bon parti pour couper court à toute investigation gênante : ils ont fait décider par le gouvernement qu’ils dirigent que dans les recensements on ne demanderait plus à personne le culte auquel il appartient.
Nous comprenons l’intérêt des Juifs à rester autant que possible à l’état vague afin de pouvoir arguer de leur infériorité numérique lorsque l’on prouve que dans toutes les insurections, dans tout journal qui insulte les chrétiens, dans toute mauvaise affaire, il y a un juif. Il nous sera permis néanmoins de dire qu’ils mentent impudemment dans cette circonstance comme dans beaucoup, d’autres.
[98]
Si je citais ce que disent ben Bethera, ou rabbi Yokanan au traité Yomma ou certains passages du traité Berakhoth relatifs aux moments où la femme est nid’ah, les journalistes juifs ou ceux de nos confrères qui ont épousé des Juives me diraient : « Il y a là un point de casuistique tout intime et qu’on ne discute pas en public. » Ils ont applaudi comme des sourds, quand, dans son livre sur les jésuites, Paul Bert, le grand maître de l’université a soulevé toutes ces questions.
Dès 1830, dans un discours prononcé à la Chambre, le 4 décembre, M. André affirmait que des hommes distingués parmi les Israélites portaient à 400.000 le nombre de leurs coreligionnaires français.
En 1847, M. Cerfbeer, un de leurs anciens coreligionnaires, avouait 100.000 Juifs français, en 1867 ou 1869, un orateur déclarait, dans une réunion de l’Alliance, que les Juifs étaient 150.000 en France53 .
Le chiffre de 100 à 120.000 nous est donné par le procès-verbal de l’audience accordée par le Shah de Perse au Comité de l’Alliance israélite54, procès-verbal qui a tout le caractère de l’authenticité, puisqu’il est signé, en outre du président Adolphe Crémieux, de M. Isidore, grand rabbin de France, président honoraire de S.-H. Goldschmidt, vice-président, de M. Leven, secrétaire, de B. Allegri, G. Bedarride, comte de Camondo, Jules Carvallo, Albert Kohn, Abraham Créhange, G. Derembourg, Michel Érlanger, Zaidoc Kahn, grand rabbin de Paris, Léonce Lehmann, Jules Rosenfeld.
[99] Le Shah dit : combien y a-t-il de juifs en France ?
Sire, de 100.000 à 420.000.
Angleterre ? -Un peu moins.
Dans les autres pays de l’Europe ?

M. Albert Cohn, membre du comité central, répond : Sire, en, Allemagne 500.000, dans les États de l’Autriche, 1.200.000, dans la Russie 2.400.000.
Devant une déclaration aussi formelle, il nous est difficile d’admettre le chiffre de M. Franck, qui est d’ailleurs un des rares hommes de valeur du parti israélite qui soit digne de respect, puisqu’il n’a jamais cherché, ni directement ni indirectement, à faire du mal aux chrétiens, soit en attaquant leur religion, soit en leur volant leur argent, soit en les poussant à des guerres de spéculation.
M. Franck écrit, dans un article des Annales de philosophie chrétienne, reproduit dans les Archives israélites du jeudi 2 novembre 1882 :
« Dans la population actuelle de la France évaluée en chiffres ronds à 37 millions et demi d’âmes, se trouvent compris soixante mille israélites. Cela fait, si je ne me trompe, un Israélite sur six cent trente chrétiens ou non Israélites. »
Quoique l’émigration des Juifs de Russie ait dû augmenter considérablement le chiffre donné par Crémieux, M. Théodore Reinach affirme hardiment, en 1884, que la France ne contient que 63.000 Juifs55. L’Annuaire des [100] Archives israélites pour 1885 dit que le chiffre flotte entre 80.000 et 85.000, parmi lesquels 50.000 habitent Paris.
53
Le dernier recensement donne pour l’Algérie, où le culte était mentionné, le chiffre de 35.663 israélites naturalisés, savoir : Département d’Alger : territoire civil, Israélites naturalisés par le décret de 1870 : 10,414,
territoire militaire, 610.
Département d’Oran : territoire civil, Israélites naturalisés, 14,870, territoire militaire, 188.
Département de Constantine : territoire civil, israélites naturalisée, 10,006, territoire militaire,
69.
54
Ces bons rapports entre l’Alliance israélite et le Shah de Perse n’ont pas continué. Le 3 mars 1883, le Juif Isaac Davisch fut trouvé possesseur des bijoux volés à Mirza ali Khan, fils du feu grand vizir. En France on l’aurait décoré, mais les Persans prirent mal la chose. Isaac, mis à la torture, avoua qu’il avait reçu les bijoux du juif Haim Isaac. On arrêta également Barchi, fils de Simon, chef de la communauté juive de Téhéran et le rabbin en chef Abraham Hadji Baba. On réussit à leur faire rendre 126,000 francs. Naturellement l’Alliance israélite cria à la persécution et l’on put prévoir l’instant où nous allons déclarer la guerre à la Perse. 55 Histoire des israélites depuis leur dispersion jusqu’à nos jours.
Comme nous l’avons déjà dit, la suppression de l’indication de religion dans les recensements a rendu toute recherche difficile. Donnons seulement, à titre de renseignements très approximatifs, le relevé des produits des pompes funèbres du culte israélite, tel qu’il figure dans la Statistique de Paris dressée par le docteur Bertillon. En 1872, le produit des pompes funèbres avait été de 18.776 fr. 46 c. pour un chiffre de 23.434. En 1880, i1 a été de 42.288 fr. 95 c. Ce qui tendrait à prouver que le chiffre des Juifs a plus que doublé à Paris.
S’il y a déjà autant d’Israélites à Paris, jugez un peu comme il est vraisemblable qu’il y ait en tout, comme l’affirment les statistiques, 45,000 Israélites en France56 .
En réalité, ce chiffre des Israélites qu’indique le produit des pompes funèbres ne représente guère que le tiers tout [101] au plus de l’élément israélite à Paris, il ne s’applique qu’aux Juifs restés fidèles aux pratiques de leur religion.
Les Juifs qui ont conservé tous les vices de leur race sans garder même ces principes religieux, qui sont toujours un frein pour le mal, se chiffrent à Paris au moins par 120 ou 150.000 individus ; en province, par 400.000 individus au minimum également, qui, reliés entre eux par la Maçonnerie, s’installent dans tous les comités, mènent le corps électoral et créent cette opinion artificielle que l’on prend pour l’opinion véritable.
C’est l’éternelle histoire des cinq ou six cents misérables, qui ont suffi à imposer à Paris la Commune de 93, la Commune d’Hébert et de Chaumette, l’histoire des délégués de la Société des Jacobins, qui venaient, au moment de la Terreur, fonder un club dans chaque ville. Ces bandits, que personne ne connaissait dans le pays, guillotinaient tranquillement, pour s’emparer de leurs biens, des vieillards, des jeunes filles, de vieux chevaliers de Saint-Louis, couverts de blessures, des gens que tout le monde aimait et respectait dans la contrée.
D’après les observations faites en Allemagne par le Juif Meyer, fort suspect naturellement, la vie moyenne serait de 37 ans pour les Juifs et de 26 pour les chrétiens ce qui donnerait une différence de 11 ans.
Citons encore si vous le voulez, à titre de renseignements, quelques chiffres relevés par le docteur Legoyt, de 1855 à 1859.
Selon lui, à la naissance, la vie moyenne de la population générale se montre supérieure à celle de la population juive (hommes). A tous les autres âges, l’avantage revient à cette dernière.
[102]
Quant aux femmes juives, leur vie moyenne n’atteint pas celle de l’ensemble de la population du même sexe jusqu’à l’âge de 60 ans, mais à partir de cette limite, elle leur devient supérieure.
Dans la séance du 1er avril 1882, le docteur Lagneau a présenté à l’Académie des sciences morales et politiques un mémoire assez curieux sur le mouvement de la
56 Un des livres les plus complets qu’on ait jusqu’ici publiés sur les Juifs : Zur Vohkunde der Juden, par Richard André (Leipsig, 1881), donne un total de 8.189.661 juifs pour le monde entier, mais là encore les erreurs visibles sont nombreuses, puisque l’auteur accepte comme exactes les affirmations de Davon, dont nous avous démontré la fausseté, et s’en tient au chiffre de 14.888 Israélites pour le département de la Seine, qui est absolument dérisoire pour nous autres Parisiens qui en trouvons partout.
Malte Brun évalue le chiffre des Juifs à 5.000.000, la société biblique à 2.500.000, le Catholic Magazine à 3.260.000, Groeberg et Pinkenton à 5.000.000, Hassel à 3.930.000, Hoerchelman à
6.598.000.
L’univers maçonnique donne un chiffre de 9 millions de juifs. (Précis de la Maçonnerie, par César Moreau).
M. Théodore Reinach, l’auteur du dernier ouvrage paru sur cette question, fixe le chiffre total de la population israélite à 6.800.000, ainsi répartis : 5.400.000 en Europe, 800.000 en Asie, 350.000 en Afrique, 12.000 en Océanie. il indique 40.000 Juifs à Paris ce qui est manifestement en dessous de la réalité.
population chez les Juifs, comparé à celui qu’on remarque chez les catholiques et chez les protestants.
D’après lui, les accroissements des catholiques, des protestants et des Juifs sont entre eux comme 1, 2, 3.
Excepté dans le duché de Bade, dans la Hesse et en Toscane, les Juifs, dans tous les pays, en Russie, en Pologne, en Prusse, en Autriche, en France, présentent l’accroissement le plus rapide. Dans ces deux derniers pays, il est quatre fois et sept fois plus rapide que celui de la population catholique.
M. Lagneau, après avoir constaté l’accélération continue du mouvement ascendant des Juifs, quand un phénomène opposé s’accuse du côté des catholiques et des protestants, entre dans les détails.
