Dal 1978 in poi, con la creazione di una fiction televisivo dedicato all’«olocausto», siamo stati letteralmente bombardati all’idea di un solo ed unico genocidio per antonomasia, quello degli ebrei nei campi di concentramento nazisti. Non solo l’evento è stato ed è continuamente proposto ed imposto da una filmografia che è interamente ebraico-sionista fino a farlo diventare persuasione bubliminale ed a produrre una letteratura assertiva fino all’incredibile, un esercizio di retorica che in epoca rinascimentale era concentrato. ad esempio, sul tema dell’amore: cosa l’amore è, quale la donna più bella, e simili. Chi aveva tempo e voglia, poteva sbizzarrirsi, ma gli altri restavano liberi di annoiarsi. Tutt’altra cosa è per le vicende tragiche della Seconda Guerra Mondiale, come insegna il recente caso del vescovo Williamson, contro il quale è stata condotta un’operazione “piombo fuso” dei media chiaramente controllati da Israele e dalla sua Lobby dislocata nei diversi paesi. Anche internet è in pericolo. Anche qui i «difensori di Israele» tentano di imporre il bavaglio e la reductio al pensiero “unico”. Lavori come quello di Giannantonio Valli, di una sterminata erudizione, possono essere utilmente letti per capire i diversi passaggi di un’incredibile opera di condizionamento, di cui non erano stati capaci né il nazismo né lo stalinismo.
Eppure non è difficile rendersi conto che un ben più grave e maggiore genocidio è imputabile al “popolo libero”, cioè a quella massa di immigrati europei che hanno fatto carne da macello della popolazione autoctona dell’America del Nord. Esistono specificità nei diversi genocidi ad opera degli imperi coloniali latino-cattolici e anglosassoni-protestanti. Per capire le importanti distinzioni bisogna accedere ad una letteratura specifica che di certo non gode dell’immensa pubblicità riservata a quelle produzione che un scrittore come Norman G. Finkelstein non esita a chiamare “cianfrusaglia” storiografica. Ma ognuno di noi conosce sulla sua pelle la potenza del marketing: sono capaci pure di convincerti che il veleno fa bene alla salute! La forza della ripetizione produce a lunga scadenza gli effetti voluti. La scuola pubblica e privata, cioè sovvenzionata, ha ormai cessato di essere il luogo dell’educazione critica e della formazione degli “spiriti liberi”, perseguitati come la peggiore specie di criminali, ove ne siano ancora rimasti, ovvero ne siano “sopravvissuti”. Negli USA somme colossali sono state spese e vengono spese per ricordare l’«olocausto» israeliano e farne una politica ad hoc, ma dimenticano fin troppo facilmente un “olocausto” che riguarda personalmente ogni cittadino statunitense che calca le terre che furono del pellerossa: l’«olocausto» vergognosissimo degli Indiani d’America!
Al massimo ognuno di noi, giunto a maturità, riesce a chiedersi come abbiano potuto educarci con innumerevoli film americani osceni, dove si vedevano da una parte i bianchi armati di fucili e cannoni e dall’altra selvaggi vocianti e colorati, che al massimo disponevano di freccie. Un vero e proprio massacro, una mattanza non di balene, ma di uomini, i quali allora ed oggi suscitano minore pietà e reazione morale della mattanza delle balene Curioso come la nostra epoca abbia suscitato forse una maggiore sensibilità per lo sterminio di specie animali che non per il genocidio di popoli. Non è impossibile da spiegare. Si tratta sempre della capacità di condizionamente attraverso l’opera concertata di media, istituzioni culturali, classe politica che proncuncia discorsi ufficiali che danno la linea e la tendenza. Concludo questa presentazione della rivista “StoriaVerità”, dai cui numeri – d’intesa con l’editore – estrarrò qualche articolo di particolare interesse per i temi di “Civium Libertas”, osservando che i governanti americani da Clinton in poi avrebbero dovuto edificare un ben altro “museo dell’olocausto”: quello dell’olocausto degli indiani, che hanno massacrato e cancellato dalla faccia della terra e dalla memoria degli uomini con ben altra e maggiore ferocia e determinazione di quella attribuita ai nazisti, che figurano sempre come i “cattivi” dello schermi, mentre i “coloni” di qua e di là dell’Atlantico sono per assioma inconfutabile i “buoni”.
Il “conquistador” Herman Cortez a colloquio con un ambasciatore dell’imperatore azteco Montezuma. I primi contatti con i conquistatori spagnoli saranno destanti, per la superiorità tecnica e militare degli iberici, ma soprattutto per l’introduzione in America di epidemie di vaiolo, morbillo e colera.
Indios malati di vaiolo. Le malattie endemiche nei due mondi si mescolarono, diventando epidemiche: il vaiolo colpì le Americhe, mentre la sifilide infuriò il Europa. Tuttavia il diverso livello di vita e di sviluppo scientifico, oltre ad un più provato sistema immunitario, diede agli europei un decisivo vantaggio sugli amerindi.
Alcune delle atrocità attribuite agli europei: conquistadores che sfracellano bambini contro un muro, mentre ardono degli indios impiccati.
Alla fine del XVII secolo, l’America centrale e meridionale avevano perso circa il 95% della loro popolazione autoctona, con circa 80.000.000 di individui scomparsi e sostituiti da alcune centinaia di migliaia di iberici. All’inizio del XVI secolo, a nord del Messico, la popolazione autoctona contava circa 8.000.000 di unità, anche se molti studiosi elevano questa cifra a 1.2.000.000. Sta di fatto che, dopo 350 anni di dominio europeo, di questa popolazione non restavano che 400.000 superstiti, suddivisi tra Canada e Stati Uniti d’America.
Come fu possibile un genocidio di queste proporzioni? Spiegarlo dettagliatamente risulterebbe impossibile, almeno in questa sede. Ci limiteremo dunque ad elencare soltanto alcuni degli strumenti dell’immane sterminio, come le epidemie e le guerre, seguiti dalla rimozione forzata delle popolazioni e dalla distruzione del modello di vita, delle risorse ambientali e dell’ecosistema delle nazioni indigene. Il genocidio degli indiani dell’America centrale e meridionale compiuto soprattutto dagli spagnoli, ma anche dai portoghesi, non ha forse eguali per crudeltà e spietatezza. Le malattie, importate o indotte dai conquistadores iberici, uccisero milioni di indiani, ed altrettanto forse ne uccisero con la spada gli spagnoli nella loro folle ricerca dell’oro e attraverso lo sfruttamento del lavoro schiavistico. Circa un secolo dopo, in America settentrionale, gli inglesi e i francesi, non si comportarono in maniera migliore. Sia a settentrione che a meridione del Nuovo Continente, l’eliminazione e l’assoggettamento delle popolazioni indiane fu sempre premeditato, studiato ed eseguito razionalmente; filosoficamente e religiosamente giustificato, moralmente accettato e poi rimosso dalla coscienza degli sterminatori. A parte qualche rara eccezione, i religiosi cristiani di ogni confessione al seguito dei conquistatori europei, assistettero al massacro con perfetta adesione e cristiana compassione. In questo contesto, nella Nouvelle France (comprendente l’attuale Canada centro-occidentale e la “Grande Louisiana”), i francesi non si comportarono meglio degli spagnoli e dei portoghesi, anche se con qualche eccezione. E, tra il XVII e XVIII secolo, essi sterminarono intere tribù, come quella dei Natchez e dei Mesquakie (Fox). Sorte ben peggiore la patirono però le popolazioni indiane a contatto con i coloni inglesi (ma anche olandesi) che nel corso di svariate guerre annientarono moltissime tribù.
Una delle ragioni, o meglio dei mezzi, che portarono alla distruzione la maggior parte delle comunità indigene americane, fu l’introduzione presso popolazioni prive di difese immunitarie, di patologie micidiali come vaiolo, colera, scarlattina, tosse cattiva, difterite, dissenteria, meningite, tifo, malaria, febbre gialla, influenza, morbillo, peste bubbonica, tubercolosi, pleurite, orecchioni. Tra l’inizio del XVI e la fine del XIX secolo, nei territori a settentrione del Messico, si verificarono 93 gravi epidemie e pandemie, una ogni 4 anni e due mesi, che portarono all’annientamento di centinaia di migliaia di indigeni.
