giovedì 23 dicembre 2010

Freedom Flotilla: Joe Fallisi denuncia lo stato di Israele. – «La guerra continua…», dopo cento anni!

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La notizia non è recentissima, ma non ho avuto il tempo di postarla prima. Del resto, sono notizie che non invecchiano in una guerra che dura da oltre un secolo, iniziata ben prima che stessi testimoni di allora possano seguire i fatti di oggi, le cui conseguenze sono giunte fino a noi senza che i più riescano a conoscerne le origini. È di qualche ora fa l’incredibile notizia della denuncia fatta, presso l’ONU, da Israele agli assediati di Gaza, responsabili del lancio di razzi. Chi mi ha mandato privatamente il link ha aggiunto di suo un commento, assai efficace nella sua spontaneità. Non resisto dalla tentazione di riportarlo, beninteso in forma anonima:
«Questi sparano, ammazzano, rubano terra, torturano... poi parte un PETARDO da Gaza, come risposta a tutto questo orrore, e i carnefici si atteggiano ad agnellini, a povere vittime... vomitevole. Leggete su Infopal le ultime porcate dei sionisti nel mese di Dicembre: http://www.infopal.it/

Onu: 'Demolizioni aumentate del 45%'. Peace Now: '1.700 unità abitative in 3 mesi'

Bombardamenti su Rafah: 4 feriti
Pioggia di bombe sulla Striscia di Gaza
Rapporto Ocha: '47 edifici palestinesi demoliti. Decine gli sfollati, ingenti le perdite'
Due palestinesi gravemente feriti ad Hebron
Betlemme: demolita abitazione palestinese, ferito e arrestato un residente»

Il sito di Infopal, insieme al nostro di “Civium Libertas”, è fra quelli genericamente e apoditticamente accusati di “antisemitismo” o addirittura di “negazionismo”, un termine che ho più denunciato per la sua inconsistenza logica e scientifica, ideato a meri scopi di “denigrazione”, “diffamazione”, “delazione”. Per quel che mi riguarda ho reagito subito con un Lettera pubblica ai sensi di legge e inviando lettere elettroniche ai rispettivi indirizzi. Dalla malafede di questi Signori non vi era da aspettarsi nessuna risposta. Una malafede che trova ulteriore odierna conferma, ma alle cui deliberate provocazioni non pare opportuno abboccare. È stato da me fatto quel che si doveva fare e non resta che attendere i tempi geologici della nostra giustizia civile. Del resto, è sufficiente notare che gli attacchi vengono sempre dalla stessa area, rigorosamente “sionista”. Anziché raccogliere le provocazioni troviamo più utile risalire alle origini di quest storia, un secolo fa, quando era già ben chiara la differenza fra “ebraismo” e “sionismo”, e di conseguenza fra “antisemitismo” e “antisionismo”, anche se a oltre un secolo il termine “antisemita” risulta del tutto vuoto di contenuto ed assurto a mezzo strumentale di lotta politica e repressione del legittimo dissenso nonché del più che legittimo esercizio della libertà di pensiero e della libertà di critica politica oltreché dell’esercizio del diritto di cronaca, non esclusivo appannaggio dei giornalisti professionisti.

Se andassimo a seguire la cronaca dell’epoca di Balfour, quando facendo strage di ogni equità e del principio stesso del diritto internazionale, si era stabilito il diritto di immigranti coloniali sionisti – protetti dalla potenza mandataria – di poter espellere ed espropriare gli abitanti autoctoni. Quella lontana vicenda, di cui le menti più raffinati avevano divinato le conseguenze, giunge fino a noi con la conseguenza a tutti nota di “Piombo Fuso” e della “Mavi Marmara”, le cui evidenze demoliscono tutte le costruzioni di una propaganda finanziata con dovizia illimitata di risorse finanziarie e non.