La natalité des juifs, dit-il, se montre inférieure à celle des protestants, des
catholiques et de la plupart des autres habitants en Russie, en France, dans le
duché de Bade, en Toscane et dans maints autres pays. Egale à celle des
protestants en Prusse, elle est supérieure à celle des autres habitants en Autriche,
en Hongrie, en Roumanie.
Dans tous les pays, en Russie, en Prusse, en France, dans le duché de Bade,
à Vérone, en Autriche, excepté dans la Bukovine et dans la Galicie, la natalité
illégitime des Juifs est de beaucoup inférieure à celle des autres habitants.
Les Archives israélites qui ont reproduit quelques-uns de ces chiffres s’extasient naturellement sur la vertu des [103] Juifs qui ont si peu d’enfants illégitimes, il est permis cependant de se demander sur quelles bases le docteur Lagneau a pu établir son travail pour la France, puisque sur 500.000 Juifs qui existent certainement chez nous, depuis que la République a fait de notre pays une vache à lait pour les Sémites, on persiste à n’en accuser toujours qu’un chiffre dérisoire.
Absolument différent du chrétien dans son évolution comme race et comme individu, le Juif est dans des conditions toutes différentes aussi sous le rapport sanitaire.
Il est sujet à toutes les maladies qu’indique la corruption du sang : les scrofules, le scorbut, la gale, le flux. Presque tous les Juifs polonais ont la plique et le disent, beaucoup de Juifs français, élégants et bien vêtus, auxquels nous serrons la main, l’ont également, mais ne le disent pas. Tous se gardent avec soin de recourir à des médecins qui ne soient pas de leur religion, exemple que les chrétiens devraient bien imiter.
Parmi ces banquiers insolents, que d’Autheman rongés, comme le personnage de Daudet, « par le mal immonde, l’araignée aux longues pattes agrippantes, toujours en vie, acharnée sur sa proie. » C’est le mal de l’or, on le croirait, et pour guérir la lèpre héréditaire, ils vont se plonger pendant des journées entières dans les boues de Saint-Amant. L’or juif retourne ainsi à sa source.
En revanche, le Juif possède une aptitude merveilleuse à s’habituer à tous les climats. « Il y a des Juifs sous tous les degrés de latitude, depuis le 33° degré de l’hémisphère Sud, jusqu’au 60e degré de latitude Nord, de Montevideo à Québec, de Gibraltar jusqu’aux côtes de la Norvège, d’Alger au cap de Bonne-Espérance, de Jaffa à Pékin ! » Ainsi [104] s’écrie un des leurs, saisi d’un transport d’admiration.
Par un phénomène que l’on a constaté cent fois au moyen âge et qui s’est affirmé de nouveau au moment du choléra, le Juif paraît jouir vis-à-vis des épidémies d’immunités particulières. Il semble qu’il y ait en lui une sorte de peste permanente, qui le garantit de la peste ordinaire, il est son propre vaccin et, en quelque manière,
un antidote vivant. Le fléau recule quand il le sent57 !…
57 Voir à ce sujet deux excellents articles de la Revue scientifique du 23 avril et du 14 mai 1881.
Le Juif, en effet, sent mauvais. Chez les plus huppés, il y a une odeur, fetor judaïca, un relent, dirait Zola, qui indique la race et qui les aide à se reconnaître entre eux. La femme la plus charmante, par les parfums mêmes dont elle se couvre, justifie le mot de Martial : qui bene olet mate olet.
Le fait a été cent fois constaté, « Tout Juif pue, » a dit Victor Hugo qui s’est éteint entouré de Juifs.
En 1266, raconte le grand poète58, une mémorable conférence [105] eut lieu devant le roi et la reine d’Aragon entre le savant rabbi Zéckhiel et le frère Paul Cyriaque, dominicain très érudit. Quand le docteur juif eut cité le Toldos Jechut, le Targum, les Archives du Sanhédrin, le Nissachon velus, le Talmud, la reine finit par lui demander pourquoi les juifs puaient.
La question de savoir pourquoi les Juifs puaient a longtemps préoccupé beaucoup de bons esprits59 . Au moyen âge on croyait pouvoir les purifier de cette odeur en les baptisant. M. Bail prétend que ce fait tient à des causes naturelles et qu’il y a encore en Guinée des nègres qui exhalent une odeur insupportable. Banazzini, dans son Traité des Artisans, attribue la puanteur des Juifs à leur malpropreté et à leur goût immodéré pour la chair de bouc et la chair de l’oie.
La névrose, telle est l’implacable maladie des Juifs. Chez ce peuple longtemps persécuté, vivant toujours au milieu de transes perpétuelles et d’incessants complots, secoué ensuite par la fièvre de la spéculation, n’exerçant guère, en outre, que des professions où l’activité cérébrale est seule en jeu, le système nerveux a fini par s’altérer.
En Prusse, la proportion des aliénés est beaucoup plus forte chez les Israélites que chez les catholiques60 , tandis qu’on n’en rencontre que 24,1 sur 10.000 protestants, 23,7 sur un même nombre de catholiques, les Israélites accusent, sur
40.000 habitants, 38,9.
[106] En Italie, on trouve un aliéné sur 384 Juifs et un sur 778 catholiques.
Pendant l’épidémie de 1884, tandis qu’à Marseille il y avait 1.800 décès sur une population de 360.000 âmes, la population israélite, s’élevant à environ 4.000 individus, n’a fourni qu’un chiffre de 7 décès. Sur ces 7, il y avait 2 personnes malades depuis très longtemps, et une autre âgée de 99 ans.
En Angleterre, on a constaté également cette singulière immunité. Le rapport de M. Billes, adressé au Parlement anglais au moment du choléra de 1853, contenait ceci : « J’ai toute raison d’affirmer que les juifs ont beaucoup moins souffert, proportionnellement parlant, que les autres classes de la population, ils n’ont guère présenté que treize cas pour vingt mille personnes, soit trois quarts pour mille, tandis que au milieu de septembre, le chiffre des décès s’élevait à douze mille huit cent trente-sept pour la Métropole, ce qui fait que sur mille, d’un quartier à l’autre la proportion varie de un à vingt-neuf pour mille. 58 Littérature et philosophie mêlées.
59
Martial compare l’haleine des observateurs du jeûne sabbatique aux miasmes qui s’exhalent des vapeurs sulfureuses de l’Albula à la casaque d’un vieux soldat, à la fumée du lumignon éteint de la lampe de Leda, à la corruption du lit de la vipère, à l’odeur que dégage le renard.
60
En Allemagne, il y a des établissements spéciaux pour soigner les névroses juives. Nous trouvons dans les Archives l’annonce suivante, où le Talmud, se mêlant singulièrement à tout l’attirail de la science moderne, ouvre toutes sortes d’horizons à la pensée qui voit là tous ces millionnaires torturés par la maladie. BockenTuim - Francfort-sur-Mein
Maison de Santé
pour névrotiques Israélites. « Etablissement hydrothérapique, électrothérapie, au pied du l’aunus, à proximité d’une charmante forêt, arrangé avec confort et d’après la doctrine du Talmud. »
Le Dr Charcot a fait à ce sujet, dans son cours de la Salpêtrière, les plus curieuses révélations à propos des Juifs russes, les seuls dont on puisse parler, car les autres cachent soigneusement leurs maladies dans leurs palais.
Les Archives israélites, en constatant « ce détail terrible, déclarent que ce fait peut se passer de commentaires et augmente encore, s’il est possible, la pitié qu’inspirent les malheureux Israélites de Russie. » Soit ! Que les Juifs malades du cerveau se fassent soigner ! Mais pourquoi troubler sans cesse par le trouble de leur propre esprit des peuples qui vivaient tranquilles et heureux tant que la race d’Israël ne s’est pas mêlée activement à leur existence.
Que ce soit Hertzen en Russie, Karl Marx ou Lassalle en Allemagne, on trouve toujours comme en France un Juif prêchant le communisme ou le socialisme, demandant qu’on partage le bien des anciens habitants pendant que leurs coreligionnaires, arrivés nu-pieds, s’enrichissent et ne se montrent pas disposés à partager quoi que ce soit.
Cette névrose semble se transmettre même à ceux dont la mère seulement est Juive. Dumas, à l’âge de trente ans, a traversé une crise terrible sous ce rapport.
[107]
Qui ne se rappelle encore Feghyne, cete étrangère reçue au Théâtre-Français parce qu’elle était d’origine juive, tandis qu’une Française et une chrétienne qui n’aurait pas eu plus de talent qu’elle n’aurait pas été seulement admise dans la loge du concierge ? N’était-elle pas dévorée par la névrose, bien avant que l’accès n’éclatât, la bizarre créature que Tourgueneff a peinte sous le nom de Clara Militch ?
Sarah Bernhardt, avec ses imaginations macabres, son cercueil de satin blanc dans sa chambre, est évidemment une malade61 .
[108]
Ne perdez pas de vue cependant que, même dans les conceptions les plus délirantes du Juif, il y a toujours une arrière-pensée d’intérêt personnel, de lucre,
A propos des goûts mortuaires de Sarah Bernhardt, rappelons une histoire qui est jolie. An moment de la première représentation de Fœdora, un de nos confrères, M. Félicien Champsaur avait imaginé de donner dans son journal une reproduction de la célèbre photographie de la comédienne couchée dans son cercueil. L’idée ne plut pas à Sarah, et elle ordonna la saisie qu’un ami fut chargé de faire opérer. Bouillant d’ardeur, il se précipite chez le commissaire qui était précisément celui qui trouvait charmant que le jour de la Mi-carême on promenât sur les boulevards une caricature du Christ en croix.
- Monsieur le commissaire, il vient de paraître un dessin infâme.
