sabato 1 maggio 2010

Ernst Nolte: «Auschwitz e la libertà di pensiero». – L’intervista allo «Spiegel» del 1994, tradotta in «Behemoth» n. 16 ed ora qui nuovamente edita.

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Mentre cercavo tra le mie carte pagine fotocopiate del Dizionario di Politica, mi imbatto in altre fotocopie non meno ineteressanti, di cui mi ero dimenticato. Eppure il titolo ed il suo contenuto è per me di sorprendente attualità: Auschwitz e la libertà di pensiero. L’intervista apparve sullo Spiegel e fu poi tradotta anche su un settimanale italiano. Ricordo che riscontrammo subito problemi di corretta filologia. D’intesa con lo stesso Nolte ne curammo una traduzione italiana, eseguita da Francesco Coppellotti, per il periodico “Behemoth”, allora da me diretto. La mia sorpresa odierna è di vedere come quella stessa identica problematica di sostanziale libertà di pensiero che allora toccava la persona di Ernst Nolte ha interessato oggi, direi anche più pesantemente la mia stessa persona. Sono finito per alcuni giorni su tutti i giornali e su tutte le televisioni per aver toccato quegli stessi problemi. Non mi è stata per nulla risparmiata la “gogna” e son dovuto comparire a difendermi, il 13 gennaio 2010, davanti al Collegio di Disciplina del Consiglio Universitario Nazionale, dove sono stato prosciolto con formula ampia. La notizia della mia “assoluzione” proprio non interessa più a quegli stessi organi che mi avevano eretto il rogo. Incontrerò in giudizio i miei il direttore de “La Repubblica” ed il giornalista autore dell’articolo. È probabile che nel corso del processo possano esservi nuove fiammate di stampa. Questione personale a parte, ripubblico qui il testo dell’intervista del 1994, come allora apparsa su “Behemoth”, n° 16, luglio-dicembre 1994, facendo seguire da una Postfazione di commento, in quanto ormai io stesso vittima e protagonista della questione Auschwitz, il cui nome ricorre ora come mito fondativo e luogo di pellegrinaggio di una nuova religione ora come questione storiografica sulla quale, come si conviene con le religioni e i tabù, non è concesso poter tenere una discussione critica. Dal 1994 ad oggi si possono stimare in 200 mila le persone che sono finite in galere, o sono state incriminate, come conseguenza di quella legge alla quale Nolte cercò di opporsi. Non riesco ad avere statistiche aggiornate fino ad oggi, ma posso dare la seguente tabella:

Cittadini tedeschi processati ogni anno per reati di opinione
Anno
Destra
Sinistra
Stranieri
Totale
19945.562
185
235
5.982
19956.6555
256
276
7.087
19967.585
557
818
8.960
199710.257
1.063
1.029
12.349
19989.549
1.141
1.832
12.522
19998.698
1.025
1.525
11.248
2000
13.863
979
525
15.367
2001
8.874
429
353
9.656
2002
9.807
331
467
10.605
2003
9.692
431
1.340
11.463
2004




2005




2006




2007




2008




2009




2010









Totale:
90.395
6.397
8.886
105.678
Mi mancano i dati per gli anni successivi al 2003 ed anche quelli qui dati andrebbero ulteriormente analizzati e possibilmente studiati singolarmente, caso per caso. Stimo che ad oggi i casi ammontino a circa 200.000 nella sola Germania e senza poter calcolare la situazione degli altri 13 paesi europei dove esiste una legislazione analoga. Eccetto pochi casi che fanno notizia sui giornali e sui media, i cittadini non conoscono i dati globali del fenomeno, che resta per lo più segreto. Sarò grato a chi mi aiuterà ad aggiornare i dati, rendendoli il più analitici possibili ed a controllare e verificare le fonti originali, di dati che ho acquisito fortuitamente.

Mi chiedo se gli intervistatori di Nolte nel 1994 sentono sulla loro coscienza il peso morale dei numeri sopra dati. Un caso di cui ho avuto mesi addietro una sommaria informazione telefonica, nel corso di una conversazione, riguarda un padre di famiglia con due figli a carico, a cui è stata comminata una pena di 9 mesi senza condizionale, per la grave colpa di aver passato ad una terza persona un libro di un autore (Rudolf), già in carcere per averlo scritto. La persona sembra abbia dichiarato davanti al giudice che non condivide il contenuto del libro, ma ritiene che ad ognuno debba essere riconosciuta libertà di pensiero. Non è così oggi in Germania ed in almento tredici paesi europei, che hanno ubbidito ad un ordine venuto da Tel Aviv, di approntare nel senso richiesto le loro legislazioni nazionali. Si può seguire qui uno studio che abbiamo appena avviato sulle condizioni della libertà di pensiero in Europa, costituendo un apposito “Comitato per la libertà di pensiero”, alla quale si può aderire all’indirizzo: comitato.europeo@gmail.com, comunicando il proprio nome, cognome, qualifica e ogni altro dato utile. I dati ricevuti resteranno riservati.

Antonio Caracciolo

* * *
BEHEMOTH, anno IX, N. 16.
luglio-dicembre 1994, pp. 11-20


Ernst Nolte

AUSCHWITZ E LA LIBERTA DI PENSIERO
Il testo dell’Intervista di Nolte allo “Spiegel”
con una Premessa dell’Autore


La mia “Intervista allo Spiegel”, che viene presentata qui di seguito in versione italiana, ha suscitato reazioni così duramente contrapposte, come mai mi era capitato prima d’ora. A motivo di essa è stata disdetta una giornata di studio sul “Nietzscheanesimo ebraico” da lungo tempo annunciata nell’ambito del seminario sui “Classici di Weimar”, perché molti dei relatori invitati avevano rifiutato di incontrarsi con me; e alcune frasi contenute nell’interivista avevano “spaventato” gli editori della Frankfurter Allgemeinen Zeitung fino al punto di indurli a interrompere una collaborazione durata più di venticinque anni. Del tutto diverso è stato il tenore della maggior parte dei messaggi che mi sono stati inviati: mi chiedevano come avevo potuto ricevere giornalisti “di quella risma”, perché avevo autorizzato la pubblicazione; mi rimproveravano perfino di non aver rifiutato le domande oltraggiose, rispondendo invece con esitazione e indulgendo a troppi distinguo.

Credo che un giudizio adeguato su questa intetvista sia possibile soltanto se si prendono in considerazione i suoi antecedenti. Il 30 maggio 1994 lo Spiegel aveva pubblicato un mio “ritratto” (i) che si basava su un’intervista da me concessa a un membro della redazione. Questo signore, di età avanzata, dava l’impressione di essere un brav’uomo, e dopo aver mostrato un interesse molto “umano” per le esperienze della mia infanzia e giovinezza, mi raccontò molto apertamente della sua infanzia tutt’altro che “antifascista”. Ne venne fuori una psicoanalisi, ricca di quelle osservazioni marginali che erano state fatte prendendo il caffè, dopo la fine dell’intervista, il cui obiettivo era chiaramente l’annientamento esistenziale e morale dell’interlocutore. Il giornalista sosteneva di aver scoperto, sotto il levigato linguaggio filosofico, «un biòtopo emotivo dell’infanzia, una miscela di vergogna, di offesa, di furore e d'impotenza», nonché di «accanita autodenigrazione», prodotti dalle «catastrofi e dallo scacco» dei miei giovani anni. Tutto questo egli lo aveva dedotto dal fatto che, a causa di un difetto fisico, non avevo fatto il soldato in guerra; in realtà io stesso gli avevo detto che il pensare alla morte di tanti miei compagni di scuola o di coetanei a Stalingrado e in tanti altri luoghi, suscita tuttora in me un’intima oppressione e addirittura un sentimento di colpa. Quel che tuttavia mi aveva colpito più intimamente nella mia giovinezza, ad esempio il prelevamento di una anziana ebrea da parte delle SS, non venne riferito, come non venne menzionata la conseguenza che io ne traevo: un particolare impegno per l’imparzialità e la scientificità era nato in me proprio dal dovere di distanziarmi dagli eventi immediati della guerra. Pertanto scrissi al giornalista una lettera di risposta, che consisteva in un’unica frase: egli mi aveva promesso “fairness”, e ora io comprendevo che cos’è la “fairness à la Spiegel”.

A fine agosto, con mia grande sorpresa, mi chiamò un altro giornalista dello Spiegel, chiedendomi se io fossi disposto, nonostante il “ritratto”, a conceder loro uno “Spiegel-Gesprach”. Risposi di sì, ma a condizione che questa volta al centro del discorso ci fosse la “mia opera”, e non le mie esperienze infantili o le mie opinioni politiche (ii). Non nego che nel mio assenso abbia giocato un motivo tutto particolare: se lo Spiegel ha pubblicato un tale ritratto annientante, significa che la persona in questione dev’essere considerata morta e sepolta; ma se dopo tre mesi gli si chiede un’intervista, significa che quel ritratto viene - come dire? - ritrattato (iii).

