giovedì 11 agosto 2011

Studi: VI. Dalla ris. Onu n. 3379 di condanna del sionismo in quanto razzismo alla n. 4686 abrogativa ed oltre: cosa successe veramente?

Studi: I - II - III - IV - V - VI - VII -

Post in costruzione.

Un filosofo recentemente scomparso ebbe a definire il sionismo come un crimine per essenza e non per mero accidente. Esso è infatti una ideologia che propugna e giustifica il genocidio e la pulizia etnica di un paese, la Palestina, sulla base di una mitologia storica. Libri come quello di Shlomo Sand o di Ilan Pappe spazzano via tutti gli ideologismi che una propaganda ben fornita di mezzi e di complicità ci propina tutti i giorni. Ma i termini concettuali della questione sono di grande semplicità e non lasciano adito a dubbi. Fu così che il 30 novembre 1975 con la risoluzione n. 3379 l’Assemblea dei popoli rappresentanti alle Nazioni Unite dichiarò il sionismo una forma di razzismo e di discriminazione razziale. Fu solo per la capacità di pressione di ricatto che gli Usa esercitarono nel dicembre 1991, al tempo di Bush padre, primo invasore dell’Iraq, che si ottenne la risoluzione n. 4686 abrogativa della precedente n. 3379. Non so al momento se e quanti casi di abrogazione esistano, ma è strano che una dichiarazione cognitiva del 1975 venga abrogata da una successiva dichiarazione, come a dire che se oggi dico che una bandiera è bianca, domani dico che non è più bianca. Non è difficile immaginare cosa può essere successo, ma non basta immaginarlo, bisogna ricostruirlo e documentarlo in tutti i suoi passaggi. È quello che cercheremo di fare avvalendoci di ogni possibile fonte di informazione, incluse quelle di provenienza sionista.

SOMMARIO: 1. Antefatto: linee di ricerca ed analisi. –

1. Antefatto: linee di ricerca ed analisi. – Per capire i fatti presenti occorre spesso risalire alle loro cause remote. Oggi lo stato di Israele – ovvero l’entità sionista, come altri amano dire – ama atteggiarsi in una posizione difensiva, dicendosi aggredito ed oggetto alla prava volontà altrui di distruggerlo. Il suo diritto alla sicurezza è diventata la sua principale industria e fonte di introito oltre ai trasferimento di ricchezza a fondo perduto, senza corrispettivo, che riceve dagli Usa e dall’Europa. Ma agli inizi le cose non stavano affatto come oggi le si vuol fare apparire da parte di un apparato di propaganda che ha la stessa persuasione dei carri armati e dei buldozer che distruggono le case degli autoctoni palestinesi, il cui problema non è l’alto costo degli affitti – come per gli “indignados” israeliani che non si indignano di ciò che lo stato di Israele fa agli altri – ma la distruzione della loro casa e la loro espulsione dai luoghi in cui sono nati e vissuti di generazione in generazione per secoli e millenni.

Come stavano dunque le cose agli inizi e da dove dobbiamo incominciare? Se partiamo da quando i primi 13 biluim si insediarono nel 1882 in Palestina, ne possiamo documentare le intenzioni prendendo un brano di un certo Zeev Dubnov, uno di questi primi biluim, che scrivendo al fratello così si esprimeva:
«Credi dunque che il solo scopo della mia venuta qui sia di istallarmici e che se mi istallassi qui raggiungerei il mio scopo, mentre in caso contrario sarebbe il fallimento? Niente affatto. Il mio scopo finale, come quello di molti altri, è ambizioso, vasto, lontano, ma non irragiungibile. Il mio scopo è di arrivare ad assumere il controllo del paese, di restituire al popolo ebraico l’indipendenza politica della quale è stato privato da quasi duemila anni...
Non ridere. Non si tratta di un sogno. I mezzi per raggiungere questo scopo comprendono: la fondazione nel paese di colonie agricole e artigianali, la creazione di diverse fabbriche e il loro progressivo ampliamento; in una parola, è necessario fare uno sforzo perché tutta la terra e tutta l’industria si trovino in mani ebraiche. Inoltre, conviene insegnare ai giovani, alla nuova generazione che crescerà, a utilizzare le armi (in questa Turchia libera, selvaggia, si può fare tutto). Allora, e a questo punto anch’io comincio a sognare, allora verrà il giorno meraviglioso che il profeta Isaia aveva previsto nei suoi bei discorsi infiammati. Gli ebrei proclameranno a voce alta, e con le armi in mano se ve ne sarà bisogno, di essere i padroni della loro antica patria. Poco importa se questo giorno meraviglioso verrà tra cinquant’anni o anche più. Cosa rappresentano cinquant’anni, se non un breve istante in una prospettiva del genere? Ammettete, amici miei, che si tratta della più meravigliosa e gloriosa visione».

