martedì 14 dicembre 2010

Note in margine alla presentazione di un libro di testimonianza sulla Flotilla Iª e tentativi di contrasto alla Flotilla IIª

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In Evidenza:
Intervento registrato di Enzo Iacopino.
• Selezione di attacchi al presidente Iacopino:
– Da «Informazione Corretta»;
– Ancora «ivi».

Ero presente sul luogo dei fatti, come spettatore e mi aspettavo gli sviluppi che tenterò di narrare, in più sedute di lavoro. Al tempo stesso questo post, strettamente legato con il precedente, ma in qualche modo autonomo, fungerà da luogo di raccolta delle battaglie di carta che dovessero ancora svilupparsi. Cercherò di tenere un racconto ordinato e soprattutto di non perdere la bussola del punto di vista che intendo rappresentare, cioè la libertà di pensiero, senza però sacrificare i miei diritti e doveri di cittadino, che come ogni altro cittadino ha il diritto alle sue opzioni politiche, in questo caso il sostegno alle ragione delle vittime e della parte debole ed oppressa, cioè i palestinesi, la cui lunga storia di sofferenza inizio altrove a raccontare fin dal 1921, direttamente sui documenti dell‘epoca, ed al presente il milione e mezzo di persone che al presente sono segregate da oltre quattro anni in un lager a cielo aperto, quello di Gaza. È una vergogna sulla quale probabilmente i posteri si interroghereranno e chiederanno ad ognuno di noi cosa facevano e quale era la nostra posizione. La mia è una decisione a favore dell’uomo e dell’umanità: dalla parte delle vittime che sono per me senza ombra di dubbio i palestinesi e contro gli oppressori che parimenti senza ombra di dubbio sono i “sionisti” o come altrimenti li si voglia chiamare: Stato di Israele, israeliani, stato ebraico di Israele... Il nome che si vogliono dare non mi riguarda. Io so chi sono. Detto ciò, non è impossibile narrare gli eventi sotto l’angolo visuale della libertà di pensiero e di espressione. Fondamentale, lo ripeto, i denigratori di Enzo Iacopino si lamentano del fatto che per una volta sola le vittime, cioè gli assediati di Gaza e quanti portano loro solidarietà, abbiano potuto disporre di quelle stesse tribune che loro invece occupano abitualmente. Questa la stizza: che gli altri godano per un attimo di quella visibilità di cui loro dispongono sempre e con la quale hanno falsificato e corretto la nostra coscienza ovvero la nostra cognizione e percezione di ciò che accade. Per ottenere ciò lo Stato di Israele investe ingente risorse finanziarie e dispone di una potentissima Lobby, che ancora una volta manifesta i suoi metodi e rivela i suoi volti.

La brigata sionista che si va scagliando contro il presidente Iacopino punta i suoi strali su una sigla che a me personalmente dice poco o nulla: IHH. Si tratterebbe perfino di una omonimia come è stato spiegato nel corso della conferenza stampa. E anco a farla apposta mi è capitata proprio questo pomeriggio una discussione di laurea sulle “liste nere” dei cosiddetti terroristi. Sarebbe qui complicato e fuori luogo esporre una discussione di tesi di laurea, ma ho potuto sostenere con qualche collega la tesi sulla arbitrarietà di siffatte liste. La giurisprudenza si occupa in prevalenza della inclusione di singoli individui in siffatte liste, ma la mia tesi di carattere politico sostiene l’assoluta arbitarietà della stessa esistenza delle liste. In pratica, ogni movimento di resistenza ad un’occupazione è un movimento “terrorista”. Gli Stati Uniti o Israele hanno il potere di far dichiarare il mondo intero una lista di “terroristi”! Il nostro ministro Frattini, beniamimo di Israele, ascrive tra i maggiori meriti del suo curriculum l’aver fatto inserire in una lista “europea” di terroristi, credo proprio il movimento di Hamas, uscito dalla più democratica e controllato consultazione elettorale che si sia vista da quelle parti. Fu proprio Bush a volere quelle elezioni, nella convinzione che le urne avrebbero dato il responso gradito a lui e a Israele: non fu così! Ed ecco che da allora non passa giorno che alle nostre orecchie non sia risparmiato il ritornello “Hamas terrorista terrorista terrorista”!