Le mie condizioni furono accolte, e l’intervista ebbe luogo il 19 settembre nella casa dove trascorro di solito le vacanze. Mi sembrò che questa volta da parte dello Spiegel ci fosse la buona volontà di comunicare soprattutto informazioni, giacché i tre intervistatori e il loro seguito si erano messi, per così dire nelle mie mani. Quando ebbi l’impressione che essi cercassero solo una conferma del “ritratto”, avrei potuto metterli alla porta, e questa sarebbe stata un’esperienza umiliante anche per giornalisti dalla faccia tosta; ma l’intervista non andava male, soprattutto perché i tre signori si misero ad ascoltarmi con molta attenzione, mentre io facevo una sintesi della mia opera storiografica e spiegavo come bisognava intenderla. Alla fine sottolineai che quello era il nocciolo della faccenda, e naturalmente loro avrebbero potuto alleggerire e abbreviare il mio discorso inserendo le opportune domande; mi dichiarai quindi pronto a rispondere a ulteriori domande.

Dopo di che il colloquio cominciò a farsi aspro, almeno a tratti, e questo traspare anche nella versione pubblicata, quando dico che talvolta non mi piace il modo con cui pongono le loro domande e quando dico che non dovrebbero cercare di chiudermi in un angolo (iv), dove io non sto. Ma ogni volta Rudolf Augstein riusciva a calmare le acque con parole accomodanti. Al tempo stesso era chiaro che il loro interesse più forte era rivolto alla mia presa di posizione negativa verso la cosiddetta legge sulla “menzogna su Auschwitz”; posizione che io avevo reso pubblica in un articolo del 23 agosto sulla FAZ, con il titolo: Una legge su ciò che non cade sotto il dominio della legge. Dove cercavo di dimostrare che vi sono indubbi pericoli nel caso in cui si pretenda di punire semplici opinioni, sia pure distorte e tuttavia prive di intenti dolosi.

A questo punto era naturale per i tre signori pormi domande di tipo inquisitoriale: se io accettavo o meno l’opinione stabilita sull’ampiezza e il modo degli assassinii di massa con il gas tossico Zyklon B, ecc. La mia coscienza non mi permetteva nessun’altra risposta, se non quella che, anche su questo punto, vi erano degli aspetti non chiariti, e che erano necessarie ulteriori indagini scientifiche. Tuttavia, dopo più di quattro ore, l’intervista terminò in un modo che, a mia impressione, era stato considerato da tutti gli interlocutori come illuminante e proficuo. Ci salutammo dunque in una buona atmosfera.

Ma l’atmosfera mutò improvvisamente, quando otto giorni dopo uno dei redattori venne a sottopormi le bozze del testo da pubblicare e chiedere il mio consenso. Non credevo ai miei occhi, quando vidi ciò che era accaduto: la mia esposizione introduttiva - il nocciolo della faccenda - era sparita completamente, e tutta l'intervista verteva esclusivamente intorno alle questioni d’attualità, come il radicalismo di destra e il valore o disvalore del “revisionismo”. Il tempo stringeva: a causa di un giorno festivo la chiusura della redazione era anticipata e mi restavano poche ore. Questo mi mise di fronte a una delle decisioni più difficili che abbia mai dovuto prendere. Se non avessi autorizzato la pubblicazione, avrei procurato allo Spiegel un imbarazzo non facilmente giustificabile, perché nessuna singola affermazione era inesatta; solo il tutto; e inoltre il “ritratto” sarebbe stato «l’ultima parola». Mi limitai perciò a fare qualche correzione e qualche cancellatura, e ad inserire una sezione che, nella forma più stringata, esprimesse ciò che avevo esposto come il nocciolo della questione.

Questa sezione si trova ora a p. 94 del testo tedesco dell’intervista (da: «Io sono stato il primo a storicizzare la teoria del totalitarismo ... » a « ... Distruggere questa presunta radice biologica ebraica era dunque per lui [Hitler] logico e necessario; di qui Auschwitz»). A convincermi ad autorizzare la pubblicazione dell’intervista concorse anche un altro pensiero: se i signori dello Spiegel, nonostante il rischio corso, credevano di potermi “portare in giudizio” per la seconda volta e con la mia autorizzazione, agli occhi delle persone capaci d’intendere doveva risultare l’esatto contrario: il confronto fra le domande inquisitoriali e avide di dogmi e le mie risposte prudenti, ponderate e “scientifiche” avrebbe “portato in giudizio” proprio la mentalità dello Spiegel e dell’intero establishment culturale della Bundesrepublik.

Ora, sembra proprio che io mi sia ingannato con quella supposizione - almeno per il momento; anche la destra intellettuale istituzionale non era capace di ammettere che nella mia intervista io non avevo detto nulla di diverso dal contenuto esplicito o strettamente implicito del mio articolo del 23 agosto, e mi tolse la fiducia che mi aveva concesso per tutti gli anni dell’Historikerstreit. La FAZ mi offrì comunque la possibilità di dire una sorta di ultima parola in una lunga lettera al direttore, dove esponevo in modo più esauriente quel che avevo detto ai signori dello Spiegel, e solo in gran fretta e con pochissime parole. Giacché si tratta di una sintesi conclusiva, essa potrebbe essere interessante anche per il pubblico pubblico italiano: «Il nocciolo della mia opera è lo sviluppo di una versione della “teoria del totalitarismo”, finora riscontrabile solo in bozze e definibile come storico-genetica, a differenza di quella politologico-strutturale di Friedrich e Brzezinski e di quella religioso-sociale di Eric Voegelin».

Non si tratta di una serie di monografie specialistiche, ma della elaborazione di un paradigma, che può costituire la base di futuri lavori scientifici. Chi lo applica, dovrà rivolgere un’attenzione particolare, anche se non esclusiva, al rapporto certo non solo cronologico tra le misure di annientamento bolsceviche e quelle nazionalsocialiste - tra il Gulag e Auschwitz. Naturalmente questo paradigma può essere messo in discussione, per esempio da coloro che criticano la “teoria del totalitarismo” per la sua presunta equiparazione tra il “rosso” e il “bruno”. Ma ogni storico che lo ritiene illuminante giungerà a risultati fondamentalmente analoghi ai miei, e poco importa se egli sia tedesco o americano, francese o israelita. L’unico argomento che io temo, e che probabilmente si imporrà nei prossimi vent’anni, è che il parlare di “guerra civile mondiale” venga considerato una trivialità.

Ma proprio perché “Auschwitz” è il perno della mia interpretazione storico-filosofica, come scienziato io devo poter prendere visione delle tesi e dei risultati dei revisionisti che argomentano, e considerarli in modo particolarmente serio. Mi vergognerei se scegliessi la strada più facile: invocare l’introduzione di norme giuridiche contro opinioni presentate senza intenti dolosi. lo non ritengo possibile una critica ai fondamenti di questa concezione, poiché essa non fa che articolare l’essenza della comprensione che la scienza ha di stessa.

Ho preso posizione anche sulle questioni politiche e ho auspicato il riconoscimento in linea di principio dell’esistenza di un partito di destra, radicale e democratico. Questa presa di posizione si basa sulla convinzione che nella Germania riunificata la sinistra che si presenta come antifascista possiede, in seguito all’uso senza scrupoli di eventi criminali, una prevalenza troppo grande, tanto che è auspicabile una reazione attraverso un completamento del sistema dei partiti. Per queste mie concezioni politiche io non pretendo certo il rango idealtipico che spetta al mio paradigma storico filosofico, e nemmeno l’incontestabilità riservata ai princìpi scientifici. Forse io do una valutazione falsa della situazione. In questo caso si può fare una dura critica, senza che il contesto sia dissolto, o posta in discussione la massima scientifica della giustificazione del dubbio.

Ernst Nolte

Testo integrale
dell’Intervista apparsa sullo “Spiegel”

Premessa redazionale dello “Spiegel”. - Ernst Nolte è diventato lo storico più discusso nella Gennania degli anni ottanta dopo la polemica sulla singolarità dello sterminio nazionalsocialista degli ebrei. Settantun anni, professore emerito a Berlino, filosofo per vocazione e allievo di Martin Heidegger, si considera come facente parte a sé rispetto alla sua corporazione e ama la provocazione mirata. Divenne noto nel 1963 con Il fascismo nella sua epoca, un'interpretazione del nazionalsocialismo teoreticamente fondata e incentrata sulla storia dello Spirito, che suscitò una vasta eco nel mondo degli studiosi. Nel 1986 fu all’origine del cosiddetto “Historikerstreit”[conflitto degli storici], affennando che l’«Arcipelago Gulag» era più originario di quanto non lo sia stato Auschwitz e che lo “sterminio di classe” dei bolscevichi era stato il modello dello “sterminio di razza” dei nazionalsocialisti. Il filosofo sociale di Francoforte Jürgen Habermas lo criticò per questo paragone e lo accusò di voler relativizzare i crimini nazionalsocialisti fino all’indifferenza morale. Nel suo ultimo libro, “Streitpunkte”, egli si avvicina ai Revisionisti, una congrega di ben noti mentitori su Auschwitz, che da anni, agitando argomenti pseudoscientifici, si sforzano di occultare o di minimizzare il genocidio degli ebrei. Per questo ha ricevuto molti applausi dalla nuova destra, diventandone il portavoce. Stimatissimo un tempo, oggi gli secca che parecchi dei suoi colleghi non lo prendano più sul serio, e gli capita perfmo di ricevere dure rimostranze da ambienti conservatori - specie quando egli si è opposto, con l’argomento della libertà scientifica minacciata, all’inasprimento delle leggi contro la “menzogna su Auschwitz”. Sul suo “caso” si deciderà - il filosofo e storico lo dice testualmente - «se la Germania riunificata possa dirsi o no un paese intellettualmente libero».

– L’intervista a cura di Rudolf Augstein, Fritjof Meyer (*) e Peter Zolling è apparsa su Der Spiegel, n. 40, del 3 ottobre 1994, pp. 83-103. Si ringrazia la Direzione del settimanale tedesco per aver consentito la traduzione italiana di Francesco Coppellotti. Apprendiamo mentre stiamo per andare in stampa che la stessa “intervista allo Spiegel” - da noi qui tradotta integralmenle - è pure pubblicata da Panorama, n. 49, 9 dicembre 1994, pp. 205-214. Ciò avviene all’insaputa dell’ Autore che d’accordo con “Der Spiegel” aveva in precedenza autorizzato la traduzione e pubblicazione su “Behemoth” del testo tedesco. Ad un confronto sommario della traduzione di Anna Rusconi su Panorama si rilevano tagli censori che alterano gravemente il pensiero dell’Autore, accentuandone la deformazione e strurnentalizzazione, secondo quanto lo stesso Nolte chiarisce e denuncia nella Premessa (e nelle Note aggiunte) al testo da noi edito. I nostri Lettori in possesso di una copia di Panorama possono rilevare le differenze da noi qui appena segnalate senza ulteriore commento. Nota della Direzione di “Behemoth”. [Grazie a possibilità tecniche che nel 1994 non erano possibili, diamo qui in «Civium Libertas», nelle illustrazioni a margine, anche la diversa edizione e traduzione che apparve su “Panorama”]



Intervista

SPIEGEL: Professor Nolte, Lei è un radicale di destra?

NOLTE: Thomas Mann disse una volta: se la barca pende a sinistra, io mi metto a destra, e viceversa. In questo momento le correnti intellettuali della destra radicale ricevono più appoggi che non quelle della sinistra radicale. Dunque ...

SPIEGEL: Ma Lei ha perfino auspicato la formazione di un nuovo partito della destra radicale.

NOLTE: È vero. Un partito radicale di destra, ma democratico e fedele alla costituzione, dovrebbe esserci. Un sistema di partiti, che tende alla completezza, non può zoppicare.

SPIEGEL: Oggi la sinistra è sulla difensiva e la destra torna ad essere chic. Cosa Le fa pensare che un nuovo partito di destra arricchirebbe la pluralità e la liberalità del sistema al contrario di quanto accadde durante la repubblica di Weimar?

NOL TE: Anche se ci sono certe continuità di pensiero, io escluderei decisamente l’ipotesi che questo possa condurre a un nuovo nazionalsocialismo. Anche gli ex-comunisti del PDS, benché sognino di ristabilire i vecchi rapporti di forza, sono oggi una componente del sistema plurali sta e dovrebbero avervi un posto.

SPIEGEL: Incorporare i Republikaner, è questo che Lei ha in mente?

NOLTE: Non conosco Schönhuber o alcun altro Republikaner. Nel mio “privato” immagino un partito fondato, diciamo, da Gerhard Löwenthal (1) e sostenuto da Manfred Brunner (2).

SPIEGEL: Noi abbiamo l’impressione che Lei sia sul piede di guerra con il sistema democratico-parlamentare. Per Lei l’instaurazione della dittatura nazionalsocialista non fu nient’altro che la «eliminazione della temporanea turbolenza di un sistema di partiti ingovernabile» con la «restaurazione di rapporti di forza inequivocabili». Chi oggi simpatizza intellettualmente per Hitler non riuscirebbe a esprimersi in modo più amichevole nei confronti del nazismo.

NOLTE: Quelle frasi descrivono le convinzioni di determinate persone - storia vecchia e oggi ben nota. Ma ogni volta c’è qualcuno che scambia ciò che io presento come opinione di Hitler con la mia posizione.

SPIEGEL: Noi non abbiamo citato frasi di Adolf Hitler, bensì Sue. Professore, Lei una volta ha detto che la eliminazione degli ebrei è stato il più grande e spaventoso omicidio di massa della storia mondiale, un delitto senza paragoni. È ancora della stessa opinione?

NOLTE: Naturalmente; quantunque io debba fare qualche correzione: nel mio libro Il fascismo nella sua epoca [nuova ed. it. SugarCo, 1994] scrissi altresì che nulla è paragonabile a quel delitto, nemmeno l’omicidio di massa perpetrato da Stalin sul suo popolo e sul suo stesso partito. Ma il verbo “paragonare” (vergleichen) ha due significati, e io non intendo quello di "mettere sullo stesso piano", "equiparare" (gleichsetzen). In questo senso oggi mi esprimerei in modo più differenziato.

SPIEGEL: Lei ha dei dubbi sullo sterminio degli ebrei realizzato con il gas oppure ritiene - come ha scritto proprio di recente - che le prove di cui possiamo disporre siano schiaccianti, a confronto delle affermazioni degli autori dello sterminio e dei sopravvissuti?

NOLTE: Questo è un punto particolarmente delicato. Io non posso escludere che la maggioranza delle vittime non sia morta nelle camere a gas e che sia relativamente più grande il numero di quelli che sono morti per epidemie o cattivi trattamenti ed esecuzioni di massa. Non posso escludere l'importanza delle ricerche sulle tracce di acido cianidrico nelle camere a gas, intraprese dall'ingegnere americano Fred Leuchter (3).

SPIEGEL: Lei pensa che il rapporto del tecnico Leuchter, il quale è andato a raschiare tra i ruderi delle camere mortuarie di Auschwitz, non trovandovi alcun residuo di Zyklon B, sia una ricerca scientificamente seria?

NOLTE: No; ma è un primo tentativo, proprio in considerazione del dato di fatto, indubitabile secondo ogni evidenza. che le tracce di cianuro sono quasi indistruttibili.

SPIEGEL: Per quel fatto c’è comunque una spiegazione. L’acido cianidrico veniva assorbito pressoché interamente dai corpi delle vittime; ciò è noto da tempo e la ricerca ha smascherato la cosiddetta Perizia Leuchter come inganno pseudoscientifico al servizio della propaganda neonazista. Del resto, a cosa serve dimostrare che ad Auschwitz non sono state gasate due milioni di persone, ma solo un milione, oppure ottocentomila? Il crimine sussiste in quanto tale.

NOLTE: Certamente. Ma la scienza richiede esattezza. lo sono convinto che la concordanza delle testimonianze su ciò che è accaduto ad Auschwitz e altrove è alla fme più importante. Ci sono cose che non si possono inventare di sana pianta e dalle quali emerge una grossa parte di verità, nonostante le molte contraddizioni. Ma io desidero verificare se anche nelle concezioni meno ortodosse si nasconde un granello di verità.

SPIEGEL: E Lei pensa di averlo trovato presso i revisionisti, che vorrebbero rivedere il quadro della storia e con ciò minimizzare i crimini nazisti o addirittura accettarli. Lei suppone che nel caso dei revisionisti si tratti di scienza. Di fatto essi non sono né degli storici, né dei chimici, bensì dei propagandisti, che non hanno alcun interesse alla verità. Escludono tutte le prove che non si adattano alle loro idee, ad esempio le le risultanze dei grandi processi tedeschi: le testimonianze attentamente vagliate e le ammissioni degli autori dei crimini. I revisionisti ignorano documenti come i rapporti dei gruppi speciali delle SS, oppure li ritengono a priori falsificati.

NOLTE: Voi vi esprimete in maniera troppo apodittica. Del resto, quando vengono meglio argomentate, anche le concezioni dimostratesi false nell’insieme sono spesso utili a far emergere con maggior esattezza la concezione più giusta. Inoltre non si può dire che i revisionisti provengano tutti da destra; anzi - in Francia e in America - piuttosto da sinistra. E naturalmente anche tra i revisionisti vi sono persone convinte che Israele non abbia il diritto di intervenire in modo così duro nella questione.

