Ho trovato in rete, esattamente qui un’intrevista a Jean Bricmont assai mal edita. Non credo di recare dispiacere a nessuno se la riedito con i tipi di «Civium Libertas». Il tema dei “diritti dell’uomo” mi riesce quanto mai provocante. Non è che io sia contro i cosiddetti “diritti dell’uomo”. Chi potrebbe esser ragionevolmente contro questi diritti ed invece fautore dei diritti disumani, ossia partigiano della tortura e della sofferenza umana? Nessuno! Tuttavia, si è sviluppata una retorica infinita sui “diritti umani” spesso al solo scopo di poterli violare meglio ovvero di suscitare facili emozioni per poi strumentalizzarle. Credo che sia quanto mai utile per la scienza condurre una serrata demistificazione sull'uso e l'abuso della nozione dei diritti umani.
In termini generali credo che si possa ripetere la critica che poco prima dello scoppio della rivoluzione francese era stata rivolta al concetto di eguaglianza. Non che un onest'uomo, dotato di buoni sentimenti, non voglia vedere i suoi simili in condizioni di parità nella fortuna, nella salute, nella ricchezza, nella felicità. Ma la ragione dice che in realtà il concetto di eguaglianza fu forgiato come concetto polemico per abbattere i superbi, ovvero determinate classi sociali che vennero spogliate di privilegi che poi si ricrearono nuovamente dopo la Grande Rivoluzione. Tanto è vero che il concetto di eguaglianza fu poi riproposto con maggiore violenza dal movimento comunista fino ad arrivare ai nostri giorni.
In modo analogo ed in tempi nuovi ritengo che la retorica del “diritti umani” sia stata coniata nel secondo guerra come risposta polemica al nazifascismo, che questi diritti avrebbe violato in modo esclusivo ed inaudito. Fu da qui che è giunta fino a noi una retorica dei diritti umani alla quale è difficile sottrarsi se non si vuol passare per antidemocratico o peggio ancora.
L'intervista che segue è tratta dal libro di Jean Bricmont sull’«Imperialismo umanitario». Una linea di ricerca utile e feconda per smascherare guerre barbariche che di umanitario non hanno proprio nulla. Anche quando non si tratta di guerre guerreggiate in senso proprio sono spesso precedute o accompagnate da “embargi” che producono effetti devastanti fino al genocidio, che è tale anche se non lo si vuol chiamre con il suo nome. Ormai, ai nostri tempi, la guerra è in buona parte “guerra ideologica”.
Uno studioso non più adatto al servizio militare può tuttavia essere utile alla causa della pace e della giustizia, qualcuno dice: “non c'è pace senza giustizia”, se riesce a demistificare quella propaganda che vuol spingere alla guerra ed alla morte per fame e stenti in nome dei cosiddetti “diritti umani”. I miei quattro o cinque lettori sanno bene a cosa alludo e non ho qui bisogno di ripetermi. Offro invece alla lettura l'intervista di Jean Bricmont fatta da Joachim De Fonseca e Michel Collon e tradotta da Curzio Bettio, il cui originale si può ritrovare cliccando qui. Per il testo francese, non saprei se nel sito originario, lo si trova qui, dove pure si legge la data del 6 gennaio 2006, epoca suppongo dell'intervista.
In termini generali credo che si possa ripetere la critica che poco prima dello scoppio della rivoluzione francese era stata rivolta al concetto di eguaglianza. Non che un onest'uomo, dotato di buoni sentimenti, non voglia vedere i suoi simili in condizioni di parità nella fortuna, nella salute, nella ricchezza, nella felicità. Ma la ragione dice che in realtà il concetto di eguaglianza fu forgiato come concetto polemico per abbattere i superbi, ovvero determinate classi sociali che vennero spogliate di privilegi che poi si ricrearono nuovamente dopo la Grande Rivoluzione. Tanto è vero che il concetto di eguaglianza fu poi riproposto con maggiore violenza dal movimento comunista fino ad arrivare ai nostri giorni.
