mercoledì 29 dicembre 2010

Mentana al TGla7: «Punito per l’unica cosa che non ha fatto». - Note sull’ultima pasquinata repubblicana, riguardo un dipendente romano dell’ATAC.


Sulla vicenda del dipendente ATAC, ancora sotto i riflettori dei media, avevo preparato un testo più ampio ed elaborato, rimasto nel cassetto per revisione e controllo, anche legale. È probabile che lo utilizzi in seguito, ma intanto alcune rapide e neutre annotazioni paiono qui possibili. Passo a mente, senza completezza e ricerca organica su una faccenda, che mi resta lontana ed estranea, le notizie viste ed ascoltate casualmente in tv, o lette sulla rete: non certo sulla carta stampata, che difficilmente vado a comprare in edicola. Ma procediamo con ordine, per pochi flash-back, che attraversano la mia mente in questo momento.

Primo flash-back, chiedendo scusa per l’uso del termine inglese, che sta per l’italiano “scena retrospettiva”, tratto dalla tecnica cinematografica. Proprio ieri, o ier l’altro, Enrico Mentana, forse l’unico dei giornalisti televisivi che non mi procura subito una crisi di rigetto, deve essersi reso conto della strumentalità di una campagna messa in moto, ancora una volta, da “Repubblica”, dicendo del malcapitato di turno, con un ricco curriculum, dove risulta di tutto: «viene punito per l’unica cosa che non ha fatto», cioè la dichiarazione antisemita. Essendo un “main-stream” quello da lui diretto, cioè il Tg7 delle ore 20, la cosa deve essere rimbalzata su “Repubblica” – da dove è partita l’operazione, non la prima di questo genere –, la quale poi ritorna sul tema con un nuovo articolo, di un giornalista di cui non voglio fare il nome, ma che va veramente arzigogolando per sostenere che l’insulto “antisemita” ci sarebbe stato e sarebbe il risultato di un gioco di parole, su facebook (!), deliberato e premeditato... Mah! Mi sembra un arrampicarsi sugli specchi per continuare un’operazione, una campagna di stampa decisa a tavolino ed i cui scopi non sono difficili da indovinare. A quel che sento dalle ultime agenzie, in sede amministrativa interna (!), sarebbe stato contestato al dipendente comunale l’uso del computer durante l’orario di servizio. Penso a quel che si fa durante le pause in tutti gli uffici pubblici e privati. Un brivido di terrore credo percorra la schiena di quanti lavorano in uffici ministeriali, comunali, provinciali e in ogni dove, in Italia e nel mondo. Il “terrore che avanza”?

Secondo flash-back. Ricordo il livore con cui Alemanno si scagliò contro il professore di un liceo artististico, che era sbottato in un gesto di insofferenza davanti all’ennesimo viaggio della Memoria. Rimango sul generico perchè non ho seguito direttamente la vicenda e potrei incorrere in inesattezze nei dettagli. Ma ricordo la totale assenza di carità cristiana da parte del sindaco Alemanno, che chiedeva la testa di un indifeso docente, forse solo per compiacere Qualcuno, che neppure lo aveva votato, ma anzi lo aveva apertamente osteggiato... Misteri ingloriosi della politica! Il colpo andò a segno ed il povero docente ebbe sei mesi di sospensione, come richiesti. La stessa operazione fu tentata sulla mia pelle: che mi “cacciassero”, aveva tuonato l’Onnipotente.!Non gli riuscì e ben si guardo l’Eletto (da me!), dal chiedermi pubblicamente scusa, per una faccenda che si rivelò senza ne capo nè cosa. Figuriamoci!

La giustizia del “Cielo”: che di questo si trattase – io che non ci credo – ho subito pensato, quando a poco più o poco meno di 24 ore quel presidente di regione, che partecipando alla “gogna” mediatica, anche allora iniziata da “La Repubblica”, rilasciava dichiarazioni alla televisione, dicendo che “voleva guardarmi negli occhi”, coi suoi “occhi” posti in una faccia, che vedevo nascondersi davanti alle telecamere, per faccende di cui non mi interesso e che tuttavia lo hanno costretto alle dimissioni. Ricordo le altre dichiarazioni che furono fatte a mio riguardo, e che anche adesso, dagli stessi personaggi, vengono nuovamente ripetute, come in un rituale a scadenze fisse. Sono fiducioso che la stessa Giustizia divina seguirà il suo corso, infallibile in confronto alla aleatorietà e fallibilità della Giustizia umana.

È la sua volta? – Valendo lo stesso principio statuito dal Dominus, il poveretto, per il quale provo pena, dovrebbe adesso venire “cacciato” dal Comune, dove ad assumerlo parrebbe sia stato il suo stesso Santo Protettore, alla cui ombra è sempre vissuto. Ed il Santo Protettore dovrà infierire contro il suo protetto, ben sapendo che è innocente della “colpa” (?) ascrittagli, di una “colpa” peraltro giuridicamente impossibile e campata in aria. Il Moloch vuole sempre nuovo sangue fresco e non guarda in faccia a nessuno. Gli stessi meccanismi mediatici – che per fortuna ogni giorno screditano sempre più un giornalismo becero, che produce fango e si alimenta di fango – sembrano impazziti nella loro sete di “gogna”, probabilmente su commissione. Vi è da sperare che fra qualche anno chiudano tutti bottega, essendo la gente sempre più persuasa che siano strumenti di manipolazione. Il loro clamore è simile alle trivella stradali, di cui si aspetta soltanto che cessi quanto prima il fastidio prodotto al nostro udito. Al “falso e tendenzioso” divulgato la mattina mancano quasi sempre le “smentite” e le “rettifiche” che a norma di legge dovrebbero seguire con eguale evidenza e tempestività. In un panorama assai variegato vale la regola: “diffama diffama, denigra denigra, calunnia calunnia, qualcosa resterà”!

Ultimo flash-back. Ho già detto che avevo preparato una bozza più ampia e di lettura certamente più pesante. Ne riassumo un concetto dicendo che mi appaiono in questa vicenda gli stessi identici personaggi, già attivi in altre precedenti occasioni ed i cui nomi ho ben memorizzato: resteranno forse indelebili nella mia memoria. Come ad un segnale convenuto, le stesse dichiarazioni, gli stessi microfoni, le stesse sceneggiate. La vicenda è ricorrente e sembra rivolta a suscitare emozioni e consensi per l’introduzione di una legge, che – lo ripeto con preghiera di smentita da parte di chi sa meglio – nella sola Germania ha prodotto qualcosa come 200.000 incriminazioni penale per episodi assurdi, propri dei tempi in cui la gente credeva alle streghe, o meglio gli si faceva credere che esistessero. La Lobby parlamentare già esiste e si è pronunciata. Ci vuole ancora il fatto di cronaca. Ci vuole un incendio del Reichstag!

Ma davvero credono di poter prendere, all’infinito, per i fondelli la gente? La gente che ha seri problemi di lavoro, di vitto e alloggio e che proprio per questo ha bisogno di poter liberamente parlare e manifestare. Molto mi ha impressionato la notizia dei pastori sardi, arrestati e bloccati in via preventiva nel porto di Civitavecchia, mentre salivano su cinque pullman prenotati per andare a Roma, la Capitale che non ascolta e che reprime. È questa la “democrazia” che ci governa? E pensano di tenerci a bada con sceneggiate capitoline e pasquinate sempre più assurde ed inverosimili? Storicamente, il “popolo” è una “bestia”, un “somaro”, che prende botte e calci dalla mattina alla sera duranto l’anno intero. A tutto vi è però un limite. Ed alla fine i calci e le botte sembrano troppi: la misura colma il limite sopportabile. Cosa successe in passato, lo leggiamo nei libri di storia, finché se ne possono ancora scrivere e leggere. Per il futuro ci auguriamo, per l’anno nuovo che sta per cominciare, una classe politica che ci risparmi il passato.

lunedì 27 dicembre 2010

Osservatorio sulla libertà di pensiero negata. Parte Prima: Gli Stati. Cap. XIII - Grecia.

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Apprendo da pochi minuti un nuovo “caso” che sembra ormai seguire un copione, sia per come si svolge e si dipana sia per il momento in cui viene lanciato. Mentre i media – controllati o no dalla Lobby? decidete voi" – hanno fatto passare quasi inosservato il caso lituano, per non parlare poi della megatruffa dei falsi “sopravvissuti”, se non altro perché nati dopo il 1945, o quello sulla strana posizione del medico ebreo se ne è infischiato del giuramento di Ippocrate, che era “greco” e non “ebreo”, ch’io sappia. Ma si legge: “gli ebrei fanno parte della Grecia”. Quale Grecia? Quella di Ippocrate o quella degli individui che hanno rilasciato dichiarazioni contro la libertà di espressione del vescovo greco-ortodosso, che peraltro ha rivendicato un suo punto di vista personale. Non è le lecito avere punti di vista personali? Naturalmente posso anche essere erronei, ma la erroneità sorge dal contradditorio, dal libero confronto, dalla libera discussione. Non certo dalla messa alla “gogna”, come ancora per l’ennesima volta sembra si incominci a fare contro l’ultima voce fuori del coro. Voci che diventano sempre più numerosi. Ma non è che ciò induca a riflettere. No! Si invocano leggi-bavaglio, il ritorno del buon rogo antico di una volta! Non so quali siano le leggi della Grecia in materia di tutela della libertà di pensiero ed in questo caso addirittura della libertà di coscienza e di religione, ma mi riprometto con spirito scientifico di osservo il caso nei suoi sviluppi. Il mio punto di vista vuol essere solo quello di chi va a monitorare il rispetto di un diritto elementare dell’uomo che dovrebbe essere riconosciuti a tutti “senza se e senza ma”, come si suol dire con una espressione in voga, che non amo, ma che è certamente efficace.

Sommario: 1. La notizia di agenzia. –

1. La notizia di agenzia. – Ecco come viene data, da un sito che prendo a caso, o meglio da una segnalazione che mi è appena giunta:
«Atene - Il Metropolita ortodosso del Pireo, Seraphim, ha sferrato un aspro attacco contro gli ebrei e il sionismo internazionale accusandoli, in dichiarazioni citate dai media, di aver finanziato Hitler, di essere dietro la crisi mondiale e di puntare alla distruzione degli stati nazionali.

Le affermazioni del tradizionalista Seraphim, durante una trasmissione tv, sono parse persino negare l'Olocausto e hanno suscitato una indignata levata di scudi da parte di tutte le forze politiche che hanno chiesto ai vertici della Chiesa ortodossa di intervenire.