SPIEGEL: Che cosa vuoI dire con questo?

NOLTE: Ci viene sempre ripetuto che le vittime non dovrebbero essere conteggiate. Il che non è sbagliato, ma c’è un “ma”. Una vittima ha il diritto di sottolineare le sue sofferenze; ma non si può negare che in alcuni casi entrino in gioco anche interessi politici.

SPIEGEL: Le vittime non possono separare i due aspetti. Nel Suo ultimo libro, Streitpunkte ["Questioni controverse" - non ancora tradotto in italiano], Lei è stato il primo Professore a rendere presentabili i revisionisti, tra cui Udo Walendy, autore tra l’altro di testi di astrologia, e che Lei stesso dice essere vicino agli ambienti dei vecchi nazisti. Ciononostante Lei pensa che le obiezioni revisioniste di Walendy dovrebbero essere prese sul serio. Walendy espone argomentazioni di questo tipo: «Perfino un primitivo si accorgerebbe che chi, nelle venefiche cucine della propaganda di guerra alleata, prepara soltanto ed esclusivamente libri cosi immondi... eccita reazioni popolari particolarmente incattivite e degne di condanna». E scienza questa, oppure è un caso di “agitazione insciente”, che anche Lei ritiene degna di sanzione?

NOLTE: La polemica non è a priori estranea alla scienza. Il Nostro ha certo studiato, e conosce un mucchio di cose. Senza dubbio le espone in modo unilaterale. Ma anche Voi vedrete ripetutamente studiosi seri muovere rimproveri di questo tenore ai loro colleghi.

SPIEGEL: Lei non ha esaminato le dichiarazioni dei testimoni, né verificato l’autenticità dei documenti. Lei non lavora negli archivi e non ha visitato il luogo del delitto ad Auschwitz. In compenso Lei fa Sue le sbandate di altri autori. Lei scrive ad esempio che l’affermazione dell'autorevole storico Arno Mayer (4) secondo il quale le testimonianze sulle camere a gas sono “rare e inaffidabili” è un “trionfo” per i revisionisti.

NOLTE: Voi sottovalutate il mio lavoro e anche le mie conoscenze. E poi io non ho detto che è un trionfo, bensì che i revisionisti avrebbero potuto considerarlo un trionfo.

SPIEGEL: Arno Mayer ha scritto qualcos’altro. Secondo lui sono rare e inaffidabili le fonti a nostra disposizione per la ricerca sulle camere a gas; tuttavia queste carenze non arriverebbero assolutamente a mettere in questione l'assassinio di massa nelle camere a gas.

NOLTE: Che cosa si deve intendere per fonti, di diverso dai testimoni oculari?

SPIEGEL: Documenti, piante dei lager, corrispondenza, conti, materiale d’archivio sulla costruzione di Auschwitz.

NOL TE: Resta il fatto che le dichiarazioni dei testimoni oculari sono particolarmente rare. Personalmente, quel che più mi ha convinto che sia avvenuto un assassinio di massa in grande stile nelle camere a gas è la frequenza con cui veniva usato in questo contesto l’aggettivo “umano’, tanto da Hitler quanto da altri nazionalsocialisti. In una delle sue ultime dichiarazioni egli disse che lo riempiva di soddisfazione il fatto che i veri responsabili di questa grande disgrazia [la guerra - N.d.T.] ora avevano espiato la loro colpa, seppure in modo più umano.

SPIEGEL: Questa è anche la Sua opinione? Lei ha scritto che la “morte indolore” era “intenzionata” e fornisce degli argomenti a tale riguardo: secondo “esperienze americane” l’acido cianidrico produce narcosi dopo 40 secondi, e dopo qualche minuto interviene la morte. Ma la morte ad Auschwitz era tutt'altra cosa. Lei ritiene forse più umano venir gasati in un lager nazista piuttosto che morir di fame?

NOLTE: Ma Vi prego! Si tratta evidentemente di una perversione del concetto di “umano”. Però qualche tempo fa, sulla Tageszeitung [un giornale fortemente a sinistra - N.d.T.], si poteva leggere quest’affermazione dello scrittore Josif Brodskij: In ogni caso avrei preferito morire in una camera a gas, piuttosto che morire di fame nel Gulag dopo mesi di strazi. Ebbene, tale questione non va scansata con fastidio.

SPIEGEL: Brodskij non solo non è morto di fame [nei due anni di lavori forzati che dovette scontare in URSS - N.d.T.], ma in seguito ha pure vinto il premio Nobel. E Lei usa quella citazione per appoggiare la tesi nazista della morte umana, indolore.

NOLTE: Questa tesi non è nemmeno nazista, per il semplice motivo che di quella morte non si parlò mai apertamente. E poi ciò che è storicamente senza precedenti non è il concentrarsi delle più straordinarie atrocità. Possono essere accadute, è possibile che ci siano state; non sarebbe certo un fatto senza precedenti, giacché nel corso della storia ce ne sono state molte, di crudeltà spaventose e terribili.

SPIEGEL: In che consiste allora il senza pari, la singolarità?

NOLTE: Nel fatto che degli uomini vengano uccisi perché li si ritiene responsabili di uno sviluppo storico fatale; senza intenzioni crudeli, come ci si libera di parassiti, ai quali si vogliono risparmiare delle sofferenze.

SPIEGEL: Intanto Lei ha scovato un modello sovietico anche per la gasazione. Lei cita un propagandista nazionalsocialista, Karl Albrecht: secondo notizie provenienti dal Gulag, anche lì ci furono uccisioni con il gas. Ma Lei cita in modo inesatto. In realtà Albrecht riferisce solo che dei prigionieri del Gulag furono impiegati per degli esperimenti sulle maschere antigas. È qualcosa di ben diverso da quel che hanno fatto i nazisti ad Auschwitz. Dov’è qui il nesso causale?

NOLTE: Voi citate in modo inesatto. lo ho parafrasato Albrecht in un passo assolutamente secondario del capitolo sullo “Uso di gas venefici”. Non c'è alcun nesso causale. Ma anche il generale Grigorenko riferisce di camion a gas russi. Comunqueio ho sempre visto la singolarità non nell’uso di determinati metodi, ma in una determinata intenzione; e questa specificità rimarrebbe tale quand'anche si rivelasse giusta - cosa che io non credo - la tesi radicale dei revisionisti, che non ci sia affatto stato un annientamento di massa nelle camere a gas. Su questo problema io mi trovo in una posizione difensiva. Non enuncio asserti - lo fanno già altri; devo ammettere piuttosto che non dispongo di controprove stringenti.

SPIEGEL: Contrariamente ai risultati delle ricerche, Lei ritiene ormai fondata l'affermazione che ad Auschwitz non sono state affatto uccise un milione di persone e che il numero complessivo delle vittime del nazionalsocialismo è alquanto inferiore ai sei milioni?

NOLTE: Queste cose sono incerte e le incertezze dovrebbero diventare - secondo un principio scientifico - oggetto di ricerca, compresi i numeri. Si tratta, io credo, di un postulato che dovrebbe essere accettato da tutti. Bisognerà dunque attendere gli ulteriori sviluppi delle ricerche.

SPIEGEL: È importante che nel nostro paese il clima intellettuale sia influenzato dalle affermazioni e dagli scritti di personaggi la cui levatura non è ancora mai stata denegata. Lei è uno di questi, eppure il Suo primo libro sul fascismo, che nel 1963 La rese famoso, conteneva già dei passaggi che portano nell'attuale direzione. Già allora Lei affermava che, nel quadro del loro pensiero, Hitler e Himmler avrebbero avuto ragione. Questo produce un corto circuito logico, se Lei al tempo stesso non analizza con la dovuta distanza, propria dello scienziato, l’irrazionalità e il carattere delirante di questo sommovimento ideologico.

NOLTE: La mia intenzione, palesemente, non è affatto quella di minimizzare la Soluzione fmale - come Voi pensate - bensì quella di metteme in evidenza la centralità, in quanto essa è il nocciolo dell’ideologia hitleriana. I nazionalsocialisti avevano a loro modo ragione, se si condivideva l’angoscia di Hitler di fronte a quel processo della storia mondiale che Heidegger chiamava “civilizzazione mondiale pacifica”, con il possibile avvento di un governo mondiale.

SPIEGEL: Fino a ieri Lei ha considerato come nemico mortale di Hitler il bolscevismo sanguinario; e adesso tira fuori dalla riserva di idee delt'Occidente questo nuovo avversario angosciante.