Le malattie si diffusero attraverso i contatti iniziali tra nativi e bianchi, esploratori e mercanti prima, e coloni e soldati in seguito. Probabilmente, in Nord America, le perdite più elevate si verificarono durante i primi cento anni di contatti, grosso modo dai primi anni del XVI secolo, sino alla sua fine. Nella fattispecie. le epidemie di vaiolo che colpirono l’America settentrionale uccisero dal 60 al 90 per cento delle popolazioni colpite. Nel 1528, la tribù texana dei Karankawa venne decimata dal colera, ed anche le popolazioni Timucuan della Florida furono colpite e devastate da epidemie che, in meno di settant’anni, ne ridussero il numero da 770.000 a 36.450 unità. Con l’insediamento dei coloni europei lungo le coste settentrionali americane, le malattie si diffusero con grande rapidità. Nel corso del XVII secolo, dodici epidemie di vaiolo, quattro di morbillo, tre di influenza, due di difterite, una di peste bubbonica, una di scarlattina e una di tifo provocarono la scomparsa di un numero impressionante di indigeni. Per fare un esempio, l’epidemia di vaiolo del 1616-19, ridusse la tribù dei Massachussett da 10.000 a 1.000 unità. Tra il 1612 e il 1612 [così nel testo: evidente refuso che non posso correggere io], la peste bubbonica fece strage dei Wampanoag, degli Abenaki e dei Pawtucket. E, tra il 1634 e il 1640, la potente confederazione degli Uroni, composta da 28 villaggi e circa 30.000 persone ne perse circa 20.000 a causa del vaiolo. Nella seconda metà del XVII secolo, alcune terribili epidemie ridussero i Winnebago del Wisconsin da circa 20.000 a meno di 600 unità (1670). E tra il 1613-17. 1649-50, e nel 1672, le epidemie di morbillo, colera, tubercolosi ed altre malattie fecero stragi tra le tribù Timucuan della Georgia e della Florida. E nel 1699, nel South Carolina, il vaiolo spazzò via “un’intera nazione mentrealtre cinque o sei fuggirono lasciando i loro morti insepolti agli avvoltoi”. Nel 1698-99, il vaiolo si diffuse lungo il corso del fiume Arkansas, sterminando i Quapaw, i Tunica e i Biloxi. Nel secolo successivo, gli Irochesi furono anch’essi colpiti dal vaiolo (1717, 1731-32, e 1737), e nel 1763, una micidiale epidemia scoppiata fra gli indiani dell’Ohio venne innescata di proposito dal generale Jeffrey Amherst, comandante in capo delle forze britanniche in Nord America. Egli fece, infatti, spedire nei villaggi indiani quantitativi di coperte appartenute a coloni bianchi deceduti a causa del vaiolo. In breve tempo la malattia fece strage tra i Delaware, i Mingo e gli Shawnee, contribuendo a spezzare definitivamente la pericolosa ribellione del famoso capo indiano Pontiac. Nel sud, il vaiolo distrusse, nel 1738, metà dell’intera nazione Cherokee che nel 1783 venneriìo nuivamente falcidiati. Nei territori spagnoli il vaiolo colpì nel 1719, 1733, 1738, 1747 e 1749 e negli anni ’80 del XVIII secolo gli indiani del Nuovo Messico furono colpiti da un’epidemia che uccise 5000 Pueblo. Le città e gli insediamenti indiani patirono, di solito, molte più perdite che i villaggi abitati dai bianchi. Nel Texas, la maggior parte degli indiani scomparve in seguito ad alcune terribili epidemie a catena (1739, 1746, 1766 e 1778). Durante il diciottesimo secolo, il vaiolo colpì ripetutamente anche le coste occidentali e le pianure centrali. Uno dei periodi più neri, forse anche perché quello maggiormente documentato, fu però il XIX secolo. Nell’Ottocento le popolazioni native del continente nord americano furono colpite da 27 grandi epidemie: tredici di vaiolo, cinque di morbillo, tre di colera e le rimanenti di malaria, difterite e scarlattina e febbre gialla.