Il portavoce del governo Giorgio Petalotis, citato dall'agenzia Ana, ha definito "inaccettabili" le affermazioni del Metropolita che "negano l'Olocausto, il più grande crimine dell'umanita" e che sono "un insulto alla Grecia e alla sua cultura" di cui "la comunità ebraica è parte integrante".

Seraphim, citato dai media sostiene che Hitler e il nazismo farebbero parte dello sforzo del sionismo mondiale e sarebbero stati "sponsorizzati dalla famosa famiglia Rotschild" al solo scopo di "persuadere gli ebrei a lasciare l'Europa e creare un nuovo impero in Palestina". Secondo Seraphim "il sistema mondiale è basato su un sistema finanziario dominato dal sionismo internazionale, dai Rockefeller, dai Rotschilds, dai Soros e molti altri".

Di fronte alle reazioni, anche internazionali, Seraphim ha smentito di voler negare l'Olocausto e sottolineando che quanto da lui detto è "il suo punto di vista personale"».
Il Giornale sappiamo cosa è e non vale la pena soffermarsi. Anche la commentistica è di area e possiamo tranquillamente lasciarli a cantarsi fra di loro la solita messa: se la cantano e se la sentono, secondo un’altra efficace espressione. Nei commenti e nelle titolazioni è impresa vana enucleare un nesso logico fra la consueta accusa di “antisemitismo” ossia in quanto specifico titolo di reato ed il merito delle “opinioni personali” espresso questa volta da un altro “signor Nessuno”, questa volta un vescovo greco. Non si è ancora spenta l’eco della vera e propria operazione mediatica di “Piombo Fuso” lanciata contro il vescovo lefebrviano Williamson, per il quale si era andato a scomodare il papa, ormai ridotto – credono – ad una sorta di Quisling, pronto a rispondere ai superiori ordini. Vedremo adesso quali superiori autorità verranno mobilitate per far zittire il vescovo greco e forse pure per “punirlo”, per aver osato esprimere un “punto di vista personale”, cosa alla quale sembra nessuno abbia più diritto in questo Occidente, sotto il dominio congiunto - parrebbe – di USA e Israeel o USIsrael, come usa pure dire. I “Commenti” dei Lettori del “Giornale” non offrono occasione di approfondimenti. Il testo, non formato, parla di “reazioni internazionali”. Sarà interessante sapere quali sono. Forse gli stessi sette ambasciatori che hanno operato sul fronte lituano? I Magnifici Sette che non conoscono la costituzione di ogni stato indipendente e sovrano, che non conoscono il mestiere di ambasciatore, e che non conoscono la Dichiarazione dei diritti dell’uomo.

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giovedì 23 dicembre 2010

Freedom Flotilla: Joe Fallisi denuncia lo stato di Israele. – «La guerra continua…», dopo cento anni!

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La notizia non è recentissima, ma non ho avuto il tempo di postarla prima. Del resto, sono notizie che non invecchiano in una guerra che dura da oltre un secolo, iniziata ben prima che stessi testimoni di allora possano seguire i fatti di oggi, le cui conseguenze sono giunte fino a noi senza che i più riescano a conoscerne le origini. È di qualche ora fa l’incredibile notizia della denuncia fatta, presso l’ONU, da Israele agli assediati di Gaza, responsabili del lancio di razzi. Chi mi ha mandato privatamente il link ha aggiunto di suo un commento, assai efficace nella sua spontaneità. Non resisto dalla tentazione di riportarlo, beninteso in forma anonima:
«Questi sparano, ammazzano, rubano terra, torturano... poi parte un PETARDO da Gaza, come risposta a tutto questo orrore, e i carnefici si atteggiano ad agnellini, a povere vittime... vomitevole. Leggete su Infopal le ultime porcate dei sionisti nel mese di Dicembre: http://www.infopal.it/

Onu: 'Demolizioni aumentate del 45%'. Peace Now: '1.700 unità abitative in 3 mesi'

Bombardamenti su Rafah: 4 feriti
Pioggia di bombe sulla Striscia di Gaza
Rapporto Ocha: '47 edifici palestinesi demoliti. Decine gli sfollati, ingenti le perdite'
Due palestinesi gravemente feriti ad Hebron
Betlemme: demolita abitazione palestinese, ferito e arrestato un residente»

Il sito di Infopal, insieme al nostro di “Civium Libertas”, è fra quelli genericamente e apoditticamente accusati di “antisemitismo” o addirittura di “negazionismo”, un termine che ho più denunciato per la sua inconsistenza logica e scientifica, ideato a meri scopi di “denigrazione”, “diffamazione”, “delazione”. Per quel che mi riguarda ho reagito subito con un Lettera pubblica ai sensi di legge e inviando lettere elettroniche ai rispettivi indirizzi. Dalla malafede di questi Signori non vi era da aspettarsi nessuna risposta. Una malafede che trova ulteriore odierna conferma, ma alle cui deliberate provocazioni non pare opportuno abboccare. È stato da me fatto quel che si doveva fare e non resta che attendere i tempi geologici della nostra giustizia civile. Del resto, è sufficiente notare che gli attacchi vengono sempre dalla stessa area, rigorosamente “sionista”. Anziché raccogliere le provocazioni troviamo più utile risalire alle origini di quest storia, un secolo fa, quando era già ben chiara la differenza fra “ebraismo” e “sionismo”, e di conseguenza fra “antisemitismo” e “antisionismo”, anche se a oltre un secolo il termine “antisemita” risulta del tutto vuoto di contenuto ed assurto a mezzo strumentale di lotta politica e repressione del legittimo dissenso nonché del più che legittimo esercizio della libertà di pensiero e della libertà di critica politica oltreché dell’esercizio del diritto di cronaca, non esclusivo appannaggio dei giornalisti professionisti.

Se andassimo a seguire la cronaca dell’epoca di Balfour, quando facendo strage di ogni equità e del principio stesso del diritto internazionale, si era stabilito il diritto di immigranti coloniali sionisti – protetti dalla potenza mandataria – di poter espellere ed espropriare gli abitanti autoctoni. Quella lontana vicenda, di cui le menti più raffinati avevano divinato le conseguenze, giunge fino a noi con la conseguenza a tutti nota di “Piombo Fuso” e della “Mavi Marmara”, le cui evidenze demoliscono tutte le costruzioni di una propaganda finanziata con dovizia illimitata di risorse finanziarie e non.

Nei giorni scorsi si sono tenute almeno due riunioni pubbliche, di carattere internazionale, dove è annunciata una nuova Flotilla, già rinviata più volte, ma la cui preparazione e determinazione non pare dubbia. È da notare che sono una miriade le organizzazione che da oltre 100 paesi partecipano all’impresa. Ve ne una anche italiana, ma contrariamente a quel che si dice o si fa credere non esiste un gruppo egemone. Anzi è stata perfino largamente sconfessata una presunta “dirigenza”. Ciò non impedisce affatto che una pluralità di organizzazioni e soggetti concorrano al comune scopo di far partire una nave dall’Italia.

In un quadro di posizioni variegate ma concordi nell’obiettivo si colloca l’iniziativa di uno dei partecipanti alla Freedom Flotilla della scorsa estate, Joe Fallisi, a cui lasciamo la parola dopo aver introdotto il suo Comunicato Stampa del 15 dicembre scorso:
«MEMORIA DI JOE FALLISI A PROPOSITO DELLA FREEDOM FLOTILLA E DELL'ASSALTO E SEQUESTRO ISRAELIANO

Io sottoscritto

Joe Fallisi sono stato uno degli attivisti internazionali per i diritti umani che a fine maggio del 2010 hanno partecipato alla Freedom Flotilla, il cui scopo era, rompendo l’assedio israeliano, portare alla Striscia di Gaza tonnellate di aiuti concreti di cui sapevamo con certezza che la popolazione aveva estremo bisogno; per esempio, una grande quantità di medicinali, cento case prefabbricate, centinaia di carrozzelle per disabili, cemento, materiale edilizio, scolastico e medico ecc.

Questa flottiglia doveva essere composta da nove navi (alcune delle quali cargo, altre passeggeri), provenienti da porti diversi (gli attivisti erano di 42 nazioni). In realtà all’appuntamento che ci siamo dati, in acque internazionali, ci siamo trovati in sei navi. Ho successivamente saputo che le altre tre, al momento della partenza, sono state oggetto di sabotaggi. Ho inoltre appreso, mentre ero in stato di detenzione in Israele, che alla fine una di queste tre navi, la “Rachel Corrie”, era riuscita a partire ed era stata assalita e sequestrata con le nostre stesse modalità e i passeggeri e gli equipaggi tratti come noi in arresto, tradotti in carceri israeliane e successivamente espulsi, in gergo “deportati”.

La nave su cui mi trovavo era stata da noi nominata “8000”, ma il suo nome originario era “Sfendoni” . La sera del 28 maggio siamo partiti dal porto di Atene in direzione Rodi; dopo aver pernottato nell'isola, siamo ripartiti il giorno successivo per Cipro, senza però fermarci e proseguendo verso Gaza. All’imbocco delle acque internazionali ci siamo uniti alle altre cinque navi, e dopo un incontro di varie delegazioni a bordo della “Mavi Marmara”, ci siamo tutti diretti alla volta di Gaza. Nelle prime ore del mattino del 31 maggio 2010 le navi erano in formazione a “V”: la “Mavi Marmara”, battente bandiera turca e con il più grande numero di passeggeri, circa 600, la stragrande maggioranza cittadini turchi, apriva lo schieramento e le altre la seguivano in formazione sia alla sua destra, sia alla sua sinistra. Quella su cui viaggiavo io era posizionata immediatamente dietro di essa, alla sua destra.

Alle ore 04,15 ho notato alcune luci rosse (di elicotteri) provenire da lontano e dopo qualche minuto tanti piccoli motoscafi, poi riconosciuti come mezzi d'assalto denominati “Zodiac”, che, simultaneamente, si dirigevano verso tutte le imbarcazioni della flottiglia. Dopo averle raggiunte, le assaltavano con le armi, assumendo il comando di ogni singola nave una volta vinta la resistenza non violenta da parte nostra. Intendo precisare che nella riunione delle delegazioni si era anche discusso riguardo al probabile attacco da parte degli israeliani ed era stato deciso di opporsi, nel caso, con fermezza ma in maniera non violenta, atteso che nessuna delle navi, né alcun suo passeggero disponeva di qualsivoglia tipo di armamento. Mi preme anche aggiungere che prima dell’assalto la marina israeliana comunicava via radio con le nostre navi invitandoci a tornare indietro poiché stavamo, a loro dire, invadendo un'area di operazioni belliche sotto loro controllo. Al nostro diniego (eravamo, in realtà, in pienissime acque internazionali), è conseguito l'attacco armato.

