sabato 11 giugno 2011

E' così che finirà Israele? - Parla Franklin Lamb, esperto in Diritto Internazionale

Homepage Egeria - N° 23
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di Egeria

In basso la traduzione di un recente articolo scritto dal giurista americano di fama internazionale, Dr. Franklin Lamb, che da anni vive in Libano per supportare la Resistenza dei rifugiati Palestinesi, forte della sua competenza nel campo del Diritto Internazionale.

Da molti anni seguo le vicende di Franklin Lamb, che gode di grande stima da parte della comunità dell'attivismo internazionale pro-palestinese in virtù del suo enorme impegno nel fornire l'assistenza legale alle entità politiche e ai rifugiati Palestinesi che combattono contro il regime sionista.

Nel suo articolo, il Dr. Lamb fornisce alcuni dati demografici sconcertanti in merito alla popolazione israeliana, che testimoniano la precarietà del collante sociale dello stato sionista, e lasciano intravvedere una possibile fine inattesa dell’esistenza di Israele in quanto entità politica.

Tuttavia vorrei introdurre l’articolo con alcune osservazioni complementari, altrettanto interessanti.

Alcuni giorni fa l’esperto in affari mediorientali Alan Hart, autore di una trilogia sulla storia del sionismo, commentava i recenti avvenimenti che hanno visto i rifugiati Palestinesi in Libano e Siria assaltare in massa le frontiere arbitrarie di Israele. Alla domanda su quali fossero le sue previsioni in merito ai futuri sviluppi della questione Palestinese, Alan Hart rispondeva che da molto tempo, e in particolare dall'inizio delle rivolte arabe, i segnali parlano chiaramente di un prossimo attacco da parte di Israele sia contro il Libano che contro i Palestinesi della Cisgiordania.
«Ora che i rifugiati Palestinesi dimostrano con fatti inequivocabili la loro assoluta determinazione a riappropriarsi dei territori occupati - diceva Alan Hart - Israele si sta preparando a schiacciare nel sangue la rivolta Palestinese. E si sta preparando ad invadere di nuovo il Libano, nonostante la consapevolezza che Israele soffrirà ingenti perdite non solo tra le forze militari, ma anche tra la popolazione civile, a causa dell’enorme arsenale di missili a lunga gittata di cui il Libano dispone da qualche tempo. Israele sa che le proprie forze militari sono di gran lunga superiori e garantiranno comunque la vittoria militare.

Anche questa volta le potenze mondiali staranno a guardare e non interverranno. Prevedo una seconda ‘pulizia etnica’ della Palestina, talmente feroce da provocare la mobilitazione in massa della comunità internazionale - non quella dei governi, ma dei popoli, e perfino di quello americano. L’indignazione dei cittadini americani per i crimini di Israele aumenta di giorno in giorno, in modo esponenziale. Se succederà quanto temo, questa volta l’ira delle popolazioni del mondo si scaglierà contro gli ebrei, non solo contro Israele».
La rivolta in massa dei cittadini americani contro le politiche estere di Washington in favore di Israele sarebbe di enorme importanza strategica nella lotta contro il regime sionista, la cui sopravvivenza dipende in gran parte dall'appoggio del Parlamento statunitense e dal veto che gli USA esercitano nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU contro ogni tentativo di ostacolare l'impunità di Israele.

Abbiamo avuto altre occasioni, in questo blog, di dare la parola al Dr. Franklin Lamb. Quando le rivolte dell’Egitto e della Tunisia stavano contagiando l’intero mondo arabo, Franklin Lamb era intervenuto durante una lunga diretta di PressTv, fornendo un resoconto sulle reazioni di Israele e Washington alle vicende arabe. Commentava allora Franklin Lamb - come riportato in Civium Libertas il 10 marzo in un post dal titolo Rivolta Araba: come reagiscono USA e Israele:
«Dai miei contatti in Israele e Washington sono venuto a sapere che molti cittadini israeliani hanno espresso l’intenzione di espatriare ... Vogliono trasferirsi negli Stati Uniti. Diventa sempre più chiaro alla popolazione israeliana, che il regime sionista non ha più futuro e che l’occupazione e colonizzazione della Palestina dovranno cessare».