In modo analogo ed in tempi nuovi ritengo che la retorica del “diritti umani” sia stata coniata nel secondo guerra come risposta polemica al nazifascismo, che questi diritti avrebbe violato in modo esclusivo ed inaudito. Fu da qui che è giunta fino a noi una retorica dei diritti umani alla quale è difficile sottrarsi se non si vuol passare per antidemocratico o peggio ancora.
L'intervista che segue è tratta dal libro di Jean Bricmont sull’«Imperialismo umanitario». Una linea di ricerca utile e feconda per smascherare guerre barbariche che di umanitario non hanno proprio nulla. Anche quando non si tratta di guerre guerreggiate in senso proprio sono spesso precedute o accompagnate da “embargi” che producono effetti devastanti fino al genocidio, che è tale anche se non lo si vuol chiamre con il suo nome. Ormai, ai nostri tempi, la guerra è in buona parte “guerra ideologica”.
Uno studioso non più adatto al servizio militare può tuttavia essere utile alla causa della pace e della giustizia, qualcuno dice: “non c'è pace senza giustizia”, se riesce a demistificare quella propaganda che vuol spingere alla guerra ed alla morte per fame e stenti in nome dei cosiddetti “diritti umani”. I miei quattro o cinque lettori sanno bene a cosa alludo e non ho qui bisogno di ripetermi. Offro invece alla lettura l'intervista di Jean Bricmont fatta da Joachim De Fonseca e Michel Collon e tradotta da Curzio Bettio, il cui originale si può ritrovare cliccando qui. Per il testo francese, non saprei se nel sito originario, lo si trova qui, dove pure si legge la data del 6 gennaio 2006, epoca suppongo dell'intervista.
Antonio Caracciolo
* * *
Diritti dell’uomo o diritto del più forte?
Intervista a Jean Bricmont,
autore di « Impérialisme humanitaire »
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
Intervistano: Joaquim Da Fonseca & Michel Collon
D. In che modo un professore di fisica teorica è arrivato a scrivere un libro sull'imperialismo ?Diritti dell’uomo o diritto del più forte?
Intervista a Jean Bricmont,
autore di « Impérialisme humanitaire »
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
Nel suo nuovo lavoro, « Impérialisme humanitaire », Jean Bricmont denuncia l'utilizzazione dei diritti dell'uomo come pretesto per giustificare le aggressioni contro i paesi del Sud del mondo. Incontro con un pacifista ed un intellettuale impegnato.
Intervistano: Joaquim Da Fonseca & Michel Collon
Jean Bricmont. Mi sono sempre interessato di politica, comunque in modo non attivo. Faccio risalire l’inizio del mio impegno al 1999: è stato suscitato dalla guerra contro la Jugoslavia. I motivi umanitari invocati dagli Stati Uniti per giustificare questa aggressione mi hanno reso perplesso. In modo identico sono stato colpito dalla mancanza di opposizione della sinistra - e la medesima cosa, in parte, vale per l’estrema sinistra - di fronte a questa aggressione. Sono stato invitato a tenere delle conferenze in tutti i tipi di ambienti: chiese protestanti, movimenti musulmani, circoli studenteschi. Il mio lavoro « Impérialisme humanitaire » è, fra l’altro, una reazione alle preoccupazioni e ai discorsi manifestati dalle persone e dai gruppi incontrati allora in quelle conferenze. Questo libro è anche una risposta all’atteggiamento di certi militanti politici che si definiscono di sinistra. In nome dei diritti dell’Uomo, costoro legittimano le aggressioni contro paesi sovrani. O limitano a tal punto la loro opposizione che questa diventa puramente simbolica
