lunedì 24 novembre 2008

Mazzini, il sionismo e Giorgio Napolitano in Israele

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La voce mattutina di Massimo Bordin mi reca la prima notizia di un intervista di Giorgio Napolitano concessa in occasione del suo prossimo viaggio in Israele, o meglio al famoso museo della Shoà che sarà il primo luogo dove verrà condotto, un luogo altamente ideologico. La dichiarazione del presidente Napolitano che ha attratto la mia attenzione riguarda Giuseppe Mazzini ovvero l’enunciato che il sionismo si sarebbe ispirato al nostro Mazzini, le cui opere constano di un centinaio di volumi dormienti in qualche biblioteca. Provenendo una simile affermazione dalla bocca autorevole del presidente della Repubblica in carica essa merita una ricerca ed un approfondimento. Di primo acchitto mi sembra del tutto inverosimile. La figura di Mazzini è associata all’idea di Risorgimento che abbiamo appreso tutti a scuola. Il sionismo, almeno quello storico, non ha nulla a che fare con un simile concetto: né sulla pratica effettuale delle storia della Palestina dal 1882 ad oggi né sul piano concettuale di qualsiasi possibile elaborazione teorica. Tenteremo di dimostrarlo in un percorso che richiede diverse sedute di lavoro e qualche ricerca in biblioteca sui testi. Questo blog si distingue dal mordi e fuggi che contraddistingue la tipologia. Chi è interessato al tema indicato in questo post deve aver pazienza e segnarsi la pagina alla quale ritornare di tanto in tanto. Potrà comprendere dalla data e dal numero della versione l’avanzamento della ricerca. Un comodo sommario con links interni gli consentirà di muoversi nel testo come fosse un rotolo di papiro, non un libro che si sfoglia. A seconda dei risultati il testo potra essere radicalmente rivisto e perfino ribaltatato. Ho chiesto in alto loco tutte le indicazioni bibliografiche di studio dei discorsi presidenziali sul sionismo. In mancanza dovrò basarmi sui dati disponibili.

Versione 1.6
Status: 15.1.09
Sommario: 1. Spulcio della Opere complete di Giuseppe Mazzini. – 2. La prepotenza straniera che riduce al nulla. – 3. I «traditori dell’Italia» e i «benefattori della razza». – 4. La «pazza impresa». – 5. Gli apporti della civiltà araba. – 6. L’Esule e l’esilio. – 7. La concezione mazziniana dell’Esistenza ed il diritto di Israele ad esistere. – 8. L’ignoranza insignita con laurea honoris causa. – 9. Definizioni mazziniane del concetto di “popolo”. – 10. Le frottole colombiane su Mazzini. –

1. Spulcio delle Opere complete di Giuseppe Mazzini. – Con Regio Decreto del 13 marzo 1904 fu stabilita a spese dello Stato una “edizione completa delle opere di Giuseppe Mazzini” ricorrendo il 22 giugno 1995 il 1° centenario della nascita. Il primo volume di “Scritti editi e inediti” è del 1906 e contiene scritti letterari, che in realtà sono pure scritti politici, essendo Mazzini a mio avviso esclusivamente uno scrittore politico, chiaramente legato al suo tempo, come noi lo siamo al nostro. La scrittura dell’epoca di Mazzini era forse più curata della nostra, anche se la forma retorica e paludata ci rende oggi pesante la lettura di quei testi confinati in scaffali polverosi che pochi frequentano. Anche quando in apparenza tratta di temi letterari, come Dante, le pulsioni di Mazzini sono sempre politiche ed il più remoto passato è visto con le lenti del suo presente politico. Ma in questo primo volume contenenti scritti della prima metà del XIX secolo non solo non trovo traccia di sionismo, ma semmai il contrario. Mazzini parla sempre di un popolo italiano autoctono, diviso in stati fra loro spesso in guerra ed altrettanto spesso tutti vittime dell’oppressione di popoli stranieri che scorrazzano per la penisola. Mai gli italiani vengono presentati come avventurieri che sbarcano sulle coste d’Italia e vi si insediano, scacciando e scannando gli abitanti che già vi si trovano. Di “sionismo” nella prima metà del XIX negli scritti di Mazzini non vi è traccia. Mazzini muore nel 1872. In questo primo volume che racchiude in prevalenza scritti del 1828 di sionismo, o di pagine che possono aver ispirato il sionismo, neppure l’ombra. Vedremo cosa ci capiterà di leggere fra gli scritti tardi del nostro Eroe risorgimentale. Naturalmente, nessuno può impedire all’arbitrio istituzionalizzato di rinvenire nelle pagine di Mazzini non solo tracce ispiratrici del sionismo, ma pure anticipazioni del genoma umano e dello sbarco sulla luna. Possiamo soltanto rifiutarci di prendere sul serio interpretazioni che non hanno ancoraggi testuali. Per l’idea che ho finora potuto farmi di Mazzini non mi è mai parso che potesse venire issato sulle bandiere degli yankee americani in corsa alla conquista delle praterie americane uccidendo e sgozzando popolazioni inermi o sulle bandiere degli yankee sionisti che a qualche secolo di distanza pensano di emulare le gesta americane nella sabbia dei deserti mediorientali, trucidando e sgozzando genti arabe.

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2. La prepotenza straniera che riduce al nulla. – A pag. 22 del primo volume si trova una bella traccia per un tema da assegnare ai ragazzi romani portati da Alemanno in Auschwitz, a spese del comune di Roma che non trova i soldi neppure per i lampioni di via Aldini, sede della sezione AN che ad Alemanno ha procurato almeno 20.000 voti. Ma torniamo a Mazzini. In questo suo primissimo scritto si trovano concetti divenuti poi senso comune dell’idea di italianità. Vi è una netta condanna di ogni forma di guerra civile e di divisione in guelfi e ghibellini, che è sostanzialmente uno schierarsi a favore dell’uno o dell’altra potenza straniera occupante: Franza o Spagna, purché se magna, si dirà altrove. E vi è perfino di che pensare alla Nakba: una prepotenza straniera il cui fine è l’annientamento, che per Mazzini era la “bella contrada” d’Italia, ma che in principio può benissimo essere la Palestina della “pulizia etnica” descritta da Ilàn Pappe, il cui libro ben lungi dall’essere stato “demolito”, come vorrebbe uno scribacchino assoldato a scopo diffamatori, è invece una base documentaria per le risoluzioni Onu e per la prossima conferenza di Ginevra, che le lobbies, dislocate anche nel parlamento italiano, si preparano a sabotare. Altro che Mazzini ispiratore del sionismo! È esattamente il contrario fin dai primi vagiti del Mazzini scrittore. Estendendo la condanna mazziniana della prepotenza straniera che dire della guerra bushiana all’Iraq, fondata sulla acclarata menzogna e costata 3000 miliardi di dollari con i quali si sarebbe potuto sfamare l’intera Africa? Hanno portato la libertà e la democrazia agli iracheni? Ma chi è così stupido da potelo credere? I ragazzi romani di Auschwitz? Sono disposti a crederlo? No, caro Napolitano, non è possibile che tu ci riproponga una lettura di Mazzini che è un vero e proprio tradimento del Risorgimento italiano. Ma proseguiremo con diligenza nella lettura dell’Opera Omnia di Mazzini mettendola poi a confronto con quella di Napolitiano, presidente pro tempore di questo nostro disgraziato paese, ai tempi di Mazzini ed ai tempi di Berlusconi. Di Giorgio Napolitano ricordo l’intervento pubblicato negli atti del Partito Comunista Italiano nel 1956 sui fatti di Ungheria. Ho lasciato il volume in una mia casa fuori Roma, ma mi sembra di ricordare che l’allora comunista Napolitano fosse dalla parte dei russi invasori, non degli ungheresi. Ancora oggi in Israele sta dalla parte degli invasori occupanti, non delle vittime. Un’indubbia continuità politica. Si chiama coerenza.