Continuava il Dr. Lamb: «E’ evidente ormai, e in particolare per i cittadini israeliani, che le popolazioni arabe in rivolta sono determinate a continuare con le sommosse finché la rivoluzione si sia compiuta fino in fondo. E una delle conseguenze inevitabili sarà la resa dei conti con Israele, che inoltre ha perso il supporto da parte della comunità internazionale meglio informata.

E aggiungeva queste informazioni: «A Washington la Lobby Sionista AIPAC è riuscita ad ottenere l’emissione di decine di migliaia di passaporti americani [al momento già 30.000] destinati ai cittadini israeliani che vogliono emigrare in America. L’ufficio per l’emissione dei passaporti, a Washington, sta facendo letteralmente gli straordinari per venire incontro alle richieste della AIPAC, che detta legge in tutte le sfere del potere americano».
Questo succedeva in marzo di quest’anno. Vediamo quali sono ora gli aggiornamenti sorprendenti che fornisce di seguito il giurista americano nel suo articolo apparso su ‘Uprooted Palestinians’ e pubblicato in seguito da Gilad Atzmon - noto ai lettori di questo blog - che è sempre molto attento a segnalare sul proprio sito ogni informazione che riguarda la Palestina e il suo feroce aguzzino.

In molte delle sue interviste Gilad Atzmon fornisce la ragione per cui ha rinnegato il proprio stato di origine, Israele, per diventare forse il più determinato e onesto tra gli ebrei dissidenti ex-israeliani impegnati a combattere contro l’occupazione della Palestina.
«Durante la guerra di Israele contro il Libano e i suoi rifugiati Palestinesi, nel 1982, spiega Gilad Atzmon, ero una soldato di leva. Presto mi sono accorto che loro, i Palestinesi, erano gli Ebrei, e noi, l’esercito israeliano, eravamo i nazisti.»

«E’ così che finirà il progetto sionista?»
di Franklin Lamb
4 giugno 2011



Quella della Palestina è una situazione che non ha pari nel mondo. Mi chiedo se gli storici o gli antropologi che esaminano il corso degli eventi umani siano in grado di identificare per noi un paese in cui, come in Palestina, una percentuale così alta della popolazione di colonizzatori di recente immigrazione si sia organizzata per la possibilità di ripartire alla volta del luogo di provenienza, mentre allo stesso tempo la popolazione indigena, con radici millenarie ma vittima di pulizia etnica, si sia organizzata per mettere in atto il diritto al Ritorno, come fanno ora i Palestinesi.

Uno dei tanti aspetti ironici che caratterizzano l’impresa di colonizzazione della Palestina, progettata e iniziata dai sionisti nel 19esimo secolo, è il fatto che questo progetto, ormai sul punto di sfaldarsi, sia stato propagandato per gran parte del 20esimo secolo come una presunta oasi nel Medio Oriente, che offriva un rifugio per il ‘ritorno’ degli ebrei perseguitati in Europa. L’ironia sta nel fatto che oggi, nel 21esimo secolo, è proprio l’Europa ad assumere agli occhi di molti occupanti illegali della Palestina l’aspetto di meta ambita per gli ebrei in cerca di rifugio che vogliono tornare dal Medio Oriente ai paesi di origine.

Per parafrasare il giornalista israeliano Gideon Levy [che scrive su Haaretz e si definisce un sionista moderato, opposto alle politiche di Israele, ma in favore di uno stato ebraico, n.d.t.]: «Se i nostri padri sognavano un passaporto israeliano per fuggire dall’Europa, ora molti di noi sognano un secondo passaporto per fuggire in Europa».

E’ così che finirà il progetto sionista?

Alcuni studi condotti in Israele, un altro condotto da parte della AIPAC [in USA] e un altro ancora condotto in Germania da parte dell’organizzazione israeliana Jewish National Fund, indicano che circa la metà degli ebrei di Israele sta valutando di lasciare la Palestina nei prossimi anni se l’attuale trend politico e sociale dovesse continuare. Da un sondaggio condotto dall’istituto Menachem Begin Heritage Center di Gerusalemme, è emerso che già nel 2008 il 59% degli israeliani aveva contattato ambasciate straniere per informarsi o fare domanda per un passaporto e per la cittadinanza. Oggi le stime sono nell’ordine del 70%.