Unitamente ad altri attivisti mi trovavo all’interno della cabina di pilotaggio della nostra nave, e oltre ad essere certo dell’ora sono sicuro anche della posizione in mare, visualizzata dalla grafica G.P.S. che ci ritraeva a 75 miglia circa dalle coste di Gaza. Lo scontro con gli incursori è durato pochi minuti. Abbiamo tentato di difendere la cabina e il nostro prode capitano, ma oltre alla forza fisica, gli israeliani hanno subito iniziato a usare armi, bombe sonore e lacrimogeni. Io, personalmente, ho tentato di respingere l’attacco lanciando una sedia contro gli invasori e questi ultimi hanno sparato al mio indirizzo una bomba sonora che, oltre a stordirmi, mi sbalzava all’indietro, facendomi rovinosamente cadere, con la parte sinistra del corpo, su uno spigolo metallico. Dopo l’assalto sono stato ammanettato, come altri, con delle fascette di plastica che in seguito mi sono state tolte. Successivamente, siamo stati tutti raggruppati sul ponte principale della nave, per venire poi condotti in coperta, per l'identificazione. Gli invasori hanno quindi sequestrato i nostri telefoni cellulari, computer, valigie e borse e la strumentazione audio-video in nostro possesso. In proposito voglio precisare che la nave su cui mi trovavo ospitava principalmente giornalisti e operatori dei media, per esempio un giornalista e un operatore televisivo del network Al Jazeera.

Quindi hanno stivato in un unico luogo i nostri bagagli ed effetti personali, che da quel momento in poi non abbiamo potuto più toccare, e la nave, comandata da un israeliano, ha proseguito la sua navigazione fino al porto di Ashtod. Nel tragitto, un nostro compagno di viaggio, Paul Larudie, cittadino americano di San Francisco e uno dei fondatori del movimento “Free Gaza”, mio caro amico, dopo aver eluso la vigilanza armata, si tuffava in acqua e tentava, ovviamente invano, di dirigersi a nuoto verso Gaza. I pirati israeliani venivano presi alla sprovvista dall’anomalo comportamento, pertanto le loro operazioni si dovevano interrompere per circa mezz’ora. Non avendo mezzi di recupero sui motoscafi, inviavano alla fine una scialuppa dalla loro nave madre. Dopo aver raggiunto così il Larudie, lo tiravano su di peso e lo picchiavano. Finito questo recupero, tutte le navi riprendevano la navigazione verso Israele. Giunti ad Ashtod in tarda mattinata, ci hanno fatto scendere dalla nave e, una volta condotti in un apposito hangar, siamo stati identificati e perquisiti più e più volte; lì ho rivisto Paul Larudie e in quella occasione egli subiva un secondo pestaggio, non so con quale scusa. Dall’hangar venivo condotto con altri attivisti in un furgone che ci trasportava nel carcere di Bersheva, nel deserto del Neghev.

Qui, messo in una cella insieme col sig. Muin, palestinese residente in Italia con cittadinanza italiana, restavo in galera, come lui e gli altri prigionieri, per tre giorni. Il terzo dei quali ero portato dinanzi a un giudice israeliano e, dichiarato da questi colpevole di “ingresso illegale in Israele”, ricevevo la sentenza di "deportazione". Dopo di che fui tradotto, con altri compagni di viaggio, all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, dove accaddero altri pestaggi, in uno dei quali sono stato io stesso coinvolto. Manolo Luppichini, passeggero anch'egli dell'"8000", si rivolgeva ai militari israeliani dicendo loro che si stavano comportando come i nazisti tedeschi e ciò provocava una violenta carica della milizia, immediata e successiva, nei suoi confronti innanzi tutto, e poi di altri, tra cui me stesso, che reagivano all’accaduto. Dopo la collutazione (a senso unico) Luppichini veniva isolato dal gruppo e portato in una stanza nella quale chiedevo poi di essere condotto a mia volta per constatare il suo stato di salute, richiesta che mi veniva accordata.

Ivi giunto vedevo Luppichini ammanettato e accovacciato sul pavimento e chiedevo ai militari di arrestare anche me. Mi veniva risposto che a breve sarebbe stato rilasciato, cosa poi non avvenuta poiché avrei appreso in seguito che Manolo sarebbe stato imbarcato su un aereo diverse ore dopo gli altri. Infine mi veniva restituito il solo passaporto, e salivo, insieme con tanti attivisti, su un aereo turco, che dopo diverse ore di attesa, decollò di notte alla volta di Istanbul. Là il governo turco offriva a noi tutti la possibilità di effettuare una visita medica approfondita ed io, avendo ingerito due bicchieri di presunta acqua offertami dai sionisti all'aeroporto Ben Gurion, non sentendomi affatto bene e con la presenza, sul mio corpo, di numerosi lividi e traumi, decidevo di eseguirla, comprese le analisi del sangue e delle urine. Sono stato l’unico italiano a rimanere in Turchia, proprio per fare questa visita medica approfondita. Il giorno successivo partii alla volta dell’aeroporto Malpensa di Milano, sempre a bordo di un aereo turco. Dalla Malpensa raggiunsi il comune di Varese, dove mi sottoposi a una ulteriore visita medica, eseguita dal dott. Filippo Bianchetti.

Durante la detenzione ci è stato consentito di incontrare delegazioni diplomatiche, alcuni avvocati e dei giornalisti. Al termine del giudizio di cui sopra, mi è stata consegnata copia della sentenza in lingua ebraica, nella quale è trascritto fedelmente quel che ho dichiarato nel rispondere alle domande del giudice. Mi è stato chiesto se riconoscevo di essere entrato in modo illegale in Israele, al che ho risposto che ero stato io illegalmente sequestrato in acque internazionali con un atto di pirateria; in secondo luogo se desideravo rientrare in Italia. Risposi di sì ma a patto che mi venissero restituiti i miei effetti personali e il mio cellulare e che fossi sottoposto a una visita medica; né la prima né la seconda cosa si sono verificate.

So che è stato avviato dalle autorità italiane un procedimento penale contro Israele presso la Procura di Roma (n. 5114/10, modello K). Per quanto mi riguarda intendo denunciare l'entità sionista per i suoi crimini al Tribunale dell'Aia.
In fede.

Joe Fallisi
(Ostuni, sabato 27 novembre 2010)

P. S.: allego copia della sentenza comminatami in Israele e del certificato medico stilato dal dott. Filippo Bianchetti. Inoltre i links a video online in cui ho parlato diffusamente anche e soprattutto della mia partecipazione alla Freedom Flotilla».
È difficile interpretare i segni del tempo ed io sono propenso a credere che ciò che fu iniziato oltre cento anni fa, quando pensarono di poter far sgomberare gli abitanti autoctoni della Palestina, smembrata dalla precedente unità geopolitica, per far posto a coloni arroganti e senza scrupoli, continuerà oltre la nostra generazioni. Noi siamo ben consci di non essere uomini di governo e di non avere il potere di decidere gli orientamenti formali di politica estera, ma siamo ben consci di essere soggetti morali e di poter assumere la responsabilità del nostro giudizio. È quanti parimenti intendono fare i partecipanti che nella primavera prossima, da oltre 100 paesi del mondo, saliranno su una Nuova Flotilla per combattere una “guerra” non violenta, senza armi apportatrice di morte, ma con viveri, medicine, aiuti per una popolazione stremata da oltre quattro di assedio in violazione di ogni principio di giustizia ed umanità.

giovedì 16 dicembre 2010

Delenda: 52. Luigi Compagna: «Theodor Herzl. Il Mazzini d’Israele» (Rubettino, 2010).

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Post in costruzione. Avvertenza: il testo che segue è una bozza in elaborazione, che è proposta alla discussione critica degli abituali lettori (cinque o ventidue), distribuiti in paesi e continenti diversi e non altrimenti raggiungibili. Quando il testo ci parrà definitivo, verrà tolta questa avvertenza. Il libro era stato annunciato più volte prima di uscire ed il tema del sionismo come equivalente del nostro Risorgimento è stato proposto in Alto Loco. Si tratta ad un più alto livello, pur sempre di un’operazione di propaganda, di Hasbara, di produzione dell’immagine all’estero dello stato di Israele. Essa si collega al tentativo di equiparare, sul piano penale, antisemitismo e antisionismo. La tesi ci è parsa subito inverosimile e per poterla confutare al meglio abbiamo creato un apposito blog, di assai gravoso impegno, ma seducente per l’occasione che offre di una rivisitazione critica della nostra storia a 150 anni dell’Unificazione: la pubblicazione dell’opera completa di Giuseppe Mazzini. Le idealità mazziniane nulla hanno a che fare con quelle di Theodor Herzl, al quale possono ben essersi ispirati gli Undici Eroi del piano Dalet, di cui parla l’ebreo israeliano Ilan Pappe, nel suo libro “La pulizia etnica della Palestina”. Riteniamo di non dover indugiare nella critica di un testo ideologico, le cui prospettive “de iure condendo” ci appaiono chiare. Riteniamo urgente il loro contrasto. La critica al libro è qui “in progress” ed il Lettore vi può contribuire. Avvertiamo anche che in successive redazioni andremo spuntando al massimo i toni polemici che ci sorgono spontanei dall’animo e che ci vengono segnalati dai lettori: è in effetti nostra intenzione concentrare l’argomentazione sull’oggettività della critica ad una inaccetabile equiparazione fra Mazzini ed Herzl ovvero fra il nostro Risorgimento ed il Sionismo, pur riconoscendo l’altrui diritto di elaborare e proporre le tesi più inverosimili.

Ho appena comprato il libro (euro 15) di cui in immagine ed intendo leggerlo, lentamente, con molta attenzione e studio, fino all’ultima sua pagina, ritornando su quelle già lette per confrontarne luoghi e giudizi. A questo scopo mi servirò di un lettore OCR per ritrovarne agevolmente ogni singolo termine e studiarne le ricorrenze ed i contesti. Devo però anche dire che ritengo di conoscerne il contenuto ancora prima di averlo letto. E la lettura non potrà essere che una conferma di ciò che mi aspetto di leggere, ma potrebbe essere anche una smentita. Al contrario di quello che ritiene un certo Gatti del CDEC, io ritengo di avere solo «giudizi» e per nulla «pregiudizi». O meglio: se per caso, giunge alla mia consapevolezza l’esistenza di un “pregiudizio” che del tutto illegittimamente alberghi nella mia mente, è all’istante già predisposto il decreto di espulsione. Dei “pregiudizi” ci si libera acquistandone consapevolezza, ma non certo mandando in galera o mettendo alla “gogna” le persone che ne sarebbe affette. Mi chiedo e chiedo cosa l’on. Compagna creda di fare all’interno di una Commissione parlamenare capitanata dalla ultra-sionista Fiamma Nirenstein, credo immessa in parlamento su quota Fini. Mi auguro che ne segua la sorte. Facendo il nome di Mazzini e come parlamentare della repubblica, l’on. Luigi Compagna dovrebbe ben conoscere il dettato degli articoli 21 e 33 della costituzione italiana, integrati dall’art. 3: nella loro lettera e nel loro spirito.

