Tra le
innovazioni del decreto 150/2022, c’è l’estensione dei reati procedibili solo a
querela dell’offeso, onde creare un barrage
ai processi penali e così ridurne il numero. Il tutto, si sostiene, in linea
con gli obiettivi di efficienza del processo e del sistema penale. Ancorché il tutto possa prestarsi ad un’inferiore deterrenza della prescrizione
sanzionatoria (e così al di essa effetto dissuasorio) la rimessione alla parte
lesa della facoltà di “far partire” il procedimento, ne facilita – a vantaggio
della medesima – le condotte risarcitorie e riparatorie del reato, con
soddisfazione – almeno parziale – dell’interesse della vittima.
Nello stato in
cui versa la giustizia italiana, non possono che essere benvenute disposizioni
che consentono una migliore soddisfazione dell’interesse privato, peraltro “alleggerendone”
gli oneri per lo Stato. Tuttavia sono i presupposti
di soluzioni come questa a dover essere criticati; vediamo perché.
Scriveva Hegel
che lo “Stato è la realtà della libertà concreta”, in quanto, brevemente,
coniuga gli interessi particolari con l’interesse della generalità così che né
l’universale si compie senza l’interesse particolare, né che gli individui
vivano solo per questo, senza che vogliano, in pari tempo, l’universale.
Più “tecnicamente”, da giurista, Jhering
collegava l’interesse particolare al generale, attraverso i meccanismi
giuridici, in particolare la sanzione, che, come Carnelutti avrebbe
sottolineato, è un avvaloramento del
precetto normativo con la quale si penalizza la condotta conforme o contraria a
quella, sacrificando o soddisfacendo l’interesse particolare.
Anche per questo
Jhering scrisse quel best seller
giuridico che è La lotta per il diritto (Kampf ums Recht) ancora oggi, a circa un
secolo e mezzo dalla pubblicazione, continuamente riedito. Nell’edizione Laterza
degli anni ’30, con un’avvertenza preliminare di Croce che, sorprendentemente,
ne sottolineava l’alto valore etico, scrivendo: “Può far maraviglia che questo
elevamento della lotta pel diritto sopra le considerazioni utilitarie sia
sostenuto da un pensatore che nella sua speciale trattazione filosofica dell’argomento,
Der Zweck im Recht (1877-83), riportò
il principio del diritto all’egoismo… Ma tant’è: nel Jhering il sentimento
morale era più forte dei suoi presupposti e della sua logica filosofica” e
proseguiva che a questa concezione “valse il forte rilievo dato agli individui
e ai loro bisogni e ai fini che si propongono nel formare il diritto; se anche
gli piacque interpretarli e chiamarli, poco felicemente, egoistici”.
La ragione per
cui lottare (Kampf) per il proprio
diritto soggettivo, al tempo stesso si risolve nel realizzare quello oggettivo è che il diritto che non è
applicato, per cui non si lotta, è un diritto… teorico. Cioè che nega la propria essenza di attività (ragione) pratica. Come le idee di Platone, confinato
in un iperuranio normativo, senza un demiurgo che lo porti in terra.
Se la funzione
del demiurgo è rivestita soltanto dalla vittima
zelante probabilmente l’effettività dell’attuazione (cioè la soddisfazione
dell’interesse pubblico all’ordine sociale) e così l’oggettivazione lascerà a desiderare.
Ciò premesso
quel che più sorprende di questa soluzione è che se ne vuole misurare (almeno
nella rappresentazione che ne danno molti mass-media)
l’efficacia non dal calo dei reati commessi ma da quello dei processi che ne
conseguono.
Di per se che
non si celebri il processo dopo il reato perché manca la querela, non significa
che il reato non sia avvenuto (né che il reo non lo reiteri), ma solo, per l’appunto,
che manca la querela. Anzi, sbrigarsela con un risarcimento e non con la
detenzione non fa calare le trasgressioni, ma aumentare le possibilità di “farla
franca”. In particolare per i rei dotati di disponibilità finanziarie.
C’è da
aggiungere che tale modo di ragionare, in particolare se presentato come “momento”
decisivo delle riforme, è figlio di una visione burocratica del mondo; è l’universo visto dall’angolo visuale della
scrivania, ma tale punto di osservazione non permette una percezione “a giro d’orizzonte”
e prenderla per quella principale è frutto di una deformazione professionale,
spesso ripetuta. Se invece di centomila processi da iniziare se ne hanno
settantamila, onde la durata degli stessi dimezza, non vuol dire (neppure) che l’efficacia
dell’amministrazione della giustizia penale è migliorata, ma solo che ha minore
lavoro da sbrigare. Tuttavia la funzione della giustizia penale in ispecie, di
assicurare l’ordine sociale non ci guadagna un gran che. Ciò non significa che
la riforma sia disprezzabile, ma che non è il caso di intonare peana né confidare
in grandi risultati da un bicchiere mezzo pieno.
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