Citato in G. Paciello, La conquista della Palestina.
Le origini della tragedia palestinese,
Pistoia, Editrice C.R.T., 2004, p. 51-52.
Da ridere qui vi è molto, ad incominciare dalla presunta “indipendenza del popolo ebraico”, che in realtà durò nei tempi antichi poche decine di anni, infima parentesi nella dominazione sul territori di pressoché tutti i popoli dell’Antico Vicino Oriente, dopo che secondo il mitico racconto biblico la terra fu strappata con genocidio degli antichi Cananee, addirittura un genocidio comandato da dio: altro che jiad islamica. Questi erano assassini fin dalla notte dei tempi, ma per fortuna è senza fondamento la presunta discendenza storica dagli ebrei biblici. Come ha ben narrato Shlomo Sand il grosso delle comunità ebraiche proviene dalla Kararia e fin dalle epoche più recenti i movimenti emigratori sono partiti dall’Est europeo. Ma questa è altra storia su cui qui non intendiamo soffermarci oltre. È puro mito su cui si innesta l’ideologia razzista e genocidaria del sionismo, come fu ben riconosciuto dall’Assemblea Onu del 1975 e dalla prima Dichiarazione Durban del settembre 2001.

Ma riprendiamo il filo del nostro discorso. Poiché si parla spesso di proprietà e di legittimo acquisto di terre da parte degli ebrei, che espropriarono quindi subito gli autoctoni, occorre qui riassumere quanto al riguardo si trova esposto nel citato libro di Paciello. Nel processo di smembramento e spartizione dell’Impero ottomano lo strumento più efficace fu la formazione del Debito pubblico ottomano, che portò a modifiche strutturali e sostanziali della sovranità turca, all’incirca come ancora succede ai nostri giorni con la truffa del debito pubblico. Vi fu anche allora la “privatizzazione” e si passò grosso modo da un sistema di proprietà e coltivazione collettive delle terre, sulla cui produzione effettiva era anche rapportato il prelievo fiscale, ad un regime di proprietà privata e vendita delle terre, delle quali senza manco forse rendersene conto si trovarono privati i contadini autoctoni. Ad acquistare furono gli ebrei, con capitali propri o con soldi che arrivano dai loro “benefattori” e sistemi nei quali ancora oggi eccellono. È questa l’origine dell’acquisto ebraico delle terre palestinesi.

È da dire che il governo ottomano non era per niente ignaro della sorte che le potenze europee le stavano preparando. Per quanto riguarda l’immigrazione ebraica in Palestina la posizione del governo fu subito chiara e netta, subito dopo l’uccisione dello zar, per mano anche di un attentatore di origine ebraiche. Per impedire che vi fosse un afflusso in massa verso la Palestina, nel 1882, il 28 di aprile, a Odessa, da dove partivano i flussi migratori, il console ottomano affisse alla porta del suo ufficio un Avviso così concepito:
«Il governo ottomano informa tutti (gli ebrei) che desiderano immigrare in Turchia che non è consentito loro stabilirsi in Palestina. Essi possono immigrare nelle altre province (dell’impero) e stabilirvisi come desiderano alla sola condizione che diventino sudditi ottomani e accettino di osservare le leggi dell’impero».
Paciello, op. cit., p. 55
Ma di assumere i doveri oltre che i diritti loro generosamente concessi gli immigrati non ebbero mai intenzione e conservarono sempre il passaporto di provenienza. Le resistenze turche a ciò che era evidente fin da allora furono coartate da inglesi e francesi, che avevano tutto l’interesse a contribuire allo smembramento dell’Impero ottomano servendosi anche dell’immigrazione ebraica, allo stesso modo in cui ancora oggi la collocazione di uno stato ebraico nel cuore del Vicino Oriente agisce come avamposto militare americano. Ma qui vi sarebbe poi da considerare il ruolo della Israel lobby nella politica estera americana, ampiamente analizzato dai politologi Mearsheimer e Walt, al cui libro si rinvia.

Va aggiunto quale elemento significativo del nostro discorso come gli ebrei autoctoni della Palestina, esigua minoranza, furono tra i primi ad opporsi all’immigrazione sionista ed a chiedere l’espulsione dei nuovi arrivati. Con la prima guerra mondiale fu creata la Società delle Nazione e l’istituto del Mandato. La storia ingloriosa della Società delle Nazioni è qui data per nota, passando quindi all’Organizzazione delle Nazioni Unite che le succedette come Club delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale. L’abilità dell’organizzazione sionista fu quella di aver saputo profittare delle due guerre mondiali per il raggiungimento dei loro scopi a tutto scapito della popolazione autoctona palestinese che fu vergognosamente ingannata e sacrificata dalla “nazioni civili” dell’Europa. Dagli anni sessanta in poi vi fu il vasto processo di decolonizzazione che vide sorgere la nascita di numerosi nuovi Stati, che avendo appunto il titolo giuridico di Stati formalmente sovrani e indipendenti, ebbero un seggio nell’Assemblea delle Nazioni Unite, la quale quando riesce a sottrarsi all’influenza, alle pressioni, ai ricatti, alle minacce dei maggiori stati, della Potenze che siedono nel Consiglio di Sicurezza per diritto di guerra, riesce ad avere pronunciamenti come quello del 1975, fatto poi ritirare nel dicembre da Bush padre fresco invasore dell’Iraq. Ma ci restano da ricostruire i dettagli ed i contorni di una vicenda di cui molto si parla, ma poco si sa.

Torna al Sommario.




(segue)

Nessun commento: