giovedì 11 dicembre 2008

Il pactum sceleris quale fondamento della democrazia israeliana

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Vers. 1.1
del 12.12.08
Materiali per un’ambientazione moderna dell’Inferno dantesco: assassini - delatori - fiancheggiatori - infami - ipocriti - mentitori - scellerati -

Uno stesso filo lega il “lento genocidio” della popolazione rinchiusa nel Lager di Gaza e la “pulizia etnica” che diede il via nel 1948 alla fondazione dello stato di Israele, la cui natura democratica è divenuta un argomento di cui si avvale la propaganda a fronte della mancanza di democrazia che invece caratterizzerebbe gli stati arabi confinanti con Israele. Innumerevoli libri sono stati scritti per tentare di spiegare cosa sia la democrazia e la parola democrazia è diventato uno slogan pronto ad essere usato in ogni occasione nella certezza che nessuno potrà e sapra confutarlo. L’aggettivo “democratico” è cucinato in tutte le salse ed aggiunto ad ogni sostantivo del vocabolario politico. In genere, basta far votare degli aventi diritto perché sia riconosciuta l’esistenza della democrazia, che per questo potrebbe ben essere una società di ladroni o di assassini incalliti. Nelle ultime nostre elezioni politica, che ha portato Fiamma Nirenstein alla Camera dei Deputati ed alla sua Commissione Esteri, anche il cavallo di Caligola avrebbe potuto esser eletto senatore se collocato ai primi posti della graduatoria dei nomi messi in lista da oscuri registi.

Nella penosa ricerca di titoli di legittimazione democratica gli agenti ideologici di Israele stanno progressivamente abbandonando l’ancoraggio all’ONU per regredire alla Dichiarazione Balfour quale principale titolo del loro riconoscimento: niente di più fragile ed arbitrario. Le Nazioni Unite furono partorite dalla fervida mente di Roosevelt che grazie all’intervento nella seconda guerra mondiale fece uscire l’America dalla depressione del 29 e con la proclamazione delle Quattro libertà (di parola, di culto, dal bisogno, dalla paura) nel gennaio del 1941 gettò le basi della Carta. Con il tempo l’ONU sfuggì dalle mani e dal controllo dei suoi ideatori e se nel 1948 Israele potè ottenere l’agognato riconoscimento pur con limiti che lo invalidano in nuce nei decenni a venire fino ad oggi collezionò ripetute condanne tanto da far pensare a qualche politico israeliano nella campagna elettorale in corso l’opportunità di uscire dalle NU, mentre altri all’estero propongono di espellerne Israele. In previsione di Durban II, che potrebbe in aprile a Ginevra, equiparare razzismo e sionismo, è partito da Israele un piano di boicotaggio della Conferenza, che purtroppo ha già visto compromessa l’Italia attraverso l’azioni di lobbying della parlamentare Nirenstein, che si rivela un vero e proprio agente israeliano nel nostro Parlamento.

Poco importa che si deliberi più o meno correttamente ed equamente per caratterizzare una democrazia. Anche in Roma ai tempi del duello con Annibale il Senato deliberò per la ditruzione di Cartagine con la conseguente riduzione in schiavitù della sua popolazione, ove ne fosse stampa risparmiata la vita negli stermini abituali nel mondo antico. Una democrazia, cioè una forma politica che preveda un voto per ogni testa, non è di per se esente dal crimine, cioè da forme di crudeltà e di violenza che oggi giudichiamo contrarie al nostro senso giuridico e morale. Una qualsiasi collettività, di natura politica o non politica, può ben prevedere ed assumere decisioni e scopi a danno di altre collettività e senza nessun obbligo al rispetto di criteri di giustizia o a diritti riconosciuti ai propri membri. Il cemento ideologico, i valori, hanno sempre accompagnato l’unità politica dei popoli. Così, all’alba della rivoluzione francese, fu proclamato alto il principio di eguaglianza per abbattere l’ancien règime, fondato non sul diritto eguale di ogni testa, ma sul privilegio per classe e ordine. Quanto poi il principio di eguaglianza si sia rivelato illusorio in tutto il secolo XIX, XX, XXI corrente, può giudicare ognuno che sia fornito di sufficiente spirito critico ed adeguata cultura.

