Qualche giorno
orsono, accendendo la televisione, mi è capitato di sentire un’omelia
scandalizzata di un noto giornalista contro la Meloni che avrebbe qualificato “pizzo
di Stato” le sanzioni, interessi e così via, applicate in caso di ritardo nel
pagamento delle imposte (ovvero il pagarne troppe – non ho avuto occasione di
ascoltare il discorso della Presidente).
Subito si è
destato il solito coro (per lo più) dei burosauri di regime i quali, con toni e argomenti spazianti da quelli dell’agit-prop (post-moderno,
cioè dell’epoca della globalizzazione) a quelli di un prefetto o generale
ultraottantenne in pensione hanno stigmatizzato la carenza di senso dello Stato
e di sensibilità sociale (???) della Meloni.
Vediamo un po’
se tanto sdegno trova fondamento nel pensiero politico e nella dottrina dello Stato
moderno, quello che i parrucconi dicono di voler difendere chiamandolo “Stato
di diritto” (e distorcendone il concetto).
Pizzo di Stato
presuppone che: a) chi te lo chiede sia assimilabile a un criminale o brigante;
b) che la richiesta sia ingiusta. A tale riguardo il primo (ma non è
statisticamente “il primo”) a chiamarlo è stato Sant’Agostino – il quale si
chiede (domanda che è già una risposta) “cosa sono gli Stati se non grandi
associazioni a delinquere?” (magna latrocinia).
Qualche decina d’anni dopo un altro scrittore ecclesiastico, Salviano di Marsiglia,
attribuiva alle malefatte del governo imperiale e all’avidità della burocrazia
e del fisco decadenza e (prossima) caduta dell’Impero romano d’occidente (scusate
se è poco…)[1].
Nel secolo
successivo lo (pseudo) Procopio di Cesarea con la “Historia arcana” offre un
quadro dettagliato delle ruberie e malefatte del governo di Giustiniano (dall’imperatore
in giù). Non parliamo dei secoli successivi per non annoiare il lettore:
facciamo presente che per l’alto medioevo la difficile reperibilità dei
contributi sul “pizzo” è dovuta più che alla condivisione della concezione
contraria (quella dei parrucconi) alla decadenza letteraria dell’occidente
latino (anche se quanto a governanti delinquenti gli esempi non mancano). Arrivando
all’età moderna e alle rivoluzioni borghesi il “pizzo di Stato” è il leitmotiv dei grandi rivolgimenti politici:
ship money, no taxation without
representation, deficit, sono le sintesi delle rivoluzioni.
Come i
rivoluzionari consideravano la burocrazia, tra i tanti ricordiamo Saint-Just il
quale nel rapporto presentato alla Convenzione a nome del Comitato di salute
pubblica il 19 vendemmiaio dell’anno II scrive: «Tutti coloro che il governo
impiega sono parassiti; … e la Repubblica diventa preda di ventimila persone
che la corrompono, la osteggiano, la dissanguano». Tutt’altro che dato per
scontato, il fatto che l’amministrazione agisca realmente per l’interesse
generale è problematico; e
conseguentemente le somme prelevate possono
(almeno) diventare retribuzione per parassiti di Stato (pubblici e privati). La
scienza della finanza italiana, a partire da Maffeo Pantaleoni per arrivare a Cesare
Cosciani, distingueva diversi assetti della finanza pubblica (tra governanti e
governati) come mutualistico, parassitario e predatorio a seconda della
quantità, utilizzazione (e risultati) del prelievo fiscale.
Non mi risulta
che quando Giustino Fortunato scriveva che la legge fondamentale del
funzionamento della burocrazia italiana era l’inverso di quella di Carnot;
ovvero che tutta l’energia prelevata
doveva essere consumata per il sostegno e il frazionamento della macchina amministrativa
(cioè in stipendi, gettoni, contributi, pensioni, missioni ecc. ecc.) e il
minimo reso in servizi al contribuente, fosse mai stata oggetto di tanto
sdegno, Né lo sia stato don Sturzo, il quale giudicava così la “costituzione
più bella del mondo” «Purtroppo di statalismo, l’attuale schema di costituzione
puzza cento miglia lontano» e molte norme «invocano l’intervento dello Stato ad
ogni piè sospinto, e risolvono tutti i più assillanti problemi con il rinvio
all’autorità, all’ingerenza e alle casse dello Stato». A fronte di Fortunato, Sturzo
e di tutti gli altri che condividevano il loro giudizio realistico, la Meloni,
con il suo “pizzo” e la volontà di riscrivere la Costituzione, appare una
moderata.
E lo stesso
risulta a considerare quanto scrivevano i teorici dello Stato di diritto
moderno.
A citare per tutti
questo se pensavano gli autori del Federalista: ossia che se gli uomini fossero
degli angeli, di governi non ce ne sarebbe la necessità; e se fossero angeli i
governanti, neanche servirebbero i controlli sui governi.
Ma dato che di
angeli in giro non se ne vedono, sono necessari sia i governi che i controlli
sugli stessi. Invece per i parrucconi tecno-burocrati, chi insinua che imposte
ed accessori siano la mangiatoia di interessi e clientele tutt’altro che
sollecite del bene comune (ossia che il governante non è come la moglie di Cesare:
al di sopra di ogni rispetto) bestemmia e merita l’anatema da cotanti sant’uomini.
Come scriveva Gogol
nell’ “Ispettore generale” il giudizio dei parrucconi su chi lo pensa come (anche)
la Meloni è quanto uno dei personaggi dice parlando dell’autore della commedia
«Ma che razza di uomo è? un… un..,. un… non c’è nulla di sacro, per lui! Oggi
sparla d’un consigliere, mettiamo, e domani verrà fuori a dire che Dio non
esiste. Il passo è breve».
Giudizio che
avrebbe condiviso, tra i letterati, il nostro Giusti col suo Gingillino ed il
suo credo nella Zecca onnipotente.
Sacralizzare il
prelievo fiscale e l’uso che se ne fa, è materia per facile ironia. Ben vengano
una, cento, mille Meloni a demistificarlo, laicizzarlo e (speriamo) a ridurlo.
[1] Giova riportare qualche breve
passo di Salviano: «Ci sono forse non dico città, ma anche municipi o villaggi,
dove tutti quanti i decurioni non siano altrettanto tiranni?... Nessuno,
pertanto, è al sicuro… si salva dalla razzia di quei ladri che ti spolpano, a
meno che uno sia un pirata loro pari. Si è arrivati a questa situazione, o
meglio a questo livello di criminalità, che uno non ce la fa a cavarsela se non
è un brigante pure lui». I governanti « con la scusa dell’esazione delle
imposte, hanno dirottato queste imposte a profitto personale e hanno fatto
delle tasse straordinarie un bottino privato… li hanno spolpati; si sono
pasciuti non solo dei loro beni come normalmente fanno i ladri, ma anche del
loro sangue dopo averli ammazzati».
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