lunedì 2 marzo 2009

Durban II: Conferenza di revisione sul razzismo, la discriminazione e l’intolleranza, da tenersi in Ginevra nell’aprile 2009.


Ricevo da Forum Palestina per la «circolazione e sottoscrizione» un documento della società civile in vista della Conferenza della Sezione per i diritti umani in programma a Ginevra per il prossimo aprile. Questa conferenza è la prosecuzione della Conferenza di Durban che si tenne nei primi giorni del settembre 2001. Fu allora sabotata dagli stessi stati che hanno annunciato di voler sabotare anche questa volta la Conferenza ginevrina: Israele, che ha di che temere, è certa di essere condannata. È curioso come il mondo sionista grida con sdegno allo scandalo quando si vuol sabotare Israele, mentre Israele stesso non si fa scrupolo di sabotare perfino l’Onu. Veramente non si è fatto neppure scrupolo di bombardare i vessilli Onu e di rinchiudere dentro fetidi cessi i suoi massimi rappresentanti, come nel caso di Richard Falk. Ho seguito già dai primi mesi dello scorso anno la preparazione israeliana del sabotaggio. Si era incominciato con l’intimidire e diffamare il precedente Commissario Onu per i diritti umani, Louise Arbour, che in effetti non ha ripresentato la sua candidatura. Le è succeduta Navi Pillay, che non sembra disposta ad accettare intimidazioni. A mio avviso, come già la Società delle Nazioni, anche l’ONU nasce come organizzazione dei vincitori. Con il tempo tuttavia i popoli e gli stati che sempre più ne fanno parte acquistano un rilievo autonomo e riescono a manifestare una certa indipendenza e autonomia rispetto alla Superpotenza Usa. Da qui i tentativi di delegittimazione della stessa Onu e le voci ricorrenti di un suo rimpiazzo da parte di una fantomatica Lega delle Democrazia, dove naturalmente la democrazia modello è quella di Israele oltre della sua provincia americana.

Questo che stiamo vivendo è una vicenda importante da seguire giorno per giorno con ansia. Gli Stati che hanno annunciato di non voler partecipare ne hanno ben motivo perché sono essi stessi correi e complici con Israele. Si comportano da contumaci che sanno di essere condannati. L’Italia con Frattini si mantiene sulla linea della «cupidigia di servilismo», già stigmatizzata da Vittorio Emanule Orlando. Esultano i loro manutengoli, che meritano eguale condanna. Se decidessero costoro di partecipare non farebbero altro che snaturare la Conferenza stessa, magari proponendo il genocidio come modello delle future relazioni internazionali targate modello Israele (vedi). Pubblico di seguito il testo che mi è pervenuto, lasciando l’Introduzione dei curatori della traduzione, emendata però del “gravissimo errore” che mi è già stato segnalato, dove a pag 10, punto 18 del pdf originale “non si tratta del parlamento palestinese ma di quello israeliano”. Non dispongo del testo originale e non posso verificare io stesso la traduzione e soprattutto la titolazione del documento che trovo un poco incongrua. Procederò a eventuali rettifiche quando e se avrò disponibile l’originale da cui è stata tratta la traduzione. Il mio editing comporterà non poco tempo, ma si tratta ormai per me di un modo di leggere un docu
mento particolarmente interessante, che non è solo da leggere, ma da studiare, integrando il testo con tutte le conoscenze complementari che si rendono necessarie. In ultimo il testo sarà illustrato con foto del massacro di Gaza. Raccogliendo l’invito del Redattore del documento, che si ripubblica con nuovo editing, viene qui fatto uno studio aggiuntivo sul testo. Questo apporto vuole essere un contributo specifico del gruppo della società civile “Civium Libertas”.

Non ignoro che in questi giorni una certa pubblicistica italiana batte la gran cassa per sostenere le indifindebili posizioni di Israele. Mi sono già occupato di questi signori e ben ne conosco il sistema neurale e tutto ciò che possono dire e dicono ancora prima che aprano bocca o si mettano a scrivere. Non mi occupo di loro, almeno per il momento, perché esiste il concreto pericolo che criticandoli vada oltre misura e mi procuri io stesso una querela. Non ho nessuna voglia di girare per tribunali e studio legali. Dico genericamente e senza far nomi che costoro sono moralmente corresponsabili di un genocidio ancora in atto. Se a distanza di oltre 60 anni si continuano a cercare e processare criminali di guerra e si organizzano ignobili messe alla gogna addirittura di pii sacerdoti, rei di avere proprie opinioni in faccende storiche e su fatti storici di cui non hanno la benché minima responsabilità, è di gran lunga più infame e criminale la complicità e copertura al genocidio del popolo palestinese per la bocca, la penna ed il voto di tanti nostri giornalisti e politici. Non ne faccio il nome, ma ognuno può individuarli. Non ci potranno infinocchiare nella misura in cui sarà sempre più rigoroso, criticamente avveduto e documentati il nostro studio degli eventi in corso. L’appuntamento Durban II è uno di questi momenti in cui i nodi possono venire al pettine. Non per nulla cercano di oscurarlo con una informazione falsa e conniventi. Sul ministro Frattini, che boccio da iscritto al suo stesso partito, è in corso su Facebook una campagna per chiederne le dimissioni. Mi ci sono iscritto. Non produrrà lo scopo, ma è significativo il fatto in sé.

Antonio Caracciolo
2 marzo 2009

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UNITI CONTRO APARTHEID, COLONIALISMO E OCCUPAZIONE DIGNITA’ E GIUSTIZIA PER IL POPOLO PALESTINESE

(Versione finale, Ottobre 2008)

Per la pubblica circolazione e sottoscrizione

Questo è un documento del comitato nazionale palestinese per il boicottaggio, disinvestimento ed il sanzionamento Palestinian Boycott, Divestment and Sanctions National Committee(BDN):

Council of National and Islamic Forces in Palestine; General Union of Palestinian Workers; Palestinian; General Federation of Trade Unions; Palestinian NGO Network (PNGO); Federation of Independent Trade Unions; Union of Arab Community Based Associations (ITTIJAH); Union of Palestinian Charitable Organizations; Palestine Right of Return Coalition; Occupied Palestine and Golan Heights Advocacy Initiative; General Union of Palestinian Women; Union of Palestinian Farmers; Grassroots Palestinian Anti Apartheid Wall Campaign (STW); Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel (PACBI); National Committee to Commemorate the Nakba; Civic Coalition for the Defense of Palestinian Rights in Jerusalem (CCDPRJ), and the Coalition for Jerusalem.

Per la sottoscrizione via e mail scrivere a:
www.bdsmovement.net


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RIASSUNTO INTRODUTTIVO

Questo documento è stilato per iniziativa della comunità civile ed è un’iniziativa del comitato nazionale palestinese della campagna BDS ed ha il fine di condividere la nostra analisi strategica apportando allo stesso tempo una serie raccomandazioni preliminari rivolte alle società civili nel mondo che le potranno dibattere e sottoscrivere. Speriamo dunque di ottenere un risultato effettivo durante la conferenza di Durban costruendo in questo modo nuove e più forti alleanze per la lotta all’interno e oltre questo forum delle Nazioni Unite.

La parte I di questo documento passa in rassegna la ‘questione palestinese’ così come è stata presentata nella dichiarazione di Durban e nel Programma d’azione adottato dalle Nazioni Unite in occasione della Conferenza Mondiale contro il Razzismo (WCAR) che si svolse a Durban, in Sud Africa. Concludiamo che la WCAR ha riconosciuto che il popolo palestinese è vittima di razzismo e discriminazione razziale rimanendo invece silente rispetto al modo in cui esso è stato oppresso dallo stato d’Israele. Non si è parlato nemmeno del modo in cui il razzismo e la discriminazione israeliani dovrebbero essere affrontati, né è stato previsto un seguito alla conferenza di Durban in quel proposito. Alcune delle conseguenze di tale omissione nel 2001 sono presentate in questa prima sezione.

La parte II del documento tratta invece i motivi per cui proporre un nuovo programma d’azione a Durban sarebbe rilevante per il popolo palestinese.

La prima sezione riassume le importanti scoperte di organizzazioni per i diritti umani e di esperti indipendenti, i quali si sono detti preoccupati per il modo in cui il regime israeliano1 sembra poter diventare un caso di discriminazione razziale istituzionalizzata c/o apartheid, integrando allo stesso modo le loro raccomandazioni al riguardo.

Nella seconda sezione si analizzerà invece la società palestinese negli sviluppi che l’hanno riguardata dal 2001 fino ad oggi. Si sostiene che a 60 anni dalla nakba del 1948 e dopo 41 1nni di occupazione israeliana della West Bank, includendo Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza (OPT), esiste l’urgente necessità di riesaminare la natura particolare del regime israeliano in relazione al popolo palestinese. Un esame attento mostrerà che si tratta di un regime d’apartheid, colonizzazione ed occupazione. Procederemo poi con il mostrare in che modo l’apartheid può essere applicato al particolare contesto del regime israeliano.

L’analisi del regime criminale israeliano è seguita da una breve analisi delle misure concrete intraprese dalla società civile e dalle NGO fin dal 2001 con lo scopo di mostrare e contrastare la natura oppressiva di tale regime. Il documento termina con un riassunto delle conclusioni più rilevanti.

Nell’allegato si presenterà una lista di raccomandazioni specifiche volte a tutte le parti in causa più rilevanti con lo scopo di avviare la formulazione di un programma d’azione effettivo che ponga fine all’apartheid israeliana, alla colonizzazione e all’occupazione attraverso gli sforzi collettivi, raccolti in tutto il mondo, per il conseguimento della giustizia e della dignità umana di tutti, quindi anche del popolo palestinese. Queste raccomandazioni sono proposte soggette ad ulteriori revisioni e discussioni.





Links Ufficiali: ONU Italia; Durban Review Conference 2009; Forum Palestina;
Sussidi: Dizionario critico del sionismo; Cronologia; Atti del Seminario romano del 24 gennaio 2009 sulla Guerra israelo-occidentale contro Gaza;

Sommario: Preambolo. – Parte I: Revisione e Valutazione. La questione palestinese nella Dichiarazione di di Durban e nel Programma d’Azione. – 1. Durban e contesto: 1.1 La Dichiarazione di Durban: Principi fondamentali; 1.2 Sulle vittime; 1.3 Lo schema di Durban nella sua applicazione al popolo palestinese. – 2. Organismi di monitoraggio conseguenti a Durban. Parte II. Allegato.

Indice analitico per paragrafi: 1. La dichiarazione di Durban. - 2. Sua struttura. - 3. Sottosezioni e Principi fondamentali. - 4. Il popolo palestinese come vittima. - 5.


UNITI CONTRO APARTHEID, COLONIALISMO E OCCUPAZIONE
DIGNITA’ E GIUSTIZIA PER IL POPOLO PALESTINESE

(Versione finale, Ottobre 2008)

Per la pubblica circolazione e sottoscrizione

Preambolo

La società civile composta da movimenti ed organizzazioni che condividono un uguale impegno nel perseguimento di libertà, giustizia ed uguaglianza; nella lotta contro razzismo, discriminazione razziale, xenophobia e tutte le intolleranze ad essi connesse in tutto il mondo sono firmatari di questo documento che raccoglie un programma d’azione per la nuova edizione della Conferenza di Durban. Condividiamo inoltre una concreta esperienza derivata dalla nostra lotta contro dominazione straniera, colonialismo, apartheid, schiavismo e i loro legami sono oggi manifesti in numerose regioni del mondo, insieme e di fianco agli Stati Uniti. Per questo, la società civile, le organizzazioni e i movimenti sociali:

– si dicono profondamente preoccupati rispetto al fatto che a partire dalla conferenza di Durban del 2001 la comunità internazionale includendo le Nazioni Unite ed i suoi organismi decisionali hanno fallito nella prevenzione di nuove guerre e nell’arrestare la proliferazione della dominazione straniera e dello sfruttamento di molte parti del mondo, mentre molte vittime di discriminazione razziale, genocidio e schiavismo, ancora non hanno accesso a giusti ed effettivi rimedi;

– consideriamo che l’impunità di Stati Uniti, Israele e dei loro alleati per gli atti di massiccia, sistematica e persistente infrazione dei diritti umani fondamentali e per la violazione della dignità di milioni di persone costituisce una grave minaccia alla pace e alla sicurezza nel mondo;

– riaffermiamo che il razzismo e la dominazione persistente ad opera di paesi stranieri stanno alla base delle sciagure che il popolo palestinese ha sofferto in decadi di colonialismo insediamenti, occupazione e istituzionalizzazione della discriminazione razziale;

– ripetiamo che i diritti inalienabili del popolo palestinese all’autodeterminazione, sovranità e al ritorno dei rifugiati costituiscono parte della ricompensa a cui essi hanno diritto e devono essere protetti e promossi in modo da restaurare la giustizia e la dignità della persona e il rispetto statale del diritto internazionale;

– ripetiamo che il razzismo in quanto causa radicale va affrontato e sradicato e che i diritti del popolo palestinese vanno protetti, in modo da assicurare che l’obbiettivo della Dichiarazione di Durban e del Programma d’Azione, quindi di ‘una pace giusta, comprensiva e durevole nella regione dove le persone possano convivere in sicurezza e godere dell’uguaglianza, della giustizia e dei diritti umani internazionalmente riconosciuti’, possano essere raggiunti in Medio Oriente;

– benvenuti all’invito delle Nazioni Unite per una revisione della Dichiarazione di Durban e del Programma d’Azione con lo scopo di organizzarli e migliorarli.


