Ci si interroga
sulle intenzioni dei talebani, ma senza particolare interesse al dubbio se cercheranno di esportare il conflitto
oltre l’Afghanistan ovvero di rimanere nei confini del loro Stato. La domanda
non è peregrina e coinvolge concetti, criteri e presupposti del pensiero
politico e del diritto internazionale.
Scrive Schmitt
nella “Teoria del partigiano” che il partigiano ha carattere tellurico “Tale caratteristica è
importante per definire la posizione del partigiano la quale, a prescindere da
ogni mobilità tattica, rimane
fondamentalmente difensiva; ed egli deforma la sua natura quando fa propria
un’ideologia di aggressività assoluta e tecnicizzata o vagheggia una
rivoluzione mondiale…” e aggiunge relativamente a come distinguere il
partigiano “è indispensabile fondarlo sul carattere tellurico, per rendere più
evidente nello spazio la difensiva, cioè la
limitatezza dell’ostilità e preservarla dalle pretese assolute di una giustizia
astratta”. Questo lo differenzia da altre “categorie” di combattenti
irregolari come il pirata o il corsaro, per necessità non-tellurici in quanto
operano in un altro “spazio”, il mare. Tuttavia “Con l’ausilio della
motorizzazione la sua mobilità si fa tale che egli corre il pericolo di
sradicarsi completamente dal suo ambiente. Nelle situazioni provocate dalla
guerra fredda egli diventa un tecnico del combattimento clandestino, un
sabotatore e una spia… La motorizzazione fa perdere dunque al partigiano la sua
connotazione tellurica ed egli finisce per diventare un ingranaggio della
mastodontica macchina che opera politicamente su un piano mondiale”.
E con la
“motorizzazione” e le possibilità che offre tende ad appannarsi il carattere
difensivo del partigiano e della guerra partigiana.
Il connotato
difensivo del partigiano non andò smarrito neanche dopo che la guerra partigiana divenne – per lo più – il mezzo di
un’ostilità ideologica assoluta come
durante la guerra fredda, specie da parte del blocco comunista. In effetti
nessuna delle lotte partigiane, né dei capi, giunse a mutarne il carattere
prevalentemente difensivo. Né Mao, né
Ho Chi Min né il Fln algerino o l’Irgun hanno condotto operazioni offensive nel
territorio del nemico.
Questo è
cambiato con Al-Qaeda e con parte del terrorismo islamico contemporaneo: ormai
è normale che ad un’occupazione
militare da parte di una potenza (anche in mancanza) si risponda con attentati
terroristici offensivi (dalle Torri
gemelle al Bataclàn).
Vent’anni fa, in
occasione dell’attentato alle Twin Towers
mi capitò di scrivere che il successo dell’attentato era stato determinato: a)
dalla sostanziale invulnerabilità di
Al-Qaeda, gruppo terroristico senza popolazione e territorio, onde era quanto mai difficile organizzare una reazione
b) il tutto lo distingueva dai movimenti partigiani, i quali, come insegna
Santi Romano, hanno gli stessi elementi caratteristici dello Stato, solo in
misura poco determinata e fluttuante.
Onde se era vero
che ciò assicurava a Bin Laden un vantaggio militare, costituiva un handicap politico, impedendone o
rinviando sine die la conversione in istituzione.
Non così sembra
per i talebani, in questo assai più vicini ai movimenti partigiani “classici”.
La prima volta che conquistarono il potere, la dinamica e il contesto sia della
lotta contro l’occupante sovietico che della fase successiva per i talebani –
come per gli altri movimenti afgani di resistenza, il rapporto con la
popolazione e territorio era costituito
almeno con i territori occupati dai gruppi etnici di riferimento (per i
talebani i pastun).
Il fatto che i
talebani avessero così compiuto il percorso “canonico”, diventando forza al
governo dello Stato afgano, ne provocò la rovina. Dando protezione e asilo a Bin Laden e rifiutandosi di
consegnarlo agli USA, si assunsero così la responsabilità politica, normale nel
diritto internazionale, del territorio e di quando vi succedeva.
Da qui
l’intervento americano, che, a quanto risulta dai mass-media – non riusciva a
pacificare e a controllare (se non in
parte) - il territorio del paese – né a consolidare il governo insediato
dall’occupante.
Le zone “libere”
(ossia controllate dai movimenti di resistenza), probabilmente la maggior parte
del territorio, e la popolazione lì residente continuava ad essere il
“santuario” dei partigiani. Santuario fluttuante,
ma pur sempre accomunante il movimento partigiano all’istituzione statale.
Anche se la
resistenza afgana – al contrario di Al-Qaeda così poteva fruire solo
relativamente dei suggerimenti di Sun-Tzu. Questi
sostiene che di fronte al nemico ci si deve assottigliare… “più del sottile
fino a rendersi privi di forma… Soltanto
così saremo in grado di diventare gli arbitri del loro (dei nemici) destino” e
questo perché “Il Nemico manifesta una forma e con ciò si rende umano.
Io invece sono privo di forma”; “dimodoché per quanto concerne la forma
dell’azione militare, in guerra cioè, si attinge propriamente l’enfasi con
l’assenza di forma”; da ciò conclude “Insomma per quanto concerne l’azione
militare una forma siffatta è quella che
si assimila all’acqua” (i corsivi sono miei).
Quest’anno
la situazione si è ripetuta: i talebani hanno ottenuto il governo dell’Afghanistan:
sono così divenuti la classe dirigente dell’istituzione statale. Di conseguenza
hanno riacquistato sia la responsabilità conseguente che l’obbligo politico di
protezione della popolazione. A quanto risulta, pare abbiano capito la lezione
del 1998-2001. Tutto sommato le azioni terroristiche compiute in occasione della
sgombero delle forze occidentali e dei loro alleati locali sono state opera di
altri gruppi di resistenza islamica, noti per averle praticate anche altrove.
Occorre
trarre da ciò che l’insegnamento della teologia cristiana e controriformata, la
quale tanto ha influenzato il diritto internazionale westphaliano ha ancora una
sua validità: sia che bellum defensivum
semper licitum, onde non si può tacciare di jniustus hostis chi difende il proprio territorio e la propria
gente; e che fare guerra per violazione dei diritti (non dei propri sudditi o
cittadini) ma degli altri (ad vindicandas
iniurias totius orbis) è illecito: neque
a deo data est necque ex ratione colligitur. E cioè un (aduso) pretesto che
cerca di giustificare un intervento militare non meglio argomentabile. Di
converso rispondere ad azioni aggressive è sempre consentito.
Così
quando sentiamo in TV che i talebani avrebbero imposto il burqa o disposto che le scuole non siano miste, e se ne mena scandalo,
mi rallegro. Personalmente sono convinto che facciano di peggio, ma se le
malefatte fossero limitate a quelle non posso che riconoscere che condizione
della pace è (da sempre) che ognuno decida di come vivere a casa propria.
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