- Qu’est-ce que vous me chantez là ? Un pauvre vieux prêtre qu’on aura tourné en ridicule, un religieux représenté dans une attitude indécente. C’est la liberté cela, monsieur. Vive la liberté !
- Y pensez-vous ? Savez-vous à qui on ose s’attaquer ? à une Juive, Sarah !
- S’attaquer à une juive, à Sarah ! Que me dites-vous ! Je saisis, je saisis tout, je suis saisi moi¬même… Et abandonnant le prisonnier qu’il avait à interroger, il s’élance pour faire main basse sur tous les exemplaires séditieux.

Cela fait songer à l’aventure non moins amusante de Camescasse. Au moment où les Juifs de Russie s’installèrent dans la Cité Doré, Ils songèrent immédiatement à construire un oratoire, et certes ce n’est pas moi qui les blâmerai. Quel que soit le Dieu que l’on prie, il est toujours bon de prier.
Malheureusement Camescasse n’était pas prévenu, et lorsqu’il lut sur le dossier : Ouverture d’un oratoire, il fut pris d’une indignation qu’on conçoit. Un oratoire… une chapelle, criait-il éperdu! Caubet qui venait d’entrer eut une congestion à ce mot de chapelle. « Une chapelle ! une chapelle » hurlait-il entre deux hoquets. On va la leur fermer bien vite leur chapelle et mettre des scellés dessus! »
L’employé qui avait apporté le dossier essayait en vain de placer un mot.
Permettez, messieurs, balbutiait-il.
Permettre cela ! vociférait Caubet, que dirait la Clémente amitié et les Amis du Sinaï ?
Mais c’est un oratoire pour les juifs de Russie, parvint à dire l’employé.

- Des Juifs, murmura Camescasse, dus Juifs russes encore, des amis de M. le baron de Rothschild ! Ah ! Les braves gens ! qu’ils prient à leur aise, où ils voudront, tant qu’ils voudront ! J’avais cru qu’il s’agissait de chrétiens et de Français…
même quand il perd la tête, il sauve la caisse. Sarah Bernhardt avec ses excentricités se fait de la réclame. Gambetta, même dans les expéditions les plus saugrenues, comme le Tonkin, a toujours visé à se faire de l’argent, à marcher avec un syndicat.
Cette névrose, le Juif a fini, chose étrange, par la communiquer à toute notre génération. La névrose juive aura eu son rôle dans les destinées du monde. Depuis vingt ans que les Sémites tiennent, comme le disait Disraéli, les fils de la diplomatie secrète, et qu’ils ont réduit les ambassadeurs réels à l’état de personnages de parade, depuis vingt ans qu’ils mènent la politique européenne, cette politique est devenue véritablement déraisonnable et démente. Le [109] mot de Bismarck : « Paris est une maison de fous habitée par des singes » s’applique parfaitement à la Prusse et à l’Europe. Il n’y a plus de trace dans les conseils de souverains d’une conscience, ni même d’une raison d’État un peu élevée.
L’histoire de ces dernières années c’est le monde conduit par des fous raisonnant, ratiocinant, ayant, comme il arrive à la veille de la crise suprême, une logique apparente qui déconcerte au premier abord.
La névrose, par cela même qu’elle enlève au Juif tout sentiment de pudeur, toute réflexion, toute notion même de l’énormité de ce qu’il ôse, met en circulation des types qui ne se rapprochent en rien de ceux qu’on a vus auparavant. Il y a dans cet ordre des improvisations de fortunes inouïes, des destinées extravagantes, des gageures gagnées contre le sens commun devant lesquelles on reste littéralement confondu. Le Juif va toujours de l’avant, confiant dans le Mazzal.
Qu’est-ce que le Mazzal ? Ce n’est ni le Fatum antique, ni la Providence chrétienne, c’est le bon sort, la chance, l’étoile, toute vie juive semble un roman réalisé.
Prenez Mme de Païva, elle naît dans une famille de Juifs polonais, les Lachmann62, elle épouse un pauvre petit [110] tailleur de Moscou, et l’abandonne pour venir à pied à Paris chercher aventure. Elle connaît sur le pavé parisien toutes les extrémités de la misère, toutes les horreurs de l’amour vénal ; épuisée, elle tombe un jour d’inanition dans les Champs-Élysées et se jure à elle-même que ce sera là que s’élèvera son hôtel lorsque le sort, dans lequel elle a foi, l’aura enfin favorisée.
Elle épouse de la main gauche un pianiste juif, le célèbre Herz, qui la présente aux Tuileries comme sa femme légitime, on l’éconduit, elle se promet de se venger.
La marquise de Noailles, en premières noces, comtesse Schwlkoska, est également une Lachmann sans que nous sachions si la famille est la même. Ce mariage seul explique qu’un homme qui porte un tel nom serve le gouvernement des décrets.
Dans cette famille encore quelle terrible indication il y aurait à recueillir, au point de vue de l’hérédité et de la transmission de la névrose juive !
La mort du maréchal de Mouchy-Noailles, un des ancêtres de ce républicain, est un des épisodes les plus émouvants de la Révolution.
Le maréchal avait près de quatre-vingts ans, il fut guillotiné avec sa femme qui en avait soixante-six et ne figurait même pas dans l’acte d’accusation.
Lorsqu’on vint appeler le maréchal, raconte un témoin, dans l’Histoire des prisons, pour le mener à la Conciergerie, il pria celui qui lui annonçait qu’il fallait descendre au greffe de ne point faire de bruit, afin que la maréchale ne s’aperçut pas de son départ. Elle avait été malade les jours précédents, et elle était dans les remèdes. Il faut qu’elle vienne aussi, lui répondit-on, elle est sur la liste, je vais l’avertir de descendre.
Non, lui répondit le maréchal, puisqu’il faut qu’elle vienne, c’est moi qui l’avertirai. » Il va aussitôt dans la chambre et lui dit : « Madame, il faut descendre, Dieu le veut, adorons ses desseins. Vous êtes chrétienne. Je pars avec vous et je ne vous quitterai pas. »
La nouvelle que M. de Mouchy et sa femme allaient au tribunal se répandit en peu de moments dans toutes les chambres.
Le reste du jour fut pour les prisonniers un temps de deuil. Les uns s’éloignaient de leur passage, ne se sentant pas la force de soutenir ce spectacle, d’autres, au contraire, se rangeaient en haie, voulant leur témoigner une dernière fois leur respect et leur douleur. Quelqu’un éleva la voix et dit : « Courage, monsieur le maréchal ! » Il répondit d’un ton ferme : « à quinze ans, j’ai monté à l’assaut pour mon roi, à près de quatre-vingts, je monterai à l’échafaud pour mon Dieu »
Herz, ruiné et chassé par elle, s’enfuit en Amérique, elle épouse alors, cette fois régulièrement, le marquis de Païva qui se brûle la cervelle peu après. Maîtresse du comte Henkel, [111] elle manie l’or à pleines mains, elle reçoit les hommes politiques, les écrivains, les artistes d’un certain ordre dans cette demeure féerique des Champs-Élysées dont les splendeurs n’ont d’égales que celles de la terre seigneuriale de Pontchartrain. Avec l’intelligence de sa race que doublent le ressentiment et la haine, elle organise, quelque temps avant la guerre, l’espionnage prussien contre nous, ce que lui rendent facile ses relations avec beaucoup de célébrités politiques qui venaient raconter là nos affaires en dînant. Elle a préparé la ruine de l’Empire, elle s’élève tandis qu’il s’effondre, la voilà comtesse Henkel de Donnesmarck, achetant les diamants de cette impératrice qui l’a repoussée, faisant reconstruire au fond de la Silésie, par Lefuel, l’architecte des palais impériaux, ce château des Tuileries dont elle a été expulsée.
Artiste jusqu’au bout des ongles, cette fille de paysans a l’instinct de toutes les élégances, l’intuition de l’art en ce qu’il a de plus raffiné. Rongée par la névrose, elle ne goûte point un moment de repos au milieu de tous ces enchantements, elle est obsédée par l’idée qu’on veut l’assassiner pour lui voler ses diamants, elle interdit sous peine de renvoi immédiat qu’aucun jardinier se trouve dans son parc lorsqu’elle s’y promène. Cette femme qui a eu faim et qui a appartenu à tous, est plus despote, plus sévère qu’une archiduchesse, elle fait régner dans l’immense personnel de sa domesticité la discipline la plus rigoureuse, elle chasse un jour un malheureux maître d’hôtel qui s’est permis de sourire en entendant un mot spirituel à table. Puis elle meurt à 56 ans, dans ses Tuileries de Silésie, d’une congestion au cerveau.
Rassemblez tous ces traits jetés à la hâte, essayez d’établir un peu d’ordre dans les péripéties de cette carrière [112] étrange, et de cet ensemble se dégagera une figure d’une essence toute particulière : une Juive.
Quel roman encore que celui de ce fils de rabbin hongrois, qui fut Midhat Pacha ! Pacha, il commence, selon l’usage, par servir les siens, et organise avec Camondo et Sassoon, les écoles juives de l’Orient, puis il s’efforce d’acclimater les doctrines révolutionnaires dans le pays de l’immobilité, et trouve moyen de déranger même ces Turcs immobiles et impassibles que rien ne dérange, il crée le parti de la Jeune
Turquie, et il a pour confident et pour agent en Europe un nommé Simon Deutch63 , orientaliste, courtier politique, porte-drapeau en 1848 de la Légion académique de Vienne, mêlé à l’affaire d’Arnim, vivant à la fois dans les chancelleries et dans les brasseries du quartier latin. C’est sous les yeux de Midhat dans, son konak des bords du Bosphore, que se passe le drame sanglant dans lequel Abdul-Axis est assassiné, il est disgracié, rappelé, condamné à mort, et enfin relégué à Djeddah près de Médine, où il noue de nouvelles intrigues avec le Madhi, ce qui décide le sultan à le faire empoisonner.
