mercoledì 19 maggio 2010

Due parole in difesa di monsignor Capucci e con l’augurio di una pronta guarigione, nella Giornata Mondiale della Nakba.


Ho incontrato monsignor Capucci una sola volta, in Roma, in abito talare e senza nessuna cintura da kamikaze, come si legge nella “corretta delazione” al papa: se il Tizio che viaggia in internet alle tracce di mons. Capucci capita anche qui posso assicurargli che i suoi informatori devono avergli rifilato una bufala ovvero ha voluto lavorare troppo di fantasia, mista a Eletto Odio: mons. Capucci non c’era in via del Frentani e meno che mai vestito da kamikaze! Non conosco tutti gli episodi della lunga esistenza di questo ultraottantenne che è il capo a vita della sua chiesa, dalla quale è costretto a vivere lontano. Mons. Hilarion Capucci è Arcivescovo di Gerusalemme, Antiochia e di tutto l'Oriente. Arcivescovo Melichita (di rito Ortodosso, ma Uniate; quindi, che riconosce l'autorità del Papa). È il massimo esponente religioso di una chiesa che ha la sua base proprio in Palestina e nel Vicino Oriente, da dove venne arrestato alla fine degli anni sessanta, incarcerato e in seguito esiliato dopo una mediazione umanitaria di Paolo VI che lo ha sottratto alle carceri israeliane, dove veniva torturato. In un primo incontro con una persona non si riesce a capire mai tutto e non si possono fare molte domande. Solo in seguito si aggiungono dettagli che completano il quadro. Sono poche le cose che ricordo, dunque, di mons. Capucci.

Intanto, per la sua carica di “pastore”, di massimo rappresentante della sua chiesa, non esiste pensionamento, come adesso succede per i cardinali che ad un certa età cessano dal ministero. Mons. Capucci cesserà dalla sua carica pastorale solo con la morte, che, purtroppo, considerata la sua età non può essere assai lontana. Ma è proprio per la lontananza dal suo gregge che egli soffre moltissimo. Ed è la prima immagine che ho avuto della sua persona: la sua tristezza di non poter essere dove si trova il suo popolo, che soffre ed al quale lui vorrebbe dare tutta la sua assistenza spirituale. Prova un dolore struggente per questa separazione innaturale, ma insita nell’essenza e nella prassi del sionismo, che nella negazione del diritto altrui ha fondato tutta la sua ideologia. È grottesca l’idea di un sacerdote novantenne che armato di bazooka possa guidare il movimento di resistenza palestinese. È invece molto vicino al vero l’immagine evangelica del “quo vadis, Domine!” Se Pietro stava lasciando Roma per mettersi lui in salvo, a mons. Capucci è invece precluso il luogo dove vorrebbe poter morire: accanto al suo popolo e al suo gregge che soffre e del quale gli è inibita perfino la vista.