3. I «traditori dell’Italia» e i «benefattori della razza». – Le pagine 63-66 del primo volume della Opere di Mazzini contengono una polemica dell’epoca fra romantici e classicisti: “Carlo Botta, e i romantici”. Qui a noi non interessa la polemica letteraria, ma alcune interpolazioni da cui si può ricavare la definizione in un senso più ampio di “traditori della patria” e di “benefattori della razza”. In quest’ultima espressione ciò che sorprende è l’uso della parola “razza” nell’anno 1828. Se Mazzini avesse adoperato questa espressione in anni a noi vicini, probabilmente non sarebbe stato risparmiato il suo monumento al Circo Massimo! L’uso del termine razza non è episodico in questo stesso primo volume delle Opere. Così a p. 200, in un ampio saggio sulla letteratura europea, si legge il seguente brano: «…Le razze del nord, vaganti per le loro foreste, senza leggi certe, idoleggianti la forza, erano al bujo d’ogni progresso…».

Il realtà il concetto di razza si sviluppa da quello di nazione e solo attraverso la sua degenerazione diventa razzismo. Oggi però l’unica forma ideologica di razzismo rimasta è il sionismo: strano che il presidente Napolitano non se ne sia accorto. Ma forse è il suo Ufficio che gli tiene gli occhi chiusi e gli detta i discorsi. Quindi dovremmo studiare non i discorsi di Napolitano, che forse non è tanto enciclopedico come appare, quanto la composizione del suo staff e l’apporto di suoi singoli componenti, dove ci sembra di aver letto il cognome Levi. Quanto poi al concetto di traditore dell’Italia ecco cosa si può estrapolare dalla polemica letteraria: per Mazzini «traditori dell’Italia sono i venduti d’ingegno, e d’anima alla forza, che impone, o all’opulenza che paga». Io qui vedo tanti odierni opportunisti politici e scribacchini di regime. E prosegue: «sono quei che… perpetuano le divisioni fra fratelli». E qui vedo quelli che pretendono di imporre una Memoria di regime. Ed ancora: «sono quei, che scrivono non per amor del vero, ma per invidia, o ambizione, o furor di parte». E qui ne vedo tanti, ma proprio tanti! Il loro nome è Legione. Poi trovo un brano di incredibile attualità: «Ogni secolo modifica potentemente gli uomini, e le cose; ogni secolo imprime una direzione particolare all’umano intelletto; ogni secolo aumenta la massa delle cognizioni; e la letteratura [ma perché solo la letteratura?] dovrà rimanere inerte, inalterabile, e priva di vita dove tutto è movimento, e progresso?» (p. 65). E qui penso a tutta la nostra classe politica, laica o non laica – secondo l’arbitaria terminologia di Massimo Teodori che “laico” non è – , la quale pretende di fermare le lancette della storia al 1945 dove un regime fu abbattuto col le armi dello straniero (certamente tale per Mazzini) ed un’altra imposta per la forza delle stesse armi. Già allora, nell’immediato dopoguerra, Vittorio Emanuele Orlando disse che il suo sentimento prevalente era la “cupidigia di servilismo”: è rimasto tale. Per poter cambiare qualcosa bisognerebbe sbarazzarsi di questa classe politica, protetta da oltre 100 basi americane sul suolo italico e mazziniano, non a difesa «della nostra libertà» – come vorrebbe quell’istrione di regime che risponde al nome di Vittorio Sgarbi – ma a difesa di un ceto di quisling, figli di quisling, padri di quisling.

4. La «pazza impresa». – Spesso, per via indiretta, è possibile ricostruire il pensiero di un autore rispetto ad un problema di cui egli neppure in origine sospettava l’esistenza. Spulciando tra le righe del saggio XVIII, del primo volume, D’una letteratura europea (pp. 176-222) si trovano alcune valutazioni storico-politiche sulle Crociate. Queste per Mazzini furono una “pazza impresa” (p. 206), i cui frutti non si raccolsero nell’aver portato la civiltà in Orientem al grido di «guerra agli Infedeli!», lanciato da Pietro l’Eremita, ma nell’aver raccolto per un verso la civiltà dall’Oriente e per un altro nell’aver indebolito in Europa la pressione interna a causa dello sforzo bellico paneuropeo. Da questa diminuizione dell’oppressione interna furono possibili l’enuclearsi di germi di libertà e del loro sviluppo che poi confluirono nell’umanesimo e nel rinascimento. Per quanto una recente letteratura voglia ridimensionare gli apporti arabi alla scoperta delle grecità classica, non credo che ridimensionamento – se fondata una simile letteratura di cui specialista non sono – significhi annullamento dell’apporto arabo. Nel conto in uscita e in entrata non pare dubbio che dobbiamo essere debitori agli arabi per la riscoperta delle nostre radici greche. Leggendo fra le righe di Mazzini pare in questo saggio del tutto estranea l’idea sionista secondo cui gli europei delle Crociate avrebbero dovuto squartare gli infedeli per ripopolare la Terra Santa, che fino ai nostri giorni tale è rimasta, malgrado il disappunto della propaganda israeliano-sionista che vorrebbe cancellata per sempre questa espressione sostituendola con Israele, il dubbio Stato sorto nel 1948 su un dubbia dichiarazione di Indipendenza ed una ancora dubbia Risoluzione Onu che ad un tempo spartisce un territorio di un popolo terzo che non voleva essere spartito, riconosce su una sua metà di territorio uno Stato fondato da immigranti coloniali e bontà sua riconosce nella restante metà al popolo indigeno il diritto ad avere un suo stato. È un’operazione che fa pensare più a un esproprio di diritto privato che non ad un istituto del diritto internazionale.

In Mazzini comunque la “pazza impresa” patrocinata da Pietro l’Eremita non ha nulla che possa legittimirare il sionismo dei secolo XIX e XX e gli scopi delle Crociate stesse restano pur sempre un’apertuta al culto dei luoghi del fondatore del cristianesimo, non la riappropriazione violenta di territori e l’instaurazione di un dominio. Già allora, su questa base del riconoscimento della libertà di culto, si stabilì un’intesa fra Islam e Cristianesimo che dura ancora oggi. In fondo, per 5000 anni l’unità geopolitica denominata Palestina ha visto il succedersi di numerose sovranità territoriali, di cui quella israelitica non fu certo la più importante e significativa. Così scrive al riguardo Ilan Pappe:
«Secondo le narrazioni palestinesi e sioniste, di una vera e propria “Palestina”, intesa come una coerente unità geopolitica, si comincia a parlare nel 3000 a.C. Da allora, e per 1.500 anni, essa fu la terra dei cananei. Attorno al 1.500 a.C. la terra di Canaan cadde, e non per l’ultima volta, sotto il dominio egizio e poi, a seguire, sotto quello filisteo (1200.975), israelita (1000.923), fenicio (923-700), assiro (700-612), babilonese (586-539), persiano (539-332), macedone (332-63), romano (63 a.C.-636 d.C.), arabo (636-1200), crociato (1099-1291), ayyubide (1187-1253), mamelucco (1253-1516), e ottomano (1517-1917)». I sionisti, come è noto, fecero la loro comparsa nel 1882. «La colonizzazione, per loro, fu parte di quello che definirono “il ritorno” e “la redenzione” del paese, una volta governato dagli israeliti; un governo che però, come dice la cronologia appena riportata, occupa lo spazio di meno di un secolo in una stora lunga cinque millenni». (I. PAPPE, Palestina: quale fururo?, Jaca Book, 2007, pp. 47-48)».
Se “pazza” era da considerarsi per Mazzini l’impresa delle Crociate, non meno che “empia” viene ad essere per proprietà transitiva quella più tarda dei sionisti, che Mazzini per ovvie ragioni di carattere cronologico non poteva conoscere. All’inizio dello stesso saggio si parla della «schiavitù d’una razza d’uomini», che nel XVI secolo era ancora ammessa da Sepulveda rifacendosi all’autorità di Sepulveda che giustificava il mercato dei negri, ma che Mazzini nell’anno 1829 giudica ormai cosa “empia” (p. 178). Orbene, a spulciare i testi dei padri del sionismo – cosa che faremo più avanti testualmente – si vede che la sorte degli arabi residenti nella “Terra Promessa” se non è quella dello sterminio puro e semplice, ma certamente prevalente, è quella di una condizione schiavistica e servile. Con buona pace del nostro amato presidente Giorgio Napolitano come ad avallare ciò possa venir chiamato il nostro padre della patria Giuseppe Mazzini è operazione che fin da queste prime pagine mi sembra quanto mai ardua e arbitraria. Ma di ciò non è forse autore lo stesso Napolitano, quanto il suo staff. Ad oggi non è ancora arrivata nessuna risposta alla mia richiesta delle fonti presidenziali sul tema.

