venerdì 7 dicembre 2007

La centralità dell’«Olocausto» nel revisionismo storico

Versione 1.3

Nel maggio 1945 l’Europa perse la guerra e da allora ogni reale indipendenza politica e futura capacità di autonomia nelle relazioni internazionali. Il continente si trovò spartito in zone di influenza, mascherate militarmente da due contrapposti patti militari: quello di Varsavia ed il patto atlantico, facenti capo l’uno all’Unione Sovietica e l’altro agli USA. Gli alleati erano e sono detti eufemisticamente tali, ma trattasi in realtà dell’antico rapporto di vassallaggio. Negli ultimi secoli vi era stato un tentativo di unificazione politica continentale. In un mondo sempre più globalizzato solo le entità politiche di notevoli dimensioni possono avere una funzione egemone. L’Inghilterra fin dai tempi della Grande Armada ha sempre ostacolato ogni processo di unificazione continentale ed anche oggi fa di tutto per impedire che l’Unione Europea si trasformi in qualcosa di più di un semplice supermercato o unione doganale. Non è mia intenzione qui accingermi in un’impresa di ricostruzione storica sul piano della narrazione storica degli eventi, della loro analisi sul piano fattuale e documentale. Un lavoro immenso che richiederebbe anni ed anni di lavoro esclusivo. Questa premessa mi serve per la breve riflessione che segue.

Non bastava aver sconfitto militarmente i principali Stati continentali europei, cioè la Germania e l’Italia. Bisognava anche distruggerli politicamente, moralmente, filosoficamente, instaurando una nuova dittatura pedagogica per la quale i figli non sarebbero più stati simili ai loro padri, la cui memoria doveva restare infangata per l’eternità. Come ottenere ciò? Sfruttando il complesso di colpa. Il cosiddetto Olocausto si prestava magnificamente allo scopo. Occorreva gettare su nazismo e fascismo una colpa morale tale da impedire qualsiasi raccordo funzionale con il proprio passato ed ogni tentativo di protagonismo politico da parte degli Stati debellati. L’Europa poteva e doveva essere o americana o sovietica, ma non europea. Un’Europa, unita su base continentale, che fosse se stessa era un evento geopolitico che doveva essere scongiurato. Il modo migliore per ottenere ciò era di incidere sulla sua identità ed autocoscienza, avvalendosi anche di una classe politica prodotta allo scopo ed abbondantemente foraggiata. L’operazione «Olocausto» si prestava e si presta magnificamente allo scopo.

Non è tuttavia facile imbrigliare il pensiero critico, che all'inizio alberga in poche teste matte, ma poi lentamente si trasforma in senso comune ed entra in ogni testa. Accade così che incominciando in settori limitati ed in apparenza marginali si incomincia a riconsiderare il recente passato e si scoprono verità diverse da quelle ufficiali: il mito resistenziale rivela ormai a pieno la sua dipendenza dall’invasione nemica senza la quale non avrebbe avuto nessuna possibilità e consistenza, ma soprattuto si svela sempre più di quale lacrime e quale sangue esso grondi. E potremmo andare avanti di questo passo, giungendo ad una visione radicalmente altra da quella imposta alle nostra menti da una vera e propria dittatura pedagogica durata oltre mezzo secolo e puntellata da leggi orribili che puniscono non più le azioni malvagia degli uomini, ma il loro pensiero e perfino i loro sogni: a tanta barbarie non si era ancora giunti. Questo processo di ribellione intellettuale si chiama revisionismo storico.

Si svolge a macchie di leopardo e si tiene lontano dalla questione centrale: il cosiddetto Olocausto. Non si tratta qui del pietismo, spesso ipocrita, di fronte a vittime che non furono solo ebree, ma che interessarono tutti gli strati sociali di un’epoca afflitta da una guerra civile durata almeno venti anni, dal 1914 in poi e forse fino ai nostri giorni. La questione centrale è la demonizzazione degli anni fra le due guerre mondiali. Se gli europei scoprissero come normale fisiologia storico-politica il fascismo ed il nazismo, ne verrebbero incrinati i fondamenti di legittimità sui quali sono stati costruiti tutti i governi del dopoguerra, siano essi di destra, di centro o di sinistra: tutta un’identica pasta, o meglio sempre la stessa casta. Ciò non può essere permesso. Ed ecco la prigione pronta per chi di revisionismo in revisionismo si azzarda a spingersi troppo oltre.