Conosco già l’obiezione, che è la stessa che tiene in galera migliaia e migliaia di persone in Germania e in Europa, e che lor signori in nome della coppia impossibile Herzl-Mazzini vorrebbero introdurre anche in Italia. I vari Gayssot, Fabius e quanti si sono fatti promotori di leggi liberticide in Europa dicono, semplificando fino al grottesco: ciò che penso io, in nome e per conto di Israele o delle “vittime” per antonomia e per monopolio, è pensiero e quindi deve essere protetto e tutelato. Ciò che dicono gli altri, colpevoli sostenzialmente di non essere graditi ai primi, non ha nulla a che fare con la libertà del pensiero e con la sua doverosa tutela, in quanto alla base della stessa teoria dei diritti umani. Ho già espresso e non mi stancherò di approfondire in tutte le possibili le declinazioni il concetto che i vari reati di “antisemitismo”, “odio”, ecc., sono in realtà reati senza oggetto materiale, in pratica sono delle moderne “lettre de cachet”, dove si può tranquillamente scrivere il nome del proprio “nemico” pubblico e privato, del proprio avversario e oppositore politico, destinato con questa legge elettorale e non avere nessuna rappresentanza parlamentare.

Il concetto è difficile, me ne rendo conto. Provo ad esprimermi con un esempio, chiaramente immaginifico. Se entro con un martello in una Sinagoga e mi mette a sfasciaare e demolire ogni cosa che trovo, compio un reato di danneggiamente. L’esempio è immaginifico, ma non troppo, se ricordiamo tutti il «folle» che prese a martellate la Pietà di Michelangelo, esposta subito a destra, come si entra nella Basilica di San Pietro. Da allora, dopo il restauro, la “Pietà” soffre come in una prigione dentro una campana di vetro infrangibile. Ricordo che le prime prime paroe di Paolo VI, quando si recò a vedere il vandalico “danneggiamento” fu: «folle!», rivolgendosi all’autore del reato. Eccolo il titolo specifico e appropriato del reato: “danneggiamento” o affine a seconda dell’acume del giurista. Ma non grido all’anticristianesimo, o ancora più precisamente all’anticattolicesimo. Ch’io sappia, non esiste un titolo di reato: “anticristianesimo” come invece purtroppo esiste “antisemitismo”. Se poi volessimo fare una conta impossibile ed in un certo senso assurda del numero delle vittime. dei “martiri” cristiani nel corso della storia, credo il loro numero supererebbe di gran lunga quello degli ebrei o israeliti. Ma sono confronti e paragoni assurdi, che non dovrebbero essere mai fatti.

Nel caso specifico si trattava davvero di un “folle”, se ben ricordo, e perciò in quanto tale non penalmente “responsabile”, richiedendo il diritto penale la consapevolezza di giudizio e la piena volontà del soggetto del reato perché possa essere condannato e punito. Ma se ammettiamo che fosse perfettamente consapevole, il nostro immaginario “delinquente”, e dopo aver fatto danneggiamenti dentro la ipotetica Sinagoga si fosse dato alla fuga e fosse entrato in una Moschea, in una Chiesa cattolica, protestante, evangelica, valdese..., e poi in un sindacato, in un partito politico, in una fabbrica, ecc. ecc., sempre lo stesso reato di “danneggiamento” avrebbe commesso. Ma non un reato di “anticattolicesimo”, “antiquacuerismo”, “antisindacalismo”, “antindustrialismo”, ecc., gli si sarebbe potuto imputare. Ed invece con l’«antisemitismo» ogni cittadino, che appena magari dissenta dalle tesi storiografiche esposte nel libro dell’on. Luigi Compagna, non sa di cosa deve rispondere propriamente, se viene in tal modo contestato.

La lunga digressione era d’obbligo perché l’on. Compagna è sempre in prima fila fra i più accesi e vivaci promotori, quando si tratta di promuovere l’immagine di Israele nel mondo. E non va certo per il tenere quando si scaglia contro i critici oppositori di Israele o contro quanti invocano il semplice rispetto della libertà di pensiero, di espressione, di ricerca, di insegnamento per tutti, anche e soprattutto a vantaggio di quelli che la pensano all’opposto di noi. Sembra assurdo, ma ciò che a noi sembra elementare, non lo è per quella commissione di indagine che vuole chiudere la Rete, consentendo il cyberspazio solo a quanti riescono graditi alla Commissione, o al CDEC, che per la sua expertise ha appena ricevuto 300.000 euro. Le operazioni concettuali per le quali si formano i “pregiudizi” del CDEC e sei suoi “Ricercatori” si basano su libri come quello dell’on. Compagna, il quale ci vorrebbe far credere che dire Herz o dire Mazzini sia in pratica la stessa cosa.

E qui ci avviciniamo al libro di Luigi Compagna, che avevamo prenotato il libreria e della cui uscita sapevamo, ma il discorso che intendiamo fare è lungo e la strada pure pareccchio lunga. I nostri Cinque lettori ci consentirano la pausa pranzo. Il pomeriggio poi lo abbiamo impegnato per la presentazione di un libro, di cui poi diremo in altra scheda, ma ne posso annunciare qui il titolo e l’autore: Nino Galloni, Prendi i tuoi soldi e… scappa? La fine della globalizzazione, Koinè Edizioni. Sono stato invitato personalmente dall’autore alla presentazione che si tiene questo pomeriggio e per poterci essere mi sono perfino sottratto ad un impegno universitario. Il Lettore comprende la mia premura, ma l’on. Compagna, che certo non è un mio “amico” – e da cui mi aspetto chissà quale trattamento – ci intratterremo a lungo, nel più rigoroso rispetto della legalità e di quell’art. 21 della costituzione, che dovrebbe essere ancora vigente ed il cui custode dovrebbe essere proprio l’on. Compagna, eletto in parlamento per rappresentanre non lo Stato di Israele ed i suoi interessi, ma la “nazione” italiana ed i suoi cittadini, anche quelli di idee diverse dell’on. Compagna. Sono assolutamente certo che l’on. Compagna, richiamato ai suoi doveri, sia perfettamente d’accordo con me e si professi rappresentanta della nazione con tutti i suoi cittadini, me compreso! E purtroppo io di cittadinanza, patria e nazionalità ne ho una sola!

* * *

Mi dispiace e mi scuso, se l’approccio appare a chi legge gratuitamente polemico, ma sento che i motivi di dissenso dalle tesi già note dell’autore sono nette e radicali. Naturalmente, leggerò con molto attenzione il testo e la mia critica potrà essere riformulata e perfino modificata in corso d’opera. Ma ecco che ancor prima di aprirlo il libro mi basta andare in quarta di copertina, dove ci si richiama al congresso sionista del 1897 come punto di partenza di tutto il discorso che Compagna intende fare. Non mi è difficile immaginare quante pagine di testo saranno dedicate a questo congresso sionista. E crediamo di essere abbastanza puntuali nella critica se alla semplice menzione dell’evento 1897 opponiamo un altro incipit di altro ben diverso libro, pure da noi qui “recensito”. Intendiamo il libro di Ghada Karmi che così inizia:
«Dopo il primo congresso sionista del 1897 a Basilea, durante il quale fu proposta per la prima volta l’idea di costituire uno Stato in Palestina, i rabbini di Vienna inviarono due loro rappresentanti per verificare se il paese fosse adatto a questa impresa. Le due persone sintetizzarono il risultato delle loro esplorazioni in questo telegramma:

La sposa è bella, ma sposata a un altro uomo.

Con disappunto avevano trovato che la Palestina, sebbene avesse tutti i requisiti per diventare lo Stato ebraico che i sionisti desideravano, non era, come lo scrittore Israel Zangwill ebbe più tardi ad affermare, «Una terra senza un popolo per un popolo senza terra». Era una terra già abitata, rivendicata da una popolazione nativa arabo-palestinese della quale era la madrepatria».
Fortunantamente il libro di Compagna dispone di un indice dei nomi. Giacché nella quarta di copertina, che serve ad orientare un lettore sul contenuto del libro, si legge che Herzl fece sì che «dall’ottocentesca idea di nazione gli ebrei non fossero esclusi», mi chiedo subito se su questa “ottocentesca idea” si tiene conto di quanto dice Shlomo Sand, di cui è appena uscita un’edizione italiana, dopo quella francese e quella inglese, uscite qualche anno prima. Nell’indice dei nomi il nomi Sand non compare neppure e vi è da pensare che Luigi Compagna non si sia misurato per nulla con le fondatissime argomentazioni che proprio uno storico ebreo ed israeliano muove all’«invenzione» appunto ottocentesca del popolo ebraico. Ma la contrapposizione più stridente che appare a prima a vista è la differenza abissale fra un popolo o un’insieme di popoli “auctoctoni” di lunga data, come quelli che costituirono il nuovo stato italiano e sabaudo, che «risorge» da una sua precedente condizione ed un “popolo” che si forma con un’immigrazione continua su un territorio di cui ci si appropria espellendo gli indigeni. Ci sembra talmente abissale ogni accostamento fra sionismo e Risorgimento da porci noi stessi un serio dilemma: o si tratta di una consapevole mistificazione o dobbiamo ripensare il concetto di Risorgimento quale ci è stato insegnato fin dalle scuole elementari, facendo di essi il fondamento della nostra educazione civica e nazionale.