Nei giorni scorsi si sono tenute almeno due riunioni pubbliche, di carattere internazionale, dove è annunciata una nuova Flotilla, già rinviata più volte, ma la cui preparazione e determinazione non pare dubbia. È da notare che sono una miriade le organizzazione che da oltre 100 paesi partecipano all’impresa. Ve ne una anche italiana, ma contrariamente a quel che si dice o si fa credere non esiste un gruppo egemone. Anzi è stata perfino largamente sconfessata una presunta “dirigenza”. Ciò non impedisce affatto che una pluralità di organizzazioni e soggetti concorrano al comune scopo di far partire una nave dall’Italia.

In un quadro di posizioni variegate ma concordi nell’obiettivo si colloca l’iniziativa di uno dei partecipanti alla Freedom Flotilla della scorsa estate, Joe Fallisi, a cui lasciamo la parola dopo aver introdotto il suo Comunicato Stampa del 15 dicembre scorso:
«MEMORIA DI JOE FALLISI A PROPOSITO DELLA FREEDOM FLOTILLA E DELL'ASSALTO E SEQUESTRO ISRAELIANO

Io sottoscritto

Joe Fallisi sono stato uno degli attivisti internazionali per i diritti umani che a fine maggio del 2010 hanno partecipato alla Freedom Flotilla, il cui scopo era, rompendo l’assedio israeliano, portare alla Striscia di Gaza tonnellate di aiuti concreti di cui sapevamo con certezza che la popolazione aveva estremo bisogno; per esempio, una grande quantità di medicinali, cento case prefabbricate, centinaia di carrozzelle per disabili, cemento, materiale edilizio, scolastico e medico ecc.

Questa flottiglia doveva essere composta da nove navi (alcune delle quali cargo, altre passeggeri), provenienti da porti diversi (gli attivisti erano di 42 nazioni). In realtà all’appuntamento che ci siamo dati, in acque internazionali, ci siamo trovati in sei navi. Ho successivamente saputo che le altre tre, al momento della partenza, sono state oggetto di sabotaggi. Ho inoltre appreso, mentre ero in stato di detenzione in Israele, che alla fine una di queste tre navi, la “Rachel Corrie”, era riuscita a partire ed era stata assalita e sequestrata con le nostre stesse modalità e i passeggeri e gli equipaggi tratti come noi in arresto, tradotti in carceri israeliane e successivamente espulsi, in gergo “deportati”.

La nave su cui mi trovavo era stata da noi nominata “8000”, ma il suo nome originario era “Sfendoni” . La sera del 28 maggio siamo partiti dal porto di Atene in direzione Rodi; dopo aver pernottato nell'isola, siamo ripartiti il giorno successivo per Cipro, senza però fermarci e proseguendo verso Gaza. All’imbocco delle acque internazionali ci siamo uniti alle altre cinque navi, e dopo un incontro di varie delegazioni a bordo della “Mavi Marmara”, ci siamo tutti diretti alla volta di Gaza. Nelle prime ore del mattino del 31 maggio 2010 le navi erano in formazione a “V”: la “Mavi Marmara”, battente bandiera turca e con il più grande numero di passeggeri, circa 600, la stragrande maggioranza cittadini turchi, apriva lo schieramento e le altre la seguivano in formazione sia alla sua destra, sia alla sua sinistra. Quella su cui viaggiavo io era posizionata immediatamente dietro di essa, alla sua destra.

Alle ore 04,15 ho notato alcune luci rosse (di elicotteri) provenire da lontano e dopo qualche minuto tanti piccoli motoscafi, poi riconosciuti come mezzi d'assalto denominati “Zodiac”, che, simultaneamente, si dirigevano verso tutte le imbarcazioni della flottiglia. Dopo averle raggiunte, le assaltavano con le armi, assumendo il comando di ogni singola nave una volta vinta la resistenza non violenta da parte nostra. Intendo precisare che nella riunione delle delegazioni si era anche discusso riguardo al probabile attacco da parte degli israeliani ed era stato deciso di opporsi, nel caso, con fermezza ma in maniera non violenta, atteso che nessuna delle navi, né alcun suo passeggero disponeva di qualsivoglia tipo di armamento. Mi preme anche aggiungere che prima dell’assalto la marina israeliana comunicava via radio con le nostre navi invitandoci a tornare indietro poiché stavamo, a loro dire, invadendo un'area di operazioni belliche sotto loro controllo. Al nostro diniego (eravamo, in realtà, in pienissime acque internazionali), è conseguito l'attacco armato.

Unitamente ad altri attivisti mi trovavo all’interno della cabina di pilotaggio della nostra nave, e oltre ad essere certo dell’ora sono sicuro anche della posizione in mare, visualizzata dalla grafica G.P.S. che ci ritraeva a 75 miglia circa dalle coste di Gaza. Lo scontro con gli incursori è durato pochi minuti. Abbiamo tentato di difendere la cabina e il nostro prode capitano, ma oltre alla forza fisica, gli israeliani hanno subito iniziato a usare armi, bombe sonore e lacrimogeni. Io, personalmente, ho tentato di respingere l’attacco lanciando una sedia contro gli invasori e questi ultimi hanno sparato al mio indirizzo una bomba sonora che, oltre a stordirmi, mi sbalzava all’indietro, facendomi rovinosamente cadere, con la parte sinistra del corpo, su uno spigolo metallico. Dopo l’assalto sono stato ammanettato, come altri, con delle fascette di plastica che in seguito mi sono state tolte. Successivamente, siamo stati tutti raggruppati sul ponte principale della nave, per venire poi condotti in coperta, per l'identificazione. Gli invasori hanno quindi sequestrato i nostri telefoni cellulari, computer, valigie e borse e la strumentazione audio-video in nostro possesso. In proposito voglio precisare che la nave su cui mi trovavo ospitava principalmente giornalisti e operatori dei media, per esempio un giornalista e un operatore televisivo del network Al Jazeera.

Quindi hanno stivato in un unico luogo i nostri bagagli ed effetti personali, che da quel momento in poi non abbiamo potuto più toccare, e la nave, comandata da un israeliano, ha proseguito la sua navigazione fino al porto di Ashtod. Nel tragitto, un nostro compagno di viaggio, Paul Larudie, cittadino americano di San Francisco e uno dei fondatori del movimento “Free Gaza”, mio caro amico, dopo aver eluso la vigilanza armata, si tuffava in acqua e tentava, ovviamente invano, di dirigersi a nuoto verso Gaza. I pirati israeliani venivano presi alla sprovvista dall’anomalo comportamento, pertanto le loro operazioni si dovevano interrompere per circa mezz’ora. Non avendo mezzi di recupero sui motoscafi, inviavano alla fine una scialuppa dalla loro nave madre. Dopo aver raggiunto così il Larudie, lo tiravano su di peso e lo picchiavano. Finito questo recupero, tutte le navi riprendevano la navigazione verso Israele. Giunti ad Ashtod in tarda mattinata, ci hanno fatto scendere dalla nave e, una volta condotti in un apposito hangar, siamo stati identificati e perquisiti più e più volte; lì ho rivisto Paul Larudie e in quella occasione egli subiva un secondo pestaggio, non so con quale scusa. Dall’hangar venivo condotto con altri attivisti in un furgone che ci trasportava nel carcere di Bersheva, nel deserto del Neghev.

Qui, messo in una cella insieme col sig. Muin, palestinese residente in Italia con cittadinanza italiana, restavo in galera, come lui e gli altri prigionieri, per tre giorni. Il terzo dei quali ero portato dinanzi a un giudice israeliano e, dichiarato da questi colpevole di “ingresso illegale in Israele”, ricevevo la sentenza di "deportazione". Dopo di che fui tradotto, con altri compagni di viaggio, all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, dove accaddero altri pestaggi, in uno dei quali sono stato io stesso coinvolto. Manolo Luppichini, passeggero anch'egli dell'"8000", si rivolgeva ai militari israeliani dicendo loro che si stavano comportando come i nazisti tedeschi e ciò provocava una violenta carica della milizia, immediata e successiva, nei suoi confronti innanzi tutto, e poi di altri, tra cui me stesso, che reagivano all’accaduto. Dopo la collutazione (a senso unico) Luppichini veniva isolato dal gruppo e portato in una stanza nella quale chiedevo poi di essere condotto a mia volta per constatare il suo stato di salute, richiesta che mi veniva accordata.

Ivi giunto vedevo Luppichini ammanettato e accovacciato sul pavimento e chiedevo ai militari di arrestare anche me. Mi veniva risposto che a breve sarebbe stato rilasciato, cosa poi non avvenuta poiché avrei appreso in seguito che Manolo sarebbe stato imbarcato su un aereo diverse ore dopo gli altri. Infine mi veniva restituito il solo passaporto, e salivo, insieme con tanti attivisti, su un aereo turco, che dopo diverse ore di attesa, decollò di notte alla volta di Istanbul. Là il governo turco offriva a noi tutti la possibilità di effettuare una visita medica approfondita ed io, avendo ingerito due bicchieri di presunta acqua offertami dai sionisti all'aeroporto Ben Gurion, non sentendomi affatto bene e con la presenza, sul mio corpo, di numerosi lividi e traumi, decidevo di eseguirla, comprese le analisi del sangue e delle urine. Sono stato l’unico italiano a rimanere in Turchia, proprio per fare questa visita medica approfondita. Il giorno successivo partii alla volta dell’aeroporto Malpensa di Milano, sempre a bordo di un aereo turco. Dalla Malpensa raggiunsi il comune di Varese, dove mi sottoposi a una ulteriore visita medica, eseguita dal dott. Filippo Bianchetti.

Durante la detenzione ci è stato consentito di incontrare delegazioni diplomatiche, alcuni avvocati e dei giornalisti. Al termine del giudizio di cui sopra, mi è stata consegnata copia della sentenza in lingua ebraica, nella quale è trascritto fedelmente quel che ho dichiarato nel rispondere alle domande del giudice. Mi è stato chiesto se riconoscevo di essere entrato in modo illegale in Israele, al che ho risposto che ero stato io illegalmente sequestrato in acque internazionali con un atto di pirateria; in secondo luogo se desideravo rientrare in Italia. Risposi di sì ma a patto che mi venissero restituiti i miei effetti personali e il mio cellulare e che fossi sottoposto a una visita medica; né la prima né la seconda cosa si sono verificate.

So che è stato avviato dalle autorità italiane un procedimento penale contro Israele presso la Procura di Roma (n. 5114/10, modello K). Per quanto mi riguarda intendo denunciare l'entità sionista per i suoi crimini al Tribunale dell'Aia.
In fede.

Joe Fallisi
(Ostuni, sabato 27 novembre 2010)

P. S.: allego copia della sentenza comminatami in Israele e del certificato medico stilato dal dott. Filippo Bianchetti. Inoltre i links a video online in cui ho parlato diffusamente anche e soprattutto della mia partecipazione alla Freedom Flotilla».
È difficile interpretare i segni del tempo ed io sono propenso a credere che ciò che fu iniziato oltre cento anni fa, quando pensarono di poter far sgomberare gli abitanti autoctoni della Palestina, smembrata dalla precedente unità geopolitica, per far posto a coloni arroganti e senza scrupoli, continuerà oltre la nostra generazioni. Noi siamo ben consci di non essere uomini di governo e di non avere il potere di decidere gli orientamenti formali di politica estera, ma siamo ben consci di essere soggetti morali e di poter assumere la responsabilità del nostro giudizio. È quanti parimenti intendono fare i partecipanti che nella primavera prossima, da oltre 100 paesi del mondo, saliranno su una Nuova Flotilla per combattere una “guerra” non violenta, senza armi apportatrice di morte, ma con viveri, medicine, aiuti per una popolazione stremata da oltre quattro di assedio in violazione di ogni principio di giustizia ed umanità.

1 commento:

Alberto Cenci ha detto...

e su un quotidiano sionista italiano (La Repubblica) l'eesercito di occupazione israeliano in Cisgiordania diventano "forze dell'ordine"...

http://tv.repubblica.it/mondo/cisgiordania-babbi-natale-coinvolti-negli-scontri/58934?video=&pagefrom=1