Stiamo assistendo ad un momento di importanza storica per la Causa Palestinese. In questo periodo la comunità mondiale è chiamata ad esprimersi sulla volontà o meno di accogliere lo storico Stato della Palestina all’interno dell’Istituzione mondiale che rappresenta la legittimità delle nazioni ad esistere ognuna con la dignità di Stato Sovrano e con il diritto di vivere in condizione di pace, libertà e sicurezza.
I popoli del mondo stanno trattenendo il fiato in attesa di conoscere l’esito dell’istanza presentata dalla Palestina alle Nazioni Unite. Se il voto finale sarà affermativo, questa vittoria segnerà una svolta epocale per la causa dei diritti umani e l’inizio di una nuova era all’insegna della giustizia per i popoli.
I popoli del mondo stanno trattenendo il fiato in attesa di conoscere l’esito dell’istanza presentata dalla Palestina alle Nazioni Unite. Se il voto finale sarà affermativo, questa vittoria segnerà una svolta epocale per la causa dei diritti umani e l’inizio di una nuova era all’insegna della giustizia per i popoli.
A partire dal 21 settembre appena trascorso abbiamo assistito per una settimana alle dichiarazioni dei capi di stato che si sono succeduti come relatori di fronte all’Assemblea Generale convenuta in particolare per discutere la richiesta della Palestina presentata quest’anno all’Onu.
Alcuni dei relatori auspicavano che il riconoscimento della Palestina come Stato membro delle Nazioni Unite arrivasse come conseguenza di una ripresa dei negoziati con l’entità che occupa la Palestina arbitrariamente, mentre per la maggioranza i rappresentanti dei governi si dichiaravano felici di poter dare il benvenuto ad un nuovo stato membro della comunità mondiale. Altri ancora raccomandavano esplicitamente il voto favorevole alla Palestina, sottolineando che si trattava semplicemente di riconoscere un diritto naturale ingiustamente negato al Popolo Palestinese da troppo tempo.
Ma l’aspetto più importante da rilevare è il fatto che non una sola nazione si sia rifiutata di riconoscere alla Palestina il diritto di Stato indipendente con piena dignità legale e status di sovranità.
Se la procedura per l’ammissione di uno stato all’interno delle Nazioni Unite prevedesse l’acclamazione a furor di popolo, la Palestina sarebbe diventata a tutti gli effetti il 194esimo Stato dell’Assise mondiale due settimane fa, il 23 settembre di quest’anno, durante il terzo giorno della 66esima sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu.
Infatti quando il Presidente dell’Assemblea ha annunciato il nome della Palestina come prossimo stato relatore, e faceva il suo ingresso nell’aula il presidente Abbas ‘Abu Mazen’, si è sollevato in sala un coro spontaneo di applausi entusiasti e calorosi. Tutti i componenti di ogni singola delegazione si sono alzati in piedi tributando alla Palestina e al suo rappresentante un’ovazione incontenibile che sembrava non terminare mai. Ma l’inquadratura delle telecamere è stata anche per i delegati degli Stati Uniti, rimasti ostentatamente seduti e silenziosi, con facce impassibili che stonavano con l’atmosfera di festa che si era instaurata in questa sede altrimenti sempre composta e concentrata.
Se la procedura per l’ammissione di uno stato all’interno delle Nazioni Unite prevedesse l’acclamazione a furor di popolo, la Palestina sarebbe diventata a tutti gli effetti il 194esimo Stato dell’Assise mondiale due settimane fa, il 23 settembre di quest’anno, durante il terzo giorno della 66esima sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu.