Certamente, Giuseppe Mazzini fu in amicizia con personaggi ebrei della sua epoca. Ma intanto Mazzini muore nel 1872, ben 10 anni prima che in Palestina iniziassero i primi insediamenti di “coloni” sionisti. Per non parlare poi dalla lontananza non solo cronologica dalla data del 1897, anno del citato congresso sionista. Su questi rapporti personali di Mazzini con ebrei della sua epoca non si può montare una speculazione per parlare di “risorgimento” sionista. Si trattò di un’operazione coloniale gravissima, i cui effetti appaiono ogni giorno più evidenti. Certo, la polemica è in se disdicevole e depone male in un discorso che dovrebbe essere prettamente scientifico. Ma non è che Luigi Compagna non faccia abitualmente polemica, e pure pesante. Lo fa chiaramente in un posizione di forza. Lo sappiamo. Ma la cosa non ci impressiona più di tanto. Del resto, noi abbiamo già predisposto con un blog a parte addittura una riedizione di tutta l’opera sterminata di Giuseppe Mazzini. Abbiamo percorso i primi tre volumi dell’edizione nazionale in oltre cento volumi e non abbiamo trovato traccia di un “sionismo risorgimentale”. La lettura attenta del libro di Compagna, che certamente costituisce il massimo sforzo teorico di proporre l’accostamente Risorgimento-Sionismo, sarà per noi utile nella lettura contestuale di tutta l’opera mazziniana. Il Lettore comprende che si può qui solo iniziare un discorso: aspettare di aver letto non tanto le 246 pagine del libro di Compagna, ma tutta l’opera di Mazzini, significa lasciare incontrastata l’operazione ideologica che si nasconde dietro l’accostamento Sionismo/Risorgimento. Riteniamo perciò che il discorso possa qui essere proposto in fieri. Non siamo nell’Accademia e possiamo seguire metodologie diverse, almeno finché ce lo consentiranno. Compagna ha licenziato nel 1979 un libro dal titolo: «Alle origini della libertà di stampa nella Francia della Restaurazione». Sarà interessante leggere anche questo libro e confrontarlo con le posizioni politiche attuali del suo Autore. Su questo stesso tema abbiamo in programma un estratto di tutti i testi che riguardano la libertà di pensiero (e connessi) nelle costituzioni francesi dell’Ottocento, su cui un nostro maestro, Armando Saitta, aveva pure licenziato un volume.

* * *

Ieri sera, sul tardi, avevo largamente espunto i toni polemici della parte iniziale di questo post, e procederò egualmente nella revisione continua della forma. Non vi era bisogno che qualcuno mi facesse rilevare la mia forma polemica. Io stesso negli anni in cui lavoravo all’Enciclopedia del diritto avevo il compito redazionale di rilevare e segnalare le intemperanze polemiche degli autori, ossia tutto il mondo accademico italiano che collaborava all’Enciclpodedia, redigendo le voci specialistiche. Insomma, conosco fin troppo bene il ruolo consentito alla polemica nell’ambito di una trattazione che è o dovrebbe essere «scientifica», come si suol dire. Ma non pare proprio sia il caso del libro in questione. Su quale base faccio una simile affermazione? Lo vengo subito a dire e credo che chi legge possa farsi una fragorosa risata.

Or dunque, avevo faticato la sera non poco ad espungere le mie forme polemiche del mattino, della quali sento quasi nostalgia, spontanee come erano e dettate dal cuore, veritiere nella loro genuinità. Ma il richiamo alla scienza – se fatto da un amico – ha una forza cogente alla quale è doveroso piegarsi. Spento il computer, passo alla lettura del libro, al suo interno, non limitandomi alla quarta di copertina, che già aveva associato nella mia mente il telegramma dei rabbini viennesi sopra riportato, i quali osservavano un dato di fatto elementare e ineludibile: la Palestina era nel 1897 assolutamente abitata dai palestinesi. Non era un deserto, non era era una terra senza popolo per un popolo senza terra, come ancora oggi pretende la propaganda sionista, per giunta con in tentativo di compromettere la santa figura del nostro Mazzini. Ad accorgersi della stonatura, del disturbo, che i primi sionisti rappresentavano in Palestina, furono gli ebrei autoctoni, poche migliaia che avevano sempre vissuto in pace e armonia con la stragrande maggioranza di palestinesi musulmani. E così poteva dirsi per le altre comunità religiose. Se oggi la grande maggioranza delle comunità ebraiche della «Diaspora» o della «Dispersione», come si legge nei documenti sionisti, sostiene l’avventura dello Stato sionista, lo si può spiegare con il sostegno determinante dell’Impero USA, succeduto all’Impero britannico del mandato. È una gravissima responsabilità di cui i posteri giudicheranno, quando l’Impero che già scricchiola non sarà più e Israele dovrà cercare altre coperture internazionali, se ne troverà.

Aperto dunque il libro, cosa ti trovo? Una paginetta e mezzo di «Prefazione» a firma Francesco Cossiga, dove mi sconcerta il diritto del Picconatore alla «virulenza che mi è propria»? Forse non ho capito. Vado a cercare sul vocabolario il significa preciso del termine “virulenza”. Tolto il significato proprio che ha a che fare con i microrganismo, con i virus, resta il significato comune ed estensivo di «asprezza, durezza espressiva: la virulenza di un articolo giornalistico, di un discorso politico». E l’aggettivo «virulento» sta per: «aspro, aggressivo e violento: linguaggio virulento, polemica virulenta». Così il Grande dizionario italiano dell’uso, ideato e diretto da Tullio de Mauro, che mi è costato molto e che uso troppo poco.

E dire che io mi accingevo a sacrificare la mia «virulenza» che sorgeva spontanea nel leggere il libro di Compagna, di cui conservo l’eco dei suoi «discorsi virulenti» che non possono non impressionare un comune cittadini, non sionista, non amico di Israele, che dovrebbe essere tutelato da un parlamentare il cui dovere dovrebbe essere quello di rappresentare e tutelare tutta la nazione... italiana! Ritornando alla quarta di copertina si legge che Luigi Compagna, «più volte parlamentare», «ha presieduto nella XIV legislatura (2001-2006) il comitato di amicizia Italia-Israele nell’ambito dell’Unione Interparlamentare». Or bene, quando si parla di “Israel lobby”, per non dire “lobby ebraica”, che è forse espressione vietata in quanto tacciabile di antisemitismo, qualcosa potrà pur significare il termine? E perché dovrebbe esistere in un ambito parlamentare un apposito “comitato di amicizia Italia-Israele”? Gli stati oggi rappresentati all’ONU sono esattamente 189. E per ognuno di essi esiste dunque un apposito “comitato di amicizia” in ambito parlamentare? E le ambasciate e i consolati in ognuno di questi paesi cosa stanno a fare? Non sono oggettivamente un “comitato di amicizia», non esistendo uno stato di guerra? Perché la specialità di un “comitato di amicizia Italia-Israele”? Le domande sono alquante retoriche, giacché ogni lettore mediamente informato puà trovare facilmente la risposta e da qui arrivare alla funzione e al significato del di Luigi Compagna, difficile da leggere se già dalla quarta di copertina occorre sollevare tante critiche.

Qui seguiremo tuttavia il metodo di leggere e annotare pagina per pagina, riga per riga. Di un altro libro, di Mesnaghi, avevamo voluto prima leggere tutto il libro, per poi parlarne. E così ho fatto, nel senso che ho letto tutto il libretto, isolando a mente quattro o cinque punti principali su cui concentrare la critica demolitrice, trascurando le quisquilie. Solo che abbiamo poi perso interesse al libro e la nostra attenzione è stata attratta da altre cose. Anche lì siamo nell’ambito di una pubblicistica “ricca”, nel senso che gode di sostanziosi e illimitati finanziamenti, ma di inconsistente valore storico, scientifico, filosofico. È pura propaganda, Hasbara, promozione di immagine, di cui Israele ha bisogno per la sua azione politica interna contraria a tutte le regole di un diritto internazionale, ormai distrutto, e per il suo benessere, essendo fondata quell’economia da un flusso continuo di risorse, a fondo perso, che le viene dall’estero.

A differenza che per il libro di Mesnaghi, seguiremo dunque per Compagna, il metodo di tenere il libro qui accanto al computer, di leggerlo pagina dopo pagina e di scriverne subito a caldo. Ne dovrebbe venire un commento ancora più lungo del libro stesso. Per evitare ciò cercheremo di evitare le ripetizioni. Le critiche fatte per una pagina, non le rifaremo se in un’aguale pagina dovremmo ripetere le stesse critiche. Intanto per liquidare Cossiga ci serviamo del motto che si trova a sinistra del logo dell’Osservatore Romano: «Unicuique suum», mentre a destra si legge: «Non praevalebunt». A Cossiga rendiamo il suo dicendo che la sua «Prefazione» è totalmente priva di qualsiasi contenuto scientifico. Serve certamente a farci capire di quali appoggi si sia servita la Lobby. Fin dove può arrivare e di fatto arriva. Ma Cossiga non ci spiega perchè è un «amico» di Israele e perché mai dovremmo esserlo noi. Non ci spiega come dobbiamo giudicare la «pulizia etnica» del 1948, narrata e documentata da uno storico israeliano, Ilan Pappe, che ha utilizzato quegli archivie quelle fonti che Compagna ignora allegramente. Non a caso citiamo qui l’«Osservatore Romano». Se il cattolico e democristiano Francesco Cossiga – pace sia all’anima sua! – si fosse andato a leggere le cronache dell’«Osservatore Romano» degli anni in cui già si caratterizzava l’immigrazione ebraica sotto l’ombrello protettivo e truffaldino del Mandato britannico avrebbe potuto avere un’immagine storiografica dell’immigrazione sionista che non lascia scampo a nessuna operazione propagandistica: ondate successevi di immigrati che spogliano e scacciano la popolazione autoctona, gli indigeni. Se per una volta, in modo inusuale al nostro stile, possiamo usare l’immagine della sposa, usata dai rabbini viennesi, possiamo dire che la sposa è stata stuprata e violentata da questi immigrati mentre gli inglesi la immobilizzavano, affinché non reagisse. È uno “stupro” che dura da oltre un secolo e che in qualche modo ci vede complici.

Della Prefazione di Cossiga non riusciamo a trovare una riga che si salvi. Con ogni evidenza l’autore ha creduto di potersi giovare dell’autorevolezza tutta politica del personaggio, per dare peso al suo libro. Già! Ma uno non sapesse chi è stato Francesco Cossiga – sia pace all’anima sua! – e giudicasse solo per il senso intrinseco della pagina, quale impressione ne potrebbe trarre? Di vacuità. E se egli rivendica nei suoi giudizi in luogo del senso critico e dell’argomentazione che si deve a chi “non è” e “non può essere” «amico di Israele», se non altro perché è la sua «vittima» (leggi in ultimo: “Piombo Fuso” o “Mavi Marmara”, essendo impossibile elencare gli infiniti episodi che oscurano la nostra mitologia resistenziale), il suo diritto alla «virulenza che gli è propria» dovremmo essere noi tenuti con il Prefatore e il Libro a quella equanimità che egli allegramente dismette verso gli altri? Appunto, come dice l’Osservatore Romano: Unicuique suum! Non volendo però rinunciare in nessun modo alla scienza, e non ritenendoci qui per nulla inferiori e al defunto Cossiga – transit gloria mundi – e al deputato e collega Compagna rinviamo ad una ricostruzione del lungo processo di immigrazione sionista violenta e fraudolenta, direttamente sulla lettura delle fonti primarie dell’epoca, ottenute in apposita ricerca con titolo: «La questione sionista e il Vicino Oriente», di monumentale impegno che ci richiederà non poco tempo.