D. I diritti dell’uomo nella spazzatura?
Jean Bricmont. Difendo le aspirazioni contenute nella Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948. Questa comprende un insieme di diritti economici, sociali, politici ed individuali. Il problema sopraggiunge quando il non-rispetto, reale o supposto, di questi diritti serve a legittimare la guerra, l’embargo e altre sanzioni contro un paese. Quando i diritti dell’Uomo divengono pretesto di una ingerenza violenta. Di più, la Dichiarazione spesso viene letta con una visione parziale. Quando si parla di rispetto dei diritti dell’uomo, i diritti economici e sociali sono spesso considerati relativamente poco importanti in confronto ai diritti individuali e politici. Consideriamo la qualità delle cure per la salute a Cuba. Si tratta di uno sviluppo del tutto ragguardevole di un diritto socio-economico. Purtroppo questo viene del tutto ignorato. Ammettiamo che Cuba corrisponda perfettamente alla descrizione molto critica che ne fanno Reporters sans frontières; questo non sminuisce per nulla l’importanza della qualità delle cure per la salute. Quando si parla di Cuba, se si esprimono delle riserve sul rispetto dei diritti politici ed individuali, bisognerebbe, almeno, fare menzione dell’importanza dei diritti economici e sociali di cui i Cubani beneficiano. Allora, potremmo domandarci, cosa sono più importanti: i diritti individuali o le cure per la salute? Tuttavia, nessuno ragiona in questo modo. I diritti alla casa, all'alimentazione, alla sicurezza dell’esistenza o alla salute sono in generale ignorati dai difensori dei diritti dell’uomo.
D. Esattamente, il suo libro indica che questi elementi sono ignorati nelle campagne mediatiche contro i paesi socialisti, come Cuba o la Cina. Lei scrive che quattro milioni di vite avrebbero potuto essere salvate se l’India avesse adottato la via cinese.
Jean Bricmont. Gli economisti Jean Drèze e Amartya Sen
stimano che, partendo da una base similare, la Cina e l’India hanno seguito percorsi di sviluppo differenti e che la differenza tra i sistemi sociali di questi due paesi ha comportato 3,9 milioni di morti in più in sfavore dell’India. In America latina, ogni anno si sarebbero salvate 285.000 vite se il sistema cubano per la sanità e la nutrizione fosse stato applicato. Io non affermo che le buone prestazioni nei campi sociali ed economici possono giustificare le deficienze di altri diritti. Ma non si affermerà l’inverso: il rispetto dei diritti individuali e politici non può giustificare che i diritti sociali ed economici siano beffati. Perché i difensori dei diritti dell’uomo non tengono mai conto di questo assunto? Ritorniamo a Cuba. La mancanza di libertà individuali può essere giustificata dai buoni risultati delle cure per la salute? Discutiamo di questo. Se, a Cuba, fosse in carica un regime filo-occidentale, sicuramente non si sarebbero ottenuti così buoni risultati per le cure sanitarie. Per lo meno, questo è quello che si deduce se si va a constatare lo stato sanitario nei paesi ‘filo-occidentali’ dell’America latina. Dunque, in pratica ci si trova davanti ad una scelta: che tipo di diritti sono i più importanti, i socio-economici o i politici e individuali? Sarebbe auspicabile usufruirne di tutti allo stesso tempo. Il presidente venezuelano Chavez, per esempio, tenta di conciliarli. Ma la politica d’ingerenza americana rende difficile questa conciliazione nel terzo mondo. Quello che voglio sottolineare, è che non spetta proprio a noi Occidentali, che beneficiamo dei due tipi di diritti, a fare questa scelta. Piuttosto, noi dovremmo dedicare le nostre energie per permettere uno sviluppo indipendente dei paesi del terzo mondo. Sperando che al limite lo sviluppo favorisca l’emergenza di questi diritti.
D. La sensibilità per i diritti dell’uomo e la percezione del dovere di ingerenza si presentano con forti differenze, a seconda che si guardi al Nord o al Sud del mondo?