(segue)
Eppure non è difficile rendersi conto che un ben più grave e maggiore genocidio è imputabile al “popolo libero”, cioè a quella massa di immigrati europei che hanno fatto carne da macello della popolazione autoctona dell’America del Nord. Esistono specificità nei diversi genocidi ad opera degli imperi coloniali latino-cattolici e anglosassoni-protestanti. Per capire le importanti distinzioni bisogna accedere ad una letteratura specifica che di certo non gode dell’immensa pubblicità riservata a quelle produzione che un scrittore come Norman G. Finkelstein non esita a chiamare “cianfrusaglia” storiografica. Ma ognuno di noi conosce sulla sua pelle la potenza del marketing: sono capaci pure di convincerti che il veleno fa bene alla salute! La forza della ripetizione produce a lunga scadenza gli effetti voluti. La scuola pubblica e privata, cioè sovvenzionata, ha ormai cessato di essere il luogo dell’educazione critica e della formazione degli “spiriti liberi”, perseguitati come la peggiore specie di criminali, ove ne siano ancora rimasti, ovvero ne siano “sopravvissuti”. Negli USA somme colossali sono state spese e vengono spese per ricordare l’«olocausto» israeliano e farne una politica ad hoc, ma dimenticano fin troppo facilmente un “olocausto” che riguarda personalmente ogni cittadino statunitense che calca le terre che furono del pellerossa: l’«olocausto» vergognosissimo degli Indiani d’America!
Al massimo ognuno di noi, giunto a maturità, riesce a chiedersi come abbiano potuto educarci con innumerevoli film americani osceni, dove si vedevano da una parte i bianchi armati di fucili e cannoni e dall’altra selvaggi vocianti e colorati, che al massimo disponevano di freccie. Un vero e proprio massacro, una mattanza non di balene, ma di uomini, i quali allora ed oggi suscitano minore pietà e reazione morale della mattanza delle balene Curioso come la nostra epoca abbia suscitato forse una maggiore sensibilità per lo sterminio di specie animali che non per il genocidio di popoli. Non è impossibile da spiegare. Si tratta sempre della capacità di condizionamente attraverso l’opera concertata di media, istituzioni culturali, classe politica che proncuncia discorsi ufficiali che danno la linea e la tendenza. Concludo questa presentazione della rivista “StoriaVerità”, dai cui numeri – d’intesa con l’editore – estrarrò qualche articolo di particolare interesse per i temi di “Civium Libertas”, osservando che i governanti americani da Clinton in poi avrebbero dovuto edificare un ben altro “museo dell’olocausto”: quello dell’olocausto degli indiani, che hanno massacrato e cancellato dalla faccia della terra e dalla memoria degli uomini con ben altra e maggiore ferocia e determinazione di quella attribuita ai nazisti, che figurano sempre come i “cattivi” dello schermi, mentre i “coloni” di qua e di là dell’Atlantico sono per assioma inconfutabile i “buoni”.
Antonio Caracciolo
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Raffaele D’Aniello
IL GENOCIDIO DEGLI INDIANI DEL NORD AMERICA
(in Storia Verità, Anno XII, n. 47,
maggio/giugno 2007, pp. 28-34)
IL GENOCIDIO DEGLI INDIANI DEL NORD AMERICA
(in Storia Verità, Anno XII, n. 47,
maggio/giugno 2007, pp. 28-34)
La distruzione, da parte dei coloni europei, della popolazione del Nuovo Mondo rappresenta una macchia indelebile. Tra il XVI e XIX secolo, spagnoli, portoghesi, francesi, inglesi e olandesi si macchiarono di molteplici, orribili crimini di massa, cancellando dalla faccia della terra non soltanto numerose etnie, ma un insieme di antiche culture.La distruzione della popolazione indigena delle Americhe è stata senza ombra di dubbio la più massiccia, intenzionale e reiterata azione di genocidio di massa della storia del genere umano. In termini quantitativi, il numero di indiani morti a causa della conquista europea dell’America settentrionale, centrale e meridionale, risulta notevolmente superiore a qualsiasi altro grande massacro della storia, comprese le grandi stragi del XX secolo. Entro una generazione dall’arrivo di Cristoforo Colombo, ad esempio, l’intera popolazione di Hispaniola, composta da 8.000.000 di indiani, fu completamente sterminata e l’impero degli aztechi venne sottomesso con l’uccisione di milioni di persone.