NOLTE: Ma Hitler era convinto che questo processo di modemizzazione e il bolscevismo avessero una causa comune, un responsabile umano-personale, gli ebrei. E nell'ambito del suo pensiero egli aveva ragione. Fuori da questo ambito aveva torto: in primo luogo perché questo processo non può essere arrestato; in secondo luogo perché gli ebrei sono connessi a questo processo, in quanto ne sono condizionati, così come tutto ne è condizionato, e quindi non potevano essere considerati la sua causa, i suoi responsabili.

SPIEGEL: Lei non menziona mai il fatto che l’antisemitismo, che non è uscito dalla testa di Hitler, ma era molto diffuso nella società tedesca, venne sfruttato demagogicamente dai nazisti per manipolare e indottrinare.

NOLTE: Ogni interpretazione può cogliere soltanto una parte della realtà. lo credo però di aver colto i punti essenziali. Sono stato il primo a storicizzare la “teoria del totalitarismo”, che intendeva come cosa scontata il mettere sullo stesso piano (Gleichsetzung) l'annientamento dei kulaki e quello degli ebrei; è sorto così un nuovo paradigma storico, che a molta gente suona sospetto, perché sembra aver somiglianza con l’immagine nazionalsocialista della storia; invece presenta maggior somiglianza con la concezione comunista, ma alla fine si separa sia dall’una sia dall’altra con il concetto di “guerra civile mondiale” (1917-1989), che è stato il tema dominante del XX secolo. In questo paradigma storico la cosiddetta tesi Gulag-Auschwitz ha una parte essenziale, ma non è il centro assoluto. Hitler reagì allo sterminio di classe in Russia più dei borghesi colpiti potenzialmente. La maggior parte di loro non prese troppo sul serio la “dittatura russa grondante sangue”, come egli la chiamava. Anch’essi erano anticomunisti, ma in modo generico. Egli lo fu in modo estremista.

SPIEGEL: Che cosa c’è dunque di nuovo nella Sua tesi sull’importanza dell’antibolscevismo nella visione del mondo di Hitler? Sicuramente la tendenza a farne la causa unica, trasformando i campi di prigionia staliniani nel motivo originario di Auschwitz, cioè una successione cronologica in un rapporto causale. Nel “Mein Kampf” Hitler non vede affatto il bolscevismo come una minaccia così grande: anzi, questa Russia indebolita dagli ebrei e dai comunisti offre al Reich tedesco la possibilità di rapinare le sue importanti province occidentali.

NOLTE: Il nazionalsocialismo, il partito del controannientamento, come io l’ho definito, fu una reazione radicale alla vittoria dell’ideologia bolscevica in Russia nel ’17, una reazione ideologicamente chiusa ma di vasta portata, come il suo modello comunista. Hitler voleva restaurare e rendere permanente la natura guerriera dell’uomo, distrutta dall’utopia comunista. Ma secondo Hitler erano stati gli ebrei a generare questa ideologia minacciosa e il suo movimento. Distruggere questa presunta radice biologica ebraica era dunque per lui logico e necessario: di qui Auschwitz.

SPIEGEL: Sebbene ciò fosse oggettivamente contro la ragione, e perfino controproducente?

NOLTE: Con ciò egli minava alla base la cultura occidentale, non solo di fatto, ma anche nei suoi princìpi.

SPIEGEL: Lei si muove attraverso le correnti ideologiche e cerca di rendere plausibile ciò che plausibile non fu; perché per Hitler gli ebrei incarnavano nella stessa misura lo spettro bolscevico e lo sfruttatore capitalista avido di guadagni, e inazisti combatterono il liberalismo occidentale con lo stesso odio con cui combatterono il comunismo. È necessario dunque spiegare come Hitler riuscì a trovare nella figura dell’ebreo, che in nessun modo egli identificava solo con il bolscevismo, un capro espiatorio per tutti i mali di questo mondo, e ad affascinare le masse.

NOLTE: Chi legge i miei libri, si accorge subito che non vi manca un'analisi dell’anticapitalismo. Però un nazionalsocialista autentico obbietterebbe che la Vostra idea di un’aspra contrapposizione tra capitalismo e comunismo sovietico non corrisponde alla realtà dei fatti.

SPIEGEL: Perché allora non lo dice, che questa era propaganda? Uno storico delle idee come Lei vuole essere, deve usare la critica delle fonti e delle ideologie. Lei crede semplicemente a tutto.

NOLTE: Non rimproverate proprio a me di non aver visto questo [cfr. il concetto di “guerra civile mondiale” - N.d.T.]. Ma per Hitler - per quanto la si giri e la si rigiri - è stato il bolscevismo il movimento più forte.

SPIEGEL: Recentemente Lei ha parlato perfino della “grandezza e tragicità” del nazionalsocialismo e gli ha attribuito un “diritto storico”, come se lo svilupparsi degli eventi fosse stato inevitabile; quasi che Lei voglia dare un senso all’assurdo, retroattivamente. Questo non è altro che cinismo storico-metafisico, che fa astrazione dalle sofferenze delle vittime.

NOLTE: Sapevo che la mia affermazione sulla grandezza e tragicità avrebbe suscitato scandalo. Ma il tentativo di realizzare la più antica utopia dell'umanità, fatto in Russia nel 1917, aveva grandezza. Con questo termine io indico semplicemente ciò che vi fu di straordinario: proporsi qualcosa come una trasformazione dell'intera vita umana verso il bene.

SPIEGEL: Sta parlando del marxismo o del nazionalsocialismo?

NOLTE: Di entrambi i movimenti. Il nazionalsocialismo fu la risposta straordinaria a quel tentativo straordinario, e anche a lui si deve attribuire lo stesso tipo di grandezza.

SPIEGEL: ... E un “diritto storico”.

NOLTE: Ciò significa semplicemente che nella situazione di allora era carico di futuro.

SPIEGEL: Ma Lei parla addirittura di “anticipazione di possibilità positive” nel nazionalsocialismo. Il Terzo Reich può dunque insegnare qualcosa alla Germania unificata?

NOLTE: Comunque io non nego che nel nazionalsocialismo ci fossero elementi e tendenze positive. Anche qui si tratta della perversione, fino a un certo grado, di intenzioni fondamentalmente buone o almeno comprensibili, perseguibili. Devo proprio ricordarVi che moltissimi appartenenti alle SA entrarono in questa organizzazione perché convinti di dover fornire il loro contributo alla difesa della Germania contro il comunismo e altri mali?

SPIEGEL: Un idealismo disordinato al servizio di di regime assassino non è una giustificazione a favore di pretesi lati positivi - e ancor oggi attraenti - del nazionalsocialismo. Lei rimpiange l’irrealizzato progetto del nazionalsocialismo, il cui nocciolo è, secondo Lei, lo “spirito comunitario incrollabile e guidato dall’alto”, controbilanciato da “ingenti fenomeni di mobilità e di differenziazione economica”.

NOLTE: Macché rimpiangere! Gli sforzi verso una soluzione politica o la realizzazione che evitasse gli estremi del capitalismo americano e dell'economia pianificata sovietica, indica il desiderio di una terza via, ancora oggi così vivo com’era allora. Naturalmente oggi la si auspica in modi che sono diversi da quelli di allora.

SPIEGEL: E in che consiste il tragico?

NOL TE: Nel fatto che l'utopia socialista fallì, benché le intenzioni fossero per molti aspetti buone. Anche la risposta nazionalsocialista fallì e con essa la Germania. Tragico? Ma certo.

SPIEGEL: Lei vuoi trasfigurare così anche i crimini di guerra e gli assassinii di massa nella categoria della grandezza storica?

NOLTE: Trasfigurare è l’espressione fuori luogo. lo ritengo sbagliata qualunque attribuzione collettiva di colpa e quindi rifiuto il concetto di “popolo colpevole”, ma non per motivi nazionalistici. A coloro che parlano di “popolo colpevole” io ribatto: vi siete completamente dimenticati che negli anni venti i tedeschi dicevano la stessa cosa degli ebrei? Allora era di uso comunissimo il concetto di “Cekà giudaica”. Naturalmente oggi noi sappiamo che tutto ciò è formalmente non vero. Ma allora, di fatto, le cose andavano così.

SPIEGEL: Ora però Lei mette sullo stesso piano il furore antisemita degli anni venti e la responsabilità dei tedeschi per le conseguenze dei crimini nazionalsocialisti.

NOLTE: Un momento! lo ho solo voluto esprimere il mio rifiuto del concetto di “popolo colpevole”, poiché nego le attribuzioni collettive di colpa.

SPIEGEL: Ultimamente Lei ha avanzato l’argomento che ai crimini commessi dai gruppi speciali delle SS avrebbero preso parte anche molte persone appartenenti alle nazioni dell’Europa dell' est. Ma gli ordini li davano soltanto i tedeschi.