Nella guerra condotta contro il nazismo ed il fascismo non poteva più essere usata l’arma ideologica del concetto di eguaglianza, invero una costruzione polemica che non poneva certo termine all’ineguaglianza naturale, morale, politica fra gli uomini, come avvertiva nel Settecento un mio insospettabile ed umanissimo conterraneo dieci anni prima che venisse presa la Bastiglia. Italiani e tedeschi avevano regolarmente e democraticamente votato per eleggere le loro classi dirigenti ed il loro regime aveva indubbio fondamento democratico. Persino la dirigenza sionista, che già nella prima metà del XIX secolo dall’America pensava ad insediamenti coloniali in Palestina, non si era fatto scrupoli di condurre affari con il nazismo negli anni Trenta. Bisognava trovare un’arma ideologica con la quale smantellare dalle fondamenta le basi etico-politiche dei regimi che si era deciso di abbattere e di cancellare. L’arma fu trovata per un verso nella teoria dei diritti umani e nel mito della Shoah. Per quest’ultimo ci limitiamo ad osservare come esso sia apertamente in contrasto con la prima delle Quattro libertà rooseltiane: la libertà di parola. Non si tratta qui di stabilire se è vero o falso che vi sia stato tecnicamente sterminio mediante camere a gas, ma di ammettere o non ammettere il principio della libertà di parola e di contradditorio in ordine al fatto storico in sé. Nessuno sulla terra, neppure il papa cattolicamente infallibile, possiede la Verità in tutto ciò che è oggetto di scienza umana. Solo il libero contradditorio consente di avvicinarsi a qualcosa che ha parvenza di Verità, ma anche in questo caso il suo possesso è precario.

Insieme con il mito della Shoah, ferocemente sfruttato da Israele e dalle comunità ebraiche nei vari paesi, fu escogitata una teoria dei diritti umani in contrapposizione polemica ai regimi che erano stati abbattuto e che ne sarebbero stati i principali violatori. Quasi che la seconda guerra mondiale fosse stata una guerra per i diritti umani e non per il predominio mondiale degli Usa con la definitiva detronizzazione delle potenze europee. So bene qui quali obiezioni possono venire dai sionisti, ma non è di loro che mi curo. Accenno qui alcune argomentazioni che ritengo obiettive e tali da aver riempito oggi i principali media italiani ed europei: l’autorevole riconoscimento da parte di un ministro francese di una intrinseca ed evidente contradditorietà fra la prassi della politica estera di tutti gli stati e l’ideologia – di questo si tratta – dei diritti umani. Quel mattacchione di Pannella ha un bel dire che i “diritti umani” devono prevalere sugli Stati. Nel bene e nel male non esistono altri soggetti che gli Stati e tutte le Organizzazioni che si vogliono immaginare debbono essere ricondotte ai singoli stati, che possono farne parte su base volontaria, oppure decidere di uscirne e perfino venire espulse.

A pensarci bene l’espressione “diritto umano” è assai curiosa. Il buon senso, non privo di razionalità naturale, è infatti portato a chiedersi: ma il “diritto” può anche essere “animale”? Può esservi un diritto delle balene, attualmente soggette a balenicidio, o degli orsi, o delle scimmie, delle api, delle formiche, e così via. Se fossimo degli etologi e questa scienza è degna di fede nelle sue acquisizioni teoriche, potremmo forse individuare e descrivere regole di comportamento proprie ad ogni specie animale. Ma il diritto di cui noi parliamo è creazione tipicamente umana mutevole nel tempo dagli albori dell’umanità ad oggi e non è ipotizzabile che una balena possa citare in giudizio gli umani per la mattanza danese delle balene, magari davanti ad un tribunale neutro fatto da orsi bianchi. Altra cosa chiaramente è la protezione che noi stessi umani attribuiamo alla protezione di singoli specie animali in quanto oggetto del nostro diritto umano. Nel nostro innato ed invincibile egoismo ci siamo resi conto che la distruzione della biosfera coincide con il nostro suicidio. Da qua nasce la nostra egoistica sensibilità alla protezione della natura. Quindi, il “diritto” è sempre stato “umano” ed è del tutto pleonastica l’aggiunta dell’aggettivo, che ha solo caratterizzazione polemica e per nulla scientifica.

Quanto sopra appena abbozzato si dimostra tanto più vero quanto i cosiddetti “diritti umani”, oltre ad essere regolarmente disattesi appena ve ne sia convenienza politica o la contingenza sia ad essi sfavorevole, si rivelano poi in sé intrisecamente contraddittori e difficilmente definibili nella loro natura e nel loro ambito applicativo. Per stare sul concreto sono stati clamorosamente disattesi proprio negli Usa dopo l’oscuro attentato alle Torri Gemelle l’11 di settembre 2001. I “diritti umani” della singola persona sono stati posti in contrasto con i “diritti di sicurezza” della collettività americana, di cui il Presidente è unico depositario ed interprete. Per tornare al mito della Shoah si nega, punendola con pesanti pene detentive in Germania, Austria, Francia, Canadà, ecc., il “diritto umano” alla “libertà di parola” istitutiva dell’ONU, nel presupposto che vi sia una Verità, i cui gestori sono in ultime analisi le autorità israeliane, che nel 1948 si sono macchiate di “pulizia etnica”, in pratica del crimine di genocidio, per il quale nel 1961 hanno processato Adolf Eichman, dopo averlo rapito ad opera del Mossad, cui si devono non poche violazioni di diritti umani.

Insomma, i “diritti umani”, di cui proprio oggi ricorre il 60° anniversario della loro dichiarazione, non sono una costruzione scientifica, ossia la descrizione di un dato neutro di fenomeni correttamente osservati e indagati, ma una costruzione polemica orientata verso determinate persone fisiche, nazioni, situazioni. A qualche balordo detrattore dico subito che il demistificare i diritti umani come costruzione ideologica non significa in nessun modo svalutare o venir meno alla tutela e alla protezione dei soggetti più deboli, incapaci di armare i loro diritti quali essi siano. Anzi la loro demistificazione giova maggiormente alla tutela dei soggetti deboli. Per fare qualche cifra e stare sul concreto si consideri quanto segue, appreso giusto ieri in un seminario di altissimo livello. Il pil mondiale sarebbe di 70.000 miliardi, se ho ben inteso in mezzo a dati statistici, grafici e modelli econometrici. Il pil Usa è di 14.000 miliardi. La spesa pubblica mondiale è dell’ordine del 40 per cento del Pil mondiale. Spesa pubblica, se ben intendiamo, è tutto ciò che gli Stati spendono in beni e servizi pubblici: infrastrutture, scuole, ospedali, assistenza pubblica, ammortizzatori sociali e... guerra! Non è stato detto nel seminario, cui alludo né mi è parso il caso di intervenire io ultimo in mezzo a tanti Lumi, ma ho letto che la sola guerra in Iraq è costata ben 3.000 miliardi di dollari. So bene che la guerra è un affare per le industrie che producono carri armati, missili e sempre più sofisticati congegni di morte, la guerra che fece uscire gli Usa dalla depressione del 29. Ma se l’attuale crisi mondiale è stata innescata dai mutui contratti negli Usa da quanti nella ricca America volevano comprarsi una casa, sarebbe stato forse più saggio spendere quei 3.000 miliardi di dollari (= spesa pubblica) per costruire case negli Usa e nel mondo piuttosto che demolirle in Iraq. Il principale relatore del seminario di cui non dò volutamente le coordinate mi è parso legato ai vertici della finanza americana, da lui difesi a spada tratta. La sola spiegazione che ha saputo dare della crisi in atto è la seguente: «questo è il capitalismo, bellezza!». Come a dire: questa è la peste, questo è il tumore. Il problema è che la gente vuol guarire dalla peste e dal tumore. Non sa cosa farsene di una scienza economica puramente descrittiva, quando fa bene il suo mestiere.

Mi vado dilungando oltre il previsto. Ma non abbiamo problema di carta e di spazio. L’unico limite è qui la pazienza di chi legge, se mai qualcuno leggerà. Altrimenti questa resta la pagina di un mio diario personale e pubblico. Proviamo ad immaginare come avrebbero potuto essere spesi i 3.000 miliardi di dollari buttati nella guerra in Iraq per liberare un popolo da un male minore (Saddam), portando agli iracheni i dubbi vantaggi delle democrazia, di un’ancora più dubbia libertà, fatta di sicura soggezione agli Usa sorvegliata dal sistema dei SOFA, il regime giurdico giurisdizionale che accompagna circa un migliaio di basi americane note, sparse per il mondo, nell’Impero sorto dopo la seconda guerra mondiale. In Africa è cronaca di ogni giorno la morte per fame e malattia di intere popolazioni, per non parlare poi della carenza di istruzione pubblica necessaria per consentire lo sviluppo economico. Mentre le maggiori potenze sbandierano i diritti umani e nel loro nome conducono guerre segrete di vero e proprie sterminio, noi assistiamo impotente al maggiore scandalo della nostra epoca: il genocidio dei palestinesi la cui grande colpa è di non essersi lasciato sterminare dal 1948 ad oggi, ma anche prima, standosene del tutto in silenzio. La logica del genocidio, come già fu per gli indiani d’America, del fatto compiuto che proprio dall’essere compiuto pretende legittimazione, è una una logico del delitto come fondativa del diritto.

Per noi osservatori incapaci di influire sul diretto svolgimento degli eventi si tratta in fondo di assumere una decisione sulla formazione del nostro giudizio. Una ben riconoscibile propaganda, la posizione ufficiale dei nostri governanti, tendono a creare la nostra opinione, a formare il nostro pensiero ed il giudizio del tempo. Vado scoprendo come sia un vero e proprio lavoro – altro che filosofi fannulloni! – il potersi formare un giudizio indipendente a fronte delle infinite coazioni che ci giungono attraverso i media. Diceva il vecchio Hegel: l’uomo pensa e nel pensiero cerca la libertà. Per questo passo è stato criticato dalla scuola marxista che incitava alla prassi. Ma invece esiste un piano proprio del pensiero che lotta per liberare se stesso dai condizionamenti che restano il suo dato di partenza. Israele potrà anche portare a compimento con successo il suo piano criminoso, ma se il nostro pensiero resterà libero, nel senso che il giudizio sul pactum sceleris come fondativo della cosiddetta democrazia ebraica potrà restare tale ed essere in grado di reggere ad ogni duello dialettico, allora potremo trasmettere il testimone a chi verrà dopo di noi in un guerra che in fondo dura non da appena un solo secolo, ma da millenni.

(segue)

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