Jean Bricmont. Nel 2002, poco prima della guerra contro l'Iraq, mi sono recato a Damasco (Siria) e a Beirut (Libano). Vi ho incontrato un certo numero di persone. Dire che queste erano tutte contrarie alla guerra contro l’Iraq rileva un puro eufemismo. E questo valeva anche per l’università americana di Beirut. L’anti-americanismo, e l’opposizione feroce contro Israele, si potevano tagliare con il coltello! Quando sono ritornato in Belgio, non ho percepito nessuna eco proveniente da laggiù! Consideriamo la questione del disarmo dell’Iraq. Alcuni membri del CNAPD [Coordinamento Belga anti-guerra] mi affermavano che bisognava imporre questo disarmo, certamente non dal punto di vista militare, ma attraverso mezzi pacifici. Se tali dichiarazioni venissero espresse in Medio Oriente, la gente vi risponderebbe direttamente: «E Israele, perché non è necessario disarmare questo paese?» In America latina e soprattutto nel mondo arabo-musulmano, la percezione del diritto internazionale è totalmente differente dalla
nostra, anche da quella della sinistra e dell’estrema sinistra. Queste ultime non sembrano interessate molto a ciò che pensano le popolazioni direttamente interessate dalle nostre ingerenze.
D. Perché questo? Perché ci crediamo l’ombelico del mondo, per etnocentrismo?
Jean Bricmont. Al momento della decolonizzazione e della guerra del Vietnam, la sinistra ha proposto una nuova riflessione, ed ha difeso un punto di vista anti-imperialista in materia economica, militare, sociale. In seguito, questa riflessione è stata resa sottile dall’ingerenza in nome dei diritti dell’uomo. L’opposizione al neo-colonialismo è stata sostituita dalla volontà di aiutare i popoli del Sud a lottare contro i loro governi dittatoriali, inefficaci, corrotti... I difensori di questa opzione non si rendono conto dell’ampiezza della voragine che li separa dai popoli del terzo mondo. Questi non accettano generalmente l’ingerenza dei governi occidentali
nei loro affari interni. Certamente, molti di loro aspirano a governi più democratici o più onesti. Ma con quali obiettivi? Innanzitutto perché i loro dirigenti assicurino una gestione razionale delle loro risorse naturali, per ottenere i prezzi più favorevoli per le loro materie prime, perché i loro governanti li proteggano dalla dominazione esclusiva e tirannica delle multinazionali ed anche per costruire degli eserciti efficaci. Quando, da noi, alcuni parlano di governi più democratici, non è proprio a questo che fanno completamente riferimento. Dei governi verosimilmente democratici al Sud rassomiglierebbero di più a quello di Chavez che all’attuale governo Iracheno.
D. Allora, ci sarebbe ancora un fondo d’ideologia coloniale?
Jean Bricmont. Può essere, ma in un quadro di un linguaggio post-coloniale. La colonizzazione, tutti la condannano. Quelli che difendono le guerre attuali affermano che le ingerenze umanitarie sono completamente differenti dal colonialismo. Perciò è giocoforza constatare la continuità nel cambiamento. Le ingerenze sono state dapprima legittimate dal cristianesimo, poi da una missione civilizzatrice. Ed anche dall’anti-comunismo. In ogni tempo, la nostra pretesa superiorità ci autorizza a commettere una serie di azioni mostruose.
D. Qual è il ruolo dei media nella diffusione di questo «imperialismo umanitario»?
Jean Bricmont. Fondamentale. Nel caso della guerra in Jugoslavia, i media si sono impegnati a preparare l’opinione pubblica a tale aggressione. Rispetto all’Iraq, i giornalisti ripetono senza posa: «Nondimeno, è stato bene che Saddam Hussein sia stato rovesciato». Ma in quale misura è legittimo che gli Stati Uniti abbiano rovesciato Saddam Hussein? Ecco una domanda che non viene mai posta dai giornali. Gli Iracheni considerano questa ingerenza come benefica? Se sì, perché sono più dell'80% a sostenere la partenza degli Stati Uniti? La stampa critica gli Stati Uniti, ma la critica è rivolta soprattutto ai mezzi utilizzati nel corso della guerra e dell’occupazione, non al principio stesso dell’ingerenza.