Il “conquistador” Herman Cortez a colloquio con un ambasciatore dell’imperatore azteco Montezuma. I primi contatti con i conquistatori spagnoli saranno destanti, per la superiorità tecnica e militare degli iberici, ma soprattutto per l’introduzione in America di epidemie di vaiolo, morbillo e colera.
Indios malati di vaiolo. Le malattie endemiche nei due mondi si mescolarono, diventando epidemiche: il vaiolo colpì le Americhe, mentre la sifilide infuriò il Europa. Tuttavia il diverso livello di vita e di sviluppo scientifico, oltre ad un più provato sistema immunitario, diede agli europei un decisivo vantaggio sugli amerindi.
Alcune delle atrocità attribuite agli europei: conquistadores che sfracellano bambini contro un muro, mentre ardono degli indios impiccati.
Alla fine del XVII secolo, l’America centrale e meridionale avevano perso circa il 95% della loro popolazione autoctona, con circa 80.000.000 di individui scomparsi e sostituiti da alcune centinaia di migliaia di iberici. All’inizio del XVI secolo, a nord del Messico, la popolazione autoctona contava circa 8.000.000 di unità, anche se molti studiosi elevano questa cifra a 1.2.000.000. Sta di fatto che, dopo 350 anni di dominio europeo, di questa popolazione non restavano che 400.000 superstiti, suddivisi tra Canada e Stati Uniti d’America.
Uno sterminio scientifico, giustificato e poi rimosso
Come fu possibile un genocidio di queste proporzioni? Spiegarlo dettagliatamente risulterebbe impossibile, almeno in questa sede. Ci limiteremo dunque ad elencare soltanto alcuni degli strumenti dell’immane sterminio, come le epidemie e le guerre, seguiti dalla rimozione forzata delle popolazioni e dalla distruzione del modello di vita, delle risorse ambientali e dell’ecosistema delle nazioni indigene. Il genocidio degli indiani dell’America centrale e meridionale compiuto soprattutto dagli spagnoli, ma anche dai portoghesi, non ha forse eguali per crudeltà e spietatezza. Le malattie, importate o indotte dai conquistadores iberici, uccisero milioni di indiani, ed altrettanto forse ne uccisero con la spada gli spagnoli nella loro folle ricerca dell’oro e attraverso lo sfruttamento del lavoro schiavistico. Circa un secolo dopo, in America settentrionale, gli inglesi e i francesi, non si comportarono in maniera migliore. Sia a settentrione che a meridione del Nuovo Continente, l’eliminazione e l’assoggettamento delle popolazioni indiane fu sempre premeditato, studiato ed eseguito razionalmente; filosoficamente e religiosamente giustificato, moralmente accettato e poi rimosso dalla coscienza degli sterminatori. A parte qualche rara eccezione, i religiosi cristiani di ogni confessione al seguito dei conquistatori europei, assistettero al massacro con perfetta adesione e cristiana compassione. In questo contesto, nella Nouvelle France (comprendente l’attuale Canada centro-occidentale e la “Grande Louisiana”), i francesi non si comportarono meglio degli spagnoli e dei portoghesi, anche se con qualche eccezione. E, tra il XVII e XVIII secolo, essi sterminarono intere tribù, come quella dei Natchez e dei Mesquakie (Fox). Sorte ben peggiore la patirono però le popolazioni indiane a contatto con i coloni inglesi (ma anche olandesi) che nel corso di svariate guerre annientarono moltissime tribù.
Epidemie e malattie: guerra biologica ante litteram
Una delle ragioni, o meglio dei mezzi, che portarono alla distruzione la maggior parte delle comunità indigene americane, fu l’introduzione presso popolazioni prive di difese immunitarie, di patologie micidiali come vaiolo, colera, scarlattina, tosse cattiva, difterite, dissenteria, meningite, tifo, malaria, febbre gialla, influenza, morbillo, peste bubbonica, tubercolosi, pleurite, orecchioni. Tra l’inizio del XVI e la fine del XIX secolo, nei territori a settentrione del Messico, si verificarono 93 gravi epidemie e pandemie, una ogni 4 anni e due mesi, che portarono all’annientamento di centinaia di migliaia di indigeni.