PARTE I
Revisione e Valutazione

La questione palestinese
nella Dichiarazione di Durban e nel Programma d’Azione.

1.
Durban e contesto

1. La dichiarazione di Durban e il programma d’azione adottato alla conferenza mondiale contro il razzismo del 2001 vogliono individuare il contesto teorico per la lotta al razzismo e riconoscono il razzismo e la discriminazione razziale in quanto cause principali nel protrarsi delle sofferenze sofferte dal popolo palestinese e hanno lo scopo di eliminare e rovesciare le loro conseguenze ottenendo una giusta completa e durevole soluzione al lungo conflitto coloniale che si svolge in Palestina.

2. La Dichiarazione di Durban si compone di un preambolo di 122 paragrafi nei quali gli stati e le Nazioni Unite concordano i principi guida nella lotta contro razzismo, discriminazione razziale, xenofobia ed intolleranza ad essi legata e lo fanno alla luce del diritto internazionale, includendo i trattati sui diritti umani, in particolare la convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (ICERD). Molti di questi principi riguardano direttamente lo stato d’Israele e il popolo Palestinese.

3. Questi principi generali si applicano in sottosezioni relative alle: risorse, cause, forme e manifestazioni di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e tutte le forme di discriminazione ad essi legate; vittime e misure di prevenzione, educazione e protezione volte alla loro eliminazione, rimedi effettivi e strategie per raggiungere l’uguaglianza più completa ed effettiva. Nella sottosezione riguardante le vittime, la dichiarazione di Durban identifica un numero di vittime esplicitamente vulnerabili includendo tra l’altro persone di origine africana ed asiatica, indigeni, immigranti, rifugiati, comunità religiose, donne, bambini e il popolo palestinese.

La Dichiarazione di Durban:
Principi fondamentali


I membri delle Nazioni Unite riaffermano i principi di uguaglianza nei diritti e di autodeterminazione dei popoli e sottolineano che gli stati hanno l’obbligo di proteggere tale uguaglianza in quanto riveste primaria importanza (preambolo);

Affermano che il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza ad essi legata costituisce una negazione del fine e dei principi della carta delle Nazioni Unite e sono di conseguenza allo stesso tempo ostacolo e gravissima violazione del pieno godimento di tutti i diritti umani; riconoscono che essi sono tra le cause primarie di molti conflitti interni ed internazionali, incluso di conflitti armati (preambolo, par. 20);

Riconoscono che il colonialismo ha condotto al razzismo, alla discriminazione razziale, alla xenofobia e all’intolleranza ad essi legata, sottolineano la sofferenza causata dal colonialismo e affermano che, qualunque e dovunque essa occorra, debba essere condannata ed impedito che si ripeta (par. 14, 99);

Riconoscono che non è permessa alcuna deroga al divieto di discriminazione razziale, genocidio, crimine di apartheid e schiavitù (preambolo); riconoscono che l’apartheid e il genocidio costituiscono crimini contro l’umanità e sono sorgenti primarie di sofferenza causata da queste azioni e affermano che in qualsiasi posto o momento essi accadono, debbano essere condannati e impedito che si ripetano (par. 15);

Si dicono preoccupati per il fatto che in alcuni stati strutture legali e politiche o istituzioni alcune delle quali persistono ancora oggi alimentano la discriminazione e l’esclusione del popolo indigeno (par. 22);

Condannano le piattaforme politiche, le organizzazioni, le legislazioni e le pratiche basate sul razzismo, la xenofobia e le dottrine che predicano la superiorità razziale e le discriminazioni ad essa legate; ricorda che la diffusione di tutte le idee basate sulla superiorità razziale e sull’odio devono essere punite per legge in accordo con i principi sottolineati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e dall’ICERD (par. 85, 87);

Afferma con forza che le vittime di violazioni dei diritti umani derivanti da forme di razzismo, discriminazione razziale e xenofobia così come da tutte le intolleranze ad essi legate devono poter essere protetti e all’occorrenza fare ricorso contro l’ingiustizia. Ugualmente dovranno essere previsti possibili rimedi, includendo un giusto ed adeguato risarcimento per ogni danno subito conseguentemente a tale discriminazione (par. 104);

Affermano di essere consapevoli degli obblighi morali che alcuni stati hanno nei confronti delle vittime di schiavismo, apartheid, colonialismo e genocidio e richiamano questi stati a prendere appropriate ed effettive misure per fermare ed eliminare le rimanenti conseguenze di queste pratiche (par. 102); richiamano tutti gli stati coinvolti e invitano la comunità internazionale ad onorare la memoria di queste vittime (par. 99, 106); sottolineano il fatto che ricordare ed insegnare la verità dei fatti e della storia, le cause, la natura e le conseguenze dei crimini passati e delle ingiustizie sono elementi essenziali alla riconciliazione internazionale e alla creazione di società basate su giustizia, uguaglianza e solidarietà (par. 98, 106).

Sulle vittime:

Popoli indigeni: I membri delle Nazioni Unite riconoscono che sono stati vittime di discriminazione nei secoli, in particolare in relazione alla loro terra; accoglie gli sforzi per una Dichiarazione dei Diritti dei popoli Indigeni e per la creazione di un Forum permanente sulle questioni relative ai popoli indigeni. Incoraggia gli stati, quando sia possibile, ad assicurare che i popoli indigeni siano capaci di salvaguardare la loro proprietà sulle terre e sulle risorse naturali (par. 39, 42, 43, 44);

Popoli di origine africana: i membri delle Nazioni Unite riconoscono che sono stati per secoli vittime di razzismo, discriminazione razziale e schiavismo e storicamente sono stati privati dei loro diritti, e affermano che devono essere trattati giustamente e nel rispetto della loro dignità, impedendo che soffrano discriminazioni di qualsiasi tipo [...] (par. 34);

Rifugiati: I membri delle Nazioni Unite si dicono preoccupati per il fatto che, insieme ad altri fattori, razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranze ad essi legate contribuiscono alla dislocazione forzata e alla rimozione delle persone dal loro paese d’origine. Nella fattispecie si tratta dei rifugiati e delle persone che fanno domanda d’asilo politico’ (par. 25); e ‘sottolineano l’urgenza di indirizzare le cause principali ditale dislocazione così come la necessità di individuare soluzioni durevoli per i rifugiati e le persone dislocate: in particolare l’esecuzione del loro volontario ritorno in patria in sicurezza e in dignità, il rinsediamento in paesi terzi e l’integrazione locale, qualora essi appaiano possibili ed appropriati’ (par. 54).

4. Sebbene il popolo palestinese sia esplicitamente identificato come vittima di razzismo e discriminazione razziale nella Dichiarazione di Durban2 questo schema teorico ed i suoi principi non vennero applicati a questo gruppo di vittime: razzismo e discriminazione razziale non sono esplicitamente riconosciuti come sorgente o causa delle sofferenze del popolo palestinese, e non è stata fatta nessuna raccomandazione rispetto al modo in cui rispondere ad esse. La dichiarazione di Durban ripropone invece nel linguaggio da sempre utilizzato nelle risoluzioni delle Nazioni Unite quelli che sono i diritti dei palestinesi ed il processo di pace.

5. Il programma d’azione di Durban (219 paragrafi) indirizza le radici del razzismo, della discriminazione razziale e della xenofobia e delle relative intolleranze che ad essi sono legate dichiarando ciò che i governi e le Nazioni Unite sono dovuti a fare o quel che essa si aspetta essi facciano al fine di combattere questi fenomeni basandosi sui principi descritti nella dichiarazione. Le raccomandazioni operative sono fornite rispetto a questioni di ordine generale, meccanismi di prevenzione, effettivi rimedi e strategie volti ad ottenere l’uguaglianza piena ed effettiva, includendo, per esempio: raccomandazioni per esaminare e riformare il sistema educativo e la sanità pubblici; la riforma delle costituzioni, le leggi e sistema giudiziario; 1’ alleviamento della povertà; buon governo, ed altri. Vengono poi specificati i ruoli di svariati autori, includendo governi, parlamenti, partiti politici e il settore del business privato, dei media e della società civile.

6. Le raccomandazioni operative incluse nel Programma d’azione di Durban sono state considerate largamente inefficaci dalla maggioranza delle vittime di importanti violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. Queste raccomandazioni sono infatti generalmente vaghe ed evitano di nominare gli Stati e le cause coinvolti.

7. Per quanto riguarda il popolo palestinese in quanto vittima, il programma d’azione di Durban risulta particolarmente non significativo poiché non viene fatto nessun riferimento alle sorgenti del razzismo e della discriminazione razziale contro di esso, non viene inoltre individuata nessuna misura concreta volta a fermare ed eliminare le loro conseguenze.

Lo schema di Durban nella sua applicazione al popolo palestinese

Nella dichiarazione (sottosezione sulle vittime).

Gli stati coinvolti esprimono la propria preoccupazione riguardo alle sofferenze del popolo palestinese che si trova sotto occupazione straniera; riconoscono il suo inalienabile diritto all’autodeterminazione e a stabilire uno stato indipendente, così come ‘il diritto alla sicurezza di tuffi gli stati nella regione, incluso Israele, e richiamano tuffi gli stati a sostenere il processo di pace conducendolo verso una veloce conclusione’ (par. 63);

Fanno appello per una ‘giusta, esauriente e durevole pace nella regione grazie alla quale tutte le persone potranno convivere nella condivisione dell’uguaglianza, della sicurezza, della giustizia e dei diritti umani internazionalmente riconosciuti’ (par. 64);

Riconoscono il diritto dei rifugiati a ritornare volontariamente alle loro case e proprietà in dignità e sicurezza, e richiamano tutti gli stati a facilitarli nell’adempimento ditale ritorno (par. 65);

Nel programma d’azione, l’unica raccomandazione operativa è inclusa nella sezione III (misure per la prevenzione, l’educazione e la protezione volte all’ eliminazione di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia ed intolleranza ad essi legata a livello nazionale, regionale ed internazionale):

Il programma chiede che ‘si ponga fine alla violenza e rapidamente si ridia inizio alle negoziazioni, nel rispetto dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario, così come del principio di autodeterminazione dei popoli nella volontà di porre termine a tutte le sofferenze, quindi permettendo ad Israele e ai palestinesi di concordare un processo di pace e prosperare nella crescita reciproca in sicurezza e in libertà’ (par. 151).

2.
Organismi di monitoraggio conseguenti a Durban

8. Il programma d’azione di Durban è sostanzialmente sprovvisto di sostanziali raccomandazioni operative e non prevede organismi di monitoraggio volti a fermare e a eliminare il razzismo e la discriminazione razziale contro il popolo palestinese. Le iniziative diplomatiche di pace degli stati e delle Nazioni Unite hanno ignorato o rimosso il ruolo che hanno razzismo e discriminazione razziale operati dallo stato d’Israele come causa e sorgente del lungo conflitto.

3.
Conseguenze del mancato riconoscimento di razzismo e discriminazione razziale nell’odierna diplomazia in Medio Oriente.

Lo stato D’Israele

9. A partire dall’adozione della Dichiarazione di Durban e dal programma d’azione 2001, lo stato d’Israele ha aggredito militarmente diversi stati nella regione (Iraq, Siria, Iran) e si è adoperato in un’ ulteriore guerra d’aggressione (Libano 2006).Nei Territori Palestinesi occupati nel 1967 (OPT) Israele ha unilateralmente cancellato la maggior parte delle disposizioni stabilite durante gli Accordi di Oslo che consentivano un limitato auto governo palestinese e lo ha fatto sostenendo un’ aggressiva campagna militare. Fin dal 2007 l’intera striscia di Gaza è sotto occupazione: quest’ultima è stata universalmente riconosciuta come una forma di punizione estrema e collettiva della popolazione civile venendo definita ‘preludio al genocidio’ da un esperto indipendente3.