Confesso di non provare stima per i molti che fanno finta di occuparsi di revisionismo, ma poi arretrano di fronte alla questione principale che sovrasta ogni altra: il cosiddetto Olocausto. Il terrore che incute è tale da far arretrare i tanti dilettanti della storia, perfino dentisti che forse si sono stancati del loro lucroso mestiere. Ma anche gli storici di mestiere si guardano bene dal compromettere la loro posizione accademica e la loro carriera. Anzi la loro funzione è spesso di natura conservatrice, concedendo margini di dibattito e di rappresentatività sulle questioni ormai indifendibili, come l’esatta statistica delle vittime dell’«Olocausto», ma rafforzando i bastioni centrali di una visione della storia volta a rappresentare come il Male Metafisico regimi che hanno avuto il principale torto di essere stati sconfitti e di aver perso in tal modo il loro fondamento di legittimità. Del resto, in tutto l’arco della storia umana non vi è forma di governo che abbia senso e ragione di esistere se non è più in grado di offrire protezione ai suoi sudditi o cittadini. Dopo una sconfitta militare non bisogna cercare altre ragioni oltre la sconfitta stessa per accertare il venir meno della legittimità del suo potere. Ma come reazione al pericolo rappresentato dal progetto Mastella, ho potuto leggere manifesti di storici che rivendicano piena libertà di ricerca per poter combattere meglio il cosiddetto negazionismo e quindi più efficacemente mantenere una visione storica demonizzante del passato recente. Assicuravano cioè la classe politica dominante che avrebbero loro ben tenuto le posizioni sui fondamenti della legittimazione storica del potere costituito sulle ceneri della disfatta bellica. Il presente deve continuare ad apparire come una cesura rispetto al passato, non come una naturale e fisiologica sua continuità, nel bene e nel male, come è in ogni organismo sano, non oppresso da incubi e turbe mentali.

Per capire di cosa parliamo basta ricordare casi come quello della conduttrice televisiva tedesca, Eva ..., licenziata su due piedi per aver detto che qualcosa di buono durante il nazismo è stato fatto. Un libro come quello di Götz Aly su Lo stato sociale di Hitler, dove appunto si deve riconoscere che qualcosa di buono è stato fatto, ha potuto essere finanziato in quanto fin nel sottotitolo si riconosce che si è però trattato di «Rapina, guerra razziale e nazionalsocialismo». Il nostro Lampedusa ha enunciato un principio ormai divenuto proverbio: cambiare tutto per non modificare nulla, ossia cambiare qualcosa per non incidere sulla sostanza. Per questi motivi non è sempre lodevole ogni libro che ormai si fregia come di un merito della qualifica di revisionismo, quando poi si arresta davanti alla questione centrale che abbiamo qui indicata. Questi libri anziché avere un effetto liberatorio della memoria incatenata sono in realtà il terreno preparatorio per isolare una questione centrale intorno alla quale creare un consenso conservativo e reazionario. Un simile revisionismo punta ad una normalità compatibile con l'eccezione: di questo e quest’altro ci si può occupare, ma di quell’altra questione assolutamente no e tutti dobbiamo essere d’accordo sulla proibizione di legge per quel tipo di ricerche, per le sue conseguenze filosofiche e soprattutto saremo d’accordo nel comminare o accettare il carcere a quei pochi matti che osano attraversare le colonne d’Ercole per affrontare l’ignoto ed il proibito.