Infatti quando il Presidente dell’Assemblea ha annunciato il nome della Palestina come prossimo stato relatore, e faceva il suo ingresso nell’aula il presidente Abbas ‘Abu Mazen’, si è sollevato in sala un coro spontaneo di applausi entusiasti e calorosi. Tutti i componenti di ogni singola delegazione si sono alzati in piedi tributando alla Palestina e al suo rappresentante un’ovazione incontenibile che sembrava non terminare mai. Ma l’inquadratura delle telecamere è stata anche per i delegati degli Stati Uniti, rimasti ostentatamente seduti e silenziosi, con facce impassibili che stonavano con l’atmosfera di festa che si era instaurata in questa sede altrimenti sempre composta e concentrata.
Ma le standing ovation per la Palestina sono state numerose durante il discorso di Abbas ‘Abu Mazen’ e la più insistente e prolungata è arrivata nel momento in cui Mahmoud Abbas evocava la figura di Yasser Arafat, il compianto leader storico della Palestina e Premio Nobel per la Pace.
Tanto fragorosi e spontanei gli applausi per Abbas e la Palestina, quanto tiepido e strettamente protocollare il battimano riservato a Netanyahu, che aveva il sapore del gesto a cui non ci si può sottrarre. Anche questa volta le telecamere si sono soffermate sulla delegazione degli Stati Uniti che hanno ostentato un entusiasmo sopra le righe.
Sia prima che dopo l’inizio dei lavori dell’Assemblea Generale, abbiamo sentito e letto innumerevoli voci esprimersi in merito alla richiesta formale presentata dalla Palestina all’Onu – spesso discordanti tra loro. Alcune mostravano speranza, altre scetticismo, altre ancora fiducia e ottimismo.
Alcuni osservatori politici nutrono legittimi sospetti riguardo all’onestà di Abbas ‘Abu Mazen’ – ben consapevoli della sua ambiguità come rappresentante della Palestina nei rapporti diplomatici con il regime sionista e le potenze occidentali. Altri lo criticano per come starebbe gestendo questa importante e delicata richiesta per l’ammissione della Palestina a Stato Membro dell’Onu con tutti i diritti civili, umanitari e legali che sono in gioco. Sollevano seri dubbi sulla sua capacità e volontà di spingere con efficacia per il pieno riconoscimento dei diritti dei Palestinesi in merito ad ogni singolo aspetto in esame.
Ovviamente sono tutte considerazioni che nascono comunque dalle profonde esigenze e aspettative per una risoluzione che renda giustizia al martoriato Popolo Palestinese con un grave ritardo di oltre mezzo secolo.
Tuttavia molti sembrano non considerare che la formulazione della richiesta presentata all’Onu non può certo essere il frutto esclusivo di una strategia escogitata da una singola mente o in una singola notte.
Inoltre, nella corsa generale per speculare sulla validità e sull'esito della mossa di Abbas ‘Abu Mazen’ in favore della Palestina, un aspetto fondamentale della discussione è stato gravemente sottovalutato o forse dato per scontato:
- qual è la natura precisa della richiesta presentata dalla Palestina alle Nazioni Unite?
Il contenuto dell’intervista che segue chiarirà questi e altri aspetti di rilievo. A parlare è nientemeno che il consulente legale ufficiale della massima autorità Palestinese (OLP). Si tratta del giurista americano di fama internazionale, Prof. Francis Boyle, esperto in Diritto Internazionale per i Diritti Umani, che da decenni affianca le autorità Palestinesi nell’esercizio delle loro attività legali relative alle questioni di ordine diplomatico internazionale.
Egeria
Intervista al giurista Prof. Francis Boyle
Come la Palestina diventerà Stato Membro dell’ONU
L’intervista al Prof. Boyle si è svolta durante la trasmissione radiofonica di domenica 2 ottobre 2011, ideata e condotta dall’autore e giornalista di inchiesta Stephen Lendman. Avevamo già presentato in precedenza il famoso autore/conduttore di Chicago ai lettori di questo blog. La sua trasmissione è il salotto politico nel quale convergono i massimi esperti ed autori della scena accademica internazionale di lingua inglese noti nella sfera dell’informazione alternativa per il loro attivismo anti-sionista e in favore dei diritti umani.