Non avrei scritto queste righe, inadeguate a descrivere un dramma umano, se non mi sentissi in dovere di difendere un vecchio da un attacco ignobile, come sempre, da parte dei “Corretti Informatori”, che almeno questo volta non devono essere stati bene informati dal Mossad. Speravo di incontrare mons. Capucci per la seconda volta sabato scorso, 15 maggio 2010, in occasione della “Giornata della Nakba”, che si è tenuta in Roma per tutta la giornata, con sessione antimeridiane e pomeridiane. Ma mons. Capucci non c’era, perché malato in ospedale! E dunque il Tizio lancia i suoi strali infami contro un degente che non poteva trovarsi nel luogo indicato. Quanto alla Giornata della Nakba, svoltasi al Centro Congressi di via dei Frentani, accanto all’ingresso principale dell’Università di Roma La Sapienza, si è trattato di una manifestazione assolutamente pacifica, serena ed ordinata, dove non si è notata nessuna forma di “odio” ex legge Mancino, che il B’naï B’rith ha promosso per trovarsi in mano uno strumento legale con cui cercare di colpire, anche in Italia, avversari ed oppositori. Anzi, durante la Giornata, vi è stato qualcuno che ha testualmente detto che loro, cioè i Palestinesi, non hanno assolutamente nulla contro gli “ebrei” in quanto “ebrei”, ma si oppongono soltanto a chi li ha cacciati dalle loro case e dai loro villaggi, costringendoli a vivere da profughi sparsi per il mondo. I Palestinesi non desistono tuttavia dal reclamare il loro “diritto al ritorno” e non vi è “processo di pace” che possa eludere questo diritto. Un momento di intensa emozione si è avuto durante la relazione di una genetista dell’università di Genova che ha riferito i risultati delle ricerche sulle ferite riportate dagli abitanti di Gaza durante Piombo Fuso. Si trattava di frammenti che non lasciano tracce nel corpo ma che hanno effetti a lunga scadenza e producono morte differita con mutazioni genetiche per i nascituri: diavolerie mai prima sentite. Si legga il Comunicato stampa qui riprodotto e tratto dal sito ufficiale Newweapon Committes, dove si legge: «Metalli tossici ma anche sostanze carcinogene, in grado cioè di provocare genetiche. È quanto è stato individuato nei tessuti di alcune persone ferite a Gaza durante le operazioni militare israeliane del 2006 e del 2009», quale segno – aggiungiamo – di amore tangibile di quanti con grande fervore si appellano alla legge Mancino e all’amore evangelico, sul quale viene richiamato il Papa affinché vigili sul suo clero. La colpa di mons. Capucci, che fu già la colpa di Pietro, è di non credere totalmente nella forza della preghiera e nell’intervento della Provvidenza, ritenendo che le vittime aggredite abbiano il diritto di difendersi e di provvedersi dei mezzi necessari alla propria difesa. A Roma, si calcola che di Palestinesi ve ne siano circa 5 o 6 mila, praticamente la metà degli ebrei che vivono nella Capitale, fatta eccezione per i “libici” rientrati quando Gheddafi cacciò via tutti i coloni italiani. La manifestazione è stata fin dall’inizio tanta tranquilla che non si è vista neppure l’ombra di un poliziotto. Ve ne erano invece tanti la sera prima, davanti e dentro un albergo romano, dove un generale russo ha svolto un’interessantissima conferenza di geopolitica.

La data del 15 maggio 1948 ha due opposti significati: gli ebrei “sionisti” celebrano la loro conquista coloniale, la loro festa di indipendenza, la fondazione del loro stato, alle cui cerimonie fanno partecipare tutto il corpo diplomatico accreditato e promuovono anche manifestazioni negli stati in cui la Diaspora ebraica, largamente sionista, ha non poca influenza. Per converso, i Palestinesi in ogni parte del mondo, ricordano la loro disfatta, il loro lutto nazionale, la perdita della loro casa di cui conservano spesso, non solo simbolicamente le chiavi, ma di case che ormai non ci sono più perché rase al suolo con tutti i 541 villaggi dove le comunità palestinesi vivevano ininterrottamente da secoli e millenni.

La barbarie non sembra però aver limite. Mentre gli israeliani festeggiano, ai Palestinesi è vietato esser tristi e ricordare la patria strappata, ma non perduta, perché vive sempre nel loro cuore. Anzi ogni anno che passa il ricordo della patria diventa ancora più forte e struggente. È l’elemento principe della nuova identità palestinese che accomuna fortissimamente un popolo in qualsiasi parte della terra si trovi. Non si tratta però di una unione religiosa, fondata su discutibilissimi titoli biblici o su una incisione del prepuzio. È un’unione esistenziale di gente che è stata materialmente cacciata di casa e che tramanda questa sua condizione esistenziale di generazione in generazione. Nella loro scientificità genocida gli israeliani hanno compreso che bisogna “assassinare la memoria”, beninteso non la memoria ebraica, redditizia e prospera, ma la memoria palestinese. Ed è stata a questo scopo varata di recente in Israele – davvero “unica” democrazia – una legge assurda quanto disumana. Ne riporto la nota di agenzia, non volendone fare qui riassunto ed essendo troppo delicata la materia:
Nuova legge in Israele vieta ai Palestinesi di manifestare
lutto e dolore il 15 maggio, giorno della Nabka (l’olocausto palestinese)
Infopal
[questa agenzia è stata in Italia presa di mira,
propria per questo genere di informazione che gli altri giornali,
embedded, si guardano bene dal dare]