NOLTE: Senza dubbio. Ciononostante non è a priori insensato ricordare quell’antisemitismo che permise a poco più di tremila tedeschi di commettere materialmente tutti quei delitti; i quali non sarebbero stati possibili senza un antisemitismo elementare e largamente diffuso tra le popolazioni non tedesche.

SPIEGEL: Lei ha deviato il discorso sull’antisemitismo ordinario. Noi stiamo parlando di omicidio di massa.

NOLTE: E io ho parlato della condizione di base senza la quale non sarebbe stato possibile. Chi diede gli ordini? Se Voi insistete sulle distinzioni etniche, alla fine dovrete riconoscere che l’ordine veniva da un austriaco. Non dobbiamo pensare in termini etnici.

SPIEGEL: Ma così le responsabilità svaniscono, Professore.

NOLTE: Che cosa intendete con le responsabilità?

SPIEGEL: Di una colpa collettiva dei tedeschi non parla quasi nessuno. Ma proprio in questo caso Lei potrebbe impiegare il concetto di nazione. Non c’è forse qualcosa come una comune responsabilità nazionale anche per i fardelli del passato?

NOLTE: In confronto ad altri popoli che sono pur sempre paragonabili al nostro dal punto di vista della responsabilità comune, la riflessione su questo tema ha avuto uno sviluppo straordinario in Germania, lungo mezzo secolo. In Turchia è proibito ancora oggi menzionare lo sterminio degli armeni come responsabilità turca. E considerate come se la caveranno a buon mercato gli eredi della Cekà sovietica. Invece i nostri criminali sono stati ben processati ...

SPIEGEL: Ora Lei non sta più paragonando Cekà e Gestapo, ma le mette sullo stesso piano.

NOLTE: Niente affatto. Voglio dire che la questione della responsabilità com une della nostra nazione non dovrebbe sempre trasformarsi in una sorta di incondizionata e perpetua confessione di colpa.

SPIEGEL: Ma così i suoi argomenti sono molto vicini a quelli usati nel caso Deckert (5), il presidente della NPD condannato per sobillazione popolare. Tuttavia la sentenza gli offriva una giustificazione, dicendo che egli avrebbe potuto avere completamente ragione, se avesse richiamato l’attenzione «sul lungo tempo ormai passato dalla persecuzione mizionalsocialista degli ebrei, sulla dimensione delle riparazioni già pagate, nonché sui non espiati e non scontati crimini di massa commessi da altri popoli». Lei si riconosce in queste riflessioni?

NOLTE: Non sapevo di aver usato argomentazioni di questo tipo ... Tuttavia penso che prima o poi bisognerà dare il famoso-famigerato taglio alle questioni pendenti tra tedeschi e russi, e a quelle tra i tedeschi e la maggior parte degli israeliti. Il passato nazionalsocialista deve diventare principalmente proprietà della scienza e della riflessione, non essere un oggetto di polemica costante e un capo di eterna accusa.

SPIEGEL: Eppure Lei ora sostiene che la società multiculturale tende necessariamente a eliminare quei ceti sociali ritenuti responsabili della prima guerra mondiale e del trionfo del nazionalsocialismo, nonché a demolire la Sua opera e segnatamente gli “sviluppi ulteriori dell’interpretazione del nazionalsocialismo”. Crede Lei dunque nell'esistenza di un complotto mondiale fin dal 1914, o vuole far passare il passato definitivamente e a modo Suo?

NOLTE: Non mi piace il modo in cui Voi talvolta ponete le domande. Io mi metto per così dire nella testa dei miei avversari e sostengo: quelli che propagandano la società multiculturale coltivano altresì il proposito di realizzare per questa via traversa ciò che i socialisti han sempre richiesto e che la DDR aveva realizzato: l’eliminazione dei ceti dirigenti tedeschi. Mi oppongo a questa intenzione, perché in base alla storia europea io so che questi ceti hanno molte debolezze, ma hanno anche grandi meriti. La borghesia colta, le libere professioni, la libera stampa, l’imprenditoria - è qualcosa di raro, specifico dell'Occidente, che manca in gran parte del resto del mondo. Il tentativo di eliminare questi ceti è stato controproducente e ha avuto conseguenze spaventose.

SPIEGEL: Chi tenta ancora di fare queste cose, dopo il crollo del comunismo?

NOLTE: lo dico solo: ci sono persone convinte, ci sono ideologi che vogliono questo e lo impongono.

SPIEGEL: Professor Nolte, Lei usa un testo di Kurt Tucholsky del 1927 dove egli augurava la morte con il gas ai familiari dei consiglieri ecclesiastici, dei caporedattori e dei banchieri. Lei ne trae la conclusione che Tucholsky volesseuccidere con il gas la borghesia colta in genere. In realtà Tucholsky nel suo pezzo letterario - non un programma politico dunque - ha augurato la morte con il gas, per così dire metaforicamente, ai familiari di quei personaggi che durante la prima guerra mondiale avevano finanziato e propagandato gli attacchi con i gas tossici. Lei ha citato in modo inesatto.

NOLTE: In primo luogo io ho subito collegato la citazione ai nobili motivi pacifisti di Tucholsky, che bisogna riconoscergli. In secondo luogo Voi dimenticate il fatto che egli augurò la morte con il gas a donne e bambini. E in tutti i casi questo è indegno.

SPIEGEL: Ma questo non dimostra ancora la sua volontà di annientare i ceti dirigenti.

NOLTE: ... E adesso Voi mi dovreste rimproverare di aver citato una dichiarazione fatta da Chaim Weizmann nel 1939, che forse si potrebbe definire come una dichiarazione di guerra, forse perfino una dichiarazione degli ebrei, cioè delle personalità ebraiche dirigenti. Poiché Weizmann era il capo della Jewish Agency e il sionista più famoso.

SPIEGEL: Fu una dichiarazione di guerra?

NOLTE: Naturalmente non fu una dichiarazione in piena regola, ma nemmeno una quantité negligeable. Non senza motivo quella lettera fu considerata come una specie di dichiarazione di guerra.

SPIEGEL: Da chi?

NOL TE: Da Hitler.

SPIEGEL: Non c’è proprio di che stupirsi. Ma uno storico dovrebbe sapere che soltanto gli Stati possono dichiararsi guerra l’un l'altro, così che la dichiarazione di solidarietà con l’Inghilterra da parte di Weizmann fu per Hitler soltanto un pretesto. Perché Lei non lo scrive?

NOLTE: “Pretesto” è troppo poco. Fu qualcosa che Hitler considerò come una conferma dei suoi preconcetti.

SPIEGEL: Lei continua a eludere le questioni con formule confuse e cavillose. Nella Sua prima opera sul Fascismo nella sua epoca Lei ha dato su Hitler un giudizio nettamente critico. Hitler era secondo Lei un demagogo assetato di potere e un oppressore, che con la sua guerra a oriente si proponeva soltanto - noi citiamo: «Quel che fondamentalmente importa è la possibilità di dividere la gigantesca torta, in primo luogo per dominarla, poi per amministrarla, infame per sfruttarla».

NOLTE: Signori, Voi stessi non siete esclusivamente dei redattori dello Spiegel; una parte molto importante della Vostra vita è certo costituita dal fatto di essere anche i mariti delle Vostre mogli. Cioè: io non ho mai detto che Hitler fu solo un ideologo anticomunista; egli fu evidentemente anche un nazionalista tedesco, un uomo che nel 1919 rimase straordinariamente colpito dal trattato di Versailles.

SPIEGEL: Ma l’entrata in guerra nel 1939 del nazionalista Hitler sarebbe, secondo Lei, un tentativo di «conquistare una posizione adeguata nel mondo». Questo è mero revisionismo.

NOLTE: Voi non dovreste dimenticare mai il contesto storico. È vero invece che non tutte le mie concezioni sono rimaste invariate. Ne Il fascismo nella sua epoca ho scritto: «E con ciò ebbe inizio la più grande guerra di annientamento, asservimento e rapina che ci sia mai stata nella storia». Ne La guerra civile europea (Nazionalsocialismo e bolscevismo) ponevo già la questione se questa guerra d'attacco non debba essere considerata una lotta decisiva e inevitabile [decisiva per il controllo e l'unificazione dell’Europa - vedi sotto - N.d.T.] Oggi sono molto scettico sulla caratterizzazione di tutte le guerre di Hitler come guerre d’aggressione, almeno fino a quando si continuerà a dire che nel 1939 Stalin nei confronti della Finlandia si limitò a “presentare le sue richieste”. Se non si dice che quella fu un'aggressione, non si dovrebbe dirlo nemmeno dell'attacco alla Russia. Infine parlare di un’aggressione alla Francia nel 1939 è francamente ridicolo.

SPIEGEL: Abbiamo sentito bene, nessuna aggressione? La seconda guerra mondiale non fu dunque un Assalto al potere mondiale (6)?