All’inizio della trasmissione, Stephen Lendman ha ricordato al suo pubblico che il Prof. Francis Boyle è il consulente legale della massima autorità Palestinese, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina – OLP; che il giurista è anche autore di numerosi libri sulla Causa Palestinese, tra cui spicca per ricchezza di analisi legale l’opera dal titolo ‘Palestina, i Palestinesi e il Diritto Internazionale’; e che nel 1987 il Prof. Francis Boyle ha assistito le autorità palestinesi nella stesura del testo per la Dichiarazione di Indipendenza della Palestina avvenuta nel 1988.
Stephen Lendman: Francis, bentornato a questo programma. Puoi spiegare ai nostri ascoltatori cosa devono fare i Palestinesi per ottenere il riconoscimento che chiedono?
Francis Boyle: Prima di tutto va chiarito che la Palestina NON sta chiedendo il riconoscimento come stato indipendente. I Palestinesi hanno già creato il loro stato ufficialmente il 15 novembre del 1988, che è stato quasi immediatamente riconosciuto de jure da parte di oltre 100 nazioni membri dell’Onu. All’epoca il quorum necessario era di 100 voti favorevoli, oggi sarebbe di 130.
Ciò che Abbas (Abu Mazen) ha fatto questa volta, è presentare formalmente la richiesta per l’ammissione del già esistente Stato Palestinese a stato membro delle Nazioni Unite.
All’interno dell’Onu, la Palestina già gode dello status di ‘stato osservatore’, con continui avanzamenti di grado nel corso degli anni; per cui le vengono riconosciuti gli stessi diritti e privilegi di cui gode lo stato del Vaticano, anche questo uno ‘stato osservatore’. Anche la Svizzera era rappresentata presso l’Onu per molti anni in qualità di ‘stato osservatore’, finché ha deciso di fare parte dell’Onu a tutti gli effetti mediante referendum.
Quindi ora la Palestina sta finalmente chiedendo l’ammissione all’Onu a tutti gli effetti, che è parte della proposta iniziale che avevo sottoposto all’OLP nel 1987. Loro ci hanno lavorato continuamente negli anni finché l’anno scorso sono arrivati ad un punto cruciale.
Infatti un anno fa succedeva che i cosiddetti negoziati di pace sono arrivati al collasso. E allora ho proposto all’OLP: che ne dite a questo punto di pensare al piano B e chiedere l’ammissione come stato membro? La proposta venne valutata dal comitato esecutivo dell’OLP e venne quindi approvata.
E dunque nel corso di quest’ultimo anno, l’intero esecutivo della Palestina ha viaggiato nel mondo intero per cercare l’appoggio che è poi sfociato nel supporto corale che abbiamo visto la scorsa settimana nell’Assemblea Generale, dove Abbas ha ricevuto le standing ovation a cui abbiamo assistito.
Al momento il Financial Times stima che la Palestina abbia già 170 voti nell’Assemblea Generale in favore dell’ammissione. L’OLP mette la stima ufficiale a 130 perché rappresenta il quorum necessario per l’ammissione legale.
Ora tutto diventa solo una questione di procedura. Abbas ha consegnato la richiesta al Segretario Generale, che l’ha passata all’Assemblea e poi al Consiglio di Sicurezza. Il Consiglio ha un Comitato di Ammissione e questo comitato ha annunciato che si riunirà questo venerdì per la discussione della richiesta. E quindi dobbiamo aspettare per vedere cosa succederà nel comitato di ammissione del Consiglio di Sicurezza.
È curioso osservare al momento il comportamento dei media di massa. I media qui negli Stati Uniti non hanno nozione alcuna sulle procedure regolari e hanno continuato a sentenziare con commenti negativi del tipo: insomma, la formulazione di questa richiesta non è stata ponderata bene, i Palestinesi si comportano con approssimazione e non si rendono conto di quello che fanno. Ma queste sono tutte fandonie.
I Palestinesi sanno esattamente quello che fanno. La loro strategia è stata ponderata con estrema accuratezza e ci hanno lavorato con cura per un anno intero.
Dal 1987 hanno continuato a seguire tutti i miei consigli per le modalità e le fasi successive da seguire, adattandole alla maturazione dei tempi: prima il riconoscimento come stato - che hanno ottenuto; poi piena ammissione nell’Onu, che ora stanno per raggiungere; poi tornare ai negoziati per fissare le frontiere negoziando da una posizione forte in quanto stato membro dell’Onu. Una procedura che segue il modello del ‘precedente’ creato dalla Namibia.
Se non lo hanno fatto fino ad oggi è perché volevano spendere il capitale politico e diplomatico ottenuto con il Riconoscimento del 1988 impiegandolo per i negoziati di pace. Ma sappiamo che alla fine i negoziati di pace sono collassati e non per colpa della Palestina. In tutto questo periodo io ho continuato a lavorare dietro le quinte in stretta collaborazione con le autorità Palestinesi. Ero presente quando un anno fa i negoziati sono arrivati ad un punto morto e in tutto il tempo da allora trascorso li ho incoraggiati a prendere la decisione per questa iniziativa che infine hanno deciso di adottare.
Ora si profila la questione del veto. Obama sta minacciando di fare uso del veto, ma ho già previsto e provveduto per questa eventualità, che affronteremo ricorrendo all’uso della Risoluzione 377 chiamata ‘Uniti per la Pace’. Ho già preparato il memorandum per loro, per questa evenienza.
Le procedure per l’ammissione come Stato Membro dell’Onu
1 - Quale Organismo ha il potere decisionale sull’ammissione degli stati membri
Stephen Lendman: Francis, potresti spiegare per il pubblico quali sono le singole fasi che bisogna seguire, passo per passo, quando si chiede l’ammissione a stato membro dell’Onu? Se ho capito bene la fase 1 sarebbe rivolgersi al Consiglio di Sicurezza?
Francis Boyle: In conformità con i termini dell’Articolo 4 dello Statuto dell’Onu, la richiesta viene inoltrata sia al Consiglio di Sicurezza che all’Assemblea Generale, perché entrambi hanno un ruolo nell’ammissione degli stati.
Tuttavia, lo Statuto dice chiaramente che è l’Assemblea Generale che rende effettivo lo status di Membro dell’Onu, non il Consiglio di Sicurezza. Il Consiglio raccomanda, e l’Assemblea decide l’ammissione.
Vi era stato un dibattito in Ramallah per decidere se rivolgersi direttamente all’Assemblea Generale, ma il mio consiglio è stato: No, passiamo attraverso l’iter consueto e vediamo cosa succede se ci comportiamo come ogni altro stato che faccia richiesta di ammissione. E quindi ora siamo alla fase iniziale in cui il Consiglio di Sicurezza discute la richiesta.
2 - Cosa succede in caso di Veto - La risoluzione 377 ‘Uniti per la Pace’
Francis Boyle: Per quanto riguarda la minaccia di Obama di porre il veto, vorrei fare notare una cosa importante. Tempo fa il governo degli Stati Uniti aveva fatto all’Onu promessa solenne e vincolante di non porre mai il veto ad una richiesta di ammissione da parte di uno stato chiaramente qualificato come è il caso della Palestina. Quindi spero che Obama non violerà questo giuramento ponendo il veto - ma se anche decidesse di farlo, la Palestina avrebbe il diritto di invocare la risoluzione ‘Uniti per la Pace’ e rimandare tutto all’Assemblea Generale, dove viene richiesta un’approvazione da parte dei due terzi degli stati membri. E quel riconoscimento è vincolante. Non può essere impugnato. Nessuno può farci niente.
Stephen Lendman: E quindi l’Assemblea Generale può scavalcare il Consiglio di Sicurezza?
