Questo breve ma
efficace saggio di Nordio si conclude con un giudizio sulla giustizia penale
attuale “Abbiamo disposizioni severe e attitudini perdoniste, una voce grossa e
un braccio inerte, una giustizia lunga e il fiato corto: vogliamo intimidire
senza reprimere e redimere senza convincere”; questo ricorda molto da vicino l’opinione
di Alexis de Tocqueville sull’ordinamento giuridico dell’ancien régime, caratterizzato secondo il pensatore francese da
norme severe ed una pratica fiacca. A mio avviso la ragione della somiglianza
di tali giudizi consegue dal fatto d’essere l’effetto della fase di decadenza di un ordinamento. Per cui,
dato che Nordio propone per la giustizia italiana di riformarla radicalmente in
senso liberale, non si può che
concordare nell’auspicio.
Dopo aver
iniziato questa recensione dalla fine del saggio, mi riposiziono al principio.
Il libro è diviso in due parti: nella prima si tratta del concetto di giustizia
nella civiltà occidentale, il quale “poggia su quattro pilastri diversi ma
massicci: la cultura giudaico-cristiana e quella greco-romana”.
Nella seconda si
analizza “quanta parte di questa cultura sia confluita nella giustizia (penale)
italiana. E proporremmo una loro conciliazione, nella prospettiva di una
riforma liberale”.
Nella prima
parte quindi si considerano le radici
(giudaico-cristiane, nonché greco-romane) dell’idea di giustizia. Nella seconda
si riscontra quanto ve ne sia nell’ordinamento concreto attuale e cosa ne
occorra riformare.
In altre parole
l’autore confronta l’attuale ordinamento con le radici storico-filosofiche della nostra civiltà. Cioè parte da una
prospettiva di alto profilo, al contrario di molte delle soluzioni concrete
attuali la cui causa efficiente
spesso non è il garantismo o il giustizialismo (o altre siderali esigenze) ma espedienti e callidità di potere, compreso il
condizionamento di processi in corso, per i quali si paventano le influenze
sulle elezioni o sulle carriere di politici (e burocrati).
Quanto alla
giustizia penale e all’influenza religiosa “i principi della cultura
giudaico-cristiana sono stati formalmente ossequiati ma sostanzialmente
negletti. La composizione tra rigore retributivo e misericordia benevola si è
stemperata in un caotico sincretismo di magistero arcigno e di sgomenta
rassegnazione”. Relativamente all’influsso greco-romano l’equilibrio razionale
tra la presunzione di innocenza e la certezza della pena “dovrebbe essere il
precipitato logico, e il risultato pratico proprio della tradizione
greco-romana filtrata da John Stuart Mill, da Tocqueville e Montesquieu, come
da Verri e Beccaria”, come espresso dal novellato (1999) art. 111 della
Costituzione. Tuttavia tale recepimento “è stato così inavveduto da esser
minato da alcune contraddizioni insanabili”, anche e soprattutto perché il
processo che ne risulta ha “poco a che vedere con quello accusatorio
anglosassone, che si regge su alcuni solidi principi, come la divisone delle
carriere, la distinzione tra giudice del fatto e del diritto, la nomina e i
poteri del pubblico ministero, l’estensione dei patteggiamenti e, più
importante di tutti, la discrezionalità dell’azione penale”. La conclusioni è
che “accanto alla dissoluzione dell’eredità giudaico-cristiana della concezione
retributivo-indulgenziale della pena, assistiamo al ripudio del legato
greco-romano del razionalismo pragmatico, perché alla lunghezza esasperante dei
nostri processi si associa la confusionaria applicazione di norme incerte e
scoordinate. E il Paese che è stato la culla del diritto ne è diventato la
bara”.
Nordio, volando
alto, fa discendere l’attuale situazione dalla mancata applicazione di principi
storico filosofici, espressi da pensatori nel corso di millenni. Se da questo confronto
storico-filosofico, passiamo a quello logico-comparatista, nel senso di vedere
quanto delle soluzioni che le concezioni politicamente
corrette vogliono imporre come capisaldi dello “Stato di diritto” lo siano
in altri ordinamenti, il discorso non cambia.
Per esempio
l’obbligatorietà dell’azione penale: è vero che è sancita dall’art. 112 della
Costituzione, ma si configura in modo assai differente negli Stati di diritto
contemporanei, a partire dalla Gran Bretagna.
Così per
l’azione penale, spesso accordata anche alle vittime del reato (e talvolta a
associazioni o a tutti). O la separazione delle carriere che in alcuni
ordinamenti non si pone data la “separazione” naturale tra titolari (anche pubblici) dell’azione penale e organi
giudicanti.
In sintesi
quello che il “politicamente corretto”, la stampa mainstream, e (molti) poteri forti vorrebbero far passare come
quintessenza del liberalismo “compiuto” e della modernità, non lo è, o non
s’impone con la conclamata evidenza la perentorietà e unitarietà che ci viene
quotidianamente rappresentata.
Nordio fa leva,
per demolirla, sulla storia e sul pensiero di millenni; ma questo risulta anche
dalle (odierne) soluzioni adottate appena fuori dai confini. E non si vede come
molte non possano essere recepite
nell’ordinamento italiano, solo perché contrarie agli anatemi
mediatico-culturali.
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