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Conosco già l’obiezione, che è la stessa che tiene in galera migliaia e migliaia di persone in Germania e in Europa, e che lor signori in nome della coppia impossibile Herzl-Mazzini vorrebbero introdurre anche in Italia. I vari Gayssot, Fabius e quanti si sono fatti promotori di leggi liberticide in Europa dicono, semplificando fino al grottesco: ciò che penso io, in nome e per conto di Israele o delle “vittime” per antonomia e per monopolio, è pensiero e quindi deve essere protetto e tutelato. Ciò che dicono gli altri, colpevoli sostenzialmente di non essere graditi ai primi, non ha nulla a che fare con la libertà del pensiero e con la sua doverosa tutela, in quanto alla base della stessa teoria dei diritti umani. Ho già espresso e non mi stancherò di approfondire in tutte le possibili le declinazioni il concetto che i vari reati di “antisemitismo”, “odio”, ecc., sono in realtà reati senza oggetto materiale, in pratica sono delle moderne “lettre de cachet”, dove si può tranquillamente scrivere il nome del proprio “nemico” pubblico e privato, del proprio avversario e oppositore politico, destinato con questa legge elettorale e non avere nessuna rappresentanza parlamentare.
Il concetto è difficile, me ne rendo conto. Provo ad esprimermi con un esempio, chiaramente immaginifico. Se entro con un martello in una Sinagoga e mi mette a sfasciaare e demolire ogni cosa che trovo, compio un reato di danneggiamente. L’esempio è immaginifico, ma non troppo, se ricordiamo tutti il «folle» che prese a martellate la Pietà di Michelangelo, esposta subito a destra, come si entra nella Basilica di San Pietro. Da allora, dopo il restauro, la “Pietà” soffre come in una prigione dentro una campana di vetro infrangibile. Ricordo che le prime prime paroe di Paolo VI, quando si recò a vedere il vandalico “danneggiamento” fu: «folle!», rivolgendosi all’autore del reato. Eccolo il titolo specifico e appropriato del reato: “danneggiamento” o affine a seconda dell’acume del giurista. Ma non grido all’anticristianesimo, o ancora più precisamente all’anticattolicesimo. Ch’io sappia, non esiste un titolo di reato: “anticristianesimo” come invece purtroppo esiste “antisemitismo”. Se poi volessimo fare una conta impossibile ed in un certo senso assurda del numero delle vittime. dei “martiri” cristiani nel corso della storia, credo il loro numero supererebbe di gran lunga quello degli ebrei o israeliti. Ma sono confronti e paragoni assurdi, che non dovrebbero essere mai fatti.
Nel caso specifico si trattava davvero di un “folle”, se ben ricordo, e perciò in quanto tale non penalmente “responsabile”, richiedendo il diritto penale la consapevolezza di giudizio e la piena volontà del soggetto del reato perché possa essere condannato e punito. Ma se ammettiamo che fosse perfettamente consapevole, il nostro immaginario “delinquente”, e dopo aver fatto danneggiamenti dentro la ipotetica Sinagoga si fosse dato alla fuga e fosse entrato in una Moschea, in una Chiesa cattolica, protestante, evangelica, valdese..., e poi in un sindacato, in un partito politico, in una fabbrica, ecc. ecc., sempre lo stesso reato di “danneggiamento” avrebbe commesso. Ma non un reato di “anticattolicesimo”, “antiquacuerismo”, “antisindacalismo”, “antindustrialismo”, ecc., gli si sarebbe potuto imputare. Ed invece con l’«antisemitismo» ogni cittadino, che appena magari dissenta dalle tesi storiografiche esposte nel libro dell’on. Luigi Compagna, non sa di cosa deve rispondere propriamente, se viene in tal modo contestato.
La lunga digressione era d’obbligo perché l’on. Compagna è sempre in prima fila fra i più accesi e vivaci promotori, quando si tratta di promuovere l’immagine di Israele nel mondo. E non va certo per il tenere quando si scaglia contro i critici oppositori di Israele o contro quanti invocano il semplice rispetto della libertà di pensiero, di espressione, di ricerca, di insegnamento per tutti, anche e soprattutto a vantaggio di quelli che la pensano all’opposto di noi. Sembra assurdo, ma ciò che a noi sembra elementare, non lo è per quella commissione di indagine che vuole chiudere la Rete, consentendo il cyberspazio solo a quanti riescono graditi alla Commissione, o al CDEC, che per la sua expertise ha appena ricevuto 300.000 euro. Le operazioni concettuali per le quali si formano i “pregiudizi” del CDEC e sei suoi “Ricercatori” si basano su libri come quello dell’on. Compagna, il quale ci vorrebbe far credere che dire Herz o dire Mazzini sia in pratica la stessa cosa.