10. A sessant’anni dalla Nakba palestinese del 1948, il primo trasferimento massiccio che distrusse la storica nazione della Palestina, lo stato d’Israele ha continuato a impedire il ritorno dei rifugiati palestinesi con l’uso della forza, del diritto e delle delibere della corte. E’ in questo contesto per esempio che venne approvata la legge per l’Assicurazione della prevenzione della legge sul diritto al ritorno, passata nel 2001 e nel 2003, la suprema corte ha capovolto le sue precedenti decisioni che permettevano il ritorno dei palestinesi originari del villaggio di Iqrit, internamente dislocati e cittadini di Israele, partendo dal presupposto che questo avrebbe potuto costituire un precedente legale per milioni di rifugiati palestinesi le cui rivendicazioni dovranno essere affrontate e risolte durante i futuri negoziati politici4.

11. Fino al 2008 lo stato d’Israele ha confiscato o annesso di fatto più di 3,350 km2 (di un totale di 5,860 km2) di terra palestinese nella West Bank al fine di portare a termine la colonizzazione ebraica5 e quindi il controllo di tutta la Palestina storica (Israele e oPT). Israele continua a cambiare la composizione demografica di tutto il territorio al beneficio esclusivo della popolazione ebraica. Lo fa attraverso politiche e pratiche che sono in flagrante violazione del diritto internazionale e delle norme del diritto pubblico.

12. All’interno di Israele i cittadini palestinesi rimangono discriminati in tutti gli aspetti della loro vita6. L’espropriazione della terra di proprietà palestinese continua attraverso politiche di ‘sviluppo’ che sono discriminatorie nei confronti del popolo palestinese nell’assegnazione delle risorse, incluso nei piani per aumentare la popolazione ebraica nella Naqb (Negev) e in Galilea. In particolare le popolazioni nomadi palestinesi (I beduini) e gli abitanti delle cosiddette ‘città miste’: quelle città abitate da ebrei ed un consistente numero di palestinesi autoctoni.

13. L’esecuzione e lo sviluppo di piani ad hoc è accompagnata dalla segregazione e demolizione di case. All’incirca 3.000 palestinesi cittadini della cittadina storica di Jaffa, per esempio, hanno recentemente ricevuto ordine di demolizione, perchè considerati occupanti abusivi nelle loro proprie abitazioni7. Più di 100.000 beduini, cittadini palestinesi dello stato d’Israele, abitano in quelli che vengono denominati ‘villaggi non riconosciuti’, sprovvisti di accesso ai servizi più elementari come acqua, elettricità, cliniche per la salute e l’educazione pubblica e non possono normalmente ottenere pemiessi di edificazione. Recenti piani dello stato d’Israele mirano a raccogliere i beduini residenti nella Naqab in sette ‘aree di concentrazione (rikuzim in ebraico) confiscando quel che rimane della loro terra; decine di migliaia di case e proprietà dei beduini hanno ricevuto l’ordine di demolizione8.

14. Nei Territori Palestinesi Occupati: l’attività coloniale israeliana continua implacabile nella West Bank. Le aree occupate particolarmente colpite sono: Gerusalemme Est, la valle di Giordania e le aree rurali, in particolare quelle vicine al muro9. Più di 600 chek points israeliani impediscono la libertà di movimento dei palestinesi e migliaia di piani per la costruzione di unità abitative esclusive per ebrei sono stati annunciati a partire dal summit di Annapolis10. Nel marzo 2008 era già partita la costruzione in oltre 100 colonie (insediamenti abitativi dove vivono ebrei esclusivamente) e in 58 ‘avamposti’. Nella sola area di Gerusalemme Est occupata la colonizzazione procede sotto la forma di piani di sviluppo discriminatori11, nuovi piani sono stati annunciati per la costruzione di 13.000 unità abitative all’incirca a partire dal dicembre 2007.

15. Nei territori Palestinesi Occupati, la demolizione di case palestinesi e la segregazione delle comunità palestinesi sono servite alla colonizzazione ebraica come misure punitive contro la popolazione civile occupata: Israele ha demolito all’incirca 19.000 case nei Territori Palestinesi Occupati tra il 1967 e il 200612. Tra il gennaio 2000 e il settembre 2007 più di 1.600 edifici palestinesi sono stati demoliti nell’area C/West Bank, dove oltre 3.000 case sono a rischio di demolizione13. Nella Striscia di Gaza più di 4000 case sono state demolite durante operazioni militari tra il 2000 e il 200414. A partire dalla metà del 2007 approssimativamente 1.5 milioni di cittadini palestinesi della Striscia Occupata di Gaza sono stati fisicamente, economicamente, socialmente e politicamente segregati a seguito dell’assedio perpetrato da Israele.

16. Nuova ondata di trasferimento forzato di palestinesi in Israele e nei Territori Occupati. Si stima che più di 115.000 palestinesi siano stati internamente dislocati durante queste ultime quattro decadi di occupazione israeliana dei Territori Palestinesi Occupati15, mentre 266,442 persone appartenenti a 78 comunità oggi corrono il rischio di essere trasferite16. Nella Striscia di Gaza le operazioni militari israeliane hanno causato il temporaneo dislocamento forzato di oltre 50.000 persone solamente tra il 2000 e il 200417.

17. Le corti israeliane privano le vittime palestinesi dei dovuti processi e dei rimedi effettivi. Omicidi extra-giudiziari (omicidi premeditati) di palestinesi ricercati dall’intelligence israeliana e di testimoni civili sono stati sanzionati dalla Corte Suprema18. Il tasso di incarcerazioni tra i cittadini palestinesi che vivono nei Territori Palestinesi Occupati è tra i più alti nel mondo: si stima che più del 40 per cento degli uomini palestinesi nei oPT siano stati incarcerati19. 8.403 palestinesi, tra loro donne e 293 bambini e 649 cosiddetti ‘detenuti amministrativi’ sono correntemente detenuti senza regolare processo ed esposti a tortura e ad altre forme di maltrattamento in centri di detenzione e in prigioni palestinesi20. Numerosi casi in cui soldati israeliani o coloni hanno ucciso o ferito civili palestinesi nei Territori Occupati nell’impunità sono stati documentati da organizzazioni21 che trattano di diritti umani. La commissione ufficiale d’inchiesta sull’uccisione di 13 cittadini palestinesi ad opera delle forze di polizia israeliane durante una manifestazione nel 2000 (on commission) ha mancato nel punire i responsabili dell’accaduto.

18. A partire dal 2001 il parlamento israeliano ha approvato nuove leggi discriminatorie e ammendato leggi esistenti con il fine di limitare l’accesso palestinese ai diritti fondamentali e a possibili rimedi. Esempi ditali leggi sono la legge per l’ingresso e la cittadinanza in Israele (Citizenship and Entry into Israel Act) del 2003 che è una legge temporanea, la quale nega alla maggior parte dei palestinesi residenti nei Territori Occupati il diritto di vivere in Israele con le loro spose che sono cittadine dello stato d’Israele; e gli ammendamenti risalenti al 2005 e al 2006 della legge sulle ingiustizie civili (Civil wrongs) e le responsabilità dello stato. Attraverso questi ammendamenti si è limitata la possibilità dei palestinesi residenti nei Territori Occupati di ricorrere per vie legali alle ingiustizie subite dai soldati israeliani.

19. Lo stato d’Israele non ha riconosciuto né messo in pratica le opinioni ed i consigli forniti nel 2004 dalla Corte Internazionale di Giustizia rispetto al muro e alle condizioni ad esso associate nei Territori Occupati e continua a sfidare la competenza della corte internazionale di giustizia (ICI) in questo campo. Israele dichiara che nel contesto specifico di un’occupazione che si protrae ormai da 41 anni non esistono obblighi rispetto ad essa che derivino dalla Quarta Convenzione di Ginevra e dal diritto internazionale umanitario. Queste posizioni, per quanto inconsistenti con gli standard internazionali, sono state largamente sostenute dalla Corte Suprema Israeliana.

20. Lo stato d’Israele afferma che la situazione d’illegalità presente nei Territori Occupati risulta innanzitutto da necessarie misure militari che lo stato intraprende per difendere la propria sicurezza, non trattandosi di aggressione militare nei confronti dei palestinesi e di altri individui di origine araba. Dichiara inoltre che ciò è giustificato dalla necessità di combattere ‘il terrorismo islamico’. Lo stato d’Israele e le agenzie ad esso affiliate (per esempio L’organizzazione Mondiale Sionista, l’Agenzia Ebraica ed il Fondo Nazionale ebraico World Zionist Organization, Jewish Agency, Jewish National Fund) negano che razzismo e discriminazione razziale siano la causa e la conseguenza di questo lungo conflitto con il popolo palestinese minando alla base il dibattito che da ciò scaturirebbe e rivendicando che tale dibattito costituirebbe una forma di antisemitismo (vedi sezione III/B, parte sull’antisemitismo).

La comunità internazionale

21. Condividendo il piano razzista basato sulla giustificazione della dominazione straniera attraverso la propagazione di sentimenti islamofobici gli Stati Uniti con i loro alleati hanno sostenuto la politica d’aggressione israeliana. Gli stati occidentali e la comunità diplomatica internazionale hanno negato la legittimità degli argomenti della comunità palestinese a proposito del suo diritto di resistere al colonialismo e all’occupazione straniera, diritto basato su tutta una serie di risoluzioni dell’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La comunità internazionale rappresentata dal ‘quartetto’ (Stati Uniti, Comunità Europea, Federazione Russa e Segreteria Generale delle Nazioni Unite) hanno fallito nell’obbligo di intraprendere misure che avrebbero assicurato il rispetto e l’osservanza da parte di Israele del diritto internazionale, delle risoluzioni delle Nazioni Unite e dell’opinione della Corte Internazionale di Giustizia. Nessuna alta parte sottoscrivente alla Quarta Convenzione di Ginevra ha intrapreso misure, incluse quelle previste dalla convenzione, volte a pone rimedio alle continue e gravi violazioni di Israele (art. 147).

22. La comunità internazionale, innanzitutto i funzionari pubblici occidentali e i mezzi di comunicazione di massa, hanno piuttosto largamente adottato il cosiddetto approccio ‘equilibrato’ laddove sistematiche e massicce violazioni dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario (IM) commesse da Israele sono attentamente bilanciate con dichiarazioni diplomatiche riguardanti le violazioni palestinesi del IHL commesse nel contesto della resistenza, come se singoli attori che non rappresentano lo stato potessero essere le giuste controparti in un conflitto armato tra stati, e razzismo, colonialismo, dominazione straniera non lo fossero. La comunità diplomatica ha dunque protetto Israele dalla condanna del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovuta alle sue pratiche illegali: essa ha dunque una parte di responsabilità nelle conseguenze che ne derivano.

23. Gli stati occidentali, in particolare il Nord America e l’Europa, hanno premiato la disobbedienza israeliana dei suoi obblighi legali aumentando la cooperazione diplomatica, economica e militare con lo stato d’Israele. Allo stesso tempo nel 2006 la comunità internazionale imponeva sanzioni diplomatiche ed economiche durissime contro il popolo palestinese al fine di minare il risultato delle elezioni democratiche palestinesi nei Territori Occupati. Questi stati, così come il loro settore privato, sono complici nel mantenimento dell’ attuale situazione illegale e colonialista così come del razzismo che essi comportano e dell’impunità dello stato d’Israele e dei suoi agenti.

24. La comunità internazionale non ha dunque protetto la popolazione palestinese ed ha invece minato i suoi inalienabili diritti, inclusi l’autodeterminazione ed il ritorno dei rifugiati. Ha pertanto contribuito ad una crisi umanitaria senza precenti nei Territori Occupati e ha minato la prospettiva della diplomazia in Medio Oriente di individuare un chiaro e dichiarato obbiettivo: ad esempio risolvere il conflitto con la creazione di due stati indipendenti in accordo con il diritto internazionale. La comunità internazionale ha poi ulteriormente mancato di combattere razzismo e discriminazione razziale così come era previsto nella dichiarazione di Durban e nel suo programma d’azione.


PARTE II

1.
Il ruolo delle Nazioni Unite, degli Organismi di tutela dei Diritti Umani e degli Esperti Indipendenti.

25. Nonostante il fatto che nessun meccanismo di tutela ed azione della conferenza di Durban è stato reso disponibile, l’assemblea generale delle Nazioni Unite, Organismi di tutela dei diritti Umani ed esperti indipendenti hanno fornito importanti contributi all’esecuzione in Israele dei principi stabiliti nella Dichiarazione di Durban e nel suo relativo programma d’azione nella tutela del popolo palestinese. Lo hanno fatto in diverse maniere:

(i) richiamando l’attenzione sulla sistematica discriminazione razziale perseguita da Israele nei confronti del popolo palestinese, includendo segregazione ed apartheid; (ii) individuando risorse, cause, forme e manifestazioni contemporanee di questo regime; e, (iii) raccomandando e prendendo misure pratiche al fine di fermare e capovolgere le sue manifestazioni 22.