Il numero di israeliani che intendono lasciare la Palestina è in rapido aumento, secondo uno studio condotto dall’Università di Bar-Ilan per conto della Eretz Acheret, una Ong che si vanta di promuovere il dialogo culturale. Tale studio ha rilevato che già oltre 100.000 israeliani si sono premuniti di passaporto tedesco, e questo numero aumenta ogni anno di almeno 7.000, ma con trend in accelerazione. In aggiunta ai cittadini israeliani con passaporto tedesco, oltre un milione di israeliani ha pronto un passaporto di altra nazionalità per lasciare Israele nel caso in cui le condizioni deteriorassero. Una delle mete più ambite dagli israeliani che contemplano l’emigrazione sono gli Stati Uniti d’America. Attualmente oltre 500.000 israeliani sono in possesso di passaporto statunitense e altri 250.000 hanno fatto domanda per riceverlo.

In occasione del recente convegno a Washington tra il premier Netanyahu e gli agenti israeliani negli Stati Uniti, i funzionari della AIPAC hanno rassicurato la delegazione israeliana dicendo che, se e quando sarà necessario, il governo americano adotterà procedure rapide per emettere passaporti americani a tutti i cittadini israeliani EBREI che ne facciano richiesta.

Gli israeliani ARABI possono astenersi dal fare domanda.

La AIPAC ha inoltre rassicurato la delegazione israeliana sulla fiducia che si poteva riporre nei parlamentari americani, che avrebbero senz’altro approvato la creazione di fondi per gli ebrei israeliani in arrivo in America «ai quali saranno messi a disposizione sostanziose sovvenzioni in contanti per finanziare la transizione e l’insediamento nella nuova patria.»

In linea con la tendenza degli ebrei israeliani a ricorrere ad un ‘passaporto assicurativo’ per destinazione estera, una percentuale analoga di ebrei nel mondo mostra di rinunciare alla ‘aliyah’, e cioè, alla possibilità di trasferirsi in Israele. Secondo Jonathan Rynhold, un professore della Bar-Ilan specializzato in relazioni israelo-americane, gli ebrei sarebbero oggi più al sicuro in Tehran che ad Ashkelon – sempre che USA e Israele non decidano di bombardare l’Iran.

Le interviste – con il pubblico e con gli esperti - che hanno portato ai risultati degli studi menzionati in alto, identificano vari fattori che spiegano la corsa degli israeliani per ottenere passaporti stranieri, alcuni dei quali alquanto sorprendenti, se si considera la cultura israeliana ultra-nazionalista.

Le ragioni alla base dell’emigrazione da Israele

Il comune denominatore è l’ansia, l’inquietudine, sia personale che nazionale, che porta a considerare un secondo passaporto una sorta di polizza di assicurazione «per i tempi difficili che si profilano all’orizzonte», come ha spiegato uno dei ricercatori della Eretz Acheret.

Gli altri fattori includono:
  • Il fatto che due o tre generazioni in Israele non si sono rivelate sufficienti per mettere radici laddove non ne esistevano comunque in precedenza; per questa ragione Israele ha prodotto una percentuale significativa di ‘re-immigrazione’ – e cioè, il ritorno di immigrati, o dei loro discendenti, al paese di origine, che appunto NON è la Palestina, contrariamente a quanto vorrebbe la propaganda sionista.
  • Pressioni centripete all’interno della società israeliana, specie tra gli immigrati russi che rigettano il sionismo in schiacciante maggioranza. Dalla caduta del Muro di Berlino nel 1989, circa un milione di russi è emigrato in Israele, aumentando la popolazione del 25% e formando la più alta concentrazione di ebrei russi nel mondo; ma oggi gli ebrei russi rappresentano la comunità più numerosa tra i gruppi che emigrano da Israele: tornano in Russia a frotte per ragioni di opposizione al sionismo e alla discriminazione, e a causa delle promesse non mantenute riguardo alla possibilità di trovare lavoro e una vita decente in Israele.