E qui ci avviciniamo al libro di Luigi Compagna, che avevamo prenotato il libreria e della cui uscita sapevamo, ma il discorso che intendiamo fare è lungo e la strada pure pareccchio lunga. I nostri Cinque lettori ci consentirano la pausa pranzo. Il pomeriggio poi lo abbiamo impegnato per la presentazione di un libro, di cui poi diremo in altra scheda, ma ne posso annunciare qui il titolo e l’autore:
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Mi dispiace e mi scuso, se l’approccio appare a chi legge gratuitamente polemico, ma sento che i motivi di dissenso dalle tesi già note dell’autore sono nette e radicali. Naturalmente, leggerò con molto attenzione il testo e la mia critica potrà essere riformulata e perfino modificata in corso d’opera. Ma ecco che ancor prima di aprirlo il libro mi basta andare in quarta di copertina, dove ci si richiama al congresso sionista del 1897 come punto di partenza di tutto il discorso che Compagna intende fare. Non mi è difficile immaginare quante pagine di testo saranno dedicate a questo congresso sionista. E crediamo di essere abbastanza puntuali nella critica se alla semplice menzione dell’evento 1897 opponiamo un altro incipit di altro ben diverso libro, pure da noi qui “recensito”. Intendiamo il libro di Ghada Karmi che così inizia:
«Dopo il primo congresso sionista del 1897 a Basilea, durante il quale fu proposta per la prima volta l’idea di costituire uno Stato in Palestina, i rabbini di Vienna inviarono due loro rappresentanti per verificare se il paese fosse adatto a questa impresa. Le due persone sintetizzarono il risultato delle loro esplorazioni in questo telegramma:Fortunantamente il libro di Compagna dispone di un indice dei nomi. Giacché nella quarta di copertina, che serve ad orientare un lettore sul contenuto del libro, si legge che Herzl fece sì che «dall’ottocentesca idea di nazione gli ebrei non fossero esclusi», mi chiedo subito se su questa “ottocentesca idea” si tiene conto di quanto dice Shlomo Sand, di cui è appena uscita un’edizione italiana, dopo quella francese e quella inglese, uscite qualche anno prima. Nell’indice dei nomi il nomi Sand non compare neppure e vi è da pensare che Luigi Compagna non si sia misurato per nulla con le fondatissime argomentazioni che proprio uno storico ebreo ed israeliano muove all’«invenzione» appunto ottocentesca del popolo ebraico. Ma la contrapposizione più stridente che appare a prima a vista è la differenza abissale fra un popolo o un’insieme di popoli “auctoctoni” di lunga data, come quelli che costituirono il nuovo stato italiano e sabaudo, che «risorge» da una sua precedente condizione ed un “popolo” che si forma con un’immigrazione continua su un territorio di cui ci si appropria espellendo gli indigeni. Ci sembra talmente abissale ogni accostamento fra sionismo e Risorgimento da porci noi stessi un serio dilemma: o si tratta di una consapevole mistificazione o dobbiamo ripensare il concetto di Risorgimento quale ci è stato insegnato fin dalle scuole elementari, facendo di essi il fondamento della nostra educazione civica e nazionale.La sposa è bella, ma sposata a un altro uomo.
Con disappunto avevano trovato che la Palestina, sebbene avesse tutti i requisiti per diventare lo Stato ebraico che i sionisti desideravano, non era, come lo scrittore Israel Zangwill ebbe più tardi ad affermare, «Una terra senza un popolo per un popolo senza terra». Era una terra già abitata, rivendicata da una popolazione nativa arabo-palestinese della quale era la madrepatria».