Il y a des milliers d’existences semblables chez les Juifs. Si vous voulez voir un joli spécimen d’homme d’État juif, prenez Naquet et étudiez-le. Celui-là est un inquiet, jeune, il donne le procédé d’un fulmi-coton pour faire sauter les villes, il publie son livre Religion, Propriété, Famille, dans lequel il réclame la communauté des biens et
des [113] femmes64 dans son âge mûr, il se convertit à l’opportunisme, et se met, sous
63
Un autre Deutsch est un des chefs importants du parti nihiliste. Arrêté dans le grand duché de Bade, il comparut au mois d’octobre 1884 devant la Cour martiale d’Odessa, qui le condamna à treize ans de travaux forcés.
64
« Nous recommandons cet ouvrage, dit l’éditeur Kistemackers, le libraire à la fois franc-maçonnique et pornographique, à toutes les personnes qui désirent connaître à fond les opinions philosophiques du célèbre promoteur du divorce en France. Ce livre n’a jamais eu son pareil dans ce genre d’idées, il est d’une hardiesse et d’une logique inouïe. M. Naquet y développe le communisme dans le mariage et dans la famille, et y défend des idées qu’il n’a jamais osé porter à la tribune française… »
la conduite d’un Barnum qui dirige les tournées, à aller de ville en ville prêcher le divorce. Aujourd’hui il se tourne vers le prince Napoléon65 .
Même arrivé, le Juif reste toujours par quelque point mercanti, faiseur de boniments, truqueur. Naquet ne se contente pas de bouleverser la société, il invente une pommade pour faire briller les cheveux, qu’il a fait dresser sur les têtes. Dans le même numéro de journal qui contient un discours de l’homme politique, on voit ¬mélange singulier et qui aurait étonné Guizot- une annonce du régénérateur de la chevelure, qui marche sur les traces de Sarah Félix, « la sœur de la grande Rachel, » comme disent les prospectus.
CHANGEMENT DE DOMICILE MACASSAR NAQUET HUILE VÉGÉTALE SEULE RECONNUE INFAILLIBLE POUR EMBELLIR ET RÉGÉNÉRER LES CHEVEUX 1, PLACE DE L’OPÉRA, CI-DEVANT PALAIS-ROYAL, 132
[114]
Cette vie baroque en apparence, et qui assurément ne ressemble guère à la vie des hommes publics d’autrefois a cependant son unité. Chimiste, conférencier, député, sénateur, Naquet n’en reste pas moins le Rempart d’Israël.
Le divorce par exemple, le guittin, est une idée absolument juive. Un seul orateur catholique a osé le déclarer, c’est Mgr Freppel, dans la séance du 19 juillet 1884, il s’est écrié : « Le mouvement qui va aboutir à la loi du divorce est, dans le véritable sens des mots, un mouvement sémitique, un mouvement qui a commencé à M. Crémieux, pour finir à M. Naquet. » Il a dit à cette gauche déshonorée : « Allez, si vous le voulez, du côté d’Israël, allez vers les Juifs. Nous restons, nous, du côté de l’Eglise et de la France. »
Mgr Freppel ne savait peut-être pas dire aussi complètement la vérité. Pour être sûr d’avoir la loi qui lui convenait, qui s’adaptait à ses institutions, Israël fit préparer le projet par les rabbins.
Ce fut l’ancien rabbin de Bruxelles, Astruc, qui rédigea les dispositions de la loi et les dicta, en quelque sorte, à la Chambre des députés.
« La commission du divorce, écrit à ce sujet Naquet à Astruc, a accepté votre amendement, elle a admis que (article 295) « les époux divorcés, pour quelque motif que ce soit, ne pourront plus se réunir si, depuis le divorce, l’un ou l’autre a contracté
un nouveau mariage66. »
« Quoi qu’il arrive, déclarait Naquet à un reporter, au mois de novembre 1885, la République vivra, au besoin, pour la sauver, nous prendrions avec nous les Bonapartistes… Oh ! il y a bonapartistes et bonapartistes, et tous ne sont pas du même bois que M. de Cassagnac.
« Je ne dis pas, ajoutait-il, que le prince Napoléon soit facile à faire avaler par tous les républicains, mais s’il faut en venir là : à la guerre comme à la guerre ! Tout plutôt que la monarchie ! » 66 Revue de Bruxelles citée par les Archives israélites, volume 41. Pour toute cette question, consulter le code rabbinique : « Eben Haezer, traduit par extraits, avec les explications des docteurs juifs, la jurisprudence de la Cour d’Alger, et des notes comparatives de droit français, de droit musulman par E. Santagra, président du tribunal de Mostaganem, et M. Charleville, grand rabbin de la province d’Oran. »
Le livre Eben Haeser comprend cinq traités : Scholh, des unions, Kidouschim, du mariage, Ketoubolh, de la dot, Guittin, du divorce, Yiboum, du lévirat.
N. Schwab, qui a entrepris une œuvre très considérable, la traduction complète du Talmud, en est arrivé au traité Guittin, mais il n’en a encore publié que le commencement.
D’après le traité Kfloubolh, on peut répudier une femme sans lui rendre son douaire : si elle donne à son mari des aliments défendus, si elle le trompe sur l’époque de ses menstrues, si elle ne fait pas son devoir par rapport à la Hallah, si elle marche nu-tête au dehors, si elle file dans la rue. Aba Saul dit encore si elle injurie les parents de son mari en sa présence. R. Tarfon ajoute si elle est
[115]
Si des hommes honnêtes, éloquents, croyants comme M. Lucien Brun ou M. de Ravignan, étaient au courant de ces questions67 (1), ou s’ils avaient le courage de les traiter franchement, ils auraient pu placer le débat sur son vrai terrain. Ils n’auraient pas changé le vote évidemment, mais [116] ils auraient montré l’action de cette race qui, non satisfaite de se faire une place prépondérante dans une société qu’elle n’a pas créée, veut en modifier toutes les coutumes et toutes les lois à son point de vue personnel, ils auraient prononcé un de ces discours qui font réfléchir les penseurs, qui préparent l’opinion aux mesures que la France sera obligée de prendre sous peine de périr. Au lieu de cela, ils se renferment dans des généralités pieuses, qui n’ont aucune efficacité parce qu’elles ne s’appliquent à aucune réalité. On comprend le dédain qu’éprouvent pour des contradicteurs aussi nuageux des hommes comme Naquet.
Non content d’avoir introduit dans le Code le divorce juif, Naquet intervient pour défendre les intérêts des tripoteurs dans la discussion sur les compagnies de transports maritimes, en s’opposant à la proposition de Raspail demandant que les membres du Parlement ne fassent pas partie des conseils d’administration.
Enfin Naquet sert la juiverie dans la question qui lui tient le plus à cœur, il fait voter par la Chambre l’abrogation de l’article 1965 du Code civil.
Jusqu’ici, quand un malheureux avait acquis la preuve évidente qu’il avait été volé à la Bourse comme dans un bois, pipé comme dans un tripot par des financiers israélites, il avait la ressource de se réfugier derrière l’exception de jeu, il sauvait parfois ainsi un lambeau de son patrimoine, la dot de sa fille, le pain de ses vieux jours. Grâce à la loi votée à l’instigation de Naquet, l’infortuné goy devra remettre à Shylock jusqu’à son dernier sou. Tout y passera.
Avant 1883, la loi française avait au moins la pudeur de ne pas s’immiscer dans les turpitudes de la Bourse, elle disait aux Nucingen qui voulaient achever leurs victimes [117] ce qu’elle disait aux filles qui s’acharnaient après leur proie : « Nous ne connaissons pas de tels métiers ! Allez débattre vos vilaines affaires loin du prétoire. » Désormais elle prendra le parti du voleur et lui prêtera main-forte pour mettre tout nu le volé qui aurait conservé sa chemise68 (1).
criarde. On comprend par là, selon Samuel, celle qui, parlant dans sa maison, élève tant la voix, que ses voisins l’entendent chez eux. Selon Rab, il s’agit seulement de la femme que l’on entend d’une autre pièce dans ses relations conjugales. 67 M de Gavardie, un catholique courageux cependant, avait une excellente occasion de constater l’envahissement du Juif parmi nous, lors de la discussion de la loi sur la liberté de l’argent, loi toute juive encore et qui est la légalisation de l’usure. Dans son discours du 1er décembre 1885, Il a parlé de Moïse, mais il n’a pas dit un mot des Rothschild et des banques juives, aussi ce discours qui aurait pu être intéressant, au point de vue de la question sociale, n’a-t-il aucune signification, il ne répond à rien.
M. de Lareinty qui est, je crois, en froid avec les Rothschild après avoir été très bien avec eux, n’a pas dit un mot d’eux non plus. Aucun catholique n’a discuté d’une façon vivante et actuelle cette loi qui clôt par le triomphe d’Israël une lutte qui dure depuis quatorze cents ans entre l’Église et le juif qui veut dépouiller le chrétien, aucun n’a rappelé la campagne courageuse entreprise jadis contre les banquiers juif par les Franciscains, le bienheureux Bernard de Feltre, fra Barnabé de Terni, fra Giovanni Caize. 68 En toute question le Juif est guidé par la pensée exclusive d’être utile aux siens. Voyez ce qui se passe pour les livrets d’ouvriers. L’industrie française, ruinée par la concurrence étrangère, pousse un long gémissement. Nos ouvriers français ne trouvent plus de travail, car 800.000 ouvriers allemands,
500.000 ouvriers italiens leur font à eux aussi une concurrence terrible, nos chefs d’industrie se voient dépouillés, non seulement de leurs procédés, mais même de leurs marques de fabrique par des gens qu’ils ont accueillis et employés chez eux.