Ho da aggiungere una importante integrazione a questa mia riflessione stesa di getto e senza quelle accuratezze formali che hanno i testi definitivi. Chi ha la bontà di leggere questo mio testo è pregato di prestare attenzione a quanto osservo. A proposito del «cosiddetto Olocausto» il problema non è se le camere a gas siano o no mai esistite e se “sterminio” in senso proprio vi è stato. Chi ama e cerca la verità non ha paura della verità, qualunque essa sia. La verità potrebbe perfino essere quella ufficiale, ma questa volta confermata da una libera ricerca. Il problema è invece costituito proprio dal fatto che è proibita la libera ricerca e che si commina il carcere a chi non accetta la verità ufficiale di Stato. La tragedia nella tragedia è proprio questa: non un’altra! Personalmente, non definendomi e non volendo essere uno storico di professione, ho già elementi sufficienti di giudizio per una filosofia della storia del Novecento. Del resto, il dato grezzo che lo storico esploratore di archivi è in grado di offrire non parla da solo se non è sorretto da un’interpretazione. Può perfino accadere che degli storici, magari dilettanti, non comprendano neppure la portata dei dati che maneggiano. In questi casi, diventa necessaria la riflessione propriamente filosofica. Ad esempio, il problema costituito dai campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale è a mio avviso di pertinenza della filosofia politica. Si è voluto caricare di significato un evento deprecabile ma normale per colpevolizzare moralmente i popoli vinti e per tenerli in eterno stato di soggezione politica e morale. La stessa operazione si tenta oggi di applicare nelle guerre mediorientali, ma quei popoli sanno resistere meglio a questo aspetto della guerra guerreggiata più di quanto non abbiano fatto i popoli europei, vilmente abbandonati e sacrificati dai loro ceti intellettuali.

4 commenti:

Dolocausto ha detto...

Buondì Caracciolo,
solo una osservazione.

la causa scatenante la II^ GM ,ci hanno raccontato, è stata l'invasione della Polonia .
Ora ,tale invasione è stata eseguita da Germania e URSS .

Una domanda banale...perchè Francia ed Inghilterra hanno dichiarato guerra SOLO alla Germania?

Il "reato" era lo stesso!
Buona giornata.

Anonimo ha detto...

Ill.mo prof. Caracciolo,
mi permetto di rispondere al commento poco sopra.
La stessa osservazione la mosse allo scoppio della guerra l'intellettuale Giovanni Preziosi (parte scomodo pure per la sedicente estrema destra). Secondo il Preziosi la guerra fu voluta dagl'ebrei contro i movimenti "antisemiti", non certo contro il comunismo che di fatto fu creato da loro.
Personalmente, senza mettere crici sempre addosso al giudeo di turno, è plausibile che una guerra diretta contro l'URSS avrebbe portato gli USA verso la distruzione: due nemici così potenti avrebbero potuto mettere in discussione gli stessi principi della dottrina del Monroe.
Ma la mia è solo una presunzione.
Cordiali saluti a tutti.

Abdel Qader
titolare del blog tawhid.splinder.com

Anonimo ha detto...

x Qader:
c'è un errore di fondo nel Suo ragionamento,anzi manca un passo.
La guerra fu scatenata da FRANCIA ed INGHILTERRA.
Gli USA erano in stand-by.
Oppure,mi permetta, vuole asserire che tali 2 Stati ...hanno fatto la guerra per gli USA?
Tali 2 stati avevano da tutelare i loro interessi coloniali e degli USA poco importava loro,almeno ho questa sensazione.

www.thule-toscana.com

Anonimo ha detto...

Carissimo Erwin,
di fatto gli USA non erano in "stand-by" visto che politicamente fin dal 1940 gruppi di pressione erano attivi nel paese per promuovere la guerra. D'altra parte Blum in Francia (uno dei mandanti dell'omicidio di C.Z. Codreanu) aveva già fatto notare la gravità della situazione agli amici della terra verde. Pearl Harbour fu una semplice contingenza, il casus belli.
Va da se che non ritengo di avere certezze oracolari in materia.
Cordiali saluti.

Abdel Qader
titolare del blog tawhid.splinder.com