Discriminazione Razziale istituzionalizzata:

La Convenzione sull’eliminazione della discriminazione razziale (CERD) definisce esaurientemente la discriminazione razziale come ‘ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza che si basi su razza, colore, discendenza origine nazionale ed etnica che ha lo scopo o l’effetto di annullare o danneggiare il riconoscimento o godimento di un paritario esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel campo politico, economico, sociale culturale o in qualsiasi altro ambito della vita pubblica.’ Si parla di discriminazione razziale istituzionalizzata nei casi in cui si possa dimostrare che esiste un modello ricorrente e massiccio in particolare nella segregazione secondo appartenenza razziale, come risulta dalle leggi, politiche o pratiche attuate nel tempo. La discriminazione razziale istituzionalizzata è proibita e può diventare apartheid. L’articolo 3 della convenzione richiede agli stati membri di condannare la segregazione razziale e l’apartheid intraprendendo misure atte a prevenirle, proibirle, ed eliminarle dal territorio.

26. La natura del regime Israeliano discriminazione razziale istituzionalizzata e apartheid

– Tutti i trattati di comitati sui diritti umani e gli inviati speciali delle Nazioni Unite si sono detti preoccupati perché Israele sistematicamente evita di mettere in pratica i trattati sui diritti umani nei Territori Palestinesi occupati che sono sotto il suo controllo effettivo23.
– Alcuni, tra cui il comitato sui diritti del bambino (CRC) e il comitato contro la tortura (CAT) si sono detti preoccupati per la diffusione della tortura e per la differenza con cui si definisce il/la bambino/a in Israele (persone al di sotto dei 18 anni) e nei Territori Occupati (persone al di sotto dei 16 anni) nella legislazione israeliana24.
– Molti di loro, incluso il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali (CESCR), il CERD l’inviato speciale delle Nazioni Unite al diritto per alloggi adeguati e l’inviato speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo si sono detti preoccupati per il fatto che leggi, politiche e pratiche israeliane in Israele e nei Territori Occupati influenzano l’accesso palestinese ai diritti fondamentali: all’abitazione, alla terra e all’acqua. Questo sembra potersi ascrivere ad una pratica sistematica di discriminazione razziale25.
– Il comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) nel suo esame del 2007 riguardo allo stato d’Israele ripete per cinque volte la propria preoccupazione rispetto alla violazione dell’Articolo 3 della convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale nella quale si condanna la segregazione razziale e l’apartheid e si raccomanda di intraprendere misure atte alla prevenzione, proibizione ed eliminazione ditali pratiche26.
– A partire dal 2005 i reportages dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati hanno allertato le Nazioni Unite per il fatto che il protrarsi dell’occupazione militare di Israele non è una forma di occupazione ‘normale’ (legale), ad esempio: una misura ad interim volta a mantenere l’ordine di un territorio in seguito ad un conflitto armato, ma piuttosto un regime di una potenza colonizzatrice sotto le spoglie d’occupazione che include le peggiori caratteristiche di un regime d’apartheid: frammentazione del territorio, politica di detenzione massiccia, sistema di strade separate e permessi che restringe la libertà di movimento sulla base dell’ appartenenza nazionale, religiosa ed etnica27.

27. Radici, cause e manifestazioni odierne del regime di discriminazione razziale israeliano:
– Il CESCR (1998)28 ha notato con grave preoccupazione il fatto che ‘la Legge sullo Status di cittadinanza del 1952 autorizza l’Organizzazione mondiale Sionista e l’Agenzia Ebraica ed i loro assistenti, incluso il Fondo Nazionale Ebraico, a controllare la maggior parte della terra in Israele, in quanto queste tre organizzazioni hanno lo scopo di beneficiare esclusivamente la popolazione ebraica’. Il comitato ha espresso l’opinione secondo cui la sistematica e diffusa confisca della terra e delle proprietà palestinesi da parte dello stato e il loro trasferimento alle già menzionate agenzie costituisce una forma di discriminazione istituzionalizzata in quanto tali agenzie negano per definizione l’uso di queste proprietà ai non ebrei. Queste pratiche risultano dunque essere una violazione degli obblighi che vincolano Israele alla Convenzione’ (par. 11). Il CESR ha inoltre notato con preoccupazione ‘che la legge sul ritorno, che permette ad ogni persona ebrea di emigrare in Israele da qualsiasi parte del mondo potendo automaticamente godere del diritto di residenza ottenendo la cittadinanza israeliana, è discriminatoria nei confronti dei palestinesi della diaspora ai quali il governo di Israele ha imposto condizioni restrittive che rendono pressoché impossibile il ritorno alla loro patria d’origine’ (par. 13). Nel rapporto periodico che il CESR fa a proposito di Israele nel 2003 si nota con rammarico che le precedenti osservazioni non hanno avuto riscontro e le questioni coinvolte rimangono irrisolte29. Il CESR aggiunge inoltre che ‘era particolarmente preoccupato per la questione della ‘nazionalità ebraica’ che è oggetto di trattamento preferenziale nella legge israeliana sul ritorno. Essa garantisce infatti la cittadinanza automatica e benefici finanziari da parte del governo, in pratica trattando in maniera discriminatoria le persone che non sono ebree, in particolare i rifugiati palestinesi’ (par. 18).
–Nel 2007, il CERD30 ha definito segregazione la pratica israeliana di mantenere ‘settori arabi ed ebraici’ nell’ educazione, nella sanità e nelle strutture abitative insieme alla mancanza di accesso paritario allo stato e ai servizi pubblici dei cittadini palestinesi di Israele (all’interno delle linee di demarcazione decise in seguito all’armistizio del 1949; par. 22). Nei confronti dei Territori Palestinesi occupati il CERD nota con preoccupazione l’applicazione di leggi e pratiche differenziate per israeliani e palestinesi (par. 35). In particolare si è detto preoccupato per le pratiche israeliane: includendo la segregazione che in tutte le sue forme è conseguente al muro ed al regime ad esso associato, l’espansione degli insediamenti ebraici e la severa restrizione della libertà di movimento dei palestinesi, così come la distribuzione disuguale delle risorse e dei servizi, e infine, la demolizione di case, ascrivibile alla discriminazione razziale, che altera la composizione demografica del paese. (par. 14, 32 35).

28. Raccomandazioni e misure pratiche intraprese al fine di fermare ed eliminare le manifestazioni del regime israeliano negli aspetti di apartheid/discriminazione istituzionalizzata, colonizzazione ed occupazione armata includono immancabilmente allo stesso tempo raccomandazioni ad Israele di rispettare i suoi doveri di fronte al diritto internazionale e raccomandazioni agli stati delle Nazioni Unite di astenersi dall’approvare misure che sostengano la corrente situazione di illegalità agendo piuttosto perché Israele osservi il diritto internazionale:

– Su iniziativa dell’ Assemblea Generale la Corte Internazionale di Giustizia ha redatto nel 2004 le Note di raccomandazione sulle conseguenze legali della costruzione del muro israeliano e della situazione che ne è derivata nei Territori Occupati. La CU ha riconosciuto l’applicabilità dei diritti umani e di tutte le norme del diritto umanitario internazionale nei Territori Occupati, chiedendo ad Israele di smantellare il muro illegale e le sue conseguenti infrastrutture, assicurando il completo risarcimento per i danni subiti alle vittime e si è raccomandato che gli stati si astengano da misure che aiutino a mantenere la corrente situazione di illegalità. Successive risoluzioni dell’Assemblea Generale hanno poi dato vita ad un registro dei danni compilato dalle Nazioni Unite (UNR0D) il quale non è ancora stato reso operativo in questa seconda metà del 2008.

– Nel 2007, il CERD ha richiamato Israele perché facilitasse il ritorno dei rifugiati palestinesi alla loro terra e alle loro proprietà e mettesse in pratica il diritto all’uguaglianza di tutti i cittadini come norma generale fondamentale del diritto civile (tale diritto all’uguaglianza infatti non è oggi riconosciuto in Israele). Il CERD si è poi detto preoccupato per il fatto che istituzioni para statali israeliane quali il Fondo Nazionale Ebraico, l’Organizzazione Mondiale Sionista e l’Amministrazione per la Terra Israeliana stanno gestendo terra, abitazioni e servizi in maniera discriminatoria a vantaggio della popolazione ebraica e hanno richiamato Israele perché si assicuri che tali organismi rispettino il principio di non discriminazione (par. 1621). Il CERD si è inoltre raccomandato affinché la definizione di Israele come stato ebraico non diventi in nessun modo motivo di discriminazione sistematica basata su criteri legati a razza, colore, discendenza, origine etnica o nazionale (par. 17). Raccomandazioni simili sono state pubblicate dal CESCR a partire dal 1998.

– Fin dal 2006 l’inviato speciale per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati ha ricordato alla comunità internazionale ‘l’inutilità delle raccomandazioni al governo di Israele perché adempia al rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani’ e che ‘ i membri delle Nazioni Unite hanno l’obbligo legale di proteggere il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e prendere misure allo scopo di assicurarsi che Israele rispetti il diritto internazionale’. Si è poi fatto appello agli stati occidentali in particolare, alleati d’Israele, perché prendessero misure ‘volte alla salvaguardia della credibilità degli organismi di tutela dei diritti umani internazionali’. L’inviato speciale ha deplorato il fatto che l’impegno internazionale di pone fine ad occupazione, colonizzazione ed apartheid israeliane sembrasse dimenticato e che la comunità internazionale fosse divisa tra Occidente e resto del mondo. Ha richiesto alla Segreteria Generale delle Nazioni Unite di indietreggiare dal quartetto che ha di fatto imposto sanzioni economiche al popolo palestinese per avere, con mezzi democratici, eletto un governo che l’Occidente ed Israele ritenevano inaccettabile. Ha inoltre richiesto una seconda opinione della Corte Internazionale di Giustizia a proposito: ‘delle conseguenze legali del lungo regime Israeliano e dell’occupazione che include elementi di apartheid e colonialismo’31.

– Nel 2007 il comitato speciale delle Nazioni Unite che investigava sulle pratiche israeliane a danno dei diritti umani del popolo palestinese e di altre persone di origine araba nei Territori Occupati ha raccomandato all’ Assemblea Generale di ‘spingere il Consiglio di Sicurezza verso la considerazione di sanzioni contro Israele qualora quest’ultimo continuasse a non rispettare i suoi obblighi rispetto al diritto internazionale assicurandosi che ‘altri stati non supportino in nessun modo, direttamente o indirettamente, la costruzione del muro di separazione che attraversa i Territori Palestinesi occupati, e che accordi bilaterali tra Israele ed altri stati non violino i loro rispettivi obblighi rispetto al diritto internazionale’32.

29. Ulteriori misure pratiche intraprese includono nuovi sforzi volti al miglioramento della protezione internazionale delle vittime palestinesi e limitati sforzi per ottenere che gravi violazioni del diritto internazionale siano sottoposte a regolare processo:

– Sforzi per proteggere in maniera più effettiva la popolazione palestinese occupata attraverso il monitoraggio, la documentazione, l’assistenza e la difesa sono stati intrapresi dalle agenzie delle Nazioni Unite e dalle NGO dei Territori occupati sotto il controllo di OCHA e OCHR. Un’iniziativa che riveste particolare importanza nell’ eliminazione delle cause del conflitto è il Gruppo di Lavoro permanente sul Dislocamento Forzato, che si è formato nel 2008 mettendo in pratica la Risposta di collaborazione al Dislocamento forzato nei Territori Occupati basata sui Principi Guida sul Dislocamento Interno del 1998.

– La commissione generale di UNRWA, l’Alta Commissione dei diritti Umani e l’Arcivescovo Desmond Tutu sono stati tra i pochi coraggiosi che hanno pubblicamente richiesto la fine dell’impunità per le massicce violazioni dei diritti umani e per i crimini di guerra i cui responsabili devono essere puniti, in particolare lo stato di Israele , insieme ai suoi organismi ed agenti.

30. Fino ad oggi nessuna di queste iniziative gestite dall’Assemblea Generale, da organizzazioni per la tutela dei diritti umani, agenzie ed esperti indipendenti ha condotto a tangibili risultati per le vittime palestinesi.

2
Il ruolo della Società civile e delle ONG

Come la società civile analizza il regime israeliano sul popolo palestinese: Apartheid, Colonialismo ed Occupazione.

31. A partire dal Forum di ONG creatosi a Durban nel 2001, le organizzazioni della società civile e le ONG si sono sistematicamente impegnate ad analizzare la natura coloniale e d’apartheid del regime Israeliano sul popolo palestinese. Tali analisi riflettono l’esperienza di palestinesi, altre persone di origine araba e di ebrei non sionisti: è sostenuta da ricerche storiche in archivi israeliani e dai risultati di ricerche di esperti indipendenti e di organizzazioni per la tutela dei diritti umani.