Que fait le juif Edouard Millaud ? Ce faux cosmopolite qui, au fond, n’est préoccupé que des intérêts de sa race, n’a qu’un désir, celui de rendre l’invasion plus facile pour les juifs étrangers, dans la séance du Sénat, du 19 juin 1888, il demande la suppression de ce livret qui est une garantie pour l’ouvrier français comme pour le patron, qui permet à tout directeur d’établissement de se rendre
Je sais bien que l’abrogation de l’article 1965, a pour elle des autorités considérables : Elle est approuvée par M. Dollfuss, qui dit le Gaulois69(2), « a une tête sui generis, » par M. de Verneuil, successeur de M. Moreau, « très brun de peau, avec une raie bien faite au milieu de la tête, » par M. Alfassa, « un gentleman à l’œil bleu et à la moustache blonde dont la parole garde un léger accent exotique ». Il n’en est pas moins de la plus élémentaire probité de n’acheter que [118] ce qu’on peut payer et de ne vendre que ce qu’on possède70.
Dès qu’il y a jeu, le règlement des paris est une affaire d’appréciation. Quel serait, par exemple, l’appréciation de M. de Verneuil, le successeur de M. Moreau qui a eu un moment de célébrité, dans le cas suivant. Je fais une opération de bonne foi, en calculant toutes les probabilités, le syndic des agents de change reçoit d’un ministre, à titre officiel, une nouvelle que ses fonctions l’obligent de porter de suite à la connaissance du public, il la tient soigneusement cachée pendant une partie de la Bourse et ne la communique qu’à M. de Rothschild. M. de Verneuil se croirait-il obligé de remplir légalement ses obligations avec des adversaires qui auraient joué déloyalement ?
J’ajoute qu’il est difficile de s’expliquer que des agents de change se plaignent des pertes que leur font subir les opérations de jeu puisqu’ils ne peuvent pas s’y prêter. La loi est formelle, en effet.
[119] « Il est défendu aux agents de change de prêter leur ministère pour des jeux de bourse sur quelques effets que ce soit ». (Loi de l’an IV et de l’an X.)
« L’agent de change doit se faire remettre à l’avance les effets qu’il est chargé de vendre ou les sommes nécessaires pour payer ceux qu’il est obligé d’acheter. » (Arrêté du 87 prairial an X, article 43.)
Supposer, dans ces conditions, que les agents de change puissent perdre quelque chose, serait admettre qu’ils violent effrontément une loi existante. C’est une pensée malveillante qu’il est défendu d’avoir vis-à-vis de si honnêtes gens.
Ces existences de modernes qui n’ont rien de commun avec nos existences de jadis, ces destinées bizarres menées bride abattue au milieu des outrances et du bruit avec une sorte d’audace moitié folle et moitié cynique se terminent presque toujours dans le drame.
Le Juif attire le drame, il le porte avec lui dans les pays qu’il envahit et dans les maisons où il se glisse.
Les mariages mixtes, que l’on appelle dans le monde « la culture des ferments, » n’ont point donné jusqu’ici de bons résultats.
Par une loi singulière, il est peu de familles qui se soient alliées aux Juifs dans une pensée exclusive et plus ou moins crûment avouée de sapidité, sur lesquelles ne soit tombée une catastrophe.
Un La Moskowa se marie à une Heine et vous n’ignorez pas dans quelles conditions lugubres le malheureux a péri. Un duc de Richelieu épouse également une Heine et va mourir prématurément en Orient. La fille du duc de Persigny épouse un
compte de la nationalité, de l’origine, des antécédents du travailleur qu’il va admettre chez lui, initier aux secrets de ses travaux et de ses affaires. 69 Gaulois du 10 juillet 1884. 70 Il y a, dans tout ce que fait ou dit le Juif, une sorte de gaîté latente, d’imperceptible mystification d’un caractère indéfinissable qui ne se résume pas par l’éclat de rire sonore, ni par la plaisanterie âpre mais plutôt par une ironie légère doucement noyée dans le regard, ce je ne sais quoi qu’ont certaines femmes qui semblent murmurer : « N’est-ce pas, chéri, que je mens bien ? je parie que tu crois ce que je dis ? « Le gentleman à 1’œil bleu et à la moustache blonde » devait avoir cet air-là, quand il parlait de la nécessité de tenir ses engagements. Ce qui est certain c’est qu’au mois d’avril 1885, le gendre et le compère de Camondo choisissait précisément le jour où la loi était promulguée pour lever le pied en laissant pour douze millions de différences, que le beau-père se refusa énergiquement à payer quelques invites qu’on put lui faire de ne pas laisser ternir le blason sans tache d’une si noble famille.
brasseur juif de Prague, Friedmann et s’assoit avec lui sur les bancs de la police correctionnelle. Le pétrole entre dans la maison de Polignac [120] dont un membre s’est uni à une Mirès. Le déshonneur et la ruine pénètrent chez la Panouse avec Mlle Heilbronn. Une Crémieux, parente du président de l’Alliance israélite, est assassinée après une scène de monstrueuse débauche par deux rôdeurs de barrière. L’avocat Bernays est frappé par les frères Peltzer. Le fils Fould publie sous l’Empire des libelles contre son père, et achève tristement une vie brillamment commencée. Le Juif Merton se tue après avoir gagné des millions.
Le comte Batthyani épouse la fille du Juif Schossberger, il est tué en duel par Rosemberg et sa femme se remarie quelques mois après.
Le comte de Wimpfen, dont la mère est une Sina, se brûle la cervelle à Paris où vous savez, après avoir écrit au Juif Hirsch une lettre plus déshonorante peut-être qu’une telle mort.
Au mois de février 1883, un parent du Naquet qui régénère le cuir chevelu, Daniel Naquet, un des Juifs les plus opulents du Midi, se jette du deuxième étage de la maison qu’il habitait à Carpentras, avec son frère et se brise le crâne. Au moment où il rend le dernier soupir, son frère, Justin Naquet, se pend.
Au mois d’octobre 1885, le riche banquier hambourgeois Primsel, l’associé du Dreyfus des guanos, se jette dans la Seine du haut du pont du Pecq.
La mort subite est cependant plus fréquente chez les Juifs que le suicide quoiqu’il augmente dans d’étonnantes proportions qui attestent le progrès que fait chez eux la névrose.
Quel terrible spectacle que la névrose de ce malheureux Paradol, lui aussi d’origine juive, prôné, surfait, salué grand homme par la Franc-Maçonnerie et allant se tuer à [121] Washington, terminant tragiquement, à quarante et un ans, une existence, bruyante, factice qui, par le côté creux, fait songer à celle de Gambetta, avec moins de vacarme naturellement !
Là encore, la fatalité particulière à la race s’abat impitoyablement sur cette famille, l’anéantit, la déracine en quelque sorte. Le fils se tue à vingt ans, la fille à laquelle Mme de Rothschild, qui fut fort bien dans cette circonstance, puisqu’il s’agissait d’un des siens, avait offert cent mille francs pour sa dot, ne voulut pas affronter la vie, elle alla chercher, au couvent des Dames de la Retraite, un refuge contre tant de douleurs.
Nous ne voyons naturellement que les événements qui se passent en haut ou qui doivent à quelque circonstance un retentissement particulier, il faudrait, pour être complet, recueillir les innombrables tragédies bourgeoises, les faits qui se produisent dans les sphères plus modestes où partout le juif, même quand il ne fait pas le mal volontairement, traîne après lui je ne sais quelle Ananké.
Le Juif qui, selon le mot d’Hegel, « a été précipité hors de la nature, » a eu beau, par des prodiges d’astuce et de patience, s’imposer à la vie sociale, il en est chassé à chaque instant comme par une force invisible.
Le drame pareil à cette Fatalité antique qui, irrésistible et voilée, s’avance sous les portiques du palais de Mycènes, a forcé déjà la porte de cette orgueilleuse demeure des Rothschild, qui croyaient avoir fait un pacte avec la Fortune. Tout Paris a parlé du suicide du baron James (Jacob) de Rothschild. Quoiqu’ils aient fait payer bien cher cette mort aux chrétiens, les Rothschild n’ignorent pas que le sang d’un suicidé porte malheur à une maison et que la malédiction est sur eux. Ils sentent, au milieu de leurs fêtes, voltiger [122] sur eux comme un grand oiseau noir qui bat des ailes avant de s’abattre sur sa proie.
Le propre du drame qui poursuit le Juif est d’être toujours mystérieux. On ne sait presque jamais le pourquoi de ces scènes terribles, tout reste à l’état d’énigme. Un envoyé quelconque de Rothschild vient chez le magistrat chargé de l’instruction, nomme son maître, fait jeter les pièces au feu, tandis que le magistrat, s’il est de nouvelle couche, baise le plancher où l’envoyé d’un si grand monarque a daigné poser ses pas. Je vous défie bien de rien trouver sur le procès de Michel l’assassin, qui fut jugé sous le Directoire, ou de savoir la vérité sur l’affaire Ney, sur l’affaire Wimpfen, etc.
La race, d’ailleurs, quoique organisée dans des conditions spéciales pour la conservation, n’en est pas moins vieille. La légende raconte qu’un bouvier de Sicile du temps du roi Guillaume trouva dans la terre un flacon qui contenait de l’or liquide, il le but et revint à la jeunesse. L’or n’a pas fait ce prodige sur les Juifs. Examinez le spécimen qui domine à Paris, entremetteurs politiques, boursiers, journalistes, vous les trouverez consumés par l’anémie. Les yeux, qui roulent fiévreux dans des pupilles couleur pain grillé, dénotent les maladies hépatiques, le Juif, en effet, a sur le foie la sécrétion que produit une haine de dix-huit cents ans.