D. Con un presidente democratico, gli Stati Uniti sarebbero meno inclini a condurre delle guerre ?
Jean Bricmont. Questo dipenderà molto dal modo in cui andrà a terminare l’occupazione dell’Iraq. Negli Stati Uniti, si levano molte voci per il ritiro delle truppe. Un clima di panico si è impiantato in numerosi settori della società. Se, come nel Vietnam, la guerra Irachena terminerà con una catastrofe per gli Americani, i fatti potrebbero assumere una piega significativa in un certo tempo. Se si arrivasse ad un ritiro non traumatico, senza rimetterci troppo le penne, gli USA allora potrebbero in tempi molto brevi ripartire verso una nuova guerra. Però, è una illusione, molto viva, credere che i democratici siano meno aggressivi o che non esaltino gli interventi militari.
D. Perché la risposta dei progressisti europei alla guerra è così debole?
Jean Bricmont. Effettivamente, gli ecologisti, la sinistra socialista, i partiti comunisti tradizionali, i trotskisti e la maggior parte delle ONG hanno dato prova di una opposizione debole. Queste correnti sono state ridotte di spessore dall’ideologia dell’ingerenza umanitaria, abbandonando nel loro programma qualsiasi serio riferimento al socialismo. Una parte di questa sinistra ha sostituito i suoi obiettivi iniziali di miglioramenti o di rivoluzioni sociali con la lotta per i diritti dell’uomo. Dato che è difficile, per questi movimenti, difendere una guerra degli USA contro la Jugoslavia o l’Iraq, essi adottano questa posizione, assai comoda, del «Né, Né». Questa permette di evitare tutte le critiche: «Né con Bush, né con Saddam». Io posso comprendere, evidentemente, che Saddam Hussein non sia amato. Ma il «Né, Né» va ben al di là di questa constatazione. In primo luogo, questa posizione non riconosce la legittimità del diritto internazionale. Non si fanno distinzioni fra aggressori e aggrediti. Per fare un paragone, sarebbe stato difficile, durante la seconda guerra mondiale, fare affermazioni del tipo «Né Hitler, Né Stalin» senza essere considerati dei collaboratori. In secondo luogo, questa formula se ne infischia della forza nociva degli Stati Uniti dopo il 1945. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli USA sono intervenuti in tutte le parti del mondo per sostenere o installare forze della conservazione, reazionarie, dal Guatemala al Congo, dall’Indonesia al Cile. In ogni dove, si sono impegnati ad uccidere la speranza di cambiamento sociale dei poveri.
Sono loro, e non Saddam Hussein, che vogliono abbattere Hugo Chavez. La guerra del Vietnam, non l'ha fatta mica Saddam. Anche se si fanno concessioni sui discorsi di demonizzazione contro Milosevic o Saddam Hussein, metterli sullo stesso piano, sul palcoscenico mondiale, degli USA è completamente ingiusto e falso. Infine, quello che mi disturba di più in questo «Né Né» è la posizione che noi assumiamo a fronte della nostra stessa
responsabilità nell’adottare questi slogans. Quando noi vediamo dei politici del terzo mondo che non ci piacciono, è necessario cominciare a discuterne con le persone che vivono laggiù, e farlo con delle organizzazioni che rappresentano le masse, non con dei gruppuscoli o con degli individui isolati. Bisogna vedere se le loro priorità sono le stesse delle nostre. Io mi auguro che il movimento altermondialista metterà in atto dei canali che permettano una comprensione migliore dei punti di vista del Sud. Per ora, la sinistra occidentale ha la tendenza a rimanere nel suo angolo, e così esercita scarsa influenza là dove agisce, facendo indirettamente il gioco dell'imperialismo, con la demonizzazione dell'Arabo, del Russo, del Cinese... in nome della democrazia e dei diritti dell'uomo. Di questo noi siamo principalmente responsabili, questo è l’imperialismo dei nostri paesi! Dunque, cominciamo da noi a concentrarci su questo. E in modo efficace.