La condanna delle Crociate, e con esse ante litteram del sionismo, è in Mazzina netta e senza riserve: «Poi che, dopo le Crociate, s’istituirono gli ordini de’ Templari, e di gerolosima, la Cavalleria s’inviscerò più sempre nella religione, e gli effetti di questo congiungimento si dimostrarono orribili nelle guerre contro i Valdesi, nelle stragi degli Albigesi, e in tante nefandità, delle quali è meglio tacere per non insozzare le nostre pagine, e perché le parole non bastano all’uopo» (p. 209). È il caso di ricordare il sostegno che in America fornisce ad Israele il “cristianesimo sionista”, meglio sarebbe dire il puritanesimo molto più legato al Vecchio testamento anziché al Nuovo. Per un siffatto cristianesimo lo “sterminio” degli arabi per mano sionista è un assunto di fede religiosa. Senza siffatte alleanze il sionismo perderebbe non poco della sua forza e della sua capacità di penetrazione. L’inquinamento del risorgimento italiano è una delle tante strategie sioniste che le innumerevoli associazioni ad hoc portano avanti da qualche secolo a questa parte, aprendo fronti sempre nuovi e pretendendo di ingerirsi perfino nella canonizzazione dei santi cattolici, i quali d’ora in poi per poter essere dichiarati tali dovranno avere il placet ebraico-sionista. Un simile rovesciamento di posizioni era impensabile prima della Shoah!

5. Gli apporti della civiltà araba. – Lungi dal considerare il mondo arabo una sorta di terra senza popoli o una desolata distesa di deserti percorsi da genti selvaggie da ridurre in schiavitù quanti uomini e donne ne erano risparmiati alla morte per Mazzini «gli Arabi aveano comunicato all’Europa il loro gusto, la loro fecondità descrittiva, la loro tendenza al mistico» (p. 207). Quella che doveva essere un’impresa pazza e di rapina di italiani ed europei si rivelò invece feconda per le relazioni intrinsecamente pacifiche che essa comportò: «soggiornavano gran tempo in Oriente, e stringevano nuove relazioni cogli Arabi, traendone modi, libri, e scoperte, finché, ritornando alle patrie terre, vi seminavano tendenze, e costumi poco men che uniformi. Questi frutti raccolse Europa dalla pazza impresa: né certo Pietro Eremita, levando il grido di “guerra agli Infedeli!”, indovinava che la sua parola dovesse esser seme, e principio della universale risurrezione» (p. 205-206). Paradossalmente, fu il mondo arabo a donarci la “resurrezione”, ovvero il risorgimento. Non andammo lì a portare la civiltà, o come oggi si direbbe la libertà e la democrazia, ma a ricevere la civiltà che avevano perso durante quelli che ai tempi di Mazzini erano ancora considerati i secoli bui del Medio Evo. Nel testo da me messo in corsi appare chiaramente come per Mazzini in Oriente si andava per poi ritornare, non per far “pulizia etnica”, come è inconfutabilmente successo con l’occupazione sionista. Nella loro smisurata, sconfinata, infinità presunzione gli ebrei sionisti dello Stato ebraico non ritengono certamente di trarre insegnamenti dalla civiltà araba, che è tutta da cancellare e silenziare. Il “risorgimento” sionista fin dalle prime righe del testo mazziniano dimostra di non avere proprio nulla a che fare con il sistema di valori con il quale è stato edificato il nostro Risorgimento. Si tratta di una vera e propria usurpazione semantica che serve solo ad ingannare e a meglio coprire un genocidio continuo protratto lungo tutti gli anni dell’occupazione sionista e senza nessuna possibilità di inversione di rotta. Al sionismo si può solo porre termine con un’azione concertata delle nazioni che ritengono di essere vincolate a quegli stessi diritti umani che assai ipocritamente sbandierano ad ogni occasione utile a far retorica.

6. L’Esule e l’esilio. – Mazzini dediche alcune sue pagine al poema di Pietro Giannone intitolato L’Esule, uscito in Parigi nel 1829. Nel Risorgimeno italiano esuli furono Mazzini, Garibaldi e tanti altri. Ma il loro era un esilio in senso proprio. Nulla di simile e comparabile può dirsi per i sionisti, che ci affliggono fino all’inverosimile per un “ritorno a casa” che è una storica occupazione di terre, villaggi e case altrui non dissimile di ciò che in silenzio e al riparo di occhi indiscreti avvenne nell’Est e Ovest americano dove nessuno è stato mai chiamato a rispondere per il genocidio pienamente riuscito degli indiani d’America. Per fortuna, non sembra che con gli arabi l’operazione possa riuscire con le stesse forme e soprattutto nel silenzio della nostra coscienza morale. Di esilio in queste pagine letterarie (pp. 245-252) riferito al mondo ebraico si parla solo con riferimento a Caino, che dopo l’uccisione di Abele, fu maledetto e condannato a ramingare qual fratricida in un esilio pur sempre diverso di quello che storicamente toccò agli italiani che nella prima metà del XIX secolo avevano messo se stessi in rischio per l’ideale dell’unificazione politica di un’Italia allora divisa in più stati, ciascuno già esistente dentro i suoi confini: un’Italia che doveva sorgere unendo le sue genti, in un solo stato e in una sola nazione ma senza scacciare nessuno dalla sua casa! L’esilio che afflisse gli italiani consentiva la speranza, ma l’esilio che fu inflitto a Caino fu una maledizione divina, che si ripete anche oggi se Abele son quanti vivono in Gaza e quanti furono massacrati nell’epoca della conquista violenta della Palestina.