L’orrundimento politico al quale ci vogliono costringere i nostri media non ha limite. Trovo noioso e ozioso ribattere a queste argomentazioni. Se le cantino i loro produttori. Le mie orecchie ne sono fortunatamente immuni. La mia attenzione, anzi le mie orecchie, si sono invece raddrizzate, quando uno dei maggiori relatori e organizzatori della Flotilla IIª, la cui partenza è prevista in primavera, ha detto di se stesso: sono nato in Israele ed ho fatto in Israele il soldato! Caspita! Peccato, che il Dimitri Buffa venuto lì a portare la sua provocazione se ne sia andato prima, senza neppure aspettare la risposta del vicepresidente dell’IHH che lui aveva chiamato in causa. Non ricordo al momenti il nome dell’organizzatore svedese, ma nato in Israele e già soldato israeliano, dunque ebreo, ma mi sembra questo un dato immensamente più interessante del carattere “terrorista” o meno dell’IHH. E si è anche appreso che alla prossima Flotilla IIª proverrano da oltre 100 Paesi del mondo quanti a vario titolo saliranno sulle navi.

Dico: oltre 100 Paesi del mondo! Attuamente gli stati che hanno un seggio all’Onu sono 189! Come a dire che le società civili di oltre mezzo mondo hanno detto “basta!” con un assiedo disumano e barbaro che offende la nostra coscienza e i nostri valori, quelli che i nostri governo assai ipocritamente vanno sbandierando, essendo poi i primi a violarli, come anche Wikileaks sta dimostrando, per quanto ci si possa fidare di questa organizzazione sulla cui natura e sui cui scopi sono stati avanzati dubbi e permangono necessarie cautele di giudizio. In fondo, i denigratori di Enzo Iacopino, uscendo allo scoperto, un utile servizio ce lo rendono: ci fanno sapere, addirittura con nomi e cognomi (che nei limiti del possibile cerchiamo di non riportare neppure), chi sta con chi e contro di chi! Esistono momenti nella storia in cui ognuno, scopertamente e senza ambiguità, deve assumersi le sue responsabilità. Crediamo che Enzo Iacopino lo abbia fatto, ma non come semplice privato, che ha diritto alle sue opzioni, quali che siano, ma proprio nel rispetto del suo ruolo che con imparzialità riconosce a una giornalista come Angela Lano di informare come nessun altro meglio di lei avrebbe potuto fare, essendo sui luoghi dell’evento: l’assalto, violento e illegale, alle navi che portavano soccorso umanitario a popolazioni stremate da un assedio ingiusto, disumano e illegale. Hic Rodus hic salta! I signori denigratori possono ingannare se stessi con le loro penose argomentazioni, ma non possono nulla contro chi ha retta coscienza ed è scevro da pregiudizi.

Appunto perché l’informazione non raggiunga un più vasto pubblico costoro non avrebbero voluto una conferenza stampa in un luogo ufficiale. Ricordo come a pochi giorni dalla conclusione nominativa di Piombo Fuso, nel gennaio del 2009, allo storico ebreo israeliano Ilan Pappe fu negata all’ultimo momento la sala nell’Università di Roma La Sapienza. Allo stesso Pappe fu pure nuovamente negata l’aula in una sede del comune di Monaco di Baviera. Ad avergliela negata – si seppe – fu la stessa comunità ebraica tedesca! E Pappe ebbe a commentare: qui, in Germania, mi negate la parola, allo stesso modo in cui i nazisti, negli anni trenta, la negarono a mio padre. Anche adesso, non facciamo i nomi, avrebbero voluto negare la parola e la sede all’ebreo svedese, già soldato israeliano, che nella prossima primavera salirà su uno di quelle navi, affermando che per nessuna ragione desisterà dalla sua volontà di raggiungere Gaza con il suoi carico di aiuti umanitari. Anche lui un...«terrorista»? Di quale organizzazione? Non ci interessa! Fossero tutti così i “terroristi», il mondo sarebbe un’altro!

* * *

Qualche considerazione va fatta sulla “copertura giornalistica” dell’evento, come sul dirsi. Erano presenti alla Conferenza stampa, in effetti, solo testate minori: da una parte i più sfegatati e faziosi sionisti, i quali sostanzialmente sono rimasti indispettiti e scornati per il il fatto che l’evento si sia svolto nella sede dell’Ordine dei giornalisti. Nonostante, un clima di vero e proprio linciaggio contro il presidente Iacopino – per nulla diventato un “attivista” e “terrorista” dell’IHH -, facendo uso delle tecniche che costoro usano abitualmente: forniscono l’indirizzo personale del presidente e poi invitano i loro ascari a scrivergli, dove naturalmente si scindono le responsabilità fra istigatori ed ascari esecutori. Conosciamo ormai fin troppo bene questa tecnica. Qualcosa abbiamo appreso dal nostro monitoraggio dei metodi e della propaganda sionista. Mi auguro soltanto che il presidente Iacopino non si sia lasciato impressionare da questo “immondizia”, come lui stesso l’ha definita.

Dall’altro fronte, con diverso apprezzamento, erano pure presente piccole testate, come Rinascita o il Manifesto, i cui nomi sono stati fatti dagli stessi giornalisti che ponevano le loro domande. La strategia delle grandi testate credo sia stata, deliberatamente, quella di non dare copertura alla notizia. Mi chiedo se invece saranno presente alla annunciata “contro-conferenza”, dove in pratica si dovrebbe parlar male di quelli che non si sono voluti sentire, quando li si poteva ascoltare e porre loro domande, anche critiche. Si rivolgereranno quindi, dicendone tutto il male possibile, a quelli che appunto perché assenti, non potranno rispondere. E quasi quasi vorrei scommettere che usciranno allora le grandi testate della carta stampata, che forse ancora qualcuno legge.

En passant, colgo occasione per dire che qui davanti a me, a pochi metri, su una sedia, ci sono ancora intonse due “copie cortesia” di giornali di grande tiratura. Li ho trovati davanti alla mia porta, sopra il zerbino, mandate in omaggio. Non li ho neppure sfogliate e credo che domani le getterò, uscendo di casa, nei cassoni della raccolta differenziata. Ma non vorrei essere equivocato: non si tratta di malanimo e partigianeria. È che ormai, grazie a internet, ho trovato fonti alternative di informazione. E sono molto più informato di quando compravo in edicola il “giornale del cuore”, come una volta ironizzava all’università il mio professore Aldo Moro. È che ormai non ce la faccio materialemente a sfogliare lenzuoli di carta inzuppate di pubblicità. Trovo molto più leggibili giornali di poche pagine, come “Rinascita”, con poca o nessuna pubblicità, che non i grandi giornali quotidiani, che – a quanto sostiene un mio amico editore online – ormai comprano solo i barbieri, per metterli a disposizione dei clienti in attesa del loro turno. Per quello che mi riguarda il tramonto della grande carta stampata è già avvenuto, anche se ancora di danno ne fanno assai e di esso occorre tener conto.

Resto dunque in attesa della contro-conferenza sulla Flotilla Iª e IIª, di cui parlerò su queste colonne. Le argomentazioni non sono imprevedibili. Uno di questi giornali titolava: “Israele ha fatto bene a sparare”, oppure usano dire e titolare: Non è riuscito l’attentato a quel capo di governo a noi inviso? «Purtroppo!”, mannaggia! Questo è il livello del giornalismo italiano, che in buona parte finanziato dal contribuente. Forse proprio da qui si potrebbe incominciare con salutari risparmi, necessari in tempi di vacche magre. Mi dispiace per piccole e meritorie testate. In questo mio giudizio impietoso non intendo fare di ogni erba un fascio, ma è poco quel che si salva. Se quella che si combate nel Vicino Oriente è una guerra crudele e sanguinosa, non saremo mai abbastanza consapevoli che sulla nostra carta stampata si combatte quelle stessa guerra: la comunicazione che viene data non è “strumento” o “propaganda” o “informazione” degli eventi, è essa stessa parte integrante di quella guerra. Se lo si tiene bene a mente, si evita di lasciarsi ingannare o di guastarsi il sangue, quando si leggono certi giornali o certi giornalisti, che per averlo scritto credono di aver imposto in tal modo la loro opinabilissima se non falsa versione dei fatti. Ancora una parola non di captatio benevolentiae verso il presidente Iacopino, che ho appena visto l’altro ieri, per riconoscergli una concezione nobile del giornalismo, che ahimé temo ormai non esista più.