2 marzo 2010

Una nuova legge in Israele rende crimine la commemorazione di ciò che i Palestinesi chiamano "Nakba", la catastrofe del loro sradicamento e pulizia etnica dalla Palestina, con la creazione dello Stato sionista nel 1948. La Knesset, il Parlamento israeliano, ha ratificato la "legge Nakba" già alla prima lettura.

Saranno imposte penalità a chiunque mostri il 15 maggio, segni di tristezza e di lutto dentro i confini (indefiniti) di Israele; in quella data i Palestinesi ricordano la creazione della crisi dei rifugiati.

La radio ebraica ha riportato questa settimana che lo scopo della legge è quello di far cessare che vi sia gente a lutto per quello che per Israele è il Giorno della Indipendenza; atti commemorativi, viene rilevato, sono equivalenti a "negare il carattere ebraico di Israele e insultare i simboli dello Stato".

La radio ha fatto notare che le sanzioni possono ammontare a 3 volte tanto le spese dei programmi commemorativi.

Secondo il commentatore, è ironico che questa legge sia passata in un momento in cui Israele si sta lamentando dei tentativi di "delegittimare" lo Stato sionista. Ecco qui un esempio - ha detto di Israele che delegittima i Palestinesi della loro cultura e terra".
Difficile immaginare qualcosa di più disumano e assurdo nella misura in cui pretende di assumere le vesti del diritto. Della Giornata della Nakba svoltasi sabato scorso, dopo qualche settimana che nella stessa sede aveva avuto luogo una manifestazione analoga, sempre della comunità palestinese, avrei potuto dare notizia e cronaca, ma non essendo io un giornalista professionista non ho sempre il tempo e la voglia di scrivere per dare notizie che non possono leggersi da nessuna parte. Gli stessi organizzatori della Giornata della Nakba hanno faticato non poso a dare copertura giornalistica. Hanno dovuto perfino pagare giornali amici affinché pubblicassero la locandina. Ma certo i media non si sono sbracciati per ricordare l’eventi. Probabilmente la Locandina apparsa a pagamento sul Manifesto è la sola fonte di informazione del Tizio che si basa sulla locandina per dare come avvenuto l’evento annunciato. Ed invece non solo mons. Capucci non c’era, ma i contenuti e l’andamento della manifestazioni non hanno avuto nulla a che fare fare con quanto lui denuncia al Santo Padre affinché faccia santa tirate di orecchie se non peggio all’anziano prelato che non sarebbe neppure libero di poter circolare in Roma:
«Santità,
[Il Tizio non si accontenta mica di rivolgersi al papa, suo fratello minore, dopo la riforma anagrafica operata dal papa polacco, ma ha per suo costume di trattare con eguale familiarità e dimestichezza i potenti della terra, fra cui in ultimo Obama, da lui passato ai raggi X, tutti impietosamente osservati dall’alto della sua Eletta statura morale e intellettuale. Manca a costoro il senso della misura, ma nel caso di specie che ci costringe ad intervenire si tratta più che di una Lettera al papa (mera finzione retorica) di un attacco sconsiderato ad un sacerdote cristiano, un sant’uomo, secondo un modo di esprimersi proprio di un’altra epoca più civile della nostra.]
questo sabato 15 maggio a Roma è stata organizzata una manifestazione denominata La Nakba nel corso della quale, alle 15.30, in collegamento con Gaza da dove parlava il primo ministro palestinese Ismail Haniyeh, è intervenuto anche Ilarion Capucci. Una manifestazione non "pro" qualche cosa, Santità, ma una manifestazione "contro". Una manifestazione in cui l'odio scorreva a fiumi.
