La settimana di Natale
non ha recato doni, tanto meno ricchi, ai buonisti in servizio permanente
effettivo: dai pandori della Ferragni ai rinvii a giudizio per i congiunti di Soumahoro,
ai bonifici vaticani per il no-global Casarino. È stato tutto un congiungere le
buone intenzioni manifestate dai suddetti con le laute retribuzioni che ne
conseguivano.
Mi son detto se
il comune denominatore dei buonisti è la pratica di congiungere strettamente
intenzioni e profitti, cosa li distingue da un “vecchio” piazzista da fiera,
come ad esempio il Dulcamara?
Anche il
ciarlatano dell’elisir d’amore racconta
un sacco di bugie agli ingenui paesani, e lo fa con logica di mercato: l’elisir
che offre è magnifico, cura tutto: dal diabete all’impotenza, dal mal di fegato
alla colite. È pure efficace come crema per la pelle, contro le rughe ed è un
insetticida insostituibile. Il target di un prodotto del genere esonda nel (più)
vasto pubblico dei consumatori, in ossequio alla prima legge di mercato:
aumentare il numero degli acquirenti.
D’altro canto Dulcamara
fa leva sempre sull’interesse all’acquisto
dell’elisir: il prodotto non è solo utile a tante cose (ha un grande valore) ma costa poco (uno scudo). È il
rapporto favorevole qualità/prezzo l’argomento
determinante della pubblicità di Dulcamara.
Gli altri argomenti (l’autorità
scientifica del ciarlatano, nota dell’universo
e in altri siti, i certificati, il successo nelle vendite, i costi) sono di
contorno.
Ciò lo distingue
dai suoi epigoni nostri contemporanei. I quali non promuovono pandoro, uova od
altro facendo leva sull’eccellenza della merce e sulla modicità del prezzo. No.
I nostri fanno leva sulle buone cause e sui buoni sentimenti. Chi non usa olio
di palma salva tanti oranghi dalla distruzione del loro habitat (nessuno – per quanto
risulta – si pone il problema di come la pensino i contadini indonesiani); chi
acquista una macchina elettrica salva il pianeta dal cambiamento climatico;
così coloro che mangiano pandori e uova della Ferragni aiutano i bimbi malati. E
così via.
Con ciò da una
promozione che si fonda sull’interesse si passa ad una che si basa, per così
dire, sui valori. Che un pandoro sia
fatto con grassi e farine di bassa qualità non importa: conta invece che
comprarlo serve ad assistere dei bambini, come dice il testimonial. D’altra parte il concetto di “valore”, come inteso
oggi, è nato nella scienza economica, e ad essa fa ritorno (sotto diverse spoglie).
C’è da chiedersi: se Dulcamara avesse propagandato il proprio elisir chiedendo
ai “rustici” di comprarlo per assistere
i bambini, lo avrebbe venduto? Penso che i rustici
ci avrebbero riso su, abituati sia a far elemosina nelle sedi e modi tradizionali,
sia a spendere oculatamente, come normale nelle società più povere. Invece,
malgrado e date le cifre pagate ai testimonials
le ditte produttrici riescono evidentemente a realizzare lauti profitti. Segno
che i rustici di oggi abboccano assai di più che ai tempi di Dulcamara.
E oltretutto non hanno la prospettiva della fortuna di Dulcamara e del suo “gonzo”
Nemorino, del lieto fine, dell’eredità che arricchisce il truffato. Tutto a
perdere, quindi, tranne che per i testimonials
e i loro committenti.