NOLTE: Hitler non fu soltanto un ideologo, e la seconda guerra mondiale fu tendenzialmente, potenzialmente, anche una guerra per l’unificazione dell'Europa. La Germania è il più grande Stato europeo, e se ci ricordiamo l’esempio del Piemonte, si può dire che la Germania avesse allora unificato l’Europa.

SPIEGEL: .. .in quanto Reich grande-tedesco, con Stati satelliti e popolazioni ridotte alla condizione di iloti, per mezzo della guerra e della violenza.

NOLTE: Voi non dovreste cercare di chiudermi in un angolo, dove io non sto. Dovreste riconoscere che rifiuto decisamente, e per intima convinzione, l'idea che si dovessero annientare gli ebrei perché responsabili della disgrazia del mondo e si dovessero asservire le popolazioni della Russia. annettendo grandi parti del suo territorio. Ciononostante la seconda guerra mondiale dovrebbe essere considerata virtualmente una guerra per l’unificazione dell’Europa. L’uso della forza è un dato di fatto così costante nella storia, che non si può ricavarne soltanto un giudizio di condanna.

SPIEGEL: La maschera ideologica hitleriana dell’unificazione entra in scena quando la guerra è praticamente perduta - perché le SS hanno bisogno di nuovo personale. Quale avrebbe dovuto essere secondo Lei la “posizione adeguata alla Germania”? E quale dovrebbe essere oggi?

NOLTE: Anche allora avrebbe potuto essere quella che la Germania due volte sconfitta ha raggiunto oggi, evidentemente in modo diverso: essere insieme alla Francia la potenza dominante in un’Europa unificata. E va da sé che questa Europa sarebbe una delle potenze mondiali.

SPIEGEL: Professor Nolte, La ringraziamo per averci concesso questa intervista.

(Traduzione dal tedesco di Francesco Coppellotti)


(1) Gemard Löwenthal è stato per molti anni conduttore di “ZDF Magazin”, l’unica trasmissione televisiva tedesca che, con insistenza e decisione, abbia preso posizione contro la DDR comunista e a favore della riunificazione della Germania. [Nota aggiunta di E. N.]

(2) Manfred Brunner è stato un dirigente del Partito liberale bavarese e poi capo di gabinetto del commissario tedesco alla CEE, Martin Bangemann. Dopo che le sue esperienze lo hanno convinto ad opporsi al trattato di Maastricht, è tornato in Germania e ha fatto appello alla Corte costituzionale, che sta ancora esaminando il caso, e ha fondato la “Lega dei liberi cittadini”, che pero alle elezioni europee non ha ottenuto il successo sperato. [Nota aggiunta di E. N.]

(3) Il “Rapporto Leuchter” è stato tradotto in italiano nel ’93 per le “Edizioni all’insegna del Veltro”. Non ancora tradotte sono invece le penetranti critiche a Leuchter da parte di Wemer Wegner (in Die Schatten der Vergangenheit - Zeitgeschichte/Ullstein V., 1992), già citato da Nolte in Nazionalsocialismo e bolscevismo. La frase in corsivo nel testo è quella che ha più scandalizzato gli antifascisti. Ma nella recentissima edizione italiana del libro di Jean-CIaude PRESSAC, Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945 (Feltrinelli 1994; ed. or. francese 1993), scritto espressamente contro i revisionisti (e senza mai nominarli), il numero degli ebrei uccisi nelle camere a gas di Auschwitz viene ulteriormente ridotto a 550.000. «Questo risultato - conclude Pressac a p. 174 -, se pure modifica radicalmente la nostra percezione quantitativa di Auschwitz, non ne cambia in nulla la sempre attuale carica simbolica, quello di uno sterminio di massa di innocenti praticato con il gas». Si tratta naturalmente di una cifra ipotetica, anche se molto più verosimile dei 4 milioni (“cifra emotiva” - dice Pressac) di cui finora si è parlato, prendendo alla lettera le confessioni del comandante di Auschwitz Rudolf Höss; il carattere ipotetico di tutte queste cifre è dovuto all’assoluta segretezza di cui fu circondata la cosiddetta “Soluzione finale”: chiamata in realtà “Azione speciale” (Sonderaktion, termine burocratico che designava sia la separazione degli abili al lavoro [arbeitsfähig] dagli inabili, sia l’eliminazione di questi ultimi) e riservata a pochi “iniziati” tra le stesse SS. Pressac giunge a quel risultato valutando criticamente le affermazioni di Hoss, cioè confrontandole con documenti storici (che Nolte definisce “senza dubbio autentici”) anteriori al 1945, relativi alla costruzione dei crematori di Auschwitz e recentemente scoperti negli Archivi Centrali di Mosca.

Dunque il nuovo “caso Nolte” non riguarda affatto i numeri. Esso riguarda soltanto la sua critica all’unicità dello sterminio nazionalsocialista degli ebrei. La nuova legge tedesca contro la “menzogna su Auschwitz” punisce con cinque anni di reclusione «chiunque metta in dubbio l’assoluta veridicità [uneingeschränke Richtigkeit]» di alcune di quelle testimonianze oculari, quasi tutte posteriori al 1945, che perfino i pochi storici dichiaratamente “antirevisionisti” (in pratica soltanto Vidal-Naquet e Mayer) ritengono poco affidabili, specie se le si considera quali prove documentali di un crimine comune - che è il presupposto giudiziario da cui partono i revisionisti per affermare che quelle testimonianze sono essenzialmente dei falsi. Infatti altri storici antifascisti, ma non-antirevisionisti, hanno ormai espunto tacitamente dai loro libri quelle testimonianze, perché sono troppo discutibili, mentre la nuova legge, che ha lo scopo “pedagogico” di trasformare in norma dello Stato (etico?) questa prassi storiografica più “aggiornata”, deve dire positivamente che sono indiscutibili. Ma su che cosa si può fondare un’affermazione cosi stupefacente, se non su un presupposto extragiuridico, cioè su una tesi storica trasformata in legge non scritta: l’assoluta unicità e imparagonabilità di tutto ciò che ha a che fare con il crimine in questione, testimonianze comprese? E per difendere questa opinione comune divenuta ormai per legge un principio della “morale pubblica” (offesa dai revisionisti), la nuova legge stabilisce di fatto che lo studio e la critica dei documenti storici originali riguardanti l’Olocausto sia limitato a una ristretta cerchia di “iniziati”; esponendosi così alla critica di libertà intellettuale minacciata e di “quasi-religione” - come aveva detto Nolte nel suo articolo sulla FAZ del 23 agosto, Una legge su ciò che non cade sotto il dominio della legge. Era dunque necessario dimostrare “pubblicamente” che le tese noltiane conducono ad affermazioni genericamente “inaccettabili”: nulla di più facile, dato che il pubblico non conosce queste ultime, né in base alla legge può più conoscerle, se non in quanto riferite da pubblicazioni non revisioniste. E questo era appunto il compito che i tre intervistatori marpioni e “avidi di dogmi” dello Spiegel dovevano svolgere. [N.d.T.].

(4) Storico e sociologo, autore di Soluzione finale. Lo sterminio degli ebrei nella storia europea (Mondadori 1990). Ma il curioso titolo originale, Why did the Heavens not darken? [Perché i cieli non si oscurarono?] The “Final solution” in History, cercava di coniugare il richiamo laico alla storia con l’allusione biblico-messianica (Isaia XIII, 10; Matteo XXIV, 29; ecc.). Ora, il contrasto tra l’interpretazione antifascista e quella non antifascista del genocidio degli ebrei con il gas non riguarda tanto il suo carattere di simbolo, quanto l’Unicità di questo evento-simbolo, che trova espressione tipica nel tennine “Olocausto” e istituisce di per sé una distinzione qualitativa assoluta nei confronti di tutti gli altri stermini della storia, a cominciare da quello Gulag sovietico: tutti razionalmente giustificabili e quindi storicamente inevitabili, se paragonati con Auschwitz. Non a caso Mayer (pure lui dichiaratamente antirevisionista, o piuttosto anti-Nolte, ma senza farne il nome) cerca di risolvere questa aporia storico-filosofica istituendo un parallelo – nell’ambito di una presunta comune irrazionalità storico-religiosa – tra l’Olocausto e la guerra tedesca a Oriente intesa come “crociata anticomunista” da una parte e i pogrom accaduti in Gennania durante la prima Crociata dall’altra, senza il benché minimo accenno al contemporaneo Gulag, come se questo appartenesse a un’altro mondo (quello della razionalità storica). Nolte nella sua recensione al libro (ora in Dramma dialettico o Tragedia?, Settimo Sigillo, Roma 1994) osserva: «Mayer ignora completamente che anche la letteratura antisemita aveva stabilito, in maniera del tutto analoga, un rapporto tra il presente e un lontano passato, cioè tra il bolscevismo e il Libro di Esther dell’Antico Testamento, nel quale si narra come una mitica donna ebrea, divenuta regina del regno persiano nel VI secolo, aiuti i suoi correligionari - accusati di essere dei rivoluzionari - ad annientare i loro persecutori e a conquistare una posizione di grande prestigio; il che corrisponde all’effettiva situazione storica degli ebrei nel primo secolo a. c., quando il libro di Esther fu tradotto in greco - cfr. Elias Bickermann, Four strange Books of the Bible, New York 1967». In altre parole: l’antirazzismo più recente, incapace come il nazismo di spiegare razionalmente la natura dell’avversario e quindi la sua universalità, cioè la sua eventuale paragonabilità, deve attribuirgli dall’esterno questo carattere universale, per mezzo del “cristianesimo”. Si generalizzano così dei dati storici secondari, più o meno noti a seconda dell’aria che tira: il fatto che ci siano stati dei pogrom guidati da cristiani (ma il nazismo presuppone una decristianizzazione di massa) o il fatto che ci fossero degli ebrei alla guida di partiti rivoluzionari (ma il marxismo proviene dalla filosofia classica tedesca, non dall'ebraismo) [N.d.T.].

