È veramente
spiacevole recensire un libro come questo, postumo, sapendo che non se ne
leggeranno altri. Perché Piero Visani, da me recensito negli ultimi anni, nei suoi
lavori aveva testimoniato di un pensiero libero ed anticonformista, e al
contempo, nel solco della migliore tradizione del pensiero politico (e
giuridico) moderno.
Nell’introduzione
il figlio Umberto riporta uno scritto indirizzatogli dal padre, che gli aveva “sempre
cantato le lodi di una concezione antimercantilistica, antieconomicistica,
antiutilitaristica, antispeculativa dell’esistenza”, e che è la migliore
sintesi dei diversi scritti raccolti
E in effetti il
libro consta di cinque parti: la prima sulla visione del mondo; la seconda
sulla politica; la terza sulla guerra; la quarta sullo spettacolo; la
conclusione, sugli scenari futuri.
Data la vastità
dei temi, la sintesi sopra riportata, dovuta all’autore è quanto mai utile;
tuttavia qualche altro passo può dare il senso di questo denso volume. Ad
esempio sulla propaganda delle élites dirigenti che ci ha abituati a dissociare
potere politico e militare da quello economico; e ancor più a dimenticare la “realtà
effettuale” di guerra, nemico ed uso della forza (e così le condizioni di
esistenza e azione politica). Ma a parte altro, la stessa propaganda criminalizza
e indica al pubblico ludibrio chi non paga le imposte (di cui la classe
dirigente vive), onde la considera l’autore così «si può essere contrari al sogno di una grande Italia, in
piena legittimità, ma essere favorevoli alla pratica di una “grande Equitalia”
è davvero incredibile, è un obiettivo da minorati mentali. A meno che i “morti
di fisco”, come i morti fatti dagli americani e dagli occidentali in genere,
siano “meno morti”…». Visani peraltro, in tanti passi fa notare come le classi
dirigenti inette e in decadenza,
predicano il bene, ma praticano alacremente lo sfruttamento della maggioranza
governata. È inutile ricordare come, in Italia soprattutto, il servilismo e le prediche
edificanti, hanno raggiunto il proprio apice proprio in coincidenza con il
massimo prelievo fiscale, condizione per la (comodissima) vita delle stesse élite.
Le quali vendono parole per rapinare beni.
Il buonismo
imperante, il politicamente corretto si coniugano ad una incapacità di
comprensione (e comunicazione) della realtà, ad una continua affabulazione,
onde a seguire certi capi (?), il mondo di Bengodi della globalizzazione
sarebbe già in atto e in via di completamento.
Tutt’al più,
basta eliminare qualche disturbatore (già criminalizzato) per terminare l’opera
(dell’uscita dalla storia). IN un quadro del genere un discorso come quello di Churchill
che prometteva agli inglesi sangue,
sudore e lacrime prima di arrivare alla vittoria costituisce un esempio di cosa
non dire. Ma a chi scrive l’illusione del mondo globalizzato (attenti alle
votazioni all’Assemblea ONU – di segno opposto) ricorda quanto proclamato nella
costituzione sovietica brezneviana, che il socialismo si era realizzato. Così
bene che crollò una dozzina d’anni dopo; e di certe nuove illusioni non si può
che augurarsi lo stesso.
Visani tratta di
molte cose (film compresi): di idee, di autori, di mentalità, e sempre con un
taglio originale e politicamente scorretto (ça va sans dire). È difficile
trarre da una tale massa di giudizi un unicum
prevalente. Tra i diversi possibili (e data l’abbondanza) ne ricordiamo tre:
Il primo è il
disprezzo per le classi dirigenti attuali, in particolare per quella italiana (tuttavia
il disprezzo è indirizzato anche a quella che l’aveva preceduta). Il secondo,
correlato al precedente, è che le attuali élites
(che secondo Max Weber vivono sia di
politica che per la politica), vivono esclusivamente di, avendo cancellato dalla propria prospettiva di vivere per; così come di realizzare risultati
invece di propagandare (buone) intenzioni.
Il terzo che la Weltanschaung globalista appare come una scissione del rapporto –
necessario in politica, come attività umana – tra ragione e passione.
Quello di cui è
un esempio insuperato l’ultimo capitolo del Principe, dove l’unità politica d’Italia
– in un mondo di Stati nazionali nascenti – era la condizione insostituibile per
un’esistenza indipendente ed autonoma- Onde repubbliche e signorie, le quali
avevano senso e funzione in un medioevo feudale, lo avevano perso con l’incipiente
formarsi del mondo moderno.
La
consapevolezza della diversità del contesto storico e politico era il presupposto
di poter vivere liberi nella mutata situazione. Ragione (di Stato) e passione politica
che la classe dirigente non riesce a coniugare. E che questo libro così
interessante, che non dimentica mai tale rapporto, ci aiuta e sprona a fare.
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