Della nascita dello stato di Israele Cossiga, nella sua Prefazione, ignora ogni cosa. Se fosse entrato nei dettagli di questa nascita e si fosse servito dei documenti e delle fonti primarie supertisti e accessibili avrebbe scoperto di che lagrime e di che sangue grondi una simile nascita. Essendo morto il 17 di agosto di quest’anno, la sua Prefazione esce postuma in Ottobre, come si legge nella data di stampa del libro di Luigi Compagna. Un’altra data di stampa, precedente di un mese, cioè il settembre del 2010, reca invece un ben diverso libro, di cui parliamo in altra scheda e che abbiamo letto per intero fino all’ultima pagina: Ghada Karmi, Sposata a un altro uomo. Per uno Stato laico e democratico nella Palestina storica. Un libro che mai Cossiga nella “virulenza” che gli è propria avrebbe mai letto e tanto meno Prefato, ma anche un libro che avrebbe smontato tutti i suoi pregiudizi e la sua faziosità politica ed al quale sul piano scientifico e storico-argomentativo nulla sarebbe stato capace di obiettare. Se la mia critica demolitrice di Cossiga, la cui recente scomparsa mi procura un certo imbarazzo in questa critica, e di Compagna, cui mi accingo, dovesse apparire inadeguata, invito alla lettura del libro di Ghada Karmi, che non lascia scampo ad una alquanto manifesta operazione propagandistica.

Ho finito di leggere il libro di Compagna e non ne posso dare che un pessimo giudizio, sotto tutti i punti di vista. Al tempo stesso sto assistendo allo svolgersi dell’operazione per la quale era stato concepito. Mi è tutto perfettamente chiaro, ma non se posso parlarne, trovandomi costretto a dover criticare anche il presidente della Repubblica, che in questa vicenda svolge pure un suo ruolo. Avevo una volta scritto proprio al Presidente perché mi rendesse edotto sui fondamenti dottrinali dei suoi discorsi, in merito appunto a Mazzini, al Risorgimento, al Sionismo. Incredibile a credersi ma ottenni una risposta, ma non di suo pugno, bensì con firma di un suo Consulente che non aveva capito l’ironia implicita nella mia domanda. Tutto si fa chiaro, ma ci è lecito esprimere ciò che ci appare chiaro? La costituzione ancora lo consente?
(segue)

martedì 14 dicembre 2010

Note in margine alla presentazione di un libro di testimonianza sulla Flotilla Iª e tentativi di contrasto alla Flotilla IIª

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In Evidenza:
Intervento registrato di Enzo Iacopino.
• Selezione di attacchi al presidente Iacopino:
– Da «Informazione Corretta»;
– Ancora «ivi».

Ero presente sul luogo dei fatti, come spettatore e mi aspettavo gli sviluppi che tenterò di narrare, in più sedute di lavoro. Al tempo stesso questo post, strettamente legato con il precedente, ma in qualche modo autonomo, fungerà da luogo di raccolta delle battaglie di carta che dovessero ancora svilupparsi. Cercherò di tenere un racconto ordinato e soprattutto di non perdere la bussola del punto di vista che intendo rappresentare, cioè la libertà di pensiero, senza però sacrificare i miei diritti e doveri di cittadino, che come ogni altro cittadino ha il diritto alle sue opzioni politiche, in questo caso il sostegno alle ragione delle vittime e della parte debole ed oppressa, cioè i palestinesi, la cui lunga storia di sofferenza inizio altrove a raccontare fin dal 1921, direttamente sui documenti dell‘epoca, ed al presente il milione e mezzo di persone che al presente sono segregate da oltre quattro anni in un lager a cielo aperto, quello di Gaza. È una vergogna sulla quale probabilmente i posteri si interroghereranno e chiederanno ad ognuno di noi cosa facevano e quale era la nostra posizione. La mia è una decisione a favore dell’uomo e dell’umanità: dalla parte delle vittime che sono per me senza ombra di dubbio i palestinesi e contro gli oppressori che parimenti senza ombra di dubbio sono i “sionisti” o come altrimenti li si voglia chiamare: Stato di Israele, israeliani, stato ebraico di Israele... Il nome che si vogliono dare non mi riguarda. Io so chi sono. Detto ciò, non è impossibile narrare gli eventi sotto l’angolo visuale della libertà di pensiero e di espressione. Fondamentale, lo ripeto, i denigratori di Enzo Iacopino si lamentano del fatto che per una volta sola le vittime, cioè gli assediati di Gaza e quanti portano loro solidarietà, abbiano potuto disporre di quelle stesse tribune che loro invece occupano abitualmente. Questa la stizza: che gli altri godano per un attimo di quella visibilità di cui loro dispongono sempre e con la quale hanno falsificato e corretto la nostra coscienza ovvero la nostra cognizione e percezione di ciò che accade. Per ottenere ciò lo Stato di Israele investe ingente risorse finanziarie e dispone di una potentissima Lobby, che ancora una volta manifesta i suoi metodi e rivela i suoi volti.

La brigata sionista che si va scagliando contro il presidente Iacopino punta i suoi strali su una sigla che a me personalmente dice poco o nulla: IHH. Si tratterebbe perfino di una omonimia come è stato spiegato nel corso della conferenza stampa. E anco a farla apposta mi è capitata proprio questo pomeriggio una discussione di laurea sulle “liste nere” dei cosiddetti terroristi. Sarebbe qui complicato e fuori luogo esporre una discussione di tesi di laurea, ma ho potuto sostenere con qualche collega la tesi sulla arbitrarietà di siffatte liste. La giurisprudenza si occupa in prevalenza della inclusione di singoli individui in siffatte liste, ma la mia tesi di carattere politico sostiene l’assoluta arbitarietà della stessa esistenza delle liste. In pratica, ogni movimento di resistenza ad un’occupazione è un movimento “terrorista”. Gli Stati Uniti o Israele hanno il potere di far dichiarare il mondo intero una lista di “terroristi”! Il nostro ministro Frattini, beniamimo di Israele, ascrive tra i maggiori meriti del suo curriculum l’aver fatto inserire in una lista “europea” di terroristi, credo proprio il movimento di Hamas, uscito dalla più democratica e controllato consultazione elettorale che si sia vista da quelle parti. Fu proprio Bush a volere quelle elezioni, nella convinzione che le urne avrebbero dato il responso gradito a lui e a Israele: non fu così! Ed ecco che da allora non passa giorno che alle nostre orecchie non sia risparmiato il ritornello “Hamas terrorista terrorista terrorista”!

L’orrundimento politico al quale ci vogliono costringere i nostri media non ha limite. Trovo noioso e ozioso ribattere a queste argomentazioni. Se le cantino i loro produttori. Le mie orecchie ne sono fortunatamente immuni. La mia attenzione, anzi le mie orecchie, si sono invece raddrizzate, quando uno dei maggiori relatori e organizzatori della Flotilla IIª, la cui partenza è prevista in primavera, ha detto di se stesso: sono nato in Israele ed ho fatto in Israele il soldato! Caspita! Peccato, che il Dimitri Buffa venuto lì a portare la sua provocazione se ne sia andato prima, senza neppure aspettare la risposta del vicepresidente dell’IHH che lui aveva chiamato in causa. Non ricordo al momenti il nome dell’organizzatore svedese, ma nato in Israele e già soldato israeliano, dunque ebreo, ma mi sembra questo un dato immensamente più interessante del carattere “terrorista” o meno dell’IHH. E si è anche appreso che alla prossima Flotilla IIª proverrano da oltre 100 Paesi del mondo quanti a vario titolo saliranno sulle navi.

Dico: oltre 100 Paesi del mondo! Attuamente gli stati che hanno un seggio all’Onu sono 189! Come a dire che le società civili di oltre mezzo mondo hanno detto “basta!” con un assiedo disumano e barbaro che offende la nostra coscienza e i nostri valori, quelli che i nostri governo assai ipocritamente vanno sbandierando, essendo poi i primi a violarli, come anche Wikileaks sta dimostrando, per quanto ci si possa fidare di questa organizzazione sulla cui natura e sui cui scopi sono stati avanzati dubbi e permangono necessarie cautele di giudizio. In fondo, i denigratori di Enzo Iacopino, uscendo allo scoperto, un utile servizio ce lo rendono: ci fanno sapere, addirittura con nomi e cognomi (che nei limiti del possibile cerchiamo di non riportare neppure), chi sta con chi e contro di chi! Esistono momenti nella storia in cui ognuno, scopertamente e senza ambiguità, deve assumersi le sue responsabilità. Crediamo che Enzo Iacopino lo abbia fatto, ma non come semplice privato, che ha diritto alle sue opzioni, quali che siano, ma proprio nel rispetto del suo ruolo che con imparzialità riconosce a una giornalista come Angela Lano di informare come nessun altro meglio di lei avrebbe potuto fare, essendo sui luoghi dell’evento: l’assalto, violento e illegale, alle navi che portavano soccorso umanitario a popolazioni stremate da un assedio ingiusto, disumano e illegale. Hic Rodus hic salta! I signori denigratori possono ingannare se stessi con le loro penose argomentazioni, ma non possono nulla contro chi ha retta coscienza ed è scevro da pregiudizi.

Appunto perché l’informazione non raggiunga un più vasto pubblico costoro non avrebbero voluto una conferenza stampa in un luogo ufficiale. Ricordo come a pochi giorni dalla conclusione nominativa di Piombo Fuso, nel gennaio del 2009, allo storico ebreo israeliano Ilan Pappe fu negata all’ultimo momento la sala nell’Università di Roma La Sapienza. Allo stesso Pappe fu pure nuovamente negata l’aula in una sede del comune di Monaco di Baviera. Ad avergliela negata – si seppe – fu la stessa comunità ebraica tedesca! E Pappe ebbe a commentare: qui, in Germania, mi negate la parola, allo stesso modo in cui i nazisti, negli anni trenta, la negarono a mio padre. Anche adesso, non facciamo i nomi, avrebbero voluto negare la parola e la sede all’ebreo svedese, già soldato israeliano, che nella prossima primavera salirà su uno di quelle navi, affermando che per nessuna ragione desisterà dalla sua volontà di raggiungere Gaza con il suoi carico di aiuti umanitari. Anche lui un...«terrorista»? Di quale organizzazione? Non ci interessa! Fossero tutti così i “terroristi», il mondo sarebbe un’altro!