(5) Il giudizio sul “caso Deckert” fu emanato dopo un lungo processo contro il presidente del Partito Nazionale Democratico Tedesco: lo condannava a un anno di prigione con la “condizionale”, proprio a causa di una negazione di Auschwitz; e suscitò un’enorme emozione e un’appassionata discussione soprattutto perché il tribunale, come accade abitualmente in casi analoghi, aveva dovuto riconoscere all’accusato un “saldo carattere”, per poter sospender la pena durante il periodo di prova. Questa reazione era il sintomo della diffusa tendenza dell’opinione pubblica a esigere la punizione delle intenzioni. [Nota aggiunta dell'Autore]. [Il 15/12/94 la Corte Suprema tedesca ha annullato la sentenza, disponendo in pratica l’obbligatiorietà della detanzione per questo particolare reato d’opinione, da intendersi dunque come immediatamente doloso - Nota aggiunta del Traduttore].

(6) È il titolo di un famoso libro dello storico tedesco Fritz Fischer (ed. it. Einaudi), pubblicato nel 1961, sulle mire espansionistiche della Germania guglielmina come causa della Grande Guerra. Poiché la maggior parte degli storici europei non accetta più la tesi di Fischer, almeno nella sua interezza, il titolo del suo libro è passato nell’uso retorico a designare la guerra hitleriana. Con una paradossale difficoltà, che forse spiega l’insistenza con cui Fischer ha continuato a difendere la sua formula: le forze di cui disponeva Hitler per tentare “l’assalto al potere mondiale” erano assai inferiori a quelle del Secondo Reich. [N.d.T.]

NOTE DI CIVIUM LIBERTAS

(i) L’articolo, apparso il 30 maggio 1994, lo si trova oggi nell’archivio online dello Spiegel. L’intervistatore, di cui Nolte omette il nome, era Jürgen Leinemann, che rese il suo servizio con la seguente titolazione: «Geschischschreibung. Der doppelte Außenseiter. SPIEGEL-Reporter Leinemann über den Historiker Ernst Nolte und die Relativierung von Vergangenheit». Avendo fatto esperienza, per un solo giorno, di simili giornalisti, la mia risultanza è che costoro vengono avendo già in mente un loro teorema entro cui collocare i dati, che diventano del tutto funzionali a ciò che già hanno in mente di scrivere. Guai a lasciarsi ingannare dalla loro bonarietà. Ricordo una snervante conversazione telefonica con un giornalista del “Corriere della Sera”, i cui pregiudizi e la cui ignoranza non ho tardato molto a scoprire, il quale pretendeva di estorcermi un’intervista per dire non cio che io pensavo, ma ciò che lui voleva io dicessi. Altri casi, divertenti, avrei da raccontare, ma lo farò poco alla volta. L’antitodo che ho subito approntato, constatata l’ordinaria malafede giornalistica, è di accettare solo interviste scritte, firmate e vidimate, con cautele crescenti a seconda dell’affidabilità del giornalista. Il metodo ha funzionato. Esemplare e istruttiva la costante violazione della legge italiana sulla stampa che impone ai giornali l’obbligo della smentita e della rettifica. Tuttavia, per i grandi casi di diffamazione deve esistere a monte una valutazione costi/effetti voluti e ricercati, per cui un grande quotidiano accettare di buon grado il rischio di dover pagare poche migliaia di euro a fronte di una propaganda resa ad una “grande causa” ovvero ad un forte interesse politico. Per lo stato d’Israele sono noti i cospicui investimenti per la promozione della sua “immagine” all’estero. - Torna al testo.

(ii) Questa dell’«infanzia» e delle «posizioni politiche» deve essere una regola da manuale, che è stata seguita anche nel mio caso, dove sono state tirate fuori storie assolutamente assurde, oltre che infondate e non pertinenti, risalenti a circa mezzo secolo prima. Ho anche notato nella propaganda di tipo sionista una costante psicoanalitica, dove forse complice la psicoanalisi di Freud – che era pure uno di loro – ti tirano sempre fuori assurdità che sono fonte di reddito per strizzacervelli, che amano andare in genere a molestare quelle sante donne che sono state le nostre madri e le nostre nonne. È tipica la figura dell’«ebreo che odia se stesso». Appena, e sono sempre più numerosi questi casi, si trova un ebreo su posizioni antisioniste o revisioniste, subito scatta l’offensiva psicoanalitica. Ti bombardano con insulti e vilipendi alla persona, tentando di distruggere i ricordi che ognuno ha della sua vita e delle sue esperienze, cercando anche in questo modo non di curare traumi – come pretendeva di fare la psicoanalisi freudiana – ma al contrario di produrne, creando artificialmente un rapporto conflittuale tra l’io e la sua coscienza. Sono davvero metodi meschini ed ignobili che meritano il massimo disprezzo da parte della gente dabbene. Stesso discorso per le posizioni politiche che si tenta di criminalizzare in ogni modo, partendo però, necessariamente, dagli equilibri politici dominanti, forte dei quali e dietro i quali il denigratore sa di potersi nascondere. La Germania, in effetti, non solo è stata distrutta e devastatata materialmente dalle truppe liberatrici, ma hanno anche deformato come peggio non si poteva fare la struttura morale e intellettuale di quanti sono stato risparmiati dalla distruzione fisica e biologica. Basti qui ricordare un dato difficile da ottenere e pubblicizzare, per il quale dal 1994 ad oggi si può stimare un numero di 200.000 persone perseguite penalmente per reati di opinione connessi ai temi trattati da Ernst Nolte nella sua intervista e nella sua opera storiografica in genere. Oggi, in Germania e in Europa, è sempre più difficile essere e rimanere degli “spiriti liberi”. - Torna al testo.

(iii) Non penso assolutamente e non mi permetterei mai di dire che Nolte sia stato un ingenuo a credere che quelli dello Spiegel intendessero dare di lui un’immagine diversa da quella data appena pochi mesi prima. Del resto, chi è sicuro del proprio pensiero non teme mai il confronto. Nolte non ha fatto male a provocare un dibattito che noi riprendiamo e sviluppiamo dopo sedici anni. L’osservazione nasce sotto l’impressione della lettura in corso del libro di Robert Fisk, Il martirio di una nazione, dove si legge più volte come fosse una evidenza empirica che gli attacchi aerei, che sganciavano bombe sulla popolazione civile ritornavano una secondo volta dopo un tempo calcolato di dieci minuti per sganciare altre bombe ed ordigni di morte, in modo da dare il colpo di grazia a chi fortunosamente fosse sopravvissuto al precedente attacco. La seconda intervista di “Der Spiegel” – come poi è stato – voleva essere il colpo di grazia. – Torna al testo.

(iv) Anche questa è una tecnica nota e collaudata. Ne parla, ad esempio, Jeff Halper, nella parte iniziale del suo libro apparso in traduzione italiana. Nota Halper come la tecnica della sperimentata propaganda sionista è proprio quella di collocare l’avversario su un piano da essi stessi scelto in modo da costringerlo a stare sulla difensiva. Ho personalmente denunciato questa tecnica nella mia citata difesa davanti al Collegio di Disciplina, dove ero apparso per difendermi da accuse identifiche a quelle che erano state mosse a Nolte sedici anni prima. Per difendersi efficacemente non bisogna stare al giorno e porre invece la discussione sul piano che ci è proprio. - Torna al testo.

(*) Su Fritjof Meyer, mentre cercavamo una sua immagine, per illustrare il testo, come sempre facciamo nelle nostre edizioni, ci siamo subito imbattuti in un articolo proprio su Meyer dello storico revisionista Jürgen Graf, “Chiamatemi pure Meyer”, un addio all’ovvietà, di cui diamo senz’altro il link.



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