7. La concezione mazziniana dell’Esistenza ed il diritto di Israele ad esistere. – Nel contesto di un un saggio sul romanzo storico sempre del primo volume (pp. 253 ss.) si trovano alcuni concetti interessanti ai nostri fini. Per Mazzini «La Esistenza, come fenomeno generale, è condizione che precede ogni cosa» (p. 284). Seguono quindi maggiori articolazioni del concetto che noi qui non riportiamo per non appesantire inutilmente il nostro discorso come neppure collocheremo le concezioni di Mazzini nel loro contesto storico. Qui ci interessa sottolineare come per Mazzini l’esistenza rinvia ad un prius mentre i sionisti quando parlano di “diritto di Israele all’esistenza” rinviano ad un posterius. Nelle interazioni di causa ed effetti, forse in una chiave positivistica, entro cui si svolge qui il ragionamento di Mazzini si arriva fatalmente al momento fondativo dello Stato di Israele. Ciò che ne viene fuori non ci sembra digeribile per lo stomaco mazziniano. L’esproprio della terra altrui, la cacciata di un popolo, la pulizia etnica fa letteralmente a pugni con quella concezione del Risorgimento che non solo era genuinamente propria di Mazzini ma che contrasto con l’insegnamento scolastico di tutte le generazioni di italiani che da quei tempi si sono succedute fino a noi. Il “diritto di Israele ad esistere” è il riconoscimento che si pretende da altri della vera e propria sopraffazione, la rinuncia a qualsiasi pretesa per il maltolto, l’acquiescienza alla conquista militare di qualcosa che è giuridicamente e concettualmente altrui. La pretesa biblica è cosa quanto mai chimerica e si fonda sulla fantasia. La pretesa risarcitoria è doppiamente assurda: perché sarebbe in ogni caso a danno di terzi estranei ed innocenti e perché i beneficiari odierni non hanno nessun titolo ad un risarcimento non esigibile. La legislazione interna degli stati entro cui gli ebrei sono stati perseguitati avrebbe potuto al massimo prevedere forme materiali di assistenza riservata alle vittime stesse direttamente colpite ed interessate all’evento, non a loro rappresentanti politici che rivendichino diritti per il futuro, non per ciò che è stato. Mentre Mazzini pensava ad una liberazione da dominazione straniere ovvero una unificazione di governi regionali fra loro divisi, i sionisti pensano in termini di appropriazione di ciò che appartiene originariamente ad altri e contemporaneamente in termini di negazione, annientamento, riduzione in schiavitù e subordinazione sociale e politica dei palestinesi. Se mai sarebbero questi ultimi a poter invocare Mazzini in una prospettiva liberatoria e risorgimentale. Il positivismo mazziniano rinvia ai fatti per poter comprendere e spiegare le idee: i fatti non posso essere nascosti o non indagati in ogni loro piega. Le idee nascono e trovano la loro linfa nei fatti. Con il sionismo e con il presidente Napolitano accade esattamente l’opposto. Gli ideologismi servono a nascondere e cancellare i fatti, la cui indagine è severamente punita e scoraggiata. I fatti portano impietosamente alla Nakba ed all’occupazione coloniale e razzistica che di mazziniano-risorgimentale non ha proprio nulla. Il sionismo si fonda non sul risorgimento, ma sull’affossamento di un popolo ad opera di coloni mandati da nazioni che erano ben felici di liberarsene e che neppure oggi li vorrebbero veder ritornare, se mai gli oppressi riuscissero a ricacciarli dalla loro terra.

8. Una laurea honoris causa. – Mi sembra di ricordare che un altro presidente, che ha occupato il Quirinale prima dell’attuale, dicesse di rifiutare – per sue valutazioni di opportunità – tutte le lauree honoris causa che ogni università era disposta a conferirgli purché egli facesse un cenno. Non aveva che da scegliere ed ogni ramo dello scibile umano era disposto ad aureolarlo. Non così ha pensato di regolarsi l’attuale presidente. Tra le motivazioni del conferimento leggiamo:
L’Università ha deciso di conferire l’onorificenza a Napolitano per la sua opera “nel difendere il diritto di Israele a vivere in pace e sicurezza”, per la sua “voce risoluta contro il terrorismo e l’antisemitismo”, come riconoscimento della sua “dedizione ai principi di democrazia” e in segno di “apprezzamento per la sua calorosa e costante amicizia verso il popolo ebraico e lo Stato di Israele”.
Più avanti si legge una sorta di curriculum, dove risulta un diploma conseguito in Napoli nel 1942, quando Giorgio Napolitano si iscrisse al partito comunista dove fece tutta la sua carriera fino alla carica di presidente della Repubblica. Da oggi Giorgio Napolitano entra nella comunità dei filosofi. Apprenderemo da lui il pensiero profondo di Giuseppe Mazzini. Considerata la sua presumibile formazione marxista e la nota incompatibilità financo caratteriale fra i contemporanei Karl Marx e Giuseppe Mazzini, mi pare dubbio che Giorgio Napolitano. Come nel caso di Fini, qualcuno del suo staff gli ha probabilmente preparato il discorso da leggere. Il ruolo dei consiglieri è normale per tutte le più alte cariche degli stati: non potrebbero da soli attendere a tutte le incombenze. Quindi, presumiamo che i discorsi attribuiti al presidente siano in realtà discorsi dei suoi consulenti preparati allo scopo.

9. Definizioni mazziniane del concetto di “popolo”. – Via via che procedo nella lettura sequenziale dell’opera omnia di Mazzini, ma non soffermandomi sui temi della vasta opera non strettamente attinenti alla mia ricerca, raccolgo qui definizioni significative del concetto di popolo. Ne trarrò poi le conseguenze, anche in comparazione con il concetto sionista di popolo. Così a pagina 388 del primo volume, a proposito di Charles Didier, leggiamo che il Popolo è: «grande, onnipotente, santo». Ed ancora: «uno, libero, uguale, costituito nella pienezza de’ suoi diritti, nella coscienza di una missione che abbraccia l’umanità, nella fede di una legge morale universale, e intento solennemente allo sviluppo continuo progressivo ed armonico di tutte le sue facoltà». Interessante questa frase: «Le razze erano fuse, spenti irrevocabilmente i simboli individuali che le rappresentvano», dove ritorna il termine “razza”. Vi è poi un ambiguo riferimento a Mosè che qui tralasciamo.

10. Le frottole colombiane su Mazzini. – Siamo alle ore 21 del 15 gennaio 2009. Si è svolto alla trasmissione televisiva Otto e mezzo un faccia a faccia fra Luisa Morgantini e Furio Colombo. Non mi è parso adeguato ed efficace il contraddittorio della Morgantini a Furio Colombo, che non per questo ha maggior ragione. Qui rileva soltanto sottolineare le genericità fra irredentismo e sionismo. Il falso storico e logico consistente nell’equiparare un’immigrazione coloniale quale fu il sionismo, che è nazionalismo razzistico, con fenomeni endogeni come irrendismo. I Triestini facevano gli irredenti stando a Trieste e pensando a Trieste, di cui prefiguravano una collocazione politica all’interno dell’italianità. Non facevano gli irredenti per andare a occupare il Congo o l’Australia, ripulendoli ivi giunti dalle rispettive popolazioni indigene. Per questa operazione che è tipica del sionismo non pare proprio che si possa appellare a Mazzini o evocare il Risorgimento italiano. Probabilmente, se ciò accade e può accadere è perché vi è ignoranza diffusa e di Mazzini e del Risorgimento italiano, che in effetti è materia di noiosità tutta scolastica e tale da essere collocata nel dimenticatoio appena lasciata la scuola. Dei sedicenti “repubblicani” alla ricerca di uno straccio di dottrina sono andati a scovare Mazzini, ben certi che nessuno se ne cura, considerandolo da un punto di vista filosofico un cane morto. Ma vedremo dove ci porterà la nostra paziente esplorazione di tutta l’opera di Mazzini. Intanto, abbiamo scoperto nella schiera dei mazzinisti e risorgementalisti perfino l’on. Furio Colombo, “sfegatato sionista”, promotore di leggi liberticide.

(segue)


RASSEGNA STAMPA COMMENTATA
E LETTERATURA SUL TEMA


1. Napolitano criticato. – La partigianeria del nostro presidente è difficile da negare. Non occorrono altre parole per evidenziare il fatto. Resta da capire nella sua posizione chi glielo fa fa re. Quali sono i poteri che lo condizionano o almeno i processi mentali che lo portano a dichiarazioni decisamente fragili e non condivisibili.