[L’odio che scorre davvero a fiumi è quello che si legge in queste righe: un odio misto a perfidia e perfino a crassa ignoranza sul fatto, non avvenuto: l’intervento di mons. Capucci! Quanto poi ai collegamenti con Gaza sono in parte saltati perchè da israele hanno provveduto a tagliare la corrente elettrica, ma certamente tutte le persone erano molto più serene e distese di quanto non riesco ad esserlo facile preda dell’indignazioni che questi signori suscitano sempre in me. Non mi riesce ancora di farci il callo, anche se non è da poco che ne faccio il monitoraggio.]
Non ritiene che il comportamento di questo prelato sia in palese contraddizione con gli impegni ufficiali [questa espressione, “impegni ufficiali”, evoca noti e tristi scenari, di debitori e creditori] assunti dalla Chiesa in occasione della sua liberazione?
[Si noti il tono suggestivo. Costui si rivolge ad un sovrano come se fosse il portiere del suo condominio. Da quando il papa polacco ha avuto l’infelice uscita del “fratello maggiore” tutti i papi che gli sono succeduti sono destinati a prendere scoppellotti dall’ultimo degli ebrei fratelli “maggiori”. Benedetto XVI, andato alla Sinagoga, si è visto togliere la parola. Si viene perfino tacciati di antisemitismo, i.e. legge Mancino, se ci si arrischia a dire “Terra Santa” anziché Israele.]
Non potrebbe, con la Sua autorità, provvedere, tra le altre meritorie azioni di moralizzazione che sta conducendo, anche a far sì che questi impegni ufficiali presi con lo Stato di Israele vengano rispettati, e che un rappresentante di chi è venuto sulla terra a predicare amore cessi di unirsi ai predicatori di odio?
[Bisogna chiedere a costoro quale genere di amore praticavano quando in carcere torturavano mons. Capucci. E non diciamo in che modo. Tanto ipocrisia e sfacciataggine era già stata denunciata 2000 anni fa da un certo Gesù Cristo, che per questo pare sia stato messo in croce.]
Nella speranza che mi vorrà perdonare per il mio ardire, e confidando nel Suo sollecito intervento, Le invio fraterni saluti.» [Si noti la perfidia finale del “fraterni”.]
Davvero una bella pretesa. Il metodo è sempre lo stesso: rivolgersi al superiore perché eserciti pressione morale verso l’inferiore. Di questo passo chiederanno alle mogli di non concedere rapporti sessuali ai mariti che non si comportino secondo i dettami sionisti. Di questa cultura dell’ingerenza e della sopraffazione proprio non se ne può più. Quanto meno diciamo: basta!

L’«odio» di chi si appella ad una legge fasulla, ipocrita e truffaldina contro l’odio, nutrendo egli stesso autentico odio, non si spegne mai, non va mai in riposo. Quanto era nel vero Spinoza che di costoro aveva già capito tutto quattro secoli fa! Aveva capito tutti dell’«odio» autentico di chi getta veleno sull’infelicità delle sue stesse vittime che si rifiutano di gioire e ballare per la sofferenza loro inflitta, per le offese loro fatte, per i supplizi infiniti. Ridicola e sconcertante l’idea di una Lettera a Benedetto XVI perché punisca un vecchio ultraottantenne per una “colpa” che neppure ha potuto commettere: quella di essersi recato alla Giornata Mondiale della Nakba in via dei Frentani. Ma non è la sola lettera del genere. Costoro scrivono al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, al Sindaco, a tutte le autorità della terra, pretendendo da essi obbedienza assoluta. Vi è da riflettere. Molto da riflettere. Non aggiungo altro se non un augurio a mons. Capucci di pronta guarigione.

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