Alcune note di “eletto” e “talmudico” linguaggio giornalistico: scrive una nota signora, che si accanisce contro Iacopino, che ha forse l’unico torto di prestarle soverchia attenzione: «…quando nove persone hanno perso la vita…». O, che diamine!, sono stati di infarto? Sono morti in ospedale per una banale polmonite? Non, sono stati barbaramente uccisi, assassinati, con ripetuti colpi di pistola alla nuca e a bruciapelo. Soldati israeliani, che si calavano dall‘alto con funi, sparando su gente disarmata e inerme, non possono pretendere di essere stati loro aggrediti da terroristi disarmati che poi magari per rimorso si sono uccisi loro stessi o hanno pregato di venire uccisi gli stessi loro assalitori. Mi sarà sfuggita certamente, ma non ho trovata la spiegazione che la propaganda israeliana hanno datto del fatto che siano state sequestrati ai passeggeri delle navi tutti i loro apparecchi fotografici e tutti i mezzi con i quali avrebbero potuto documentare l’accaduto. Poiché l’esercito israeliano è l’unico detentore indiscusso della Verità, noi dovremmo accettare la loro versione dei fatti, consegnata a giornaliti come il Pagliara, che non ha trovato di meglio che prendersela con Iacopino, per una volta tanto spostandosi da Tel Aviv a Roma, dove però non si è visto alla Conferenza stampa, dove avrebbe potuto confrontarsi con i suoi colleghi che sulle navi ci stavano. Lui stava altrove, ma pretende di sapere meglio cosa sulle navi sia successo. E potremmo continuare con altri esempi di linguaggio giornalistico e relativa decostruzione. Ma ricadremmo in quella polemica che vogliamo cercare di evitare per non compromettere l’andamento riflessivo del nostro discorso.

Analizzo ormai da qualche anno la propaganda sionista in lingua italiana. Veramente, sentir rimprovere al presidente Iacopino una mancanza deontologica di «equidistanza» è davvero rivoltante, quando la faziosità, mancanza di qualsiasi «equidistanza» da parte di chi lancia l’accusa, è cosa per nulla difficile da documentare per chi appena conosca la lingua italiana e sia capace di un minimo di analisi linguistica. Non sappiamo che dire e non vogliamo andare per iperboli atte a descrivere una totale assenza di criterio. Persone che fanno simili affermazioni non si aspettano un pubblico che legga, ma lanciano un segnale a chi loro sanno. Ancora una nota filologica sull’espressione «cosiddetto Olocausto» la cui paternità viene attribuita a chi non la possiede. Essa risale ad un dibattito sul quotidiano “La Stampa” del 1994 ed appartiene ad un notissimo esponente dell’ebraismo torinese che respingeva l’espressione «Olocausto» e dovendola usare diceva appunto: «cosiddetto Olocausto». Questa filologia è stata da me più volte spiegata, esiste perfino nell’archivio della stessa agenzia sionistica, è certamente nota a lor signori, ma continuano su questa musica. Che dire? Più disonestà intellettuale che ignoranza? Ovvero la solità tecnica di mescolare insieme cose diverse, magari l’una per coprire e giustificare l‘altra. In ogni caso di «Olocausto» ne abbiamo, in senso proprio, cioè religioso, molto di più nella Palestina dal 1948 ad oggi: questo “sacrificio” di vittime palestinesi in onore del Dio “ebraico” è celebrato ogni giorno, avendo come celebranti i rabbini sionisti, le cui enormità sono ad ognuno note.

A lavar la testa all’asino si perde il tempo e il sapone, mi sembra dica un certo proverbio. Esistono tuttavia inchieste ufficiali dell’Onu e i relativi risultati non possono essere posti in discussione. Ma ancora più eloquenti è che dopo la Prima Flotilla ne partirà una Seconda ancora più numerosa e determinata della prima, e poi ancora un Terza ed una Quarta, senza mai fine, fino a quando non sarà liberata la popolazione sotto assedio. Dagli organizzatori della nuoa Flotilla, giunti da vari paesi, si è detto chiaramente che non avendo ormai più fiducia nei governo, essi tutti si pongono come prappresentanti delle loro società civile, ma provenienti da oltre 100 paesi, cioè da tutto il mondo. È diffusa la consapevolezza che il cosiddetto «processo di pace» è in realtà un processo, quanto mai ipocrita, verso la... Soluzione Finale, nel senso qui indubbio di “genocidio” del popolo palestinese ovvero di “pulizia etnica”, che per Pappe è perfettamente equivalente al “genocidio”. In Israele invece dicono “transfer”. Ma è sempre la stessa cosa.


(segue)

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