Certamente, Giuseppe Mazzini fu in amicizia con personaggi ebrei della sua epoca. Ma intanto Mazzini muore nel 1872, ben 10 anni prima che in Palestina iniziassero i primi insediamenti di “coloni” sionisti. Per non parlare poi dalla lontananza non solo cronologica dalla data del 1897, anno del citato congresso sionista. Su questi rapporti personali di Mazzini con ebrei della sua epoca non si può montare una speculazione per parlare di “risorgimento” sionista. Si trattò di un’operazione coloniale gravissima, i cui effetti appaiono ogni giorno più evidenti. Certo, la polemica è in se disdicevole e depone male in un discorso che dovrebbe essere prettamente scientifico. Ma non è che Luigi Compagna non faccia abitualmente polemica, e pure pesante. Lo fa chiaramente in un posizione di forza. Lo sappiamo. Ma la cosa non ci impressiona più di tanto. Del resto, noi abbiamo già predisposto con un blog a parte addittura una riedizione di tutta l’opera sterminata di Giuseppe Mazzini. Abbiamo percorso i primi tre volumi dell’edizione nazionale in oltre cento volumi e non abbiamo trovato traccia di un “sionismo risorgimentale”. La lettura attenta del libro di Compagna, che certamente costituisce il massimo sforzo teorico di proporre l’accostamente Risorgimento-Sionismo, sarà per noi utile nella lettura contestuale di tutta l’opera mazziniana. Il Lettore comprende che si può qui solo iniziare un discorso: aspettare di aver letto non tanto le 246 pagine del libro di Compagna, ma tutta l’opera di Mazzini, significa lasciare incontrastata l’operazione ideologica che si nasconde dietro l’accostamento Sionismo/Risorgimento. Riteniamo perciò che il discorso possa qui essere proposto in fieri. Non siamo nell’Accademia e possiamo seguire metodologie diverse, almeno finché ce lo consentiranno. Compagna ha licenziato nel 1979 un libro dal titolo: «Alle origini della libertà di stampa nella Francia della Restaurazione». Sarà interessante leggere anche questo libro e confrontarlo con le posizioni politiche attuali del suo Autore. Su questo stesso tema abbiamo in programma un estratto di tutti i testi che riguardano la libertà di pensiero (e connessi) nelle costituzioni francesi dell’Ottocento, su cui un nostro maestro, Armando Saitta, aveva pure licenziato un volume.
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Ieri sera, sul tardi, avevo largamente espunto i toni polemici della parte iniziale di questo post, e procederò egualmente nella revisione continua della forma. Non vi era bisogno che qualcuno mi facesse rilevare la mia forma polemica. Io stesso negli anni in cui lavoravo all’Enciclopedia del diritto avevo il compito redazionale di rilevare e segnalare le intemperanze polemiche degli autori, ossia tutto il mondo accademico italiano che collaborava all’Enciclpodedia, redigendo le voci specialistiche. Insomma, conosco fin troppo bene il ruolo consentito alla polemica nell’ambito di una trattazione che è o dovrebbe essere «scientifica», come si suol dire. Ma non pare proprio sia il caso del libro in questione. Su quale base faccio una simile affermazione? Lo vengo subito a dire e credo che chi legge possa farsi una fragorosa risata.
Or dunque, avevo faticato la sera non poco ad espungere le mie forme polemiche del mattino, della quali sento quasi nostalgia, spontanee come erano e dettate dal cuore, veritiere nella loro genuinità. Ma il richiamo alla scienza – se fatto da un amico – ha una forza cogente alla quale è doveroso piegarsi. Spento il computer, passo alla lettura del libro, al suo interno, non limitandomi alla quarta di copertina, che già aveva associato nella mia mente il telegramma dei rabbini viennesi sopra riportato, i quali osservavano un dato di fatto elementare e ineludibile: la Palestina era nel 1897 assolutamente abitata dai palestinesi. Non era un deserto, non era era una terra senza popolo per un popolo senza terra, come ancora oggi pretende la propaganda sionista, per giunta con in tentativo di compromettere la santa figura del nostro Mazzini. Ad accorgersi della stonatura, del disturbo, che i primi sionisti rappresentavano in Palestina, furono gli ebrei autoctoni, poche migliaia che avevano sempre vissuto in pace e armonia con la stragrande maggioranza di palestinesi musulmani. E così poteva dirsi per le altre comunità religiose. Se oggi la grande maggioranza delle comunità ebraiche della «Diaspora» o della «Dispersione», come si legge nei documenti sionisti, sostiene l’avventura dello Stato sionista, lo si può spiegare con il sostegno determinante dell’Impero USA, succeduto all’Impero britannico del mandato. È una gravissima responsabilità di cui i posteri giudicheranno, quando l’Impero che già scricchiola non sarà più e Israele dovrà cercare altre coperture internazionali, se ne troverà.
Aperto dunque il libro, cosa ti trovo? Una paginetta e mezzo di «Prefazione» a firma Francesco Cossiga, dove mi sconcerta il diritto del Picconatore alla «virulenza che mi è propria»? Forse non ho capito. Vado a cercare sul vocabolario il significa preciso del termine “virulenza”. Tolto il significato proprio che ha a che fare con i microrganismo, con i virus, resta il significato comune ed estensivo di «asprezza, durezza espressiva: la virulenza di un articolo giornalistico, di un discorso politico». E l’aggettivo «virulento» sta per: «aspro, aggressivo e violento: linguaggio virulento, polemica virulenta». Così il Grande dizionario italiano dell’uso, ideato e diretto da Tullio de Mauro, che mi è costato molto e che uso troppo poco.