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2. La difesa del sionismo da parte del presidente Napolitano. – Riproduco qui un testo di Mauro Manno del 29 novembre, apparso su comedonchisciote e ripreso anche in Arianna Editrice. Il testo edito contiene un fastidioso refuso che mi è stato appena segnalato dall’Autore. La dove è scritto: «come i sionisti hanno sempre voluto» si deve invece leggere «come gli antisemiti hanno sempre voluto». Certi di fare cosa grata, ripubblichiamo l’intero testo così corretto:
La difesa del sionismo e del diritto all’esistenza di Israele
da parte del presidente Napolitano


Il presidente ha equiparato, a suo tempo, l’antisionismo all’antisemitismo. In una lettera aperta [1] a lui indirizzata ebbi modo di fargli notare che tutti gli antisemiti della storia sono stati degli entusiastici sostenitori del sionismo, e non degli antisionisti, in quanto il sionismo aveva in programma l’allontanamento degli ebrei dai paesi europei, esattamente come gli antisemiti hanno sempre voluto. Storicamente, c’è stata collaborazione tra sionisti e antisemiti, non scontro né conflitto. La collaborazione avvenne anche con i nazisti e si esplicitò in patti di vario tipo, tra questi anche un patto economico finalizzato all’esportazione di ebrei e di macchinari agricoli dalla Germania verso la Palestina, in cambio di prodotti agricoli e investimenti dalla comunità coloniale ebraica (Yusciuv) nella Germania nazista (Patto di Ha’avara, 1933-1939). La tragica luna di miele con i nazisti comportò anche l’accettazione dei sionisti delle leggi razziali di Norimberga. Si trattò di una serie di accordi perversi per far avanzare i progetti sionisti a danno degli ebrei tedeschi (e non solo quelli) favorevoli all’assimilazione. Essi furono abbandonati nelle mani del nazismo in quanto “polvere, polvere economica e morale in un mondo crudele”. [2]

In quell’occasione il presidente dichiarò che l’«antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele». E io ribadisco che è giusto rigettare il sionismo, cioè “la fonte ispiratrice” dello Stato ebraico e a maggior ragione è giusto rigettare anche Israele, lo “stato ebraico” stesso che Napolitano difende a spada tratta. Allo stesso modo in cui è stato giusto rigettare l’ideologia dell’apartheid, cioè la fonte ispiratrice dello stato razzista sud africano e a maggior ragione è stato giusto rigettare lo stato dei razzisti bianchi di Pretoria. Napolitano dovrebbe consultare sull’argomento ‘Israele’ i dirigenti della lotta contro l’apartheid, Mandela e l’arcivescovo Desmond Tutu. In questo mese di novembre, durante il viaggio in Israele, il presidente si è spinto oltre, sostenendo che la posizione che nega a Israele il “diritto di esistere”, non ha il diritto di esistere. Egli continua ad equiparare sionismo e antisemitismo, aggiunge però che l’antisionismo sarebbe una forma “subdola”, travestita di antisemitismo. Questa posizione, definita «nuovo antisemitismo» è diventa quella ufficiale del governo israeliano per bocca di Tzipi Livni ed è stata diffusa da rappresentanti della lobby in America [3]. Quando la Chiesa d’Inghilterra deliberò di prendere le distanze da Caterpillar Inc., perché questa azienda fornisce a Israele i giganteschi bulldozer con cui gli israeliani radono al suolo le case dei palestinesi il rabbino capo d’Inghilterra dichiarò che la decisione avrebbe “avuto ripercussioni tremende (…) nelle relazioni tra ebrei e cristiani in Gran Bretagna” e Tony Bayfield, capo del movimento degli ebrei riformatori affermò: “Ai livelli medi e bassi della Chiesa c’è un chiaro problema di antisionismo, ai limiti dell’antisemitismo”. [4]

Il presidente ha fatta sua questa posizione e adesso, dall’alto del vertice dello Stato, dà la benedizione (e presumibilmente si adopererà) a perseguitare chi non condivide questa sua (ed israeliana) nuova imposizione ideologica. Vorrei chiedere: condivide anche il vergognoso attacco alla Chiesa d’Inghilterra?

Da filosionista, il presidente è diventato un sostenitore della censura, della limitazione del diritto di parola e di pensiero sanciti dalla nostra costituzione che egli è deputato a difendere. Tutto in nome della lotta all’«antisemitismo». Hanno ragione Mearsheimer e Walt quando affermano che “l’accusa di antisemitismo è un sistema efficace” per infangare e “emarginare” chi non sta in riga e che essa “soffoca il dibattito” [5] (p. 240).

Da parte mia non posso fare altro che ribadire la totale opposizione tra antisemitismo e antisionismo. Il sionismo è una fede, un’ideologia, che può essere accettata o respinta. Come ha affermato Walter Laqueur, uno degli storici ufficiali di questa ideologia, “il sionismo ha elaborato una ideologia ma le sue pretese «scientifiche» sono inevitabilmente poco conclusive. (…) Il successo del sionismo non prova necessariamente che esso è fondato su un’analisi esatta del «problema ebraico». Nel caso dei movimenti nazionali, i miti sono sempre motivi più potenti degli argomenti razionali. È troppo presto per dire se il sionismo è un successo o un fallimento”.
[6]

Contrariamente a quanto si dice, il sionismo non è favorevole all’emancipazione degli ebrei, ancor meno è favorevole alla loro assimilazione in Occidente. L’emancipazione degli ebrei è, come abbiamo detto altrove, uno dei risultati della Rivoluzione francese. L’emancipazione innescò, quasi immediatamente, un processo di assimilazione che si andò realizzando concretamente con i matrimoni misti, con l’abbandono graduale della religione ebraica, della segregazione “culturale” del ghetto e con l’accettazione della cultura europea. Questo processo era inevitabile, infatti non si è potuto evitarlo ed è ancora in corso. Anzi è prevedibile che esso assumerà estensione e velocità e ciò malgrado il sionismo e l’Olocausto. Quest’ultimo ha segnato indubbiamente una battuta di arresto, ma solo temporanea, sebbene il sionismo e gli ideologi di Israele fanno di tutto per tenere la ferita aperta e riprodurre costantemente il trauma. Attraverso la politica della «memoria» e dell’«eccezionalità» del giudeicidio.

La distinzione tra emancipazione e assimilazione è indubbiamente facile da comprendere, ma i sionisti hanno preferito non fare distinzioni chiare tra i due concetti attribuendo ad entrambi una valenza negativa, distruttrice dell’identità ebraica. Essi hanno denigrato gli ebrei della Diaspora come gente che si incammina, se rifiuta il sionismo, su una via inevitabilmente pericolosa per l’incolumità fisica e degradante moralmente. Gli ebrei che la intraprendono sono considerati, nella letteratura sionista, come “un fenomeno indesiderabile e demoralizzante.”
[7] Lo scrittore Maurice Samuel ha scritto che gli ebrei della diaspora sarebbero sempre stati dei “distruttori”, che nel suo linguaggio significava, degli sradicati, dei ribelli, dei renitenti alle regole della vita dei gentili: “Noi ebrei, noi i distruttori, rimarremo dei distruttori per sempre. Nulla che voi facciate darà soddisfazione ai nostri bisogni e alle nostre esigenze. Noi distruggeremo sempre perché noi abbiamo bisogno di un mondo tutto nostro, un mondo divino, che non è nella vostra natura di poter costruire ... quelli tra di noi che non riescono a capire questa verità saranno sempre gli alleati delle vostre fazioni ribelli, fin quando non giungerà la disillusione, il destino maledetto che ci sparse in mezzo a voi ci ha assegnato questo sgradito ruolo.” [8] Solo il sionismo, secondo Samuel poteva ricostruire, altrove, in Palestina, un mondo tutto ebraico, come era il ghetto, un mondo che egli definisce “divino”, in contrapposizione evidentemente col mondo prosaico, privo di spiritualità dei gentili. Non è “nella natura” dei gentili costruire un mondo spirituale come quello ebraico.