* * *

Qualche considerazione va fatta sulla “copertura giornalistica” dell’evento, come sul dirsi. Erano presenti alla Conferenza stampa, in effetti, solo testate minori: da una parte i più sfegatati e faziosi sionisti, i quali sostanzialmente sono rimasti indispettiti e scornati per il il fatto che l’evento si sia svolto nella sede dell’Ordine dei giornalisti. Nonostante, un clima di vero e proprio linciaggio contro il presidente Iacopino – per nulla diventato un “attivista” e “terrorista” dell’IHH -, facendo uso delle tecniche che costoro usano abitualmente: forniscono l’indirizzo personale del presidente e poi invitano i loro ascari a scrivergli, dove naturalmente si scindono le responsabilità fra istigatori ed ascari esecutori. Conosciamo ormai fin troppo bene questa tecnica. Qualcosa abbiamo appreso dal nostro monitoraggio dei metodi e della propaganda sionista. Mi auguro soltanto che il presidente Iacopino non si sia lasciato impressionare da questo “immondizia”, come lui stesso l’ha definita.

Dall’altro fronte, con diverso apprezzamento, erano pure presente piccole testate, come Rinascita o il Manifesto, i cui nomi sono stati fatti dagli stessi giornalisti che ponevano le loro domande. La strategia delle grandi testate credo sia stata, deliberatamente, quella di non dare copertura alla notizia. Mi chiedo se invece saranno presente alla annunciata “contro-conferenza”, dove in pratica si dovrebbe parlar male di quelli che non si sono voluti sentire, quando li si poteva ascoltare e porre loro domande, anche critiche. Si rivolgereranno quindi, dicendone tutto il male possibile, a quelli che appunto perché assenti, non potranno rispondere. E quasi quasi vorrei scommettere che usciranno allora le grandi testate della carta stampata, che forse ancora qualcuno legge.

En passant, colgo occasione per dire che qui davanti a me, a pochi metri, su una sedia, ci sono ancora intonse due “copie cortesia” di giornali di grande tiratura. Li ho trovati davanti alla mia porta, sopra il zerbino, mandate in omaggio. Non li ho neppure sfogliate e credo che domani le getterò, uscendo di casa, nei cassoni della raccolta differenziata. Ma non vorrei essere equivocato: non si tratta di malanimo e partigianeria. È che ormai, grazie a internet, ho trovato fonti alternative di informazione. E sono molto più informato di quando compravo in edicola il “giornale del cuore”, come una volta ironizzava all’università il mio professore Aldo Moro. È che ormai non ce la faccio materialemente a sfogliare lenzuoli di carta inzuppate di pubblicità. Trovo molto più leggibili giornali di poche pagine, come “Rinascita”, con poca o nessuna pubblicità, che non i grandi giornali quotidiani, che – a quanto sostiene un mio amico editore online – ormai comprano solo i barbieri, per metterli a disposizione dei clienti in attesa del loro turno. Per quello che mi riguarda il tramonto della grande carta stampata è già avvenuto, anche se ancora di danno ne fanno assai e di esso occorre tener conto.

Resto dunque in attesa della contro-conferenza sulla Flotilla Iª e IIª, di cui parlerò su queste colonne. Le argomentazioni non sono imprevedibili. Uno di questi giornali titolava: “Israele ha fatto bene a sparare”, oppure usano dire e titolare: Non è riuscito l’attentato a quel capo di governo a noi inviso? «Purtroppo!”, mannaggia! Questo è il livello del giornalismo italiano, che in buona parte finanziato dal contribuente. Forse proprio da qui si potrebbe incominciare con salutari risparmi, necessari in tempi di vacche magre. Mi dispiace per piccole e meritorie testate. In questo mio giudizio impietoso non intendo fare di ogni erba un fascio, ma è poco quel che si salva. Se quella che si combate nel Vicino Oriente è una guerra crudele e sanguinosa, non saremo mai abbastanza consapevoli che sulla nostra carta stampata si combatte quelle stessa guerra: la comunicazione che viene data non è “strumento” o “propaganda” o “informazione” degli eventi, è essa stessa parte integrante di quella guerra. Se lo si tiene bene a mente, si evita di lasciarsi ingannare o di guastarsi il sangue, quando si leggono certi giornali o certi giornalisti, che per averlo scritto credono di aver imposto in tal modo la loro opinabilissima se non falsa versione dei fatti. Ancora una parola non di captatio benevolentiae verso il presidente Iacopino, che ho appena visto l’altro ieri, per riconoscergli una concezione nobile del giornalismo, che ahimé temo ormai non esista più.

Alcune note di “eletto” e “talmudico” linguaggio giornalistico: scrive una nota signora, che si accanisce contro Iacopino, che ha forse l’unico torto di prestarle soverchia attenzione: «…quando nove persone hanno perso la vita…». O, che diamine!, sono stati di infarto? Sono morti in ospedale per una banale polmonite? Non, sono stati barbaramente uccisi, assassinati, con ripetuti colpi di pistola alla nuca e a bruciapelo. Soldati israeliani, che si calavano dall‘alto con funi, sparando su gente disarmata e inerme, non possono pretendere di essere stati loro aggrediti da terroristi disarmati che poi magari per rimorso si sono uccisi loro stessi o hanno pregato di venire uccisi gli stessi loro assalitori. Mi sarà sfuggita certamente, ma non ho trovata la spiegazione che la propaganda israeliana hanno datto del fatto che siano state sequestrati ai passeggeri delle navi tutti i loro apparecchi fotografici e tutti i mezzi con i quali avrebbero potuto documentare l’accaduto. Poiché l’esercito israeliano è l’unico detentore indiscusso della Verità, noi dovremmo accettare la loro versione dei fatti, consegnata a giornaliti come il Pagliara, che non ha trovato di meglio che prendersela con Iacopino, per una volta tanto spostandosi da Tel Aviv a Roma, dove però non si è visto alla Conferenza stampa, dove avrebbe potuto confrontarsi con i suoi colleghi che sulle navi ci stavano. Lui stava altrove, ma pretende di sapere meglio cosa sulle navi sia successo. E potremmo continuare con altri esempi di linguaggio giornalistico e relativa decostruzione. Ma ricadremmo in quella polemica che vogliamo cercare di evitare per non compromettere l’andamento riflessivo del nostro discorso.

Analizzo ormai da qualche anno la propaganda sionista in lingua italiana. Veramente, sentir rimprovere al presidente Iacopino una mancanza deontologica di «equidistanza» è davvero rivoltante, quando la faziosità, mancanza di qualsiasi «equidistanza» da parte di chi lancia l’accusa, è cosa per nulla difficile da documentare per chi appena conosca la lingua italiana e sia capace di un minimo di analisi linguistica. Non sappiamo che dire e non vogliamo andare per iperboli atte a descrivere una totale assenza di criterio. Persone che fanno simili affermazioni non si aspettano un pubblico che legga, ma lanciano un segnale a chi loro sanno. Ancora una nota filologica sull’espressione «cosiddetto Olocausto» la cui paternità viene attribuita a chi non la possiede. Essa risale ad un dibattito sul quotidiano “La Stampa” del 1994 ed appartiene ad un notissimo esponente dell’ebraismo torinese che respingeva l’espressione «Olocausto» e dovendola usare diceva appunto: «cosiddetto Olocausto». Questa filologia è stata da me più volte spiegata, esiste perfino nell’archivio della stessa agenzia sionistica, è certamente nota a lor signori, ma continuano su questa musica. Che dire? Più disonestà intellettuale che ignoranza? Ovvero la solità tecnica di mescolare insieme cose diverse, magari l’una per coprire e giustificare l‘altra. In ogni caso di «Olocausto» ne abbiamo, in senso proprio, cioè religioso, molto di più nella Palestina dal 1948 ad oggi: questo “sacrificio” di vittime palestinesi in onore del Dio “ebraico” è celebrato ogni giorno, avendo come celebranti i rabbini sionisti, le cui enormità sono ad ognuno note.

A lavar la testa all’asino si perde il tempo e il sapone, mi sembra dica un certo proverbio. Esistono tuttavia inchieste ufficiali dell’Onu e i relativi risultati non possono essere posti in discussione. Ma ancora più eloquenti è che dopo la Prima Flotilla ne partirà una Seconda ancora più numerosa e determinata della prima, e poi ancora un Terza ed una Quarta, senza mai fine, fino a quando non sarà liberata la popolazione sotto assedio. Dagli organizzatori della nuoa Flotilla, giunti da vari paesi, si è detto chiaramente che non avendo ormai più fiducia nei governo, essi tutti si pongono come prappresentanti delle loro società civile, ma provenienti da oltre 100 paesi, cioè da tutto il mondo. È diffusa la consapevolezza che il cosiddetto «processo di pace» è in realtà un processo, quanto mai ipocrita, verso la... Soluzione Finale, nel senso qui indubbio di “genocidio” del popolo palestinese ovvero di “pulizia etnica”, che per Pappe è perfettamente equivalente al “genocidio”. In Israele invece dicono “transfer”. Ma è sempre la stessa cosa.


(segue)

domenica 12 dicembre 2010

Giornalismo d’inchiesta: 51. Angela Lano: «Verso Gaza. In diretta dalla Freedom Flotilla». Con una Prefazione di Enzo Iacopino (EMI, 2010).

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È da poco uscito ed ho appena comprato l’agile libretto di Angela Lano sulla sua esperienza a bordo di una delle navi che hanno tentato di forzare il blocco di Gaza, dove un milione e mezzo di persone da anni vive in un assurdo lager a cielo aperto. Ne ho giusto ier sera iniziato la lettura e, prima di scriverne, dovrei averlo terminato di leggere, in modo sequenziale. Ma non voglio indugiare a dirne qualcosa, per le ragioni che ora spiego. Intanto, il contenuto mi è noto, avendo seguito le cronache di Angela Lano «in diretta dalla Freedom Flotilla», che ora vengono raccolte in volume e curate formalmente. Non si tratta di cose nuove, per chi nella scorsa estate ha seguito giorno per giorno le vicende dellla Flotilla I, ma di una migliore esposizione di quanto già comunicato in una forma di «giornalismo d’inchiesta», che oggi in pratica quasi più non esiste. Prima ancora di pronunciarmi sul contenuto del libro e magari su singole valutazioni espresse da Angela Lano vorrei fosse subito chiaro che ritengo di estrema importanza l’idea del giornalismo d’inchiesta: l’unico che può ancora dare un senso accettabile alla professione di giornalista. Di conseguenza la mia sensibilità caratteriale è fortemente messa alla prova da un serie di attacchi, anche qualificati, che in questi giorni vengono mossi alla stessa Lano e in maggior misura contro il presidente Iacopino, reo di avere egli stesso compreso e voluto sostenere coraggiosamente un siffatto esempio di giornalismo. Di velinari o di agit-prop non sappiamo più cosa farcene, potendo ognuno di noi, grazie a internet, facilmente e meglio supplire alla bassa qualità della loro informazione. Quando si parla di libertà di stampa vorrei che si intendesse la libertà di poter fare giornalismo d’inchiesta. Il che significa essere presenti sui luoghi reali dell’evento e non soggiornare negli alberghi ad aspettare le veline del governo ospite.


