Questo volume fa
parte della collana “Biblioteca della proprietà”, promossa da Confedilizia.
Prende
l’occasione dalla direttiva sulle Case-green e in genere dall’andazzo ecologista dell’Unione europea
per riproporre l’importanza e la necessità della proprietà, non solo in
generale, ma anche per l’ambiente.
Per far questo
deve superare due luoghi comuni propagandati: il primo che la proprietà privata
comporti necessariamente peggioramento dell’ambiente, mentre quella pubblica
no, o quanto meno lo comprometterebbe in misura minore; dall’altro il riflesso condizionato antiproprietario, in
particolare da Marx in poi che, dopo il crollo del comunismo ha scelto la
tutela dell’ambiente come ragione fondamentale del proprio livore.
Come scrive
nell’introduzione Piombini, l’obiettivo «politico principale delle classi
politico-burocratiche occidentali, appoggiate dai media e dagli intellettuali
(è) Usare la confisca, il clientelismo,
la centralizzazione e la coercizione per combattere il cosiddetto “cambiamento
climatico”». E così aumentare (e giustificare) il proprio potere. A tale proposito sostiene Lottieri che «la
direttiva detta “case green” è
soltanto l’ultimo frutto avvelenato di un’idea pervertita di Unione europea e,
oltre a ciò, dello stesso declino del
diritto». Tra le due mende, la
più interessante è quella del “declino del diritto”. Questo è assorbito dalla legislazione, cioè dalle norme emanate
dal principe, che hanno assunto, nello Stato moderno, un ruolo esclusivo (o
quasi). Questo a scapito della concezione romana del diritto il quale, oltre
alla leges, alle constitutiones, ai senatus
consulta era “costituito” dai responsa
prudentium, dagli edicta dei
Pretori, dai mores maiorum. Cioè era
un sistema pluralista e non (quasi
del tutto) monopolizzato dallo Stato. Oltretutto negli ordinamenti giudiziari
continentali, fino a meno di un secolo fa, privo di quello che Hauriou chiamava,
per quello degli Stati Uniti, la superlegalité
constitutionnel che garantisce la società civile dall’invadenza dello
Stato.
Nell’individuare
la ragione di tale bulimia pubblica, Lottieri scrive «alla base di tutto
questo, allora, c’è l’antica, antichissima questione del potere. Perché non c’è
dubbio che il potere esiste e una delle sue manifestazioni più caratteristiche
consiste proprio nella capacità da parte di
alcuni (dominatori) di estrarre le risorse di altri (dominati)». Come
gli italiani tartassati da un fisco predone coniugato ad un’amministrazione
sgangherata, conoscono bene.
Restando nei
limiti di una recensione ricordare tutti i contributi degli autori che
affrontato i diversi aspetti del problema: vi rinviamo i lettori.
È opportuno fare
comunque un’eccezione per quello di A. Vitale, già dal titolo assai attraente
“dall’economia verde a una società al verde”.
Scrive Vitale
nella post-fazione che «questo libro mette il dito nella piaga della
legislazione e della regolamentazione, nel fondamentalismo ecologico e nella
bulimia regolatoria europea – che minacciano di non avere limiti – giustificate
con la “crisi climatica globale”» e prosegue che in realtà questo « è funzionale
ai pianificatori di ogni colore per un rimodellamento della società secondo i
loro desideri (l’uso delle espressioni “cambiare il mondo” e “nuovo mondo” è
infatti molto frequente)». Peraltro l’obiettivo dell’ambientalismo radicale è
«il controllo e in prospettiva l’annientamento della proprietà, del mercato,
dell’economia libera. L’ambientalismo infatti, ignorando il ruolo del
meccanismo del libero mercato, dei prezzi e della proprietà privata nella
conservazione e nell’aumento delle risorse naturali, finisce sempre per
perorare la causa di un’economia pianificata, interventista». Carente di sicuri
presupposti, l’ideologia ambientalista non considera le esigenze sociali che
sacrifica «di occupazione, di costi per i meno abbienti, di prezzi troppo
elevati per i salari medi». E così conduce al verde la comunità.
Nel complesso un
libro che possiede il pregio più importante in un’epoca di “politicamente
corretto”: la demistificazione.
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