Oggi tutti possono vedere questo mondo “divino” in Israele. Egli credeva che non era possibile conciliare gli ebrei con i gentili. Perché? Per una questione di razza? Per una pretesa irraggiungibile superiorità ebraica? Sempre nello stesso libro egli scriveva: “Gli ebrei e i gentili costituiscono due mondi, tra voi gentili e noi ebrei c’è un incolmabile abisso (…) Ci sono due forze vitali nel mondo: gli ebrei e i gentili (…) Non credo che questa differenza originaria tra ebrei e gentili sia conciliabile”.
[9] C’è da chiedersi: in che cosa questo modo di pensare si differenzia dall’antisemitismo? Non è forse il rovescio sionista dell’odio degli antisemiti per gli ebrei? La stessa idea dell’inconciliabilità tra ebrei e gentili, la stessa arroganza, lo stesso sentimento di superiorità, questa volta ebraico, nei confronti dell’altro.

Anche Max Nordau nella relazione introduttiva al I Congresso sionista
[10] criticò l’emancipazione degli ebrei affermando che essa fu soltanto “il risultato del metodo di pensiero geometrico del razionalismo francese del XVIII sec., (…) un'automatica applicazione del metodo razionalista”. L’emancipazione non avvenne “per un sentimento fraterno nei confronti degli ebrei, ma perché lo richiedeva la logica”, “solo per amor di principio”, fu soltanto una di quelle “creazioni puramente intellettuali nel mondo reale” che, secondo lui caratterizzano la Rivoluzione francese. Quando poi, dalla Francia i principi della Rivoluzione si estesero sul continente, avvenne che “in Europa gli ebrei furono emancipati non per una interiore necessità, ma per imitare una moda politica”. L’emancipazione ebraica sancita dalle costituzioni democratiche fu come “un pianoforte non può mancare in un salotto, anche se nessun membro della famiglia sa suonarlo”.

La critica tocca qui non solo l’emancipazione, ritenuta solo formale e inutile, ma tutta la Rivoluzione francese produttrice di “creazioni puramente intellettuali”. Un bell’apprezzamento dell’evoluzione storica verso l’emancipazione e la democrazia, non c’è che dire. Meglio forse il sistema feudale?

Pare proprio di sì, almeno per quanto riguarda gli ebrei. Nello stesso discorso, Nordau esaltò le virtù del ghetto in contrapposizione alla società democratica e liberale occidentale. “L'emancipazione - egli affermò - ha cambiato completamente la natura dell'ebreo, e l'ha reso un altro essere”. Ma non in senso positivo, Nordau infatti afferma:

“Poi giunse l'emancipazione.” E l’ebreo si accorse che fuori dal ghetto “avrebbe perso se stesso e si sarebbe distrutto”. Mentre dentro il ghetto gli ebrei “realizzavano uno sviluppo perfetto delle loro qualità specifiche”, “erano esseri umani in armonia”, fuori dal ghetto “la maggioranza degli ebrei” divenne “una razza di mendicanti proscritti”, una razza di “mostri nel corpo e nello spirito”. Mentre l’ebreo del ghetto “sentiva di appartenere a una razza a parte, che non aveva niente in comune con gli altri abitanti dello stesso paese”, “l'ebreo emancipato” divenne “insicuro nelle relazioni con i suoi simili, timido con gli estranei, sospettoso perfino verso i sentimenti segreti degli amici. Le sue migliori energie” si esaurivano “nella repressione o almeno nel difficile occultamento del suo vero carattere”. L’anima era “avvelenata dall'ostilità verso il sangue proprio e altrui”.

Un quadro nerissimo dell’emancipazione. Essa non avrebbe liberato gli ebrei ma li avrebbe distrutti. Non dignità umana avrebbe dato loro ma degradazione morale. Un bel quadretto, indubbiamente. Certo meglio il feudalesimo.

Infine venne l’ondata di antisemitismo e Nordau descrive il periodo in questo modo: “L'ebreo poteva ancora votare per eleggere i membri del parlamento, ma era escluso dai circoli e dagli incontri dei suoi connazionali cristiani. Poteva andare dove voleva, ma ovunque si imbatteva nell'insegna: «Vietato l'ingresso agli ebrei». Aveva ancora il diritto di compiere tutti i doveri di un cittadino, ma i diritti più nobili riconosciuti al talento e al successo gli erano assolutamente negati”. “Ha perso la casa del ghetto; ma la terra in cui è nato gli è negata in quanto patria. I suoi connazionali lo respingono quando desidera associarsi a loro. Gli manca la terra sotto i piedi e non ha una comunità a cui appartenga come membro a pieno diritto.”

È indubbio che l’ondata di antisemitismo che colpì l’Europa negli anni ’80 del secolo XIX fu un’epoca di vergogna per la civiltà, ma cosa ha in comune essa con i nostri giorni, in cui il presidente difende il sionismo? Forse che ai nostri giorni la separazione tra ebrei e gentili ha qualche ragione di esistere? Forse che gli ebrei devono rifugiarsi in Israele perché sono perseguitati? Il potere della lobby in America, la sua influenza sulla politica americana non sono la prova evidente che l’antisemitismo è morto e sepolto e semmai l’Occidente è mosso da un sentimento eccessivamente filo semita e eccessivamente, per dir poco, benevolo verso uno stato che ha collezionato il maggior numero di condanne ONU per il non rispetto delle sue risoluzioni e dei diritti umani?

Nell’intervista del presidente si può anche leggere un suo arbitrario e pericoloso collegamento tra sionismo e nostro Risorgimento. “Ed è un fatto che il movimento sionista si ispirò in non piccola parte al pensiero di Giuseppe Mazzini, a una visione universalista delle aspirazioni all'indipendenza nazionale dei nostri popoli, di tutti i popoli”.

Il movimento sionista si ispirò a Mazzini? A Mazzini si ispirò, o meglio disse di ispirarsi, un grande sionista, ma il presidente mi perdoni, si trattava di Wladimir Jabotinsky, il fondatore del movimento sionista revisionista, che generò le organizzazioni terroriste dell’Irgun e della Banda Stern.

Ricordiamo al presidente alcuni fatti. Fatti veri però, perché quello che egli cita come un “fatto” (“che il movimento sionista si ispirò in non piccola parte al pensiero di Giuseppe Mazzini, a una visione universalista delle aspirazioni all'indipendenza nazionale dei nostri popoli, di tutti i popoli”) non è un fatto, come cercheremo di dimostrare, ma solo l’opinione del Sig. Giorgio Napolitano, presidente attuale della Repubblica Italiana.

I fatti dunque:

Jabotinsky si sforzò per anni di entrare in contatto con Mussolini e in generale esaltò il fascismo in numerosi suoi articoli.

In una lettera a Mussolini nel 1922, prima della Marcia su Roma, egli gli dichiara la sua ammirazione e dopo averlo messo in guardia del pericolo che l’Italia adottasse una posizione favorevole al «panarabismo», rivolge una avance chiaramente strumentale. Propone “un’azione fra gli ebrei del mediterraneo per ristabilire il dominio della lingua Italiana”

Nel 1932 Jabotinsky stabilisce contatti concreti con il Ministero degli esteri attraverso il sionista revisionista italiano Prof. Sciaky, proponendo una collaborazione di tipo militare, cioè caldeggiando il progetto di una Scuola Centrale di Istruttori per la preparazione militare della gioventù ebraica.

Nel 1934 questi sforzi portano alla fondazione della Scuola Marittima di Civitavecchia, a disposizione dei giovani del Betar. Molti dei giovani formati a Civitavecchia emigreranno in seguito clandestinamente in Palestina a rafforzare i ranghi dell’Irgun e costituiranno poi il primo nucleo della marina militare di Israele.

Lunga e costante insistenza, dal 1932 in poi per la fondazione della precedentemente suggerita Scuola Centrale di Istruttori per la preparazione militare della gioventù ebraica, secondo passo dopo scuola marittima. Il progetto doveva formare ufficiali dell’esercito di terra e piloti dell’aviazione.

1935-36 sviluppo intenso dei rapporti tra sionisti-revisionisti e fascismo, soprattutto dopo la rottura dei revisionisti con l’Agenzia ebraica e fondazione di una loro organizzazione internazionale.