Ad oggi circa 200.000 russi – o meglio il 22% degli immigrati russi dal 1990 in poi – sono tornati nel loro paese. Secondo il rabbino Berel Larzar – che dal 2000 è il rabbino capo della Russia, «è davvero incredibile quante persone stanno tornando. Quando gli ebrei sono partiti, non c’era una comunità, una vita ebraica. Le persone avevano la sensazione che essere ebrei rappresentasse un anacronismo storico che aveva colpito la loro famiglia. Ora sanno che possono vivere in Russia come parte di una comunità e che non hanno bisogno di Israele».

  • Il timore che i fanatici religiosi tra i 600.000 colonizzatori illegali insediati in territorio ufficialmente Palestinese vogliano provocare una guerra civile essenzialmente per annettere altri territori ancora e trasformare Israele in uno stato ultra-fascista.
  • Mancanza di fiducia e di rispetto per i politici israeliani, molti dei quali sono considerati corrotti.
  • Un senso di disagio e di colpa nel vedere che il sionismo ha abusato del giudaismo e ha corrotto i valori tradizionali degli ebrei.
  • La crescente difficoltà a fornire risposte coerenti ai figli, man mano che sono più istruiti e consapevoli della storia.
  • Il fattore dell’onestà verso sé stessi, che mette le persone di fronte all’interrogativo sul perché sia permesso a famiglie provenienti dall’Europa o da altre parti del mondo di vivere su territori e in case rubate alla popolazione del luogo, che appunto vi abitava prima e non proveniva da altre parti del mondo.
  • Il fatto che un numero crescente di israeliani inizia a mettere in discussione la versione sionista, vedendo la straordinaria determinazione della Resistenza Palestinese, e cominciando a capire con l’aiuto di internet cosa succede davvero: una realtà che contraddice totalmente la propaganda sionista secondo cui Israele sarebbe «una terra senza popolo per un popolo senza terra».
  • La strategia dell’allarmismo adottata dai leader politici per fare in modo che i cittadini israeliani supportino le politiche del governo, ad esempio contro l’Iran, o contro i presunti innumerevoli ‘terroristi’ che sarebbero ovunque e sempre in procinto di progettare un altro olocausto, o per combattere le varie ‘minacce esistenziali’ continuamente propagandate. Le famiglie vivono in uno stato di allarme costante e arrivano alla conclusione che non vogliono continuare a crescere i figli in queste condizioni. [La strategia dell’allarmismo sembra ritorcersi contro chi la propaga].

Hillel Schenker, un ebreo americano di New York, membro del movimento Democrats Abroad Israel, spiegava che gli ebrei che arrivano in Israele «prima si assicurano di avere la possibilità di tornare nel paese di origine». Aggiungeva che «le incertezze della situazione attuale e il fatto che ad oggi Israele non sia in grado di vivere in condizioni di pace con nessuno dei paesi confinanti, hanno prodotto la conseguenza che molti israeliani abbiano fatto domanda per un passaporto europeo sulla base delle origini della famiglia, per essere pronti ad ogni evenienza».

Gene Schulman, ebreo americano e socio della Overseas American Academy in Svizzera parla senza mezzi termini del fenomeno che si osserva in Israele, evidenziando che «gli ebrei sono tutti terrorizzati all’idea di quello che probabilmente succederà ad Israele nonostante il supporto costante degli Stati Uniti».

Molti osservatori della società israeliana concordano sul fatto che la recente, inaspettata corsa degli israeliani per lasciare la Palestina è da ascrivere alle rivolte arabe che hanno rovesciato i pilastri chiave del supporto regionale ad Israele.

Secondo Layal, uno studente Palestinese del Campo Rifugiati di Shatila, che ha preso parte al movimento del Naksa Day per la marcia sulla ‘Linea Blu’ del Libano del Sud [marcia su ‘Israele’ poi abortita, n.d.t.]: «Le recenti manifestazioni per il Nakba Day che gli occupatori sionisti della Palestina hanno osservato da Piazza Tahrir del Cairo a Maroun al-Ras nel sud del Libano [narrate in questo post recente], ha convinto molti israeliani che la Resistenza Araba e Palestinese, seppure nel suo stato iniziale, si svilupperà per diventare un movimento massiccio: né le armi, né tutti gli sforzi delle politiche di apartheid potranno garantire il futuro del sionismo in Palestina; fanno bene gli israeliani a cercare altri luoghi in cui crescere i figli».

Egeria

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