Il crimine d’apartheid

L’apartheid è una delle più gravi forme di razzismo, e si tratta di ‘un sistema politico in cui il razzismo è regolamentato dal diritto attraverso atti del parlamento33. L’articolo 3 della Convenzione sull’Eliminazione della Discriminazione razziale CERD definisce l’apartheid come una forma di discriminazione razziale. La convenzione sull’ abolizione e la punizione del crimine di apartheid (1967) definisce apartheid come ‘politiche e pratiche di segregazione razziale e discriminazione quali quelle che vennero praticate in sud Africa e che hanno lo scopo di stabilire e mantenere il dominio delle persone appartenenti ad un gruppo razziale su un altro gruppo razziale opprimendolo sistematicamente, in particolare attraverso mezzi quali segregazione, espropriazione della terra o negazione del diritto di tornare al proprio paese, il diritto alla nazionalità e il diritto alla libertà di movimento e di residenza (Art II). Lo statuto di Roma definisce Apartheid come quegli atti inumani ‘commessi nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e dominio di un gruppo razziale su uno o più di un altro e commessi con l’intenzione di mantenere tale regime.’

Apartheid costituisce un crimine contro l’umanità. Membri di organizzazioni ed agenti di uno stato d’apartheid sono soggetti alla persecuzione penale, qualunque sia il motivo scatenante e in qualsiasi momento essi lo commettano, che vi prendano parte direttamente o meno, incitando o ispirando, spalleggiando direttamente, incoraggiando o cooperando all’esecuzione del crimine d’apartheid (art. III, 1976 Apartheid Convention). Tutti gli stati sono obbligati a condannare, sopprimere e punire coloro che sono coinvolti nel crimine d’apartheid34.

32. Le radici del regime israeliano affondano nel terreno dell’ideologia razzista del colonialismo europeo del 19 secolo il quale venne adottato dalla corrente maggioritaria all’interno del movimento sionista (World Zionist Organization, Jewish Agency, Jewish National Fund) in modo da giustificare e reclutare il sostegno politico al suo progetto coloniale di un esclusivo stato ebraico in Palestina (nell’ area che comprende oggi Israele e i Territori Occupati). Il movimento secolare sionista tradusse dunque antiche nozioni religiose/spirituali ebraiche che definiscono gli ebrei ‘un popolo eletto’ o ‘ Eretz Israel’ in un programma politico colonialista aggressivo e razzista basato sulla dottrina secondo la quale gli ebrei erano una nazione in termini politici e possedevano superiori diritti sulla Palestina chiamati a ‘riscattare’ la Palestina, definita una ‘terra senza popolo’35.

33. La realizzazione di questo progetto razzista venne perseguita con il supporto dei poteri imperialisti occidentali (specialmente la Gran Bretagna e gli Stati Uniti) e più tardi delle Nazioni Unite, attraverso pratiche e politiche coloniali di trasferimento della popolazione (‘ethnic cleansing’) basate sull’insediamento massiccio di immigrati ebrei in Palestina e sul trasferimento della maggioranza delle popolazioni indigene arabe 36. Il progetto sionista di pulizia etnica iniziò molto prima del conflitto del 194837 ma si compì prevalentemente durante e sotto le spoglie di quel conflitto: da 750.000 a 900.000 indigeni palestinesi vennero dislocati con la forza e quasi 500 comunità palestinesi spopolate dalle milizie sioniste e dopo il 15 maggio 1948 dall’annata dello stato d’Israele, in modo da far spazio al nuovo stato nel 78 % della totalità del territorio che occupava la Palestina prima della guerra.

34. Lo stato d’Israele ha ereditato ed istituzionalizzato l’ideologia razzista e la pratica del primo movimento sionista. A partire dal 1948, legislatori e governi israeliani insieme alle organizzazioni sioniste e ai loro collaboratori, hanno stabilito e sviluppato un regime di discriminazione razziale istituzionalizzata che provvede agli interessi e alla superiorità del gruppo dominante (vedi sotto) e mantiene lo status d’inferiorità del popolo palestinese opprimendolo sistematicamente. Attraverso tale regime, lo stato d’Israele continua ad affermare il proprio controllo sulla massima parte di terra palestinese possibile riducendo la popolazione palestinese al minimo possibile: colonizzazione, divieto di ritorno ai rifugiati, colonizzazione e trasferimento forzato della popolazione hanno questo scopo.

35. Il regime Israeliano sul popolo palestinese è diventato un regime d’apartheid e mostra infatti molti degli aspetti descritti a proposito del crimine come descritto dal diritto internazionale (ICERD Apartheid convention Rome Statute)

– La discriminazione razziale contro il popolo palestinese è stata formalizzata ed istituzionalizzata attraverso la creazione della legge per ‘la nazionalità ebraica’ il che non vale a dire nazionalità israeliana; non esiste infatti nazionalità israeliana. La legge sul ritorno del 1950 è di fatto una legge che regola la nazionalità perché dà a tutti gli ebrei, ed ebrei solamente, il diritto di cittadinanza, vale a dire il diritto di entrare ‘Eretz Israel’ (Israele e i Territori Occupati) e godere immediatamente e completamente di pieni diritti legali e politici. ‘La nazionalità ebraica’ secondo la legge sul ritorno è extraterritoriale, in contravvenzione alle norme del diritto pubblico riguardanti la nazionalità38. Ciò include cittadini ebraici di altre nazioni, abbiano essi o meno la voglia di essere parte del cosiddetto collettivo dei ‘cittadini ebraici’, ed esclude ‘non ebrei’ (ad esempio palestinesi) dal diritto di cittadinanza in Israele39.

– La legge sulla cittadinanza del 195240 venne approvata con il fine di regolamentare l’acquisizione della cittadinanza israeliana di ebrei e non ebrei. Tale comice legale ha di fatto creato un sistema legislativo discriminatorio e duale in cui gli ebrei hanno nazionalità e cittadinanza e i palestinesi indigeni la sola cittadinanza41. Secondo quanto previsto dalla legge israeliana lo status di nazionalità ebraica è accompagnato da diritti e da benefici che non sono invece accordati ai cittadini palestinesi.

– Il ritorno dei rifugiati palestinesi e delle persone internamente dislocate è stato impedito con la forza e con legislazioni fondate su principi razzisti: i rifugiati palestinesi, poiché non ebrei, furono per esempio esclusi dalla cittadinanza dello stato d’Israele attraverso la legge di cittadinanza del 1952. Essi vennero ‘snazionalizzati’ e tutto d’un tratto si trovarono ad essere rifugiati senza uno stato d’appartenenza in violazione della legge sulla successione degli stati. Terra ed altre proprietà di questi rifugiati e delle persone internamente dislocate sono state confiscate dallo stato d’Israele e approssimatamente 500 villaggi vennero prima spopolati e poi distrutti nell’ operazione chiamata ‘pulizia del paesaggio’ che durò fino al 196042 . Approssimatamente 150.000 palestinesi che rimasero in Israele dopo la Nakba del 1948 vennero sottoposti ad un regime militare (1948 1966) simile a quello che è oggi nei Territori Palestinesi occupati.

36. A partire dal 1967 lo stato d’Israele ha portato avanti un regime d’apartheid nei Territori Occupati camuffandolo da occupazione militare

– Parte della West Bank occupata, includendo Gerusalemme est, venne annessa immediatamente dopo la guerra del 1967 in violazione al diritto internazionale e la revoca dello status di residenti permanenti dei cittadini palestinesi della città sta procedendo in conformità con il diritto civile israeliano.

– In particolare a partire dagli accordi di Oslo del 1993 il diritto domestico (civile e penale) israeliano è stato applicato ai cittadini israeliani (‘normali cittadini’) e coloni43 nei rimanenti Territori Occupati mentre un regime militare repressivo44 governa la popolazione palestinese sotto occupazione protetta dal diritto umanitario internazionale. Questo sistema legale a due teste ha istituzionalizzato la discriminazione razziale dei palestinesi nei Territori Occupati ed è servito da motore centrale per la colonizzazione ebraica del territorio della Palestina storica rimanente (22%). Tale sistema legale è inoltre responsabile di negare il diritto al ritorno dei rifugiati del 1967 e di promuovere il trasferimento delle popolazioni palestinesi indigene, camuffandoli come necessità di una protratta occupazione militare.45. Esperti indipendenti delle Nazioni Unite ed organismi per la tutela dei diritti umani hanno osservato che il regime d’occupazione israeliano mostra molte forme estreme di oppressione che coincidono con i caratteri fondamentali dell’apartheid, includendo, tra gli altri, segregazioni, omicidi (extra giudiziari, anche detti ‘uccisioni mirate’) tortura, trattamento crudele ed inumano ( la demolizione delle abitazioni rientra in questa categoria), arresto arbitrario e detenzione illegale, ed imposizione arbitraria di condizioni vitali mirate a causare danno fisico più o meno parziale (vedi anche sez. II).

37. Gli esperti delle Nazioni Unite al fine d’individuare e prevenire conflitti o genocidi hanno identificato tutta una serie di fattori che indicano la discriminazione razziale sistematica e su larga scala46. Il regime ad esempio

(a) Importante storia di genocidi o violenza contro un gruppo razziale, flussi significativi di rifugiati o di persone internamente dislocate, specialmente quando coloro che ne sono influenzati appartengono ad un gruppo etnico o religioso nello specifico:

– Lo stato d’Israele registra un numero record di trasferimenti forzati e di massa della popolazione indigena palestinese camuffati sotto le vesti di normali conseguenze di un conflitto armato, e il conseguente diniego del diritto al ritorno. Tra i 750.000 e i 900.000 palestinesi vennero dislocati prima o durante la guerra del 1948, seguiti da altri 400.000 nel 1967. Le loro proprietà, incluse una larga area di terra di possesso pubblico o privato vennero espropriate attraverso pratiche riconosciute come crimini di guerra e come gravi violazioni del diritto umano internazionale. Oggi il 70 % della popolazione palestinese si compone di rifugiati (7 milioni) all’interno o all’esterno del territorio storico della Palestina c/o di persone internamente dislocate (450.000) in Israele i nei oPT. Le vittime palestinesi non hanno accesso ai rimedi né ai risarcimenti conseguenti al dislocamento forzato che invece continua senza sosta47. Quello







dei rifugiati palestinesi è il caso che riguarda il maggior numero di persone e che dura dal maggior numero di anni di tutti i casi di rifugiati della storia mondiale.

(b) L’esclusione sistematica legalmente o di fatto da posizioni di potere e dall’accesso alle risorse, politiche di segregazione:

A partire dal 1948 lo stato d’Israele ha sostenuto e portato avanti ‘la nazionalità ebraica’ che si basa

sulla discriminazione di fatto del popolo palestinese attraverso una legislazione discriminatoria

sul possesso e sull’ amministrazione della terra e sulla partecipazione politica. 48 Lo stato d’Israele possiede ed amministra il 93 % della terra in Israele (cosiddetta ‘terra di stato’) la maggior parte della quale proviene dalla confisca delle terre ai rifugiati palestinesi e a palestinesi internamente dislocati. Le organizzazioni sioniste che ottennero il mandato fin dal periodo precedente all’istituzione dello stato di provvedere esclusivamente agli interessi ebraici ottennero lo status di istituzioni pubbliche dalla legge di Israele 49 e portarono avanti diverse funzioni pubbliche per conto statale, inclusa l’amministrazione del 13% della ‘terra statale’ israeliana, risorse acquifere ed altre proprietà confiscate ai palestinesi dislocati, così come la pianificazione, fondazione e sviluppo degli insediamenti ebraici in Israele e nei Territori Occupati. In una legislazione più recente pratiche politiche pubbliche hanno adottato lo stesso criterio di segregazione, oppressione ed esclusione di cittadini israeliani dall’ottenimento di uguale accesso alla formulazione delle leggi, ai servizi e ad altri aspetti della vita attiva. 50

(c) La mancanza del contesto legislativo e di istituzioni che prevengano la discriminazione razziale e prevedano il ricorso delle vittime contro la discriminazione subita, una politica o una pratica d’impunità:

Il principio di uguaglianza non viene menzionato in quanto diritto costituzionale nelle

Fondamenta del diritto: Dignità umana e libertà; (Basic Law: Human Dignity and Liberty) che costituisce la carta dei diritti israeliana. Il diritto all’uguaglianza viene dunque relegato ad un livello secondario e può solamente essere derivato da altri diritti garantiti dalle Fondamenta del diritto. L’uguaglianza dei cittadini palestinesi è ugualmente impedita dalla definizione stessa che si dà Israele: ‘stato ebraico democratico’. 5’ La legge vieta ai rifugiati e agli individui palestinesi internamente dislocati di tornare alle loro case e di rientrare in possesso delle loro proprietà. Le corti israeliane, in particolare quella suprema, sono complici nelle politiche militari e di governo che impediscono alle vittime palestinesi di fare denuncia ed incoraggiano l’impunità della polizia israeliana, dei soldati e dei coloni ebrei per le offese ed i crimini contro i palestinesi in Israele e nei Territori Occupati. ‘Hafrada’ (in ebraico: separazione, segregazione) è la politica ufficiale del governo israeliano riguardo alla popolazione palestinese in Israele e nei Territori Occupati ed ha lo scopo di cambiare la composizione demografica del paese. A questo scopo il ‘trasferimento’ è pianificato, pubblicamente sostenuto e promosso da membri di governo e parlamento, da partiti

48 Per esempio: Basic Law: Israel Lands (1960); Basic Law: The Knesset (1958), Amendment 9 (1985); Agricultural

Settlement Law (1967). Oppure: Usama Halabi, "Israel’s Land Laws as a Legal Political Tool"; BADIL Working

Paper No. 7, December 2004.