D. I diritti dell’uomo nella spazzatura?
Jean Bricmont. Difendo le aspirazioni contenute nella Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948. Questa comprende un insieme di diritti economici, sociali, politici ed individuali. Il problema sopraggiunge quando il non-rispetto, reale o supposto, di questi diritti serve a legittimare la guerra, l’embargo e altre sanzioni contro un paese. Quando i diritti dell’Uomo divengono pretesto di una ingerenza violenta. Di più, la Dichiarazione spesso viene letta con una visione parziale. Quando si parla di rispetto dei diritti dell’uomo, i diritti economici e sociali sono spesso considerati relativamente poco importanti in confronto ai diritti individuali e politici. Consideriamo la qualità delle cure per la salute a Cuba. Si tratta di uno sviluppo del tutto ragguardevole di un diritto socio-economico. Purtroppo questo viene del tutto ignorato. Ammettiamo che Cuba corrisponda perfettamente alla descrizione molto critica che ne fanno Reporters sans frontières; questo non sminuisce per nulla l’importanza della qualità delle cure per la salute. Quando si parla di Cuba, se si esprimono delle riserve sul rispetto dei diritti politici ed individuali, bisognerebbe, almeno, fare menzione dell’importanza dei diritti economici e sociali di cui i Cubani beneficiano. Allora, potremmo domandarci, cosa sono più importanti: i diritti individuali o le cure per la salute? Tuttavia, nessuno ragiona in questo modo. I diritti alla casa, all'alimentazione, alla sicurezza dell’esistenza o alla salute sono in generale ignorati dai difensori dei diritti dell’uomo.
D. Esattamente, il suo libro indica che questi elementi sono ignorati nelle campagne mediatiche contro i paesi socialisti, come Cuba o la Cina. Lei scrive che quattro milioni di vite avrebbero potuto essere salvate se l’India avesse adottato la via cinese.
Jean Bricmont. Gli economisti Jean Drèze e Amartya Sen
stimano che, partendo da una base similare, la Cina e l’India hanno seguito percorsi di sviluppo differenti e che la differenza tra i sistemi sociali di questi due paesi ha comportato 3,9 milioni di morti in più in sfavore dell’India. In America latina, ogni anno si sarebbero salvate 285.000 vite se il sistema cubano per la sanità e la nutrizione fosse stato applicato. Io non affermo che le buone prestazioni nei campi sociali ed economici possono giustificare le deficienze di altri diritti. Ma non si affermerà l’inverso: il rispetto dei diritti individuali e politici non può giustificare che i diritti sociali ed economici siano beffati. Perché i difensori dei diritti dell’uomo non tengono mai conto di questo assunto? Ritorniamo a Cuba. La mancanza di libertà individuali può essere giustificata dai buoni risultati delle cure per la salute? Discutiamo di questo. Se, a Cuba, fosse in carica un regime filo-occidentale, sicuramente non si sarebbero ottenuti così buoni risultati per le cure sanitarie. Per lo meno, questo è quello che si deduce se si va a constatare lo stato sanitario nei paesi ‘filo-occidentali’ dell’America latina. Dunque, in pratica ci si trova davanti ad una scelta: che tipo di diritti sono i più importanti, i socio-economici o i politici e individuali? Sarebbe auspicabile usufruirne di tutti allo stesso tempo. Il presidente venezuelano Chavez, per esempio, tenta di conciliarli. Ma la politica d’ingerenza americana rende difficile questa conciliazione nel terzo mondo. Quello che voglio sottolineare, è che non spetta proprio a noi Occidentali, che beneficiamo dei due tipi di diritti, a fare questa scelta. Piuttosto, noi dovremmo dedicare le nostre energie per permettere uno sviluppo indipendente dei paesi del terzo mondo. Sperando che al limite lo sviluppo favorisca l’emergenza di questi diritti.
D. La sensibilità per i diritti dell’uomo e la percezione del dovere di ingerenza si presentano con forti differenze, a seconda che si guardi al Nord o al Sud del mondo?
