Dopo l’invasione
russa dell’Ucraina abbiamo letto notizie ed opinioni talvolta inverosimili in
partenza, ma per lo più smentite dai fatti successivi; e il tutto accompagnato
dall’omissione di circostanze contrarie, regolarmente taciute o minimizzate.
Quale esempio
delle prime: Putin è matto, molto malato, ecc. ecc. Ma Putin non ha fatto nulla
di diverso da quanto operato da secoli dai governanti russi: cercare uno “sbocco”
a sud verso i mari caldi, con decine di guerre soprattutto contro gli ottomani.
Per cui se farlo significa essere matti, vuol dire che la Russia è diretta,
almeno da tre secoli, da dementi; ma ciò non le ha impedito di divenire una
grande potenza. Ovvero che Putin sarebbe stato detronizzato dai “suoi”. Può
darsi, ma finora, a quasi un anno dall’inizio delle ostilità, sembra saldo al
potere. O anche che le sanzioni alla Russia l’avrebbero messa in ginocchio: ad
oggi pare solo che ha perso qualche 2-3% del PIL (ossia un terzo di quello perso
dall’Italia col governo Monti) e sarebbe in via di recupero. Quel che è taciuto
è che il rublo si sia rivalutato nei confronti del dollaro e ancor più dell’euro:
segno che i “mercati” – la pizia della stampa mainstream – ritengono la moneta (e l’economia) russa tutt’altro
che inaffidabili, né in via di collasso.
O che i russi
avrebbero presto finito le munizioni: da un anno continuano a sparare, il che
testimonia che ce l’hanno. E potremmo continuare per pagine. Anche dall’altra
parte se ne raccontano, ma la tempesta
mediatica da occidente è di gran lunga superiore sia per varietà (e contraddittorietà) degli
argomenti, sia soprattutto per quantità
dei ripetitori. Nelle prime fasi del conflitto mi è capitato di scrivere
che la “nebbia della guerra” di Clausewitz, applicata nel caso alla
comunicazione, era imponente; oggi è ancora tale. L’ultimo caso è quello dei
carri armati: è stata da poco diffusa la notizia che stavano per arrivare agli ucraini
(nei prossimi tre mesi) circa 100 carri armati occidentali, destinati a far
polpette di quelli russi. Nessuno spiegava né nei tre mesi suddetti, cosa
avrebbero fatto i russi per evitarlo (magari accelerare le operazioni militari
per vanificare tanto aiuto agli
ucraini) ma soprattutto che la asserita qualità
dei corazzati occidentali non avrebbe compensato la superiorità quantitativa di quelli di Putin. Un po’
come, per tenersi da quelle parti, successe nel ’43 a Kursk, dove qualche
centinaio di eccellenti Tiger e Panther tedeschi fu sconfitto, malgrado le
perdite inflitte ai sovietici alle assai più numerose formazioni di T-34 e KV
russi. E ciò malgrado i nazisti fossero comandati dal miglior generale della II
guerra mondiale: Erich von Manstein. Il quale infatti, e a dispetto dell’inferiorità
numerica (da 1 a 3 a 1 a 5), riuscì a tenere l’Ucraina per circa un anno. Ma
era von Manstein e non Zelensky a comandarle.
Agli albori
dello Stato moderno, un noto giurista, Alberico Gentili, si poneva il problema
se fosse lecito, in guerra, “ingannare” il nemico con menzogne di vario genere.
E ne tratta per molte pagine del suo capolavoro il “De jure belli, libri 3”. Il problema sussisteva perché, per un
giurista, è normale qualificare un
comportamento come lecito o illecito.
E nel mentre
riteneva illecito – in taluni casi – l’uso della menzogna per ingannare i
nemici, tuttavia concludeva “Se infatti si ammette che a fin di bene anche gli
amici possono essere ingannati con la menzogna, si può ammettere che i nemici
possano essere indotti in errori per la loro rovina. Naturalmente, come agli
amici è fatto per il loro bene, così ai nemici è reso il fatto loro e
giustamente è recato loro danno”.
Ma in tutta la
sua esposizione non si pone mai il problema del capo che mente (sistematicamente)
al seguito; cioè il problema riconducibile alla propaganda di guerra – che tanta
parte ha nei conflitti, soprattutto moderni.
Certo è che
tutte – o quasi – le menzogne propagate non sembrano poter avere alcun effetto
nell’ingannare Putin, o, al più, un’efficacia minima.
Quindi il loro
unico – o assolutamente prevalente - risultato, è di suscitare un qualche
consenso nell’opinione pubblica a sopportare il costo delle sanzioni e degli
aiuti all’Ucraina. Ossia sono false o errate rappresentazioni ad usum delphini. Le quali hanno l’inconveniente, in politica e ancor
più nel di essa mezzo, la guerra, di
indirizzare (e far regolare) le proprie azioni su presupposti e fini immaginari
e immaginati, con ciò rischiando, a parafrasare Machiavelli “d’imparare più
presto la ruina che la preservazione sua”. Nella specie quella della comunità
nazionale, che i governanti hanno il dovere di proteggere e dei cui risultati
devono rispondere.
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