49 World Zionist Organization Jewish Agency (Status) Law (1952); Keren Kayemet Le Israel Law (1953); Covenant with Zionist Executive (1954) (1971).

Numerosi studi documentano l’impatto della discriminazione razziale sui cittadini palestinesi. Per esempio, vedi:

www.adalah.org www.arabhra.org, www.acri.org.il and Human Rights Watch (2001), Second Class. Discrimination

Against Palestinian Arab Children in Israel’s Schools, at: http://www.hrw.org/reports/200l/israel2/

5111 carattere ebraico dello stato viene definito da tre componenti tra di loro connesse: (1) persone di estrazione ebraica formano la maggioranza nello stato; (2) persone di estrazione ebraica hanno diritto ad un trattamento preferenziale (vedi la Legge sul Ritorno); e (3) esiste una relazione reciproca tra lo stato e gli ebrei che non vivono in Israele. Ben Shalom vs. Central Election Committee, 43 P.D. IV 221 (1988).





politici, dall’esercito, dall’accademia e dai mezzi di comunicazione. 12

Elementi d’identificazione aggiuntivi dell’apartheid israeliana che non tratteremo in questa sede includono:

gravi dichiarazioni di leader politici/importanti pensatori che esprimono il sostegno e l’affermazione della superiorità etnica o razziale c/o che contribuiscono a disumanizzare, condonare o giustificare la violenza contro un gruppo etnico o razziale; evidenti falsificazioni di eventi storici nei libri scolastici e in altri materiali educativi; seri attacchi a gruppi o individui di persone da parte di privati cittadini che paiono essere principalmente motivati dall’appartenenza della vittima ad uno specifico gruppo; Milizie c/o gruppi politici estremisti che si basano su principi razzisti; L’esistenza di comunità straniere attive nell’ alimentazione di estremismo/razzismo e nel rifornimento d’anni; Politiche volte alla prevenzione della diffusione di servizi essenziali e dell’assistenza in certe regioni che colpiscono alcuni gruppi in particolare; l’assenza di fattori esterni, ad esempio delle Nazioni Unite, nella mitigazione della discriminazione razziale.

(Fonti: A/HRC/4/WG.3/7 of 15 June 2007, par. 46 50)

Misure pratiche intraprese dalla Società Civile e dalle Organizzazioni non Governative.

38.Educazione sostegno e campagne sono state intraprese allo scopo di aumentare la conoscenza sul regime d’apartheid israeliano facendo pressione sui singoli stati e sulle Nazioni Unite affinché ne condannino e prevengano il seguito, perché pongano fine all’occupazione, proteggano i diritti inalienabili del popolo palestinese ed assicurino il risarcimento alle vittime.

39. La società civile mondiale ha lanciato la Campagna per Boicottaggio, Disinvestimento e

sanzioni contro Israele (BDS Campaign: Boycott, Divestment and Sanctions) fino a quando non osserverà i propri obblighi rispetto al diritto internazionale. Tale campagna si basa sull’appello fatto dal forum di ONG durante la WCAR (Word Conference Against Racism) di Durban, nel 2001 e in risposta al rifiuto israeliano di osservare l’opinione e l’avviso della Corte Internazionale di Giustizia nel 2004 con la complicità dei governi occidentali. Coraggiosi membri delle chiese, associazioni accademiche e comitati di solidarietà in Europa e in nord America furono i primi ad agire per il disinvestimento dalle compagnie coinvolte nel regime illegale e criminale di Israele, boicottando le istituzioni affiliate, i beni e i servizi e chiedendo di applicare sanzioni contro Israele. Nel luglio 2005 più di 170 sindacati palestinesi, associazioni, Ong e le realtà ad essi connesse che riflettono i maggiori settori del popolo palestinese coloro che si trovano sotto occupazione, i cittadini palestinesi d’Israele e i rifugiati in esilio lanciarono un appello strategico per un’ ampia campagna BDS fino a quando Israele non avesse portato a termine l’occupazione e la colonizzazione della terre palestinesi, provveduto alla piena uguaglianza dei cittadini palestinesi, rispettato e promossi il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi. A partire dal 2008, la campagna è guidata dal Comitato Nazionale Palestinese della BDS in coordinazione con l’International Coordination Network on Palestine (ICNP). Esso opera in collaborazione con un

52 A partire dai primissimi anni 90, ii principio di Hafrada è stato adottato e portato a termine su palestinesi e nei oPT. Si riferisce non solamente all’assedio di Gaza, ma anche al sistema militare dei posti di blocco, alla costruzione del muro che chiude, isola e frammenta le comunità palestinesi nel territorio occupato della West Bank. Possibili traduzioni del termine Hafrada includono: ‘separazione unilaterale’ o ‘disimpegno unilaterale’. B’Tselem e l’Associazione per i Diritti Civili in Israele hanno descritto la politica separazionaista che Israele ha messo in atto fin dal 2001 come ‘politica d’espulsione dei palestinesi’; vedi: Ghost Town: Israel’s Separation Policy and Forced Eviction of Palestinians from the Center of Hebron. Jerusalem: BTselem, May 2007.



gruppo sempre crescente di partners in tutto il mondo, del quale fanno parte anche alcuni sindacati e che ampliano le azioni della campagna esplorando nuove misure per un’azione affettiva.

40. A partire dal 2001 sono state intraprese nuove misure volte a combattere l’impunità e ad

assicurare un ricorso effettivo ed adeguato delle vittime palestinesi ai rimedi alla luce della complicità delle corti israeliane che nei migliori dei casi si limitano a ritardare/moderare le gravi violazioni del diritto internazionale c/o provvedere alla compensazione parziale delle vittime palestinesi per i crimini di guerra e per quelli contro l’umanità, esperti indipendenti ed organizzazioni per la tutela dei diritti umani hanno lanciato procedimenti legali contro i sospetti colpevoli in corti straniere, prevalentemente sotto la giurisdizione universale. Nessuno dei sospetti è stato giudicato fino ad ora e molti casi non sono stati ammessi dalle corti, per ragioni procedurali o in seguito a pressioni politiche. Un messaggio di allerta è però stato spedito allo stato d’Israele: i suoi agenti non godranno dell’impunità per sempre.

41. La memoria delle vittime palestinesi dell’apartheid del colonialismo e dell’occupazione è stata onorata e la consapevolezza dei fatti delle cause e delle conseguenze dei crimini odierni e passati e delle ingiustizie occorse è stato reso noto in particolare attraverso la campagna del 2008, lanciata in occasione del sessantenario della nakba Lo stato d’Israele continua a negare la nakba palestinese (Nakba significa catastrofe in arabo) del 1948, nel silenzio delle Nazioni Unite e dei governi stranieri. Nonostante questo un grosso numero di attori della società civile in tutto il mondo, includendo studenti, artisti, mezzi di comunicazione e organizzazioni per la tutela dei diritti umani, si sono uniti al Comitato generale per la commemorazione della Nakba, in modo da studiare, commemorare ed espone i fatti riguardanti la fondazione dello stato d’Israele alle spese del popolo palestinese che 60 anni fa venne di fatto spazzato via dalla propria terra (si tratta dunque in questo caso di pulizia etnica). Questa campagna , guidata dal CBO dei rifugiati palestinesi e delle persone dislocate internamente, dalle ONG e dal PLO in Palestina e in esilio, hanno coinvolto un incredibile numero di persone. Conseguentemente il pubblico nella regione Araba, in Europa, Africa, Asia e in America è oggi più consapevole dei crimini commessi da Israele e della necessità urgente di ottenere giustizia per il popolo palestinese, in particolare il ritorno dei rifugiati e delle persone internamente dislocate e la restituzione delle loro terre e delle loro proprietà.

Note rispetto a false accuse di antisemitismo

L’antisemitismo, definito come razzismo e discriminazione razziale nei confronti delle persone di estrazione ebraica (per ragioni di stampo etnico o religioso) è un fenomeno radicato in Europa. E dunque estraneo, in termini storici, al mondo arabo, la cui popolazione indigena, per quanto prevalentemente musulmana, si è composta nei secoli di una moltitudine di gruppi etnici e religiosi, includendo cristiani ed ebrei. La primitiva resistenza degli arabi contro gli immigrati ebrei in Palestina non era dovuta all’appartenenza di questi immigrati ad un particolare gruppo etnico o religioso, ma piuttosto al fatto che tale movimento migratorio risultava essere organizzato da un movimento sionista straniero (europeo) basato su una dottrina razzista, con l’obbiettivo di sostituire la popolazione indigena araba e stabilire una dominazione straniera sul territorio. Siccome fin dal 1948 lo stato d’Israele proseguì negli stessi obbiettivi, il rifiuto di una dominazione straniera e dello sfruttamento ad essa legato rimasero i motivi principali della critica moderna e della resistenza alle politiche e alle pratiche di quello stato e ciò non si deve confondere con l’antisemitismo.

False accuse d’antisemitismo sono frequentemente lanciate dai funzionari e dagli organi dello stato



d’Israele e dalle organizzazioni sioniste ad essi associate con lo scopo di discreditare e ridurre al silenzio le critiche volte alle politiche illegali israeliane e alle pratiche contro il popolo palestinese, anche se tale criticismo è totalmente basato sui diritto internazionale. Queste false accuse sono solitamente dovute ad argomentazioni secondo le quali criticare io stato d’Israele per le sue politiche razziste contro il popolo palestinese equivale ad ‘attaccare la collettività ebraica nei suo insieme’, risultando dunque questa essere una forma di antisemitismo.53 Tale argomento deriva dall’ideologia, dalle leggi e dai caratteri propri allo stato d’Israele e alle organizzazioni sioniste che accordano automaticamente io status di ‘cittadini ebraici di Eretz Israel’ a tutte le persone ebree dei mondo, ai di là che io vogliano o meno (vedi par. 34 di questo documento). Lo stato d’Israele, le organizzazioni sioniste ed i loro organi e funzionari sono dunque complici nella proliferazione dell’antisemitismo, per il fatto che suggeriscono che tutte le persone ebree nei mondo siano implicate nelle politiche e pratiche illegali intraprese dallo stato d’Israele contro il popolo palestinese.

Tali false accuse sono promosse con particolare successo tra le società d Europa e Nord America dove sentimenti isiamofobici e anti arabi incontrano la rabbia dei pubblico e insieme la critica incitata dalle azioni di Israele, delle organizzazioni sioniste con la complicità dei governi occidentali. In questo cotesto l’antisemitismo viene spesso confuso con la critica legittima delle politiche israeliane. Quando misure volte ali’ eliminazione dell’antisemitismo per mancanza di consapevolezza o per via di pressioni politiche sono coinvolte nell’ ostacolare il legittimo dibattito sui ruolo dello sionismo e sullo stato d’Israele, ciò mina ulteriormente la credibilità dell’importanza della tutela dei diritti umani nei mondo, in particolare nei confronti dei popolo palestinese e di altri popoli arabi e comunità musulmane.

Non c’è spazio per razzismo ed anti semitismo, nella lotta per i diritti dei popolo palestinese. Consideriamo queste false accuse d’antisemitismo un esempio flagrante di ‘legittimizzazione intellettualistica dei razzismo’, questa è la sfida più difficile nella lotta contro il razzismo. Chiediamo che ci sia la volontà politica di affrontare il razzismo nei casi legati allo stato d’Israele e consideriamo tale volontà politica la condizione sine qua non per il raggiungimento di maggiori obbiettivi da parte dei programma d’azione di Durban: ad esempio ‘l’eliminazione dell’antisemitismo, deli’ antiarabismo, e dell’islamofobia in tutto il mondo’ (par. 150).