Non voglio poi assistere inerte a un attacco ingiusto alla giornalista Lano e al presidente Iacopino. È uno spregevole attacco che per adesso vede in azione solo note figure sioniste ovvero filo-israeliane o ascari di supporto, con i loro beceri argomenti, stantii e privi di novità argomentative: son sempre le stesse cose che dicono e si passano di bocca l’un l’altro. Evito di fare nomi, non per timori di sorta, ma per richiamare meglio l’attenzione sull’importanza di una libertà che debba essere riconosciuta a tutti, anche a sostegno di punti di vista diametralmente opposti, purché filosoficamente argomentati e non mera espressione di venale propaganda. Non è difficile riconoscere e distinguere la propaganda dall’informazione: l’una non argomenta, ma ripete slogans confidando forse troppo nell’efficacia tutta meccanica della reiterazione; l’altra sa offrire sempre nuovi spunti alla riflessione di chi segue gli eventi del mondo. Finché è un agit-prop che considera «oltraggiosa» la libera e legittima decisione del presidente Iacopino di promuovere il giornalismo di Angela Lano, il fatto rientra nella comune lotta politica. Ma che un noto giornalista televisivo, pagato dal contribuente, pretenda proprio lui di dettare le norme della libertà altrui, è cosa che incita ad una energica reazione che qui ci porterebbe lontani dal campo che vogliamo coltivare, quello dove cioè esiste libertà di pensiero per tutti, non solo per la Lano e il presidente Iacopino, ma anche per gli inguaribili o interessati sostenitori di cause indifendibili. Per quanto ci riguarda, le loro enormità sono di sprone ad uno studio ed un rigore critico sempre maggiore. Si badi: il libro della Lano è frutto di un’inchiesta per la quale la sua autrice ha corso serissimi pericoli per la sua vita! Leggendo talune affermazioni, del tutto gratuite, di un noto giornalista televisivo che indirizza “Lettere aperte”, ne riceviamo piuttosto l’impressione di un vero e proprio «oltraggio» alla comune intelligenza. Sempre a ciurlare nel manico con gli stessi stereotipi, già denunciati da un Robert Fisk, per sottrarsi alle ovvie conclusioni davanti ad uno Stato sorto dall’immigrazione violenta di coloni razzisti e dall’espulsione, premeditata e deliberata, dei suoi abitanti autoctoni: questa è storia che nessuna melassa giornalistica potrà cancellare, far dimenticare i fatti nudi e crudi o farli cambiare di segno!

Perché tiro fuori queste argomentazioni che sembrano volte ad alimentare nuova polemica? Perché perdere tempo prezioso a battere e ribattere con persone che fanno altro mestiere diverso dal mio? Perché proprio nelle ultime settimane è uscito fuori una cablo non dovuto a Wikileaks, ma scoperto dal Guardian e riportato da una testata italiana. Spesso notizie importanti scorrono come l’acqua senza che noi ne traiamo le dovute conseguenze e senza produrre i necessari cambiamenti. Gli stessi personaggi calcano la scena senza che altri e loro stessi prendano atto delle perdita irrimediabile di credibilità. La sostanza dell’attacco di cui ci occupiamo consiste nella stizza, nel disappunto perché un luogo avente carattere di ufficialità, come la sede nazionale della stampa, ospita un evento legato alla vicenda, tragica e planetaria, della Flotilla e del Mavi Marmara, che si vorrebbe confinato nel dimenticatoio quasi fosse un banale incidente automobilistico. Non è la prima volta che ciò succede e potrei fare un elenco di casi, a me personalmente noti, ma sarebbe troppo lunga la digressione. In sintesi, è quella occupazione della legalità/istituzionalità che il sionismo ha sempre attuato come sua strategia, ma immancabilmente la legittimità, il diritto naturale irrompe dalle viscere della terra e del mare. Alla Lano e alla Flotilla da lei documentata andrebbe negata sede ufficiale in cui poter parlare e comunicare. Tutti costoro, infatti, presumono un incontestato possesso di tutti i luoghi ufficiali ed istituzionali: possono esservi ammessi solo loro e nessun altro. Se si dà spazio alla campana diversa dalla loro, eccoli gridare allo “scandalo”! È una logica distorta che fa cascare le braccia e induce a credere che con costoro non vi sia possibilità alcuna di umana comunicazione sulla base di un linguaggio umano: nessuno crede di poter parlare con un muro, con un albero, con un autobus e neppure con il proprio cane, la cui sensibilità spesso ci stupisce e commuove.

Un esempio concreto di chi sia questa gente? È di pochi giorni la notizia data non da Wikileaks, ma dal Guardian e riportato sulla stampa italiana dal Manifesto, quindi regolarmente ripreso da un’agenzia ultrasionista con un incredibile commento. Cosa si apprende? da Tel Aviv è partito l’ordine alle principali ambasciate d’Europa di “reclutare” in ogni paese almeno 1000 “amici di Israele” «tra giornalisti, accademici, studenti e attivisti sia ebrei che cristiani». Si legga il resto direttamente sull’articolo citati nel link: vi è di che far accaponare la pelle. Ma come ragiona un testa sionista? Ognuno di noi penserebbe che questi “1000 amici”, che si aggiungono agli altri che già c’erano, abbiano il compito (a pagamento o gratis?) di fare “propaganda”, ma non “informazione” libera e indipendente. Ed invece, se si va a leggere l’incredibile e “inaudito” commento degli ultrasionisti, si apprende che sarebbe “propaganda” non l’informazione promossa da Israele, ma il giornalismo di inchiesta di una Lano, mentre invece sarebbe «informazione» quella che è chiaramente una propaganda, per essere diretta, promossa, istruita direttamente dalle Ambasciate israeliane. Sempre il «Manifesto» aveva dato notizia mesi o qualche anno or sono di un ambasciatore che teneva “seminari” presso la redazione di un primario quotidiano. È umanamente possibile comunicare con gente che ha una così distorta visione della realtà? Sarebbe più facile parlare con un muro, una pietra, un mulo. Non esiste un comune linguaggio. Possiamo legittimamente sospettare che gli attacchi mossi in questi giorni alla Lano e a Iacopino non rientrino nell’ultimo programma di Hasbara trasmesso da Tel Aviv alle ambasciate europee? Possiamo e dobbiamo attardarci in un dibattito per il quale mancano i necessari presupposti di libertà e onestà intellettuale? Ma possiamo evitare una sia pur minima denuncia?

Ho dato soltanto un esempio e potrei continuare con un lunghissimo e quotidiano florilegio di enormità. E chiedo scusa al lettore per essermi soffermato su ciò su cui è buona regola passare oltre. Ma è ancora da qui che parte l’attacco ad Angela Lango e a Enzo Iacopino. Si grida perfino a un presunto «scandalo», che sarebbe costituito dalla presentazione del libro di inchiesta giornalistica sul campo, redatto da Angela Lano e presentato dal Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino, per giunta non in un sottoscala, ma nella sede Nazionale della Stampa. Lo “scandalo”, in effetti, esiste ed è grande, ma è un altro. La legge elettorale, se ancora ve n’era bisogno, dimostra qui tutti i guasti che poteva produrre ed io mi auguro caldamente: o che si vada al più presto a nuove elezioni con legge elettorale modificata o che si vada a elezioni con legge invariata, ma con una democratizzazione e massima trasparenza nella formazione delle liste. Con questo sistema, per ricordare Caligola, anche un cavallo potrebbe venire eletto al Senato. L’attuale parlamento è popolato da persone che ignorano i fondamenti della costituzione che dovrebbe difendere. Nella loro arroganza del potere pretendono di avere loro il diritto di criticare l’universo mondo e di dirne peste e corna, ma a loro volta respingono qualsiasi legittima critica si creda di poter fare a loro: è questa la loro concezione della democrazia, appunto una concezione “sionista”., che in Israele vorrebbe la negazione perfino del nome “Palestina” e “palestinese”. Ma Gaza esiste e la Flotilla Iª o ora IIª stanno a ricordarcelo. Ed Angela Lano questo ha fatto: niente di più e niente di meno.
* * *

Nella giornata di ieri, mentre i manifestanti sfilavano in direzione di piazza San Giovanni, ha avuto luogo un incontro di presentazione della prossima Flotilla II, la cui partenza è prevista per la primavera. Questa volta vi sarà anche una nave italiana, che forse partirà da un porto italiano, secondo quanto è stato auspicato: che ogni nave parte dai paesi degli stessi partecipanti. Ma da dove provengono i prossimi attivisti, ovvero spregiativamente detti dalla propaganda sionista “pacifinti”? Da oltre 100 paesi del mondo! Rispetto alla Flotilla I – è parso di capire – vi sarà un progresso quantitativo e qualitativo. Non so se domani, alla presentazione del libro-inchiesta della Lano, si parlerà anche di questa seconda Flotilla. Ma mi pare altamente probabile e sarebbe anche la sede indicati se giornalisti, deontologicamente animati, dovessero avere una sede dove rivolgere domande ad un evento di assoluta importanza giornalistica. Di altro vogliono parlare i nostri giornalisti? Di bunga bunga? Di escort? Di gossip uno più becero dell’altro? Non vi è da stupirsi che l’informazione proveniente dai blogs che ognuno può aprire appaia una valida alternativa alla stampa di regime.

A questa stampa che si ostina a chiamare aggressore l’aggredito e aggredito l’aggressore – leggi Mavi Marmara – quale credito si può dare? Essa è una cappa di piombo, anzi una colata di piombo fuso nel nostro cervello. Abbiamo il diritto di liberarcene e di cercare di meglio. È quello che mi pare abbia compreso Enzo Iacopino, riconoscendo nel libro di Angela Lano un ormai raro esempio di giornalismo d’inchiesta. Volevano dire senz’altro qualcosa sul libro della Lano, prima della presentanzione ufficiale prevista per domani. Ci riserviamo però di ritornare su questa scheda per tutte le rielaborazioni e integrazioni, che ci parrano e dopo aver riletto il libro e seguendo gli sviluppi del caso. Pur avendo scritto già molto, più di quanto non sia possibile in un articolo di giornale stampato, non ho detto nulla in merito ad un certo documentario di Manolo Luppichini, che mi sembra di aver conosciuto, apprendendo da lui che la versione trasmessa dalla Rai non era integrale. Vi sarà anche una presentazione alla stampa del prossimo viaggio della Flotilla, da parte sei suoi organizzatori, che però nella giornata di ieri hanno già tenuto un ampio dibattito organizzativo al quale ho potuto assistere. Alla prossima: dopo la conferenza stampa!