E dire che io mi accingevo a sacrificare la mia «virulenza» che sorgeva spontanea nel leggere il libro di Compagna, di cui conservo l’eco dei suoi «discorsi virulenti» che non possono non impressionare un comune cittadini, non sionista, non amico di Israele, che dovrebbe essere tutelato da un parlamentare il cui dovere dovrebbe essere quello di rappresentare e tutelare tutta la nazione... italiana! Ritornando alla quarta di copertina si legge che Luigi Compagna, «più volte parlamentare», «ha presieduto nella XIV legislatura (2001-2006) il comitato di amicizia Italia-Israele nell’ambito dell’Unione Interparlamentare». Or bene, quando si parla di “Israel lobby”, per non dire “lobby ebraica”, che è forse espressione vietata in quanto tacciabile di antisemitismo, qualcosa potrà pur significare il termine? E perché dovrebbe esistere in un ambito parlamentare un apposito “comitato di amicizia Italia-Israele”? Gli stati oggi rappresentati all’ONU sono esattamente 189. E per ognuno di essi esiste dunque un apposito “comitato di amicizia” in ambito parlamentare? E le ambasciate e i consolati in ognuno di questi paesi cosa stanno a fare? Non sono oggettivamente un “comitato di amicizia», non esistendo uno stato di guerra? Perché la specialità di un “comitato di amicizia Italia-Israele”? Le domande sono alquante retoriche, giacché ogni lettore mediamente informato puà trovare facilmente la risposta e da qui arrivare alla funzione e al significato del di Luigi Compagna, difficile da leggere se già dalla quarta di copertina occorre sollevare tante critiche.
Qui seguiremo tuttavia il metodo di leggere e annotare pagina per pagina, riga per riga. Di un altro libro, di Mesnaghi, avevamo voluto prima leggere tutto il libro, per poi parlarne. E così ho fatto, nel senso che ho letto tutto il libretto, isolando a mente quattro o cinque punti principali su cui concentrare la critica demolitrice, trascurando le quisquilie. Solo che abbiamo poi perso interesse al libro e la nostra attenzione è stata attratta da altre cose. Anche lì siamo nell’ambito di una pubblicistica “ricca”, nel senso che gode di sostanziosi e illimitati finanziamenti, ma di inconsistente valore storico, scientifico, filosofico. È pura propaganda, Hasbara, promozione di immagine, di cui Israele ha bisogno per la sua azione politica interna contraria a tutte le regole di un diritto internazionale, ormai distrutto, e per il suo benessere, essendo fondata quell’economia da un flusso continuo di risorse, a fondo perso, che le viene dall’estero.
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Della Prefazione di Cossiga non riusciamo a trovare una riga che si salvi. Con ogni evidenza l’autore ha creduto di potersi giovare dell’autorevolezza tutta politica del personaggio, per dare peso al suo libro. Già! Ma uno non sapesse chi è stato Francesco Cossiga – sia pace all’anima sua! – e giudicasse solo per il senso intrinseco della pagina, quale impressione ne potrebbe trarre? Di vacuità. E se egli rivendica nei suoi giudizi in luogo del senso critico e dell’argomentazione che si deve a chi “non è” e “non può essere” «amico di Israele», se non altro perché è la sua «vittima» (leggi in ultimo: “Piombo Fuso” o “Mavi Marmara”, essendo impossibile elencare gli infiniti episodi che oscurano la nostra mitologia resistenziale), il suo diritto alla «virulenza che gli è propria» dovremmo essere noi tenuti con il Prefatore e il Libro a quella equanimità che egli allegramente dismette verso gli altri? Appunto, come dice l’Osservatore Romano: Unicuique suum! Non volendo però rinunciare in nessun modo alla scienza, e non ritenendoci qui per nulla inferiori e al defunto Cossiga – transit gloria mundi – e al deputato e collega Compagna rinviamo ad una ricostruzione del lungo processo di immigrazione sionista violenta e fraudolenta, direttamente sulla lettura delle fonti primarie dell’epoca, ottenute in apposita ricerca con titolo: «La questione sionista e il Vicino Oriente», di monumentale impegno che ci richiederà non poco tempo.
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Ho finito di leggere il libro di Compagna e non ne posso dare che un pessimo giudizio, sotto tutti i punti di vista. Al tempo stesso sto assistendo allo svolgersi dell’operazione per la quale era stato concepito. Mi è tutto perfettamente chiaro, ma non se posso parlarne, trovandomi costretto a dover criticare anche il presidente della Repubblica, che in questa vicenda svolge pure un suo ruolo. Avevo una volta scritto proprio al Presidente perché mi rendesse edotto sui fondamenti dottrinali dei suoi discorsi, in merito appunto a Mazzini, al Risorgimento, al Sionismo. Incredibile a credersi ma ottenni una risposta, ma non di suo pugno, bensì con firma di un suo Consulente che non aveva capito l’ironia implicita nella mia domanda. Tutto si fa chiaro, ma ci è lecito esprimere ciò che ci appare chiaro? La costituzione ancora lo consente?
(segue)
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