Jean Bricmont. Nel 2002, poco prima della guerra contro l'Iraq, mi sono recato a Damasco (Siria) e a Beirut (Libano). Vi ho incontrato un certo numero di persone. Dire che queste erano tutte contrarie alla guerra contro l’Iraq rileva un puro eufemismo. E questo valeva anche per l’università americana di Beirut. L’anti-americanismo, e l’opposizione feroce contro Israele, si potevano tagliare con il coltello! Quando sono ritornato in Belgio, non ho percepito nessuna eco proveniente da laggiù! Consideriamo la questione del disarmo dell’Iraq. Alcuni membri del CNAPD [Coordinamento Belga anti-guerra] mi affermavano che bisognava imporre questo disarmo, certamente non dal punto di vista militare, ma attraverso mezzi pacifici. Se tali dichiarazioni venissero espresse in Medio Oriente, la gente vi risponderebbe direttamente: «E Israele, perché non è necessario disarmare questo paese?» In America latina e soprattutto nel mondo arabo-musulmano, la percezione del diritto internazionale è totalmente differente dalla
nostra, anche da quella della sinistra e dell’estrema sinistra. Queste ultime non sembrano interessate molto a ciò che pensano le popolazioni direttamente interessate dalle nostre ingerenze.
D. Perché questo? Perché ci crediamo l’ombelico del mondo, per etnocentrismo?
Jean Bricmont. Al momento della decolonizzazione e della guerra del Vietnam, la sinistra ha proposto una nuova riflessione, ed ha difeso un punto di vista anti-imperialista in materia economica, militare, sociale. In seguito, questa riflessione è stata resa sottile dall’ingerenza in nome dei diritti dell’uomo. L’opposizione al neo-colonialismo è stata sostituita dalla volontà di aiutare i popoli del Sud a lottare contro i loro governi dittatoriali, inefficaci, corrotti... I difensori di questa opzione non si rendono conto dell’ampiezza della voragine che li separa dai popoli del terzo mondo. Questi non accettano generalmente l’ingerenza dei governi occidentali
nei loro affari interni. Certamente, molti di loro aspirano a governi più democratici o più onesti. Ma con quali obiettivi? Innanzitutto perché i loro dirigenti assicurino una gestione razionale delle loro risorse naturali, per ottenere i prezzi più favorevoli per le loro materie prime, perché i loro governanti li proteggano dalla dominazione esclusiva e tirannica delle multinazionali ed anche per costruire degli eserciti efficaci. Quando, da noi, alcuni parlano di governi più democratici, non è proprio a questo che fanno completamente riferimento. Dei governi verosimilmente democratici al Sud rassomiglierebbero di più a quello di Chavez che all’attuale governo Iracheno.
D. Allora, ci sarebbe ancora un fondo d’ideologia coloniale?
Jean Bricmont. Può essere, ma in un quadro di un linguaggio post-coloniale. La colonizzazione, tutti la condannano. Quelli che difendono le guerre attuali affermano che le ingerenze umanitarie sono completamente differenti dal colonialismo. Perciò è giocoforza constatare la continuità nel cambiamento. Le ingerenze sono state dapprima legittimate dal cristianesimo, poi da una missione civilizzatrice. Ed anche dall’anti-comunismo. In ogni tempo, la nostra pretesa superiorità ci autorizza a commettere una serie di azioni mostruose.
D. Qual è il ruolo dei media nella diffusione di questo «imperialismo umanitario»?
Jean Bricmont. Fondamentale. Nel caso della guerra in Jugoslavia, i media si sono impegnati a preparare l’opinione pubblica a tale aggressione. Rispetto all’Iraq, i giornalisti ripetono senza posa: «Nondimeno, è stato bene che Saddam Hussein sia stato rovesciato». Ma in quale misura è legittimo che gli Stati Uniti abbiano rovesciato Saddam Hussein? Ecco una domanda che non viene mai posta dai giornali. Gli Iracheni considerano questa ingerenza come benefica? Se sì, perché sono più dell'80% a sostenere la partenza degli Stati Uniti? La stampa critica gli Stati Uniti, ma la critica è rivolta soprattutto ai mezzi utilizzati nel corso della guerra e dell’occupazione, non al principio stesso dell’ingerenza.