Le malattie si diffusero attraverso i contatti iniziali tra nativi e bianchi, esploratori e mercanti prima, e coloni e soldati in seguito. Probabilmente, in Nord America, le perdite più elevate si verificarono durante i primi cento anni di contatti, grosso modo dai primi anni del XVI secolo, sino alla sua fine. Nella fattispecie. le epidemie di vaiolo che colpirono l’America settentrionale uccisero dal 60 al 90 per cento delle popolazioni colpite. Nel 1528, la tribù texana dei Karankawa venne decimata dal colera, ed anche le popolazioni Timucuan della Florida furono colpite e devastate da epidemie che, in meno di settant’anni, ne ridussero il numero da 770.000 a 36.450 unità. Con l’insediamento dei coloni europei lungo le coste settentrionali americane, le malattie si diffusero con grande rapidità. Nel corso del XVII secolo, dodici epidemie di vaiolo, quattro di morbillo, tre di influenza, due di difterite, una di peste bubbonica, una di scarlattina e una di tifo provocarono la scomparsa di un numero impressionante di indigeni. Per fare un esempio, l’epidemia di vaiolo del 1616-19, ridusse la tribù dei Massachussett da 10.000 a 1.000 unità. Tra il 1612 e il 1612 [così nel testo: evidente refuso che non posso correggere io], la peste bubbonica fece strage dei Wampanoag, degli Abenaki e dei Pawtucket. E, tra il 1634 e il 1640, la potente confederazione degli Uroni, composta da 28 villaggi e circa 30.000 persone ne perse circa 20.000 a causa del vaiolo. Nella seconda metà del XVII secolo, alcune terribili epidemie ridussero i Winnebago del Wisconsin da circa 20.000 a meno di 600 unità (1670). E tra il 1613-17. 1649-50, e nel 1672, le epidemie di morbillo, colera, tubercolosi ed altre malattie fecero stragi tra le tribù Timucuan della Georgia e della Florida. E nel 1699, nel South Carolina, il vaiolo spazzò via “un’intera nazione mentrealtre cinque o sei fuggirono lasciando i loro morti insepolti agli avvoltoi”. Nel 1698-99, il vaiolo si diffuse lungo il corso del fiume Arkansas, sterminando i Quapaw, i Tunica e i Biloxi. Nel secolo successivo, gli Irochesi furono anch’essi colpiti dal vaiolo (1717, 1731-32, e 1737), e nel 1763, una micidiale epidemia scoppiata fra gli indiani dell’Ohio venne innescata di proposito dal generale Jeffrey Amherst, comandante in capo delle forze britanniche in Nord America. Egli fece, infatti, spedire nei villaggi indiani quantitativi di coperte appartenute a coloni bianchi deceduti a causa del vaiolo. In breve tempo la malattia fece strage tra i Delaware, i Mingo e gli Shawnee, contribuendo a spezzare definitivamente la pericolosa ribellione del famoso capo indiano Pontiac. Nel sud, il vaiolo distrusse, nel 1738, metà dell’intera nazione Cherokee che nel 1783 venneriìo nuivamente falcidiati. Nei territori spagnoli il vaiolo colpì nel 1719, 1733, 1738, 1747 e 1749 e negli anni ’80 del XVIII secolo gli indiani del Nuovo Messico furono colpiti da un’epidemia che uccise 5000 Pueblo. Le città e gli insediamenti indiani patirono, di solito, molte più perdite che i villaggi abitati dai bianchi. Nel Texas, la maggior parte degli indiani scomparve in seguito ad alcune terribili epidemie a catena (1739, 1746, 1766 e 1778). Durante il diciottesimo secolo, il vaiolo colpì ripetutamente anche le coste occidentali e le pianure centrali. Uno dei periodi più neri, forse anche perché quello maggiormente documentato, fu però il XIX secolo. Nell’Ottocento le popolazioni native del continente nord americano furono colpite da 27 grandi epidemie: tredici di vaiolo, cinque di morbillo, tre di colera e le rimanenti di malaria, difterite e scarlattina e febbre gialla.
(segue)
1 commento:
Ottimo articolo. Vi segnalo un nostro articolo in merito a questo tema:
http://www.nativiamericani.it/?p=2203
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