Dopo il “romanzo”, che mi toccava leggere per una sospetta strumentalizzazione del filosofo, proseguo a lenti ritmi e con metodi studiati, una rivisitazione di un filosofo difficile da enucleare in una esistenza, storica, separata nel tempo da secoli di distanza. L’uso corporativo della filosofia porta a credere che il pensiero umano sia appunto una fiction, con un suo ordito narrativo, i cui capitoli bisogna conoscere tutti per avere chiara la trama. La realtà credo sia diversa e che gli stessi pensieri, in tempi e luoghi e forme diverse, ricorrono nella mente di uomini diversi gli uni dagli altri e spesso sconosciuti gli uni agli altri. Ma poiché la vita è anche vita di studi non vi è nessun motivo per disdegnare la filologia, gli archivi e quanto altro può essere utile allo sviluppo della conoscenza individuale e perché anche alla sua “condivisione”, come si suol dire, per dare un altro nome alla “divulgazione”. Per la figura umana e il pensiero di Spinoza credo di essere stato avviato sulla giusta strada da lontani riassunti di Antonio Labriola. Come si dice, nel “romanzo”, la forma dell’opera di Spinoza può essere ostica al primo impatto, ma la sostanza è quanto mai semplice se la si coglie nel suo insieme. Ed è anche bene non compromettere la propria la propria lettura personale con una possibile soggezione davanti all’autorevolezza di personaggi che di Spinoza sono stati lettori. Ma soggezione non bisogna averne neppure davanti allo stesso Spinoza: di lui si prende quel che si può e si sa prendere. Probabilmente, anche lui aveva i suoi limiti umani, gli stessi limiti che abbiamo tutti, limiti di cui occorre avere consapevolezza, se si vuole sperare di poterli superare.
Uno dei temi che ricorrono trattando di Spinoza è il suo presunto “ateismo”, dallo stesso Spinoza mai dichiarato, mentre pare che fosse accentuato da un “ebreo” di nome Einstein, la cui opera scientifica non credo affronterò mai per mancanza di strumenti matematici. Ho messo fra virgolette il termine “ebreo” perché se Einstein è effettivamente tale suona strana la sua professione di “ateismo”. Si indica in genere con questo termine il non credere in dio, anzi in Un dio ben particolare che deve essere necessariamente Unico, a fronte di tutti gli altri che sono per definizione falsi se intesi al plurale. Intanto se per l’essere “ebreo” è necessaria una appartenenza religiosa, una professione di fede in un Dio particolare, piuttosto... antipatico per come dipinto nei testi ebraico, la professione di ateismo da parte di un “ebreo”, dichiarato o meno, toglie almeno una metà della sua “identità”, una identità assai gelosa. Resta la sola componente biologica, ossia razziale, in un tempo in cui il termine razza è alquanta malfamato. E qui non vado oltre, essendo il campo minato ed essendo questo testo pur sempre pubblico, anche se limitato a Cinque Lettori. Voglio concludere dicendo che Einstein a mio sommesso avviso – e stando al “romanzo” – non avrebbe dato prova di grande intelligenza, almeno intelligenza filosofica, se davanti a Spinoza avesse sentito il bisogno di professarsi ateo. Spinoza non aveva bisogno di una simile professione perché per lui, a quanto pare, natura infinita, oggi diciamo Cosmo, Universo, è la stessa cosa che dire Dio. Quel che ulteriormente impressiona è che l’uomo stesso è interamente determinato dalla Natura e quella che pare una qualche libertà concessa al singolo individuo è essa stessa un prodotto della Natura. Ha cause naturali...
...Non è poco e non intendo dare una interpretazione riduttiva. Quando si dice che Spinoza è per la forma politica democratica non credo che pensasse a un Locke di là da venire o alle forme della democrazia rappresentativa con tanto di partiti, urne, parlamentari e compagnia bella. Vedo piuttosto nella “democrazia” spinoziana una razionale associazione degli sforzi dei singoli individui umani che tutti insieme vogliono superare i loro limiti, soprattutto il limite della morte e del tempo di vita concesso per conoscere sempre meglio la Natura e per poterla dirigere dal suo interno... Sarò utopico quanto si vuole, ma io credo che l’Immortalità sia un obiettivo conseguibile nella misura in cui gli uomini cesseranno di dividersi in furbi e fessi, in poveri e ricchi, in amici e nemici, in sfruttati e sfruttatori... Credo anche che questo sia l’obiettivo al quale tende ogni generazione. Detto in altri termini, si potrebbe ipotizzare che l’Uomo stessa possa essere o debba diventare l’auto-consapevolezza della Natura, la Natura che pensa se stessa. E mi fermo. Mi resta da indagare, progressivamente, se il testo di Spinoza consenta una simile interpretazione: se non lo consente, mi arrogo io il diritto di pensarlo.
Chiudo con un’altra riflessione rispetto al “romanzo”, che non voglio rileggere. Se non ricordo male la figura appena accennata di Uriel, non mi pare sia stata messa a fuoco. Può anche essere che per fattori psicologici abbia desiderato rientrare nella “comunità” ebraica dalla quale era stato espulso, scomunicato, ma la verità finale è il suo suicidio ossia la raggiunta inconsapevolezza dell’assurdità, della incoerenza di un simile desiderio, e nelle condizioni di tempo e di luogo date, la scelta del suicidio appare come una nuova e poderosa affermazione di ciò che aveva intuito ma forse con minore sistematicità e chiarezza di quanto fosse riuscito a Spinoza.
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