Francis Boyle: Non si tratta di ‘scavalcare’. Si tratta di procedure da seguire. In origine, quando le nazioni Unite sono state istituite in San Francisco, sono stati creati 6 organismi indipendenti per comporre la struttura dell’Onu:
- Il Consiglio di Sicurezza
- L’Assemblea Generale
- Il Consiglio per l’Amministrazione Fiduciaria
- Il Consiglio Economico e Sociale
- La Corte Penale Internazionale
- Il Segretario Generale
Sono stati istituiti in modo che un organo non possa aggirare un altro. E questo non succede se le procedure seguite sono quelle implementate all’interno dell’Onu.
Curiosamente la Risoluzione ‘Uniti per la Pace’ è stata proprio ideata dal governo degli Stati Uniti per superare l’ostruzionismo rappresentato dal veto sovietico durante la guerra in Corea. Quindi è stata un’idea nostra per rendere vano il veto sovietico nel Consiglio di Sicurezza.
E dunque il mio consiglio alle autorità Palestinesi è stato questo: servitevi di questo strumento offerto dalla Risoluzione 377 se necessario. Ciò che vale per uno stato o un caso, vale anche per l’altro. In questo caso la procedura corretta che Abbas ‘Abu Mazen’ dovrà seguire, sarà di fare richiesta all’Assemblea Generale perché invochi la Risoluzione 377 ‘Uniti per la Pace’
La questione dei Confini e Territori
Stephen Lendman: Mi preoccupa non poco che Abbas si sia dichiarato disponibile a negoziare solo in seguito alcuni aspetti chiave come frontiere e confini. Uno stato membro del’'Onu non dovrebbe avere confini legalmente definiti?
Francis Boyle: Sul piano tecnico, per una richiesta di ammissione come stato membro non è necessario avere già demarcato i propri confini. Sappiamo che per ora non esistono confini demarcati tra Palestina e Israele.
In effetti Israele non ha non ha mai rivendicato la questione dei confini, perché come dici tu stesso nel tuo bellissimo articolo di oggi, Israele non vuole confini chiaramente demarcati. Israele vuole la Palestina intera. E con Palestina intera intendo l’intero territorio storico della Palestina, che comprende anche l’attuale Giordania. Per la legge gli israeliani si rifanno ai testi biblici e ritengono che l’intero territorio spetti loro di diritto secondo la Bibbia.
Stephen Lendman: C’è un’altra cosa che mi preoccupa. Come sai, il parlamento israeliano - la Knesset - ha appena proposto ufficialmente l’annessione dell’intera Cisgiordania. Se la proposta verrà approvata, avranno il diritto legale di decidere l’annessione?
Francis Boyle: No - possono dichiarare quello che vogliono ma non fa alcuna differenza di alcun tipo. Se la Palestina riceve l’ammissione come stato membro dell’Onu, allora sul piano legale questa eventualità dell’annessione sarà identica al caso che si presentò quando l’Iraq decise di occupare il Kuwait - e tutti sappiamo quali sono state le conseguenze per l’Iraq. E quindi possono agitarsi quanto vogliono, ma non farà alcuna differenza.
Il Diritto al Ritorno dei Rifugiati
Stephen Lendman: So perfettamente che Israele è l’unico paese senza confini fissati - ma cosa mi puoi dire in merito al diritto di ritorno dei rifugiati Palestinesi? Questo non è un aspetto negoziabile, giusto?
Francis Boyle: Giusto. E ho contemplato questo aspetto nella Dichiarazione di Indipendenza originale del 1987. Sappiamo che ci sono almeno 5,5 milioni di Palestinesi sparsi in giro per il mondo - o anche di più: dipende da quali gruppi si vogliano includere nel conteggio.