Il y a des faits d’atavisme très curieux, très saisissants, la race en s’affinant retourne au type premier, au pur oriental. Regardez le jeune Isidore Schiller, le père est allemand, gros, blond, joufflu, le fils, ramassé sur lui même, a la tête très petite, ressemble comme deux gouttes d’eau à ces captifs trapus des bas-reliefs de Ninive, c’est [123] un vrai contemporain des Menasché et des Yoyaquim.
La plupart, je le répète, sont anémiques au dernier degré. A Paris, ils vivent dans des appartements hermétiquement clos où règne toujours une atmosphère surchauffée, dans les hôtels immenses de Vienne, on les voit rechercher les coins, les cryptes éclairées au gaz même en plein jour. Pressez entre vos doigts ces petits doigts terminés en fuseau, ils dénotent encore certains penchants de la race, mais ils n’ont plus la pince solide et crochue des pères. Pas une goutte de sang, le teint de cire a pris la couleur de la fine porcelaine de Sèvres imperceptiblement bleue, ils tremblent sous notre ciel, ils s’enfuient frileusement vers Nice tandis que de pauvres diables travaillent à faire leurs journaux.
Le jour où les catholiques, las de défendre cette société devenue exclusivement juive, laisseront les affamés marcher sur les maisons de banque comme on a marché sur les couvents, on écrasera ces mendiants d’hier devenus les tyrans d’aujourd’hui, sans que leur sang fasse une tache plus rouge que la viande kasher qu’ils mangent.
Cet état physique peut expliquer en partie la tristesse qui fait le fond du caractère juif, mais n’en n’est pas le motif unique.
Cette mélancolie tient à des causes qu’il me faut indiquer pour compléter cette étude, quel que soit mon désir de ne pas aborder la question religieuse proprement dite, tant est grand mon respect pour toutes les croyances.
Pour réussir dans leur attaque contre la civilisation chrétienne, les Juifs en France ont dû ruser, mentir, prendre des déguisements de libres-penseurs. S’ils avaient dit franchement : « Nous voulons détruire cette France d’autrefois qui a été si glorieuse et si belle pour la remplacer [124] par la domination d’une poignée d’Hébreux de tous les pays, » nos pères, qui étaient moins ramollis que nous, ne se seraient pas laissés faire. Ils sont restés longtemps à l’état vague, agissant avec la Franc-Maçonnerie, s’abritant derrière des phrases sonores : émancipation, affranchissement, lutte contre les superstitions et les préjugés d’un autre âge.
Ils ont d’abord célébré leur culte chez eux, puis peu à peu, en gardant les instincts de leur race, ils ont perdu ce qu’il y a de bon dans toute religion, ils ont été envahis par cette sorte de marasme affreux qui prend l’homme qui ne croit plus à rien.
En dehors des fêtes religieuses qui réunissaient toute la famille, des repas de préceptes, de la Circoncision, du Pourim, de Bar Mitzwa, il y avait jadis mille occasions de resserrer les liens de la fraternité, d’échanger des sivloness, des présents. Un Sioum, c’est-à-dire la fin d’un traité du Talmud étudié soit par une société, soit par un particulier, donnait lieu à un repas. Quand on annonçait qu’il y avait Zocher chez quelqu’un, c’est-à-dire qu’un enfant mâle était né, on se rendait chez lui pour le féliciter. Le sabbat qui précède la noce, Spienholtz, et qui se prolongeait jusqu’au samedi suivant, était un prétexte à longues réjouissances et la table était alors surchargée de ces sucreries et de ces gâteaux, dont Henri Heine nous a donné plus d’une fois une énumération enthousiaste. Tout cela pour beaucoup n’est plus guère qu’à l’état de souvenir.
Sans doute, les Juifs sont plus fidèles qu’on ne le croit à leurs pratiques religieuses. Tel écrivain qui, dans une feuille républicaine, vient d’écrire un violent article pour arracher aux déshérités cette foi qui console de tout, qui vient de railler grossièrement nos Sacrements, notre Carême, nos enfants conduits à la première Communion, court à [125] la synagogue pour y remplir ses devoirs. Pendant la Pâque, ils retrouvent chez Van der Ham, 24 bis, rue de Maubeuge, où le service du Seder est admirablement organisé, les négociants et les employés du quartier du centre. C’est à ce restaurant que vont notamment tous les Hollandais et les Allemands.
C’est là que fut dit à un de nos confrères, libre-penseur apparent, qui n’est qu’un Juif fervent, c’est-à-dire fanatique contre le Christ, ce mot charmant qu’ont reproduit les Archives israélites. Il était venu déjeuner le premier jour de la Pâque et au moment de partir, il demanda l’addition à la jeune fille qui le servait.
- Monsieur, répondit la jeune Hollandaise, nous ne prenons pas d’argent aujourd’hui, jour de fête.
- Mais, Mademoiselle, vous ne me connaissez pas, et si je ne revenais pas ?
- Oh, monsieur, quand on fait Pâque, on revient… Il est incontestable cependant que l’indifférence a pénétré chez beaucoup d’Israélites. Ce n’est point une des premières crises que traverse la religion juive.

Sans aller au vif de certaines questions, ce que les Juifs même devenus chrétiens font rarement, les abbés Leman, Israélites convertis, ont résumé jadis avec infiniment de netteté les phases successives par lesquelles a passé le Judaïsme71.
A la période d’attente et de tressaillement qui précède la venue du Christ succède une période violente, agitée, pendant laquelle Israël s’obstine à chercher le Messie,
[126] sans vouloir s’avouer à lui-même qu’il l’avait crucifié72.
Bientôt, même en donnant aux prophéties messianiques les interprétations les plus singulières, en supputant de mille manières la prédiction de Daniel sur la période des soixante-dix semaines d’années, on en arrive à désespérer. Les rabbins alors vouent à l’anathème celui qui désormais parlerait de l’apparition du Messie. « Tous les temps qui étaient fixés pour la venue du Messie sont passés, » dit rabbi Rava. « Maudits soient ceux qui supputent les temps du Messie, » déclare le Talmud de Babylone. « Puissent leurs os se rompre, » ajoute rabbi Iochanan.
Si les Juifs de Roumanie entretiennent, à grands frais, à Sada-Gora, la famille d’Isrolska, la famille sacrée d’où doit naître le Messie, si les Juifs de Pologne laissent leur fenêtre ouverte quand il tonne pour qu’il puisse entrer, les Juifs civilisés ne croient plus à la venue du Rédempteur, ils n’admettent plus que ce qu’ils nomment le Messie mythique, ou plutôt le Messie, le futur roi du monde, c’est Israël.
[127]
Michel Weil, grand rabbin, dit expressément que les prophéties n’ont jamais fait mention ni d’un descendant de David, ni d’un roi Messie, ni même d’un Messie personnel. Le véritable Rédempteur, selon lui, serait, « non plus une personnalité, mais Israël transformé en phare des nations, élevé aux nobles fonctions de précepteur de l’Humanité qu’il instruira par ses livres comme par son histoire, par la constance dans ses épreuves non moins que par la fidélité à la doctrine ! »
71 La Question du Messie et le Concile du Vatican. 72 Les abbés Leman comptent 25 faux Messies : Theudas en Palestine, l’an 45, Simon le Magicien en Palestine, de l’an 34 à l’an 37, Ménandre, même époque, Dositée en Palestine, de l’an 50 à l’an 60, Bar-Kochbas en Palestine, l’an 488, Moise dans l’île de Crète, l’an 484, Julien en Palestine, l’an 530, un Syrien sous le règne de Léon l’Isaurien, l’an 721, Serenus en Espagne, l’an 724, un autre en France, l’an 1137, un autre en Perse, en 1138, un autre à Cordoue, l’an 1157, un autre à Fez, l’an 1167, un autre en Arabie et un autre vers l’Euphrate, vers la même année 1167, un autre en Perse, l’an 1174, David Almasser en Moravie, l’an 1176, un autre, l’an 1280, David Eldavid eu Perse, l’an 1199 ou 1200, lsmaël Sophie en Mésopotamie, l’an 1497, le rabbin Lemben en Autriche, l’an 1500, un autre en Espagne, l’an 1534, un autre dans les Indes Orientales, an 1615, un autre en Hollande, l’an 1624, Zabathai Tzevi en Turquie, l’an 1666.
Je ne relèverai pas une fois de plus ce qu’a d’impudemment orgueilleux la prétention de cette bande de manieurs d’écus d’être le phare de nations qui ont eu Charlemagne, saint Louis, Charles-Quint, Napoléon, les plus grands saints, les plus puissants penseurs, les plus hauts génies, les sociétés les plus admirablement organisées. Il y a évidemment là une véritable démence collective, une sorte de folie des grandeurs sévissant non plus sur un individu isolé, mais sur une race tout entière à laquelle des succès soudains ont monté à la tête.
Ces succès, en tout cas, n’ont pas procuré à Israël le bonheur de l’âme.
A mesure que leur rêve s’accomplissait, la portion d’idéal très relatif de spiritualisme religieux qui était en eux diminuait, leur petit lambeau d’infini décroissait. Ces Nucingen avaient, eux aussi, leur peau de chagrin d’un nouveau genre où la notion de la vie future se rétrécissait et se desséchait pendant que leur vie présente devenait plus brillante et plus large.
Leur romanesque espérance de posséder la terre, de jouir seuls de ce que d’innombrables générations de chrétiens avaient fondé, créé, produit, s’était réalisée contre toute vraisemblance. Avec des prospectus aussi fantastiques [128] que ceux du Honduras, des Galions de Vigo, ou des Bons ottomans, ils avaient tiré de la poche des pauvres, des bas de laine, des paillasses, l’épargne touchante, l’épargne sainte que la vieille femme enveloppait dans un papier de soie et montrait, avec un sourire fier, au mari qui craignait de ne plus pouvoir travailler. Sur ces dépouilles conquises par le fourbe sur le naïf ils avaient acheté des châteaux historiques, des demeures illustres où les grands hommes d’autrefois, à l’heure de la retraite, s’étaient reposés après avoir servi leur pays. Les membres dégénérés de l’aristocratie s’étaient abaissés à venir admirer ces tortils de baron et ces écussons de contrebande dessinés sur le sable des écuries de Ferrières ou de Beauregard. Ils n’avaient eu qu’un signe à faire aux meneurs de la démocratie franc-maçonnique pour être nommés ministres ou députés, comme Raynal et Bischoffsheim.