53 See, for example, the "Working Definition of Antisemitism" promoted by the European Forum on Antisemitism: http://www.european-forum-on-antisemitism.org/working-deflnition-of-antisemitism/english/




Conclusioni

42. Sessant’anni dopo la Nakba del 1948 e 41 anni dopo l’occupazione dei Territori Occupati da parte di Israele c’è la necessità impellente di riesaminare la natura del sistema politico e legale israeliani, in particolare nei confronti del popolo palestinese. Analisi approfondite rivelano un sistema che ha sistematicamente discriminato ed oppresso tutti i palestinesi per sei decadi: si trattasse dei rifugiati in esilio, dei palestinesi cittadini d’Israele e di quelli residenti nei Territori Occupati. Tale discriminazione si è sviluppata a partire dalla nazionalità, in modo da impedire ai palestinesi l’autodeterminazione e nel fine di portare a termine la colonizzazione e dominazione degli immigrati ebrei. Il sistema politico d’Israele è l’espressione di un’ideologia razzista e di un movimento politico chiamato sionismo dai suoi fondatori; in termini legali, si tratta di un sistema che combina in modo unico apartheid, colonialismo per mezzo di insediamenti e occupazione armata.

43. Le Nazioni Unite, in particolare il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea generale e la comunità diplomatica guidata dagli Stati Uniti, hanno fallito nel riconoscere ed affrontare in maniera affettiva il razzismo e la discriminazione razziale in quanto cause radicale dello sforzo israeliano sistematico e persistente di colonizzare la terra palestinese e opprimere, spossessare, dislocare c/o dominare il popolo palestinese, incluso durante la conferenza mondiale contro il razzismo del 2001. Quest’ultima ha invece partecipato ulteriormente nell’alimentare il razzismo e la discriminazione razziale in quanto cause radicali delle politiche e pratiche israeliane provvedendo il supporto politico, economico e militare al sistema israeliano fondato su apartheid, colonialismo ed occupazione.

44. Tutti gli sforzi diplomatici per ottenere la pace in Medio Oriente non hanno dunque messo fine all’occupazione e all’aggressione militare d’Israele. Non riuscendo a proteggere ed assicurare giustizia al popolo palestinese, nel rispetto del loro diritto inalienabile all’autodeterminazione e di altri diritti fondamentali sanciti dal diritto internazionale la comunità internazionale ha minato la credibilità del diritto internazionale, incluso di quello umanitario e del diritto che tratta la tutela dei diritti umani e la carta delle Nazioni Unite, come strumento atto ad assicurare relazioni internazionali nel rispetto della pace e della legalità insieme al progresso economico e sociale di tutti i popoli.

45. Lo stato d’Israele deve rispondere ai propri obblighi legali. L’impunità per le grandi e gravi violazioni del diritto internazionale e il trattamento d’eccezione in contravvenzione al diritto delle nazioni devono terminare. Solamente ristabilendo la giustizia e la dignità del popolo palestinese potrà essere restaurata la pace duratura in Medio Oriente. Siccome le Nazioni Unite hanno dimostrato scarsa volontà politica di azione efficace, l’ampia comunità internazionale, in particolare le chiese, i sindacati, le ONG e i rappresentanti della cultura e dell’accademia, così come gli esperti indipendenti sono chiamati a sviluppare e fortificare misure effettive , quali la campagna per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele (BDS CAMPAIGN) e a prendere azioni legali che spingano la volontà politica degli stati e delle Nazioni Unite a rispettare il loro obbligo legale nei confronti del popolo palestinese fermando e capovolgendo il sistema politico israeliano basato su apartheid, colonialismo d’insediamento ed occupazione annata.





Allegato

Raccomandazioni rivolte alla prossima Conferenza di Durban (aperto ad ulteriori discussioni

Generale

1. Chiamiamo la comunità internazionale nel suo complesso, in particolare gli stati, le Nazioni Unite e le alti parti contraenti della Quarta convenzione di Ginevra a rispettare i loro obblighi legali:

Condannando e sopprimendo i crimini di guerra contro l’umanità commessi per conto del sistema politico israeliano basato su apartheid, colonizzazione e trasferimento della popolazione; assicurandosi di punire i colpevoli e provvedendo all’ adeguato ed effettivo risarcimento delle vittime palestinesi, incluso il ritorno e la restituzione delle proprietà a coloro che vennero dislocati e privati dei loro beni conseguentemente a tali crimini internazionali;

Proteggendo i civili palestinesi sotto occupazione straniera ed assicurando il rispetto del diritto

internazionale umanitario da parte dello stato d’Israele in quanto forza occupante: l’occupazione militare deve infatti essere temporanea e l’acquisizione di un territorio con la forza è proibita dal diritto internazionale. Israele è obbligato a rispettare i diritti umani e il diritto internazionale umanitario nei Territori Occupati, fermare l’assedio di Gaza e rilasciare i prigionieri politici palestinesi, terminando l’occupazione e restituendo tale territorio al popolo sovrano palestinese;

Promuovendo rispettando e proteggendo i diritti umani fondamentali dell’intero popolo

palestinese in particolare i diritti inalienabili all’autodeterminazione ed il diritto dei rifugiati di tornare alle loro case e proprietà ed il diritto all’uguaglianza.

2. Chiediamo alla comunità internazionale, in particolare gli stati non allineati, inclusi quelli

arabi, e le organizzazioni regionali, le Nazioni Unite e le società civili di tutto il mondo, di

intraprendere misure pratiche ed effettive volte a creare la volontà politica di riconoscere ed

eliminare il sistema d’apartheid, colonialismo ed occupazione israeliano, e che lo facciano anche attraverso boicottaggio, disinvestimento e sospensione delle relazioni economiche e diplomatiche.

3. Chiediamo urgentemente a tutti coloro che prenderanno parte al processo di rivisitazione

di Durban e alla conferenza di adottare tutte le seguenti misure pratiche ed effettive nel rivisto programma d’azione di Durban, instaurando allo stesso tempo un robusto meccanismo di monitoraggio alla sua esecuzione:

All’Assemblea Generale chiediamo

4. Di attivare la procedura ‘Uniti per la pace’ in modo tale da porre rimedio al fallimento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite prendendo misure effettive contro lo stato d’Israele il cui sistema politico criminale rappresenta una minaccia alla pace e alla sicurezza nel mondo.

5. Adottare una risoluzione che chieda al Segretario Generale delle Nazioni Unite di ritirare dal processo di pace in Medio Oriente i membri che hanno chiare posizioni contro c/o hanno violato il diritto internazionale c/o la Carta delle Nazioni Unite, minando in quel modo la credibilità del sistema di tutela dei diritti umani nel mondo.



6. Adottare risoluzioni che condannino e dichiarino come illegale l’intero sistema israeliano di occupazione armata protratta e richiedano una nuova opinione della Corte Internazionale di Giustizia rispetto alle conseguenze legali per la comunità internazionale e per lo stato d’Israele derivanti dal regime d’occupazione israeliano che include elementi di colonialismo ed apartheid.

7. Adottare risoluzioni che vincolino gli stati a fare pressione economica e diplomatica (incluso attraverso sanzioni) sullo stato d’Israele affinché metta in pratica le raccomandazioni fornite dalla Corte Internazionale di Giustizia e dalle risoluzioni delle Nazioni Unite ad essa relative nel rispetto degli obblighi nei confronti del diritto internazionale; stabiliscano e rendano attivi meccanismi di monitoraggio sulla conformità della comunità internazionale rispetto a tali risoluzioni.

8. Adottare una risoluzione che condanni in quanto forma estrema di manifestazione di apartheid israeliana la negazione del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi e delle persone internamente dislocate, affermando il diritto di queste vittime ad un giusto ed effettivo risarcimento, incluso il ritorno alle proprie case e restituzione delle loro proprietà, chiamando lo stato d’Israele a provvedere a tale risarcimento.

9. Sostenere e aumentare le risorse del comitato sui diritti inalienabili del popolo palestinese e la divisione per i diritti palestinesi, con particolare attenzione alla partecipazione della società civile.

10. Stabilire un meccanismo/tribunale delle Nazioni Unite attraverso il quale le vittime palestinesi possano avere accesso ad effettivi rimedi, inclusi il risarcimento alla luce del fatto che gli organismi delle Nazioni Unite odierni, incluso quello per il reclamo e per la registrazione dei danni subiti a causa del muro, risultano chiaramente inefficaci.

Agli organismi per la tutela dei diritti umani Procedure Speciali ed Esperti Indipendenti

11 .Perchè il Consiglio sui diritti Umani, il Comitato per l’Eliminazione della discriminazione

Razziale e 1’OHCHR diano inizio alla creazione di un meccanismo di collaborazione con le Nazioni Unite per l’investigazione sul regime d’apartheid israeliano, sulla colonizzazione e l’occupazione, incluso l’esame dell’applicabilità dei crimini d’apartheid e genocidio, e le loro conseguenze per le vittime palestinesi (quelle nei Territori Occupati, i palestinesi cittadini d’Israele ed i rifugiati) allo scopo di raccomandare all’intero sistema delle Nazioni Unite misure pratiche perchè tali crimini siano eliminati. La consultazione delle vittime palestinesi, della società civile e delle ONG dovrà essere centrale in questo processo.

1 2.Perchè il Comitato per i diritti fondamentali del popolo palestinese attivi le proprie risorse e responsabilità e sostenga gli sforzi delle Nazioni Unite e della società civile nell’eliminazione del sistema razzista israeliano e protegga i diritti inalienabili del popolo palestinese, così come lo fece in passato per il popolo sudafricano attraverso il Comitato Speciale contro l’Apartheid.

Alle Agenzie ed Organizzazioni Internazionali Umanitarie o per lo Sviluppo

13. Perché diano priorità ad operazioni volte alla protezione pratica e alla collaborazione volte





alla prevenzione ed all’ impedimento del trasferimento forzato dei palestinesi promuovendo

il rispetto di tutti i diritti dei palestinesi dislocati, incluso quello dei rifugiati di tornare alle loro

case e proprietà originarie, in conformità con il diritto internazionale, con le risoluzioni delle

Nazioni Unite e con i Principi Guida sulla Dislocazione Interna.

14. Non rendere aiuto o assistenza al regime d’apartheid, colonialismo ed occupazione israeliano durante l’esecuzione di operazioni umanitarie, incluso riguardo a permessi e nelle misure di sicurezza, e ritenere responsabile lo stato d’Israele per i danni arrecati alle infrastrutture e ai servizi finanziati e sostenuti dalla comunità internazionale per il popolo palestinese nei Territori Occupati.

Alla società civile NGO e al settore privato ai mezzi di comunicazione in tutto il mondo

15. Perché la società civile e le ONG facciano pressione sugli stati, le Nazioni Unite ed il settore

privato per sospendere la cooperazione con Israele esaminando la sua conformità con il diritto internazionale e con le risoluzioni delle Nazioni Unite.

16. Sostenere e sviluppare la consapevolezza pubblica riguardo al regime d’apartheid, colonialismo ed occupazione criminale d’Israele; promuovere e sostenere la lotta dell’intero popolo palestinese nella Palestina storica (oPT ed Israele) e in esilio, fino alla realizzazione dei diritti di autodeterminazione, giustizia, ritorno, ed uguaglianza in quanto persone e in quanto individui. Perché i mezzi di comunicazione sostengano questo sforzo.

17. Sostenere e sviluppare la campagna globale per il disinvestimento e boicottaggio (BDS)

contro Israele lanciata dalla società civile palestinese nel 2005. Chiediamo in particolare ai

sindacati, ai comitati, alle associazioni, alle chiese e al settore delle ONG di intraprendere misure

pratiche che isolino il regime d’apartheid israeliano e sostengano il popolo palestinese.

18. Perché le organizzazioni indipendenti per i diritti umani e gli esperti legali continuino negli

sforzi legali volti a punire i colpevoli di crimini internazionali contro il popolo palestinese

chiamando Israele e i suoi complici a rispondere ditali crimini. Organizzazioni sioniste,

compagnie straniere e governi che collaborano con Israele devono renderne conto nelle corti, incluso la corte europea per i diritti umani: vi chiediamo di escogitare nuove strategie perché ciò avvenga.

19. Agli studenti, esperti, e alla società civile: perché si continui a studiare esponendo i fatti, le cause e le conseguenze delle ingiustizie passate e presenti, così come dei crimini commessi dallo stato d’Israele, dalle organizzazioni sioniste e dai loro alleati intraprendendo attività volte alla promozione di giusti processi e risarcimenti, che restituiscano onore e dignità alle vittime palestinesi.

Diamo la nostra mano alle vittime del razzismo in tutto il mondo, in particolare ai popoli indigeni e alle altre vittime di schiavismo e colonialismo, per unire le nostre forze nella lotta comune per un mondo senza razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e tutte le forme di intolleranza ad essi connesse.