I rapporti si conclusero nel 1938.

E veniamo ora all’ideologia politica di Jabotinsky.

Nella citata lettera a Mussolini, egli scrive:
“Signor Mussolini,

mi pare che Ella non conosca l’ebreo. Forse mi sbaglio, ma mi pare ch’Ella s’immagini, quando pensa agli ebrei, un essere docile, untuoso, furbo, sempre sulla difensiva [ma non è questo, più o meno, il ritratto che ne aveva fatto Nordau? nda] sempre proclamatore della propria lealtà all’Italia, all’ideale, ecc. ecc. Sono queste favole del secolo scorso, ed anche allora erano favole. Se vuol conoscere il grado di vitalità nostro, studi i suoi fascisti, soltanto vi aggiunga un po’ di tragedia, un po’ più di tenacia – forse anche più d’esperienza”.
Per Jabotinsky dunque l’ebreo sarebbe ancora più “fascista” diciamo, dei fascisti italiani. Fedele non all’Italia ma alla sua patria (riecheggia qui l’accusa antisemita che l’ebreo è fedele solo ai suoi; ritroviamo pure il solito disprezzo per l’ebreo assimilazionista, fedele alla patria in cui è nato). Potremmo citare tanti brani dagli scritti di Jabotinsky ma lo studioso francese Alain Dieckhoff così riassume, magistralmente, l’ideologia politica, se non fascista, comunque assai vicina al fascismo del sionista che si sarebbe “ispirato” a Mazzini. Dieckhoff scrive:

“Come Machiavelli e Hobbes, egli traccia i contorni di una politica pura, che rifiuta di entrare nel dominio, fondamentalmente estraneo alla politica, dell’etica. Questa non ha vocazione a guidare l’azione politica che risponde ad altro obiettivo: assicurare la sopravvivenza, la prosperità e la sicurezza del corpo politico, compreso attraverso mezzi moralmente discutibili (la guerra). La politica non ha niente a che vedere con il bene e il male, ma con la necessità e la contingenza”
[11].

E questa sarebbe l’ispirazione di Mazzini? Siamo su due mondi diversi. I veri ispiratori di Jabotinsky son ben altri. Sorvoliamo su Machiavelli e Hobbes; quando Jabotinsky utilizzava il loro pensiero lo distorceva, trascurandone alcuni aspetti e calcandone altri. Hobbes per esempio, riteneva, è vero, che gli uomini abbiano un’inclinazione naturale a farsi del male, ma per rimediare a questo, il filosofo inglese proponeva un potere sovrano che sottomettesse tutta la comunità politica ad una legge comune. Quale legge comune proponeva Jabotinsky? Nessuna! E se ne vedono i risultati nella politica di Israele oggi: la legge comune per impedire che si realizzino nella comunità politica le tendenze naturali degli uomini (e delle nazioni) a farsi del male è quella dell’ONU. Sappiamo come Israele rispetti le risoluzioni dell’ONU.

Più di Machiavelli e Hobbes, dovremmo cercare gli ispiratori di Jabotinsky (e io direi, non solo di lui ma di gran parte dei politici israeliani, da Ben Gurion a Golda Meir, da Begin a Itzak Shamir, da Sharon a Barak, da Netaniahu a Peres, da Olmert alla Tzipi Livni) in pensatori come Moses Hess, Ludwig Gumplowitz, nei sostenitori del darwinismo sociale fin de siècle, come Walter Bagehot.

La pratica politica di Jabotinsky e dei suoi seguaci è stata coerente con la sua ideologia. La sua lotta politica ha esaltato la violenza politica, l’eliminazione fisica degli avversari e dei politici. Fu la sua organizzazione che assassinò il sionista laburista Chaim Arlosoroff, nel 1948. Furono l’Irgun e la banda Stern che nel 1944 assassinarono Lord Moyne, il responsabile britannico in Medio Oriente e in seguito, nel 1948, Folke Bernadotte, il mediatore Onu e il suo assistente francese. Furono sempre i seguaci di Jabotinsky che fecero saltare in aria l’Hotel King David a Gerusalemme uccidendo più di 80 persone. Vogliamo anche accennare alle centinaia di attentati terroristici anti palestinesi, tutti contro la popolazione civile inerme, negli anni precedenti la nascita di Israele e durante la fase della pulizia etnica. Potremmo anche ricordare al presidente Napolitano che i seguaci di Jabotinsky proposero, nel 1941, un patto di alleanza con i nazisti per combattere insieme l’impero britannico. Il patto, il cui testo integrale fu presentato ai nazisti attraverso l’ambasciata del governo di Vichy a Beirut, porta la seguente intestazione: “Proposta dell’Irgun Zvai Leumi per la soluzione della questione ebraica in Europa e partecipazione attiva dell’Irgun Zvai Leumi alla guerra a fianco della Germania”. La proposta non andò mai in porto ma è significativo che una simile cosa sia mai esistita. Anche questo può essere ascritto all’”ispirazione” di Mazzini?

Ricordiamo al presidente che se legame c’è tra gli ebrei e Mazzini, questo va proprio contro i concetti espressi da lui e il suo sostegno al sionismo.

Nella prima metà dell’800 gli ebrei italiani parteciparono alla lotta per l’indipendenza dell’Italia, nei ranghi soprattutto, della Giovine Italia mazziniana. Ma questo significa che erano patrioti, ritenevano che l’Italia, non la Palestina fosse la loro patria e per essa alcuni versarono il loro sangue. Non erano quindi sionisti, ma assimilazionisti, come Daniele Manin. A questo riguardo scrive Henry Laurens:

“Gli ebrei italiani partecipa[ro]no attivamente al movimento nazionale incarnato dai carbonari, la Giovine Italia di Mazzini. La causa dell’emancipazione è [fu] così strettamente legata a quella dell’unità italiana”
[12]

Chi, come il presidente, associa il sionismo con Mazzini e il Risorgimento lo fa sulla base di una pretesa similitudine tra il nazionalismo italiano dell’800 e il nazionalismo ebraico rappresentato dal sionismo. Per noi invece l’unico nazionalismo ebraico lecito e quello degli ebrei che, come i mazziniani della Giovine Italia, si battevano per la libertà e la rinascita della loro vera patria, quella in cui erano nati. Se solo il sionismo è nazionalismo ebraico, quello dei patrioti ebrei italiani mazziniani cosa era? Tradimento? Follia? Smarrimento dell’obiettivo nazionale e della ragione politica? O forse quegli ebrei non erano ebrei?

C’è comunque una fondamentale differenza tra sionismo e Risorgimento. Il Risorgimento è la lotta di un popolo che è oppresso, sulla sua terra, da una potenza straniera occupante e imperialista. Si trattava di cacciare questa potenza straniera. Il sionismo è un “nazionalismo” molto singolare. I sionisti non vivevano sulla terra palestinese, erano loro gli invasori, i colonizzatori, come i bianchi in Sud Africa o in Rodesia agli inizi della colonizzazione europea in Africa. I sionisti occupavano la Palestina con l’aiuto di una potenza imperialista straniera, l’Impero britannico. Non lottavano contro di esso ma insieme ad esso. Chi è stato cacciato dalla Palestina, con la complicità dell’imperialismo, è solo il popolo palestinese. E mentre la nascita di un’Italia libera e indipendente non si è ottenuta a scapito di nessun popolo, la nascita dello Stato ebraico ha rappresentato la catastrofe del popolo palestinese, la sua Nabka. Non si può dire che questa sia una differenza da poco. È vergognoso attribuire all’”ispirazione” di Mazzini una catastrofe storica, la miseria di un popolo innocente, una scelta politica dei sionisti che ha infiammato da 60 anni il Medio Oriente e che continuerà ad avere conseguenze e ripercussioni per chissà quanto tempo. È questa la “visione universalista” del sionismo, “dei nostri popoli, di tutti i popoli” come dice il presidente? La “visione universalista” dei sionisti ha prodotto uno Stato per soli ebrei, dove i non ebrei sono cittadini di seconda categoria. E dov’è “la visione universalista dell’indipendenza nazionale di tutti i popoli”? Israele ha negato ai palestinesi la loro aspirazione all’indipendenza nazionale, e sulla loro stessa terra.