Malgré tout, un sentiment de déception leur vint : « Ce n’est donc que cela ? » semblaient-ils dire.
Aux balcons des avant-scènes payées par les malheureux qu’ils ont réduits au suicide ; sur la terrasse des châteaux qu’ils ont volés ces triomphants, si peu joyeux, sont assaillis par les pensées arides qui vinrent au Schelemo biblique sur la terrasse de son palais de Beth-yaar-ha-Libanon ou dans les allées de son jardin d’Etham.
L’homme n’a aucun avantage sur la bête et l’un et l’autre ont la même fin,
tous deux retournent à la poussière.
Un chien vivant vaut mieux qu’un lion mort.
Le meilleur bien pour l’homme c’est de manger, de boire, et de jouir.
Ainsi parle dans l’Ecclésiaste, le Kohelet, fidèle interprète de la morale saducéenne.
[129]
La vision de cette mort qui vient à grands pas et après laquelle il n’y a rien, de ce cercueil qu’on monte un jour dans ce magnifique appartement dont les glaces resteront voilées pendant sept jours, de ce cadavre qu’on emporte à moitié pourri, met une ombre sur tous ces fronts73.
73 Les Juifs évitent même de prononcer le nom de la mort. Nous voyons au traité Ketoubtoh (8 b) qu’un rabbin fut blâmé pour avoir dit dans une oraison funèbre : « Beaucoup d’hommes videront la coupe de la vie » « Beaucoup d’hommes ont vidé la coupe, est une expression permise » dit Abayé, « mais il faut éviter de dire beaucoup d’hommes videront la coupe. » Dans Berachoth (80 a), Abayé renouvelle encore cette défense de parler de la mort.
L’usage de vider toute l’eau d’une maison dans laquelle quelqu’un vient d’expirer est inspiré par le même sentiment. C’était une façon d’annoncer le décès au voisinage sans employer le mot néfaste.
Si les Juifs, en effet, ont gardé au plus profond d’eux-mêmes la notion d’un Dieu unique, si leur mission providentielle a été de maintenir et de répandre cette foi dans le monde, la croyance en une vie future est chez eux très confuse et très vacillante, quoique les prières funèbres en fassent mention. Les Pharisiens eurent des tendances spiritualistes, mais les Sadducéens étaient absolument matérialistes. Il est à peine question de l’immortalité de l’âme dans le Pentateuque et le seul texte qui en parle nettement dans l’Ancien Testament est ce verset de Daniel : « Beaucoup de ceux qui dorment dans la poussière se réveilleront, les uns pour la vie éternelle, les autres pour la honte éternelle. »
La Mischna défend de sonder ces problèmes et l’Agadah rapporte à l’appui de cette défense l’histoire de quatre docteurs Ben-Azai, Ben-Zoma, Akiba et Acher qui osèrent s’aventurer « dans les avenues du Paradis. » L’un d’eux [130] mourut, le second devint fou, Acher apostasia, Akiba seul se tira d’affaire, grâce à son ferme bon sens.
M. Charles de Rémusat a eu parfaitement raison d’écrire à ce sujet :
Le judaïsme, du moins le Judaïsme mosaïque, s’il ne garde pas le silence, sur la vie future en parle si rarement, si obscurément qu’il a presque réalisé le paradoxe d’une religion qui pourrait se passer du dogme sans lequel toute religion est inutile. Le législateur sacré des Hébreux semble avoir borné à ce monde tous les intérêts du peuple de Dieu. On ne peut pas aller aussi loin que saint Jean Chrysostome et même que saint Thomas d’Aquin qui veulent que la vie future leur ait été cachée, mais, au moins dans le Pentateuque, elle n’est insinuée qu’en termes équivoques et susceptibles d’une autre interprétation et même dans les livres postérieurs de l’Ancien Testament, elle demeure la plupart du temps supposée plutôt que professée. Au moins faut-il reconnaître avec saint Augustin, avec Grotius, Bossuet, Leibnitz, Fleury, que la religion juive ne mettait pas au premier rang, comme article fondamental la certitude d’une vie à venir avec toutes ses conséquences74.
On devine que dans ces conditions l’horizon est étroit pour les Juifs fermés à ces belles espérances qui sont notre consolation et notre joie75.
[131]
il faut ajouter que les Juifs, toujours au courant de ce qui se passe, non seulement dans le monde des faits, mais dans le monde des idées, sont très vivement préoccupés du mouvement anti-sémitique qui se dessine dans toute l’Europe. On ne saurait croire la fureur dans laquelle les a plongés la création à Paris d’un petit journal très vaillant, très moderne, très au fait des tripotages financiers, l’Anti-Sémitique qui reparaît toujours lorsqu’on le croit disparu.
Bref, les Juifs ont le sentiment confus de ce qui les attend. De 1870 à 1879, ils ont traversé une période d’orgueil délirant. « Quel bonheur d’être nés à une pareille époque! s’écriait jadis le Juif Wolff, dans le National-Zeitung : « es ist eine lust zu
74 Revue des deux Mondes du 15 juillet 1865. 75 Swendenborg, l’illuminé qui a parfois des descriptions dignes du Dante, a vu des juifs en grand nombre dans le séjour des avides, ou dans l’enfer excrémentiel de ceux qui n’ont vécu que pour la jouissance. « La plus grande partie de cet enfer, dit-il, est composée de juifs, qui ont été sordidement avares, et dont la présence, quand ils s’approchent des autres esprits, se manifeste par une puanteur de rats.
« Comme la fantaisie qu’ils ont conçue dans la vie du corps et dans laquelle ils se sont confirmés ne leur permet pas de savoir que par la nouvelle Jérusalem on entend le royaume du Seigneur, dans les cieux et sur la terre, il en résulte que, lorsqu’ils viennent dans l’autre vie, il leur apparaît à la gauche de la Géhenne, un peu sur le devant, une ville dans laquelle ils affluent et se pressent ; mais cette ville est fangeuse et infecte, aussi elle est appelée la Jérusalem souillée. Là ils courent par les rues dans la boue et dans la fange jusqu’au dessus du talon, en se plaignant et en se plaignant ! » (Les Arcanes célestes, 939, 940).
leben !» Alors que sur les bords de la Sprée les Lasker, les Bleichroeder, les Hanseman dépouillaient de leurs milliards les Prussiens grisés par les lauriers. Quel bonheur ! leur répondaient de France la bande de cosmopolites, en voyant que les places, l’argent, les hôtels, les attelages princiers, les chasses, les loges à l’Opéra, tout était à eux et que le bon peuple se contentait d’un discours bien senti sur les nouvelles couches.
Aujourd’hui, ils ont un peu baissé le ton et ils sentent que quelque chose se concerte entre les chrétiens de tous les pays qui pourrait être plus fort que l’Alliance Israélite universelle.
[132] Dans son essence même, le Juif est triste. Enrichi, il devient insolent en restant lugubre, il a l’arrogance morose : tristis arrogantia, du Pallas de Tacite.
L’hypocondrie,qui n’est qu’une des formes de la névrose, est le seul cadeau qu’ils aient fait à cette France jadis si rieuse, si folâtre, si épanouie dans sa robuste et saine gaîté.
« Le Juif est sombre » a dit Shaftesbury dans ses Characteristics, grand mot et parole plus profonde qu’elle n’en a l’air. C’est une erreur de croire que le Juif s’amuse avec les siens, une erreur même de croire qu’il les aime. Les chrétiens ne se soutiennent jamais, mais ils s’aiment entre eux, ils ont plaisir à se voir. Les Juifs, au contraire, se soutiennent jusqu’à la mort, mais ils ne peuvent pas se sentir, ils se font horreur à eux-mêmes, et dès qu’ils ne sont plus en affaires, ils se fuient comme des damnés. Ils n’ont guère plus d’agrément avec les chrétiens, un mot de respect pour le Christ suffit à les rendre malades, une plaisanterie sur Judas qu’ils accueillent en riant jaune les met hors d’eux-mêmes. Au fond elle est toujours d’actualité, la parole écrite sur la porte des ghettos d’Italie.
Ne populo regni cœlestis hæredi usus cum exhoerede sit.
« Que le peuple héritier du royaume céleste n’ait rien de commun avec celui qui en est exclu. »
Parfois, il y a un fin sourire sur ces visages à la pensée de quelque bon tour joué au chrétien. Le renard, en effet, est la bête allégorique du Juif, le Meschabot schualim, les Fables du renard est le premier livre qu’on mette entre les mains du petit Hébreu. Devenu grand, il se complaît dans la vie à souligner la farce qu’il vient de faire à l’Aryen. Après avoir, par exemple, comme Bleichroeder, organisé la campagne de Tunisie qui coûte à la France [133] la vie de ses enfants, l’argent de ses finances, l’alliance de l’Italie, il se gausse encore de sa victime en se faisant nommer commandeur de la Légion d’honneur par quelque ministre avili.
A ces accès de joie mauvaise succède parfois une expression de naïveté. De la naïveté chez le Juif ! vous écrierez-vous, vous nous la baillez belle ! Oui, il y a chez lui un côté enfantin. Ce représentant de la civilisation en ce qu’elle comporte de plus aigu, de plus raffiné, de plus morbide, a l’astuce du sauvage, il en a aussi la vanité naïve. Sa bouche parfois s’entr’ouvre de plaisir devant certains triomphes de gloriole, comme la bouche de ces Africains dont l’œil et les dents brillent du contentement de posséder un morceau de verroterie ou un lambeau d’étoffe voyante.