Il testo che ho formulato nella Dichiarazione di Indipendenza della Palestina per lo Stato approvato nel 1988 è chiaro in merito alla questione del diritto di ritorno. Nel 1988 ogni Palestinese in ogni parte del mondo è diventato automaticamente cittadino dello Stato Palestinese, che lo sappiano o no.
Quindi, qualora la Palestina venga ammessa come stato membro dell’Onu, ogni Palestinese diventerà, se lo vuole, il cittadino di uno stato membro riconosciuto sia dall’Onu che dalla quasi totalità degli stati del mondo, ad eccezione probabilmente di Israele, USA e Canada, più un piccolo gruppo di altri stati che loro avranno messo alle corde per indurli a non riconoscere la Palestina.
I Palestinesi non saranno più senza patria - e questo rappresenterà il più grande atto di emancipazione dai tempi in cui Lincoln liberò gli schiavi.
La questione di Gerusalemme / al-Quds
Stephen Lendman: Un aspetto che immagino sarà negoziabile è sicuramente Gerusalemme, visto che ancora si trova sotto il protettorato dell’Onu ...
Francis Boyle: Certo Stephen. Nel piano di spartizione originario è stata istituita l’amministrazione fiduciaria dell’Onu per la città di Gerusalemme. Ma Israele ha annesso Gerusalemme Ovest al momento della sua dichiarazione di indipendenza – che è stato un atto chiaramente illegale. Poi, dopo la guerra del 1967, Israele ha annesso anche Gerusalemme Est, sempre illegalmente. Ed è questo il motivo per cui la maggioranza delle nazioni, compresi gli Stati Uniti, non hanno le rispettive ambasciate in Gerusalemme.
Se ci saranno negoziati per la questione di Gerusalemme, tuttavia saranno il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale a dover dare l’approvazione finale, per via dell’importanza che riveste Gerusalemme per i popoli delle principali fedi monoteistiche: Islam, Cristianesimo e Giudaismo.
Ribadisco tuttavia che anche per quanto riguarda Gerusalemme, Israele vuole l’intero territorio mentre i Palestinesi sono disponibili alla condivisione. Quindi sarà l’Onu a dovere decidere in merito, e la decisione dovrà tenere conto che sarà necessario garantire e salvaguardare l’accesso ai siti religiosi in Gerusalemme. E tutto questo non sarebbe difficile, se soltanto ci fosse un briciolo di volontà al compromesso da parte di Israele - ma loro dicono che non cederanno mai sulla questione di Gerusalemme. E questo è ridicolo. Forse saprai che quando Israele ha firmato gli accordi di Oslo, nella dichiarazione finale avevano dichiarato la disponibilità a negoziare in merito a Gerusalemme. Ed è chiaro che tali negoziati dovranno esserci.
Da parte di Israele non ci è mai stata una seria intenzione e reale buona fede durante i negoziati di Oslo del 1991, specie per la questione di Gerusalemme. E come saprai, io ero presente alla firma degli accordi.
Israele ha sempre temporeggiato, bloccando ogni progresso dei negoziati, mentre allo stesso tempo continuava a rubare territori Palestinesi. A suo tempo il primo ministro Shamir lo ha ammesso apertamente: la mia strategia è temporeggiare e rimandare all’infinito.
E dunque, Stephen: ho dato alle autorità Palestinesi gli strumenti legali di cui hanno bisogno per arrivare alla piena ammissione come stato membro dell’Onu, se è questo che vogliono.
Ma bisogna sempre tenere conto del fatto che loro si trovano in un tritacarne e sono sotto enorme pressione da parte di tutti e specialmente da parte degli USA e dell’Europa per desistere dal loro proposito. [Già sono in atto sanzioni e ritorsioni contro la Palestina: gli USA hanno revocato lo stanziamento di 200 milioni di dollari in precedenza approvati - n.d.t.].
In conclusione aggiungo, che se trovano la volontà per andare fino in fondo nella ricerca per l’ammissione come stato membro, entro due o tre settimane dovrebbero riuscirci.
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