Sappiamo però che il presidente è un politico che opera per la pace. Egli infatti continua a proclamare la necessità della nascita di uno Stato palestinese, senza accorgersi però che Israele questo Stato non lo vuole e sta facendo di tutto affinché, se esso nascerà un giorno, nasca come una serie di piccoli bantustans circondati da muri “di sicurezza”, reticolati di filo spinato e torri di guardia. E cosa propone il presidente per i milioni di profughi palestinesi sparsi per tutta la regione mediorientale dopo la cacciata violenta dalle loro case nel 1948? Una vera soluzione mazziniana al problema israeliano, perché Israele è il problema, si trova solo nella proposta di aiutare ebrei e palestinesi a costituire uno Stato unico e democratico per tutti i suoi cittadini, su tutta la Palestina storica. Contemporaneamente dovrebbe essere finalmente realizzato il diritto al ritorno dei profughi del 1948, sancito dalla risoluzione 194 dell’ONU.

È un’utopia, ma un’utopia buona; proprio il contrario dell’utopia negativa del sionismo, cioè una distopia. La utopie e le distopie si realizzano talvolta. Il sionismo ha avuto il suo successo temporaneo, certo ma ricordiamo l’avvertimento di Walter Laqueur: “È troppo presto per dire se il sionismo è un successo o un fallimento”. Oggi sembra che questa ideologia e tutto l’esperimento dello Stato ebraico su terra araba si stia avviando al fallimento e al tramonto. Nessuno degli obiettivi iniziali dei sionisti è stato realizzato. Essi non sono riusciti a impossessarsi della Palestina nella sua interezza; non sono riusciti a far svanire il popolo palestinese, a farlo scomparire; non sono riusciti a integrarsi pacificamente nella regione e continuano a rimanerci solo grazie all’appoggio della superpotenza americana, a quella di uomini come il presidente e alla minaccia nucleare che brandiscono contro i paesi arabi e musulmani; non sono riusciti a fare del loro Stato un rifugio sicuro, e non c’è oggi posto più pericoloso al mondo per un ebreo di Israele; non sono riusciti a portare tutti gli ebrei, né la maggioranza di essi nello Stato ebraico, sembra anzi che oggi la tendenza all’emigrazione da Israele stia diventando più forte di quella all’immigrazione; non sono riusciti a unificare, in Israele, le varie componenti della società ebraica, e così askenaziti, sefarditi, ebrei russi, ortodossi, laici vivono in un crescente conflitto.

Perché allora dovremmo sostenere il “diritto di esistere” di Israele? Non saranno forse le contraddizioni interne al sionismo che porteranno alla sua morte? Perché dovremmo sostenere il sionismo, dopo quanto abbiamo detto? E dopo quanto abbiamo detto noi saremmo antisemiti?

mauro manno

NOTE

[1] Lettera aperta al Presidente Napolitano, http://www.effedieffe.com/rx.php?id=1727%20&chiave=La
[2] Chaim Weizmann, futuro primo presidente dello stato di Israele, nel discorso al Congresso Sionista del 1937 nel quale riporta le sue risposte davanti alla Commissione Peel a London, luglio 1937. Citato in 'Yahya', p. 55.
[3] Vedi il libro di A. Forster e B. Epstein (entrambi dell’ADL), /The New Antisemitism/, Vedi Nathan Sharansky e tanti, tanti altri.
[4] Vedi Mearsheimer e Walt, /La Israel Lobby/, Mondadori, Milano, 2007, p. 232.
[5] Mearsheimer e Walt, /La Israel Lobby/, Mondadori, Milano, 2007, p. 234, 240.
[6] Walter Laqueur, /Histoire du Sionisme,/ Vol II, Gallimard, 1994, pp. 847-48.
[7] Chaim Weizmann, futuro presidente dell'Organizzazione sionista mondiale e futuro presidente dello Stato di Israele, “The letters and papers of Chaim Weizman”, Letters, 1914, Vol. 8, p. 81.
[8] Maurice Samuel, /You Gentiles/, 1924, p. 155.
[9] Maurice Samuel, /You Gentiles/, 1924, p. 9.
[10] Recentemente pubblicato sul sito di Arianna Editrice: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=17338 .
[11] A. Dieckhoff, /L’Invention d’une nation/, Gallimard, 1993, p. 252.
[12] H. Laurens, La question de Palestine, vol I, p. 35.
L’analisi testuale dell’opera di Mazzini che

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Antonio, ti segnalo questo messaggio che Maurizio Molinari ha inviato alla mailing-list dell'UCEI:
Nell'ateneo di Princeton gli studiosi di Medio Oriente non fanno altro che ricordare una recente, brillante, conferenza di Vittorio Dan Segre. Bersagliato dalle domande sui punti deboli di Israele, stretto fra chi gli chiedeva di misurare la pericolosità degli Hezbollah e chi la litigiosità dei politici di Gerusalemme, Dan Segre rispose che ciò che più lo assillava era "il troppo alto numero di vite perse a causa di incidenti stradali" perché evidenziava una debolezza interna. Anche i padri fondatori dello Stato Ebraico si preoccupavano più delle vulnerabilità interne che delle minacce esterne.
L'email di Maurizio Molinari è: maurizio.molinari@lastampa.it .

Antonio Caracciolo ha detto...

Di Molinari ho sentito una volta in televisione che negli Usa sarebbe stato "demolito” il libro di Mearsheimer e Walt. La stessa cosa ("demolito”) ha scritto su “Tempi” tal Rodolfo Casadei per il libro di Ilan Pappe. Non mi risulta né l’uno né l’altro caso. Credo che costoro vogliano soltanto far credere che sia stato "demolito”. Al momento non ho materiale sufficiente per una scheda analitica per Maurizio Molinari, che tuttavia mi sembra come giornalista molto equilibrato rispetto ad uno Sfaradi, Buffa, etc.

Anonimo ha detto...

Caro Antonio, ti segnalo che il blog dell'ultrasionista Deborah Fait ( http://deborahfait.ilcannocchiale.it )ha pubblicato gli ultimi messaggi della mailing-list "In Difesa di Israele" di cui ti ho già parlato, li trovi a questo link:
http://deborahfait.ilcannocchiale.it/2008/11/26/in_difesa_di_israele.html
Cordialmente

Antonio Caracciolo ha detto...

Eccoti accontentato con un nuovo post sull’argomento:

http://civiumlibertas.blogspot.com/2008/11/quale-difesa-di-israele.html

Se vuoi collaborare su questo specifico tema “in difesa di Israele” mandami le tue segnalazioni nel post indicato. Ormai con oltre 400 articoli mi è difficile tenere tutto a mente e devo rivedere molte cose. Occorre procedere con ordine. Puoi collaborare tenendo i signori sotto osservazione e quindi segnalarmi le cose che richiedono una qualche analisi da parte mia, per quel che posso. Ti prego inoltre di collocare le tue segnalazioni nei post tematicamente più pertinenti.
Grazie!

Sono appena tornato dalla mia università con il primo volume dell'opera sterminata di Mazzini. In questo post voglio fare un vero e proprio studio accademico secondo quanto indicato nel titolo, scelto non a caso: Mazzini, il sionismo e Giorgio Napolitano in Israele.

Ho ricevuto ieri un commento illegale che non ho pubblicato: un Tizio che credo di aver individuato si firmava come Giorgio Napolitano, non considerando che lo spacciarsi per un altro può configurare un titolo di reato.