D. Con un presidente democratico, gli Stati Uniti sarebbero meno inclini a condurre delle guerre ?
Jean Bricmont. Questo dipenderà molto dal modo in cui andrà a terminare l’occupazione dell’Iraq. Negli Stati Uniti, si levano molte voci per il ritiro delle truppe. Un clima di panico si è impiantato in numerosi settori della società. Se, come nel Vietnam, la guerra Irachena terminerà con una catastrofe per gli Americani, i fatti potrebbero assumere una piega significativa in un certo tempo. Se si arrivasse ad un ritiro non traumatico, senza rimetterci troppo le penne, gli USA allora potrebbero in tempi molto brevi ripartire verso una nuova guerra. Però, è una illusione, molto viva, credere che i democratici siano meno aggressivi o che non esaltino gli interventi militari.
D. Perché la risposta dei progressisti europei alla guerra è così debole?
Jean Bricmont. Effettivamente, gli ecologisti, la sinistra socialista, i partiti comunisti tradizionali, i trotskisti e la maggior parte delle ONG hanno dato prova di una opposizione debole. Queste correnti sono state ridotte di spessore dall’ideologia dell’ingerenza umanitaria, abbandonando nel loro programma qualsiasi serio riferimento al socialismo. Una parte di questa sinistra ha sostituito i suoi obiettivi iniziali di miglioramenti o di rivoluzioni sociali con la lotta per i diritti dell’uomo. Dato che è difficile, per questi movimenti, difendere una guerra degli USA contro la Jugoslavia o l’Iraq, essi adottano questa posizione, assai comoda, del «Né, Né». Questa permette di evitare tutte le critiche: «Né con Bush, né con Saddam». Io posso comprendere, evidentemente, che Saddam Hussein non sia amato. Ma il «Né, Né» va ben al di là di questa constatazione. In primo luogo, questa posizione non riconosce la legittimità del diritto internazionale. Non si fanno distinzioni fra aggressori e aggrediti. Per fare un paragone, sarebbe stato difficile, durante la seconda guerra mondiale, fare affermazioni del tipo «Né Hitler, Né Stalin» senza essere considerati dei collaboratori. In secondo luogo, questa formula se ne infischia della forza nociva degli Stati Uniti dopo il 1945. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli USA sono intervenuti in tutte le parti del mondo per sostenere o installare forze della conservazione, reazionarie, dal Guatemala al Congo, dall’Indonesia al Cile. In ogni dove, si sono impegnati ad uccidere la speranza di cambiamento sociale dei poveri.
Sono loro, e non Saddam Hussein, che vogliono abbattere Hugo Chavez. La guerra del Vietnam, non l'ha fatta mica Saddam. Anche se si fanno concessioni sui discorsi di demonizzazione contro Milosevic o Saddam Hussein, metterli sullo stesso piano, sul palcoscenico mondiale, degli USA è completamente ingiusto e falso. Infine, quello che mi disturba di più in questo «Né Né» è la posizione che noi assumiamo a fronte della nostra stessa
responsabilità nell’adottare questi slogans. Quando noi vediamo dei politici del terzo mondo che non ci piacciono, è necessario cominciare a discuterne con le persone che vivono laggiù, e farlo con delle organizzazioni che rappresentano le masse, non con dei gruppuscoli o con degli individui isolati. Bisogna vedere se le loro priorità sono le stesse delle nostre. Io mi auguro che il movimento altermondialista metterà in atto dei canali che permettano una comprensione migliore dei punti di vista del Sud. Per ora, la sinistra occidentale ha la tendenza a rimanere nel suo angolo, e così esercita scarsa influenza là dove agisce, facendo indirettamente il gioco dell'imperialismo, con la demonizzazione dell'Arabo, del Russo, del Cinese... in nome della democrazia e dei diritti dell'uomo. Di questo noi siamo principalmente responsabili, questo è l’imperialismo dei nostri paesi! Dunque, cominciamo da noi a concentrarci su questo. E in modo efficace.
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