NOTE

1
Il termine “regime” in questo documento verrà utilizzato allo scopo di indirizzare il sistema di leggi, strutture, politiche e pratiche che regolano la relazione tra lo stato d’Israele e il popolo palestinese. Il termine non si riferisce ad un governo o un periodo di governo in particolare. Torna al testo.
2 Vedi la sottosezione intitolata ‘vittime’, paragrafi 63 65, citati nel box qui sotto. Torna al testo.
3Prof. Richard Falk, University of Princeton, delegato speciale delle Nazioni Unite che nel 2008 ha riportato sulla condizione dei diritti umani nei oPT; vedi per esempio: electronicintifada.net, 21 January 2008; oppure: www.transnational.org/Area MiddleEast/2007/Falk PalestineGenocide.html
4HC 840/97, Sbait et al. y. State of Israel, 2003. Torna al testo.
5BADIL Survey of Palestinian Refugees and Internally Displaced Persons 2006 2007, p.1 8. Secondo OCHA, il 40% della West Bank è stata resa inaccessibile ed invivibile per i Palestinesi, mentre il 14% di quest’area è stata confiscata. Consulta: Report of the Special Rapporteur on the situation of human rights in the 1967 OPT, Richard Falk, par. 32 33; A/63/326 of 25 August 2008. Torna al testo.
6Per degli esempi, consulta paragrafi 27, 37 e le note a pié di pagina ad essi relativi in questo documento.
7Arab Association for Human Rights, Uprooted Citizens, 7 May 2008.
8Human Rights Watch: Land and Housing Rights Violations in Israel’s Unrecognized Bedouin Villages, March 2008; Isabelle Humphries, Washington Report on Middle East Affairs, “Bringing Life to the Desert”: Israel’s Master Plan for Dispossession in the Negev, 15 March 2008.
9Vedi, per esempio: Palestinian Economic Prospects: Aid, Access and Reform; World Bank, 22 September 2008, p. 47 56. Per carte geografiche che illustrino la situazione, vedi: OCHA OPT Map Center.
10 Nel marzo 2008, Peace Now (“The Death of the Settlement Freeze 4 Months since Annapolis”), ha registrato la vendita di 745 unità abitative e piani pe oltre 3,600 a partire dal dicembre 2007. L’Applied Research Institute Jerusalem (ARIJ) riporta che ci siano piani per oltre 30,000 unità, tra cui 13,000 a Gerusalemme, il 18 luglio 2008.
11Civic Coalition to Defend Palestinian Rights in Jerusalem, Submission to the Universal Periodic Review of Israel (July 2008). L’ Outline Plan Jerusalem 2000 (2004, 2006) descrive misure, incluse quelle di segregazione, da utilizzare allo scopo di preservare la proporzione demografica in termini di 70:30 % abitanti ebrei e palestinesi (il cosiddetto ‘bilancio demografico).
12Israeli Committee Against House Demolitions, "Statistics on House Demolition (1967 2007)", October 2008.
13Monitoring Israeli Colonization Activities Project, The Israeli Policies in Area C: Silent Transfer of the Palestinian Population, 12 ottobre 2008: http://www.poica.org/editor/case studies/view.php?recordlD= 1592 Inoltre: UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), "Lack of Permit" Demolitions and Resultant Displacement in Area C, May 2008. "Area C" rappresenta la maggior parte della terra nella West bank occupata che è rimasta sotto il controllo israeliano come previsto dagli accordi tra il PLO ed Israele nel 1990. Per l’illustrazione della divisione territoriale: www.ochaopt.org/documents/ReferenceoptCAP2006.pdf
14 Palestinian Center for Human Rights (PCHR), "Statistics related to Al Aqsa Intifada/Destruction of Land and Property": www.pchrgaza.org/alaqsaintifada.html Vedi inoltre: Human Rights Watch, Razing Rafah: Mass House Demolitions in the Gaza Strip, October 2004.
15BADIL Survey of Palestinian Refugees and Internally Displaced Persons 2006 2007, pp. 43 44. See also: IDMC and NRC, Forced Displacement Continues, Report of 10 September 2008.
16Palestinian grassroots Anti Apartheid Campaign, Ma’an Development Center, Threatened Villages: Palestinian population centres between isolation and expulsion: www.stopthewall.org/downloads/pdf/ThreatenedvillagesFS.pdf
17Human Rights Watch, Razing Rafah: Mass House Demolitions in the Gaza Strip, Ottobre 2004.
18Per uleriori informazioni sugli omicidi extragiudiziari: www.pchrgaza.org/speciallpositionextra.html Per i processi legali della Corte Suprema di Giustizia israeliana:
http://elyonl.court.gov.iIIFilesENG!02/690!007/a34/02007690.a34.htm
19Addameer Political Detention: The Infinite Violation of Human Rights, at: www.addameer.org/detentionlbackground.html
20 Btselem, Agosto 2008.
21 Tra il settembre 2000 ed il novembre 2004, solo 74 su 1,600 casi di morti civili sono stati investigati ed unicamente 16 sono stati seguiti da condanne. Consulta: Human Rights Watch, Promoting Impunity: The Israeli Military’s Failure to Investigate Wrongdoings; June 2005.
22Questi sono semplici esempi e non rappresentano una lista esaustiva delle iniziative intraprese.
23 Vedi: A!HRC!WG.6/3/ISRI2 of 15 Sepember 2008. Ii governo israeliano rifiuta regolarmente di fornire o discutere informazioni riguardo ai oPT basandosi sulla visione secondo cui Israele non ha responsabilità rispetto all’osservazione dei diritti umani in quei terriotori, ignorando il suo effettivo controllo su di essi.
24ibid, par. 13.
25ibid, par. 12. Vedi inoltre il riferimento al CESCR qui sotto, e al A/HRC/7/16/Add. 1, p. 37; E/CN.4/2004/10/Add.2, p. 3, e, E/CN.4/2003/5/Add.1.
26CERD/C/ISR/CO/13, par. 22, 23, 33, 34 and 35.
27Vedi per esempio, UN Special Rapporteur, Prof. John Dugard: Human Rights Situation in Palestine and other OccupiedArab Territories, AIHRC/4/17 (29 January 2008); A/HRC/7/17 (21 January 2008).
28E/C.12/1/Add.27 of 4 December 1998.
29E/C.12/1/Add. 90, par. 12 16.
30CERD/C/ISR/CO/13.
31 Vedi, per esempio: A!HRC/2/5 of 5 September 2006, par. 75 76; and, A/62/275 of 17 August 2007, pp. 3, 20.
32 A/62/360 of 24 September 2007.
33 Un Davis, Apartheid Israel, Possibilities for the Struggle Within, Zed Books, London, 2003, p. 37.
34 Vedi, per esempio: Roger S. Clark, “Apartheid”, International Criminal Law, Second Edition, Volume I, Edt. M. CherifBassiouni, 1991, p. 645.
35 Tali nozioni di ordine religioso e spirituale vennero condivise dagli ebrei per migliaia di anni, è solo attraverso il colonialismo che esse vennero trasformate in un movimento politico. Gli ebrei non europei non diedero inizio a tale movimento. Così come per altri movimenti coloniali, i concetti religiosi vennero utilizzati in quel proposito. Su questo tema consultare, per esempio: Israel Shahak, Jewish History, Jewish Religion: The Weight of 3,000 Years. London: Pluto Press, 1994; e, Israel Shahak, "Israel’s discriminatory polices are rooted in Jewish religious law", Washington Report on Middle East Affairs, July/August 1995.

36 Differentemente da altri progetti coloniali che miravano allo sfruttamento della forza lavoro indigena, il fine del colonialismo da insediamento sionista era quello di ridurre il bisogo degli indifeni palestinesi sbarazzandozene. Vedi per esempio: Nur Masalha, Expulsion of Palestinians: The Concept of ‘Transfer’ in Zionist Political Thought, 1882 1948. Institute for Palestine Studies, 1992; and, Ilan Pappe, The Ethnic Cleansing of Palestine. Oneworld Publications, 2006.

37 Il conflitto armato tra le milizie sioniste e le popolazioni palestinesi locali è iniziato immediatemente dopo che le Nazioni Unite raccomandarono la partizione della Palestina nel novembre 1947 (Risoluzione dell’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite numero 181); approssimatamente 300.000 palestinesi erano già stati dislocati nel momento in cui, nel maggio 1948, venne fondato lo stato d’Israele ed iniziò il conflitto armato. Vedi: BADIL Survey of Palestinian Refugees and IDPs 2006 2007, Chapter 1.


38 Quindi, per esempio, l’ex primo ministro Golda Meyer spiegò: ‘la frontiera (d’Israele) è laddove vivono gli ebrei, non dove lo segna la mappa geografica.’ In: Souad A. Dajani, Ruling Palestine: A History of the Legally Sanctioned Jewish Israeli Seizure of Land and Housing in Palestine, Center on Housing Rights and Evictions (COHRE) and BADIL, 2005, p.72.

39 I palestinesi non vengono identificati come un gruppo razziale/nazionale nel dirito e nei documenti pubblici israeliani. Ci si riferisce ai palestinesi atraverso il termine: ‘persone che non rientranno nello scopo della legge sul ritorno’. Altre espressioni usate dall’amministrazione, dall’Ufficio Centrale di Statistica Israeliano o dai mezzi di comunicazione ufficiali sono quelle di ‘minoranze’ o ‘arabi’. Tali designazioni riflettono la volontà di non riconoscere i palestinesi come gruppo nazionale e servono a nascondere il carattere discriminatorio delle politiche e leggi israeliane. Per un’analisi legale dettagliata, vedi, per esempio: W. Mallison, “The Zionist Israel juridical claims to constitute the Jewish people nationality entity and to confer membership in it. Appraisal in public international law”, 32 George Washington Law Review, 1964, pp 983 1075; inoltre: Roselle Tekiner, "Race and the Issue of National Identity in Israel’, Journal of Middle East Studies, 23 (1991), 39 55; e, Adalah, "Institutionalized Discrimination Against Palestinian Citizens of Israel", Report to 2001 WCAR, Durban, August/September 2001.

40 Nella traduzione ufficiale israeliana questa legge viene erroneamente intitolata ‘Legge sulla Nazionalità’.

41 Roselle Tekiner, ‘Race and the Issue of National Identity in Israel’.

42 Aron Shai, “The Fate of Abandoned Arab Villages in Israel, 1965 1969” in: History and Memory, Vol. 18, issue #2 (Fall 2006), University of Indiana Press. Consulta inoltre: Meron Benvenisti, Sacred Landscape: the Buried History of the Holy Land, Berkeley: The University of California Press, 2000; Walid Khalidi, "Why Did the Palestinians Leave, Revisited." Journal of Palestine Studies, 134:2 (1995); Slaman Abu Sitta, Atlas of Palestine 1948, Palestnie Land Society, December 2004; Ilan Pappe, The Ethnic Cleaning of Palestine.

43 II parlamento ha emesso una legislazione che estende le leggi israeliane ai oPT considerandola materia per giurisdizione extraterritoriale, ad esempio: Emergency Regulations (Offense Committed in Israeli Held Areas) Ordinance, the Knesset Election Law of 1969, the Income Tax Ordinance of 1978, the Value Added Tax of 1978, Fino agli accordi di Oslo le corti palestinesi potevano legiferare contro i coloni ebrei basandosi sul diritto penale e civile palestinese. A partire dagli accordi di Oslo invece, secondo quanto deciso dagli accordi tra PLO ed Israele, il compito di legiferare su persone di estrazione ebraica e a proposito degli insediamenti veniva garantito in maniera esclusiva allo stato d’Israele e alle sue corti, nella violazione del diritto internazionale.

44 Un regime basato su una miriade di ordini militari israeliani e da quelli risalenti alle leggi e ai regolamenti ottomani, britannici, giordani ed egiziani.

45 I documenti storici confermano che l’occupazione del 1967 e l’inizio dell’amministrazione militare nei territorio erano state premeditate allo scopo di ‘completare l’affare del 1948 rimasto inconcluso’. Consulta per esempio: Tom Segev, 1967. Israel, the War, and the Year that Transformed the Middle East, Metropolitan Books, 2007, p. 458.

46 Tali indicatori vennero sviluppati in modo da fortificare la capacità del CERD di individuare e prevenire il prima possibile possibili sviluppi di discriminazione razziale che possono condurre al conflitto armato e al genocidio. Per maggiori dettagli consultare: Human Rights Council, Intergovernmental Working Group on the Effective Implementation of the Durban Declaration and Programme of Action, Geneva, 3 7 September 2007, Item 7; A/HRC/4/WG.3/7 of 15 June 2007.

47 BADIL Survey of Palestinian Refugees and Internally Displaced Persons 2006 2007, Chapter 1.




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