A l’enterrement de Louis Blanc, je regardais dans la rue de Rivoli se ranger les députations et j’examinais avec un plaisir indicible la façon dont tous ces individus à la barbe jaunâtre et sale se carraient sous le grand cordon bleu du Franc-Maçon. Il y avait, dans tous ces gens à mine basse, une satisfaction puérile d’être là, en face des Tuileries, respectés par les gardiens de la paix, ayant une importance, un rôle dans une cérémonie quasi officielle, portant un costume qui les distinguait des autres. Le Juif est plus souvent ainsi qu’on ne le croit. Quand il vous raconte qu’il a reçu une distinction quelconque, une médaille de chocolat dans une exposition, il vous fixe bien pour voir si vous ne vous moquez pas de lui, ce qui est sa crainte perpétuelle, alors sa face pâle et exsangue s’éclaire d’un rayon de bonheur pareil à celui qui illumine souvent les enfants.
Le seul sentiment qui survive dans ces corrompus et ces [134] blasés c’est la haine contre l’Église, contre les prêtres, contre les religieux surtout.
Reconnaissons-le, comme cette haine est naturelle ! Cet homme né intelligent, riche, portant souvent un nom qui sonne autrement que celui de tous ces nobles de Gerolstein et qui quitte tout pour se faire semblable aux plus pauvres, -cela ne nie-t-il pas, ne supprime-t-il pas tout ce qui enorgueillit le Juif : l’argent ? Ce vœu de pauvreté du moine ne semble-t-il pas une permanente raillerie du vœu de richesse du Juif ?
Cette femme qui a préféré une robe de bure, dont ne voudraient pas des servantes, à la soie et à la dentelle n’est-elle point, malgré la douceur de son angélique physionomie, comme une vivante et perpétuelle offense à ce Juif incapable d’acheter avec tout son or ce que possède cette indigente : la Foi, l’Espérance et la Charité76 ?
En voilà une à qui la mort est bien égale et à qui un cercueil, fût-il en bois blanc, ne fait pas peur.
Simon dit Lockroy77 pourra insulter ce moine, demander [135] qu’on le chasse de sa cellule. Dreyfus pourra proposer à nos honnêtes républicains d’arracher à ces sœurs de charité le morceau de pain qui leur suffit pour ne pas mourir. Il leur restera toujours le crucifix qu’elles ont au cou, il est en cuivre et les baronnes de la Juiverie n’aiment que ce qui porte le contrôle de la monnaie.
Le fait seul que ces vertus sublimes, ces désintéressements de tout ce qui est matériel, ces abnégations superbes puissent exister, se dresse comme une épine dans le lit du grossier « sybarite » juif qui maître de tout, sent qu’il ne peut rien sur ces âmes.
Sur cet état d’esprit du Juif, Renan encore est précieux à consulter. Son portrait du Juif moderne dans l’Ecclésiaste est un morceau délicieux. On voit à l’œuvre le peintre qui a de mystérieuses complaisances pour Judas, il est préoccupé de mettre toujours une touche caressante à côté d’une vérité un peu rude, il efface le trait qui blesserait pour ajouter l’épithète qui plaira. Il admire ce parasite « si vite exempt du préjugé dynastique qui sait jouir d’un monde qu’il n’a pas fait, cueillir les fruits d’un champ qu’il n’a pas labouré, supplanter le badaud qui le persécute, se rendre nécessaire au sot qui le dédaigne. »
C’est pour lui, vous le croiriez, que Clovis et ses Francs ont frappé de si lourds coups d’épée, que la race des Capets a déroulé sa politique de mille ans, que Philippe Auguste a vaincu à Bouvines et Condé à Rocroi. Vanité des vanités ! Oh ! La bonne condition pour conquérir les joies de la vie que de les proclamer vaines ! Nous l’avons tous connu, ce sage selon la terre, qu’aucune [136] chimère surnaturelle n’égare, qui donnerait tous les rêves d’un autre monde pour les réalités d’une heure de celui-ci : très opposé aux abus, et pourtant aussi peu démocrate que possible ; avec le pouvoir à la fois souple et fier, aristocrate par sa peau fine, sa susceptibilité nerveuse et son attitude d’homme qui a su écarter de lui
76 La Foi, ce sentiment extra humain, enthousiaste, expansif, qui transporte l’être au-dessus de lui¬même, et qui se traduit par le prosélytisme c’est-à-dire par l’ardent désir de faire partager au prochain les nobles joies que l’on éprouve, est absolument inconnue aux Juifs, même les plus croyants. La religion chez eux est une fidélité à une tradition, et un attachement à la race à laquelle on appartient.
« Un fait remarquable, entre tous, dit M. Franck dans une conférence faite à la société des Etudes juives, sous ce titre : La Religion et la Science dans le Judaïsme, c’est que la langue hébraïque, je veux dire la langue de la Bible et des Prophètes, ne possède pas un môt équivalant à celui de foi. Celui que plus tard, dans quelques oeuvres de controverse théologique, on a traduit de cette façon (Emouna) signifie la constance, la fermeté, la fidélité, la vérité. » 77 Edouard Etienne Antoine Simon dit Lockroy, ainsi s’exprime Vapereau. Le plus grand trait d’esprit de ce pitre, qui porte un sobriquet comme son père, est de railler les pauvres Frères qui prennent le nom du saint que l’on fête le jour où se prononcent leurs vœux, je lui rends la monnaie de sa pièce. Avouez que ce n’est pas difficile.
le travail fatigant, bourgeois par son peu d’estime pour la bravoure guerrière et par un sentiment d’abaissement séculaire dont sa distinction ne le sauve pas. Lui qui a bouleversé le monde par sa foi au royaume de Dieu ne croit plus qu’à la richesse. C’est que la richesse est en effet sa vraie récompense. Il sait travailler, il sait jouir. Nulle folle chevalerie ne lui fera échanger sa demeure luxueuse contre la gloire périlleusement acquise, nul ascétisme stoïque ne lui fera quitter la proie pour l’ombre. L’enjeu de la vie est selon lui tout entier ici-bas. Il est arrivé à la parfaite sagesse : jouir en paix, au milieu des œuvres d’un art délicat et des images du plaisir qu’on a épuisé, des fruits de son travail.
Surprenante confirmation de la philosophie de la vanité ! Allez donc troubler le monde, faire mourir Dieu en croix, endurer tous les supplices, incendier trois ou quatre fois votre patrie, insulter tous les tyrans, renverser toutes les idoles, pour finir d’une maladie de la mœlle épinière, au fond d’un hôtel bien capitonné du quartier des Champs Elysées, en regrettant que la vie soit si courte et le plaisir si fugitif. Vanité des vanités!
Non, dilettante, ce n’est pas pour qu’un Juif meure de la mœlle épinière dans un hôtel du quartier des Champ Elysées que Clovis a combattu à Tolbiac et Philippe Auguste à Bouvines. Si nos pères se sont dévoués, s’ils sont tombés sur les champs de bataille c’est pour qu’il y ait une France comme il y a une Angleterre et une Allemagne, pour que nos enfants prient comme ont prié leurs pères, aient une foi qui les soutienne dans la vie.
Il a plu aux Sémites, ces perpétuels agités, de détruire les bases de l’ancienne société, l’argent qu’ils ont dérobé servira à en fonder une nouvelle, ils ont créé une question sociale, on la résoudra sur leur dos. On distribuera tous ces biens mal acquis à tous ceux qui prendront part à la grande lutte [137] qui se prépare, comme on a jadis distribué des terres et des fiefs aux plus courageux.
En Allemagne, en Russie, en Autriche-Hongrie, en Roumanie, en France même où le mouvement est encore latent, grands seigneurs, bourgeois, ouvriers intelligents, tout ce qui est d’origine chrétienne en un mot, sans observer souvent les pratiques religieuses est d’accord sur ce point. L’Alliance anti-sémitique universelle est constituée et l’Alliance Israélite universelle ne prévaudra point contre elle.
Les Comités pourront en certains pays montrer plus ou moins d’activité, la propagande pourra être plus ou moins longue, le siècle ne finira pas sans que l’histoire voie se renouveler ce fait qui s’est renouvelé constamment : le Juif profitant des divisions qu’il crée pour se rendre maître par la ruse de tout un pays, voulant modifier violemment les idées, les moeurs, les croyances traditionnelles de ce pays et amenant, à force de taquineries et d’insolences, les gens qui se haïssaient la veille à se réconcilier pour lui tomber dessus avec un entrain prodigieux.
Quant à moi, je ne suis que le modeste annonciateur des événements curieux qui approchent. Insulté, diffamé, méconnu, peut-être mourrais-je, quoique je ne le croie pas, avant d’avoir assisté aux choses que j’annonce comme certaines. Qu’importe! j’aurai rempli mon devoir et accompli mon œuvre. Chaque fait maintenant confirmera la justesse de mes prévisions. « Dans toutes les affaires, dit Bossuet, il y a ce qui les prépare, ce qui détermine à les entreprendre et ce qui les fait réussir. La vraie science de l’histoire est de remarquer dans chaque temps les dispositions secrètes qui ont préparé les grands changements et les conjonctures importantes qui les ont fait arriver. »

NOTE

(2) Les sémites et le sémitisme. Torna al testo.
(3) Les Sémites à Ilion ou le vérité sur la guerre de Troie, par Louis Benlœw. Paris était un de ces forbans sémitiques qui rôdaient sans cesse autour des rivages de la Grèce. Non content d’avoir enlevé Hélène, ce qu’après tout aurait pu faire un Aryen dans l’entraînement de la