mercoledì 29 maggio 2013

Pensiero ribelle: una recensione di Klitsche de la Grange ad Alain de Benoit.

Alain de Benoist, Pensiero ribelle (vol. II), Controcorrente, Napoli 2012, pp. 446, € 30,00.

Esce il secondo volume di “Pensiero Ribelle”, antologia di brevi saggi, interviste ed articoli  di de Benoist che spazia per tutti gli interessi (e sono tanti) dell’autore e per argomenti che vanno dall’attualità (degli ultimi quindici anni) alla storia delle idee, a considerazioni su pensatori del XX secolo. Il carattere antologico e l’“ampio spettro” degli argomenti non consentono di fare un’analisi unitaria, se non per ricordare l’esigenza che per un pensiero ribelle con possibilità d’incidenza e successo occorre seguire due regole (che i lettori di altri lavori di de Benoist conoscono): non sbagliare epoca, ossia non affrontare le difficoltà del presente con modelli del passato; e non sbagliare nemico (cosa in cui cade l’Europa e l’Italia in particolare). Perché il nemico non è l’islam né le altre civiltà del pianeta, ma è l’Occidente, e le estreme propaggini del pensiero occidentale, in piena decadenza. Come scriveva un acuto giurista francese come Maurice Hauriou le crisi (epocali) sono provocate dal denaro e dal pensiero critico (e sterile). E nell’attuale fase della storia europea (e non solo) c’è la prevalenza di entrambi.

Due eccezioni, per l’importanza che rivestono, occorre però farle (per il resto si rinvia al volume, così denso di pensiero).

Alain de Benoist
La prima è sul liberalismo. Sostiene de Benoist, rispondendo alla domanda dell’intervistatore sul giudizio che da sul liberalismo “Per riprendere una nota formula, un giudizio ‘globalmente negativo’! Bisogna tuttavia sapere di cosa si parla. Se per ‘liberale’ si intende ‘tollerante’, o ancora ‘ostile alla burocrazia’ non avrei evidentemente nessuna difficoltà a riprendere, per quanto mi riguarda, il termine. Ma lo storico delle idee sa bene che tali accezioni sono triviali”, perché occorre caratterizzare il liberalismo, sia pure in poche righe: “Filosoficamente, il liberalismo è anzitutto una dottrina individualista, le cui radici vanno cercate nel pensiero nominalista, il quale afferma che ‘non c’è essere al di là dell’essere singolare’… la società nascerebbe in maniera contrattuale, in forma di patto razionale che degli individui sottoscriverebbero liberamente… Se ne deducono subito parecchie conseguenze: che l’individuo è titolare di diritti dipendenti dalla propria natura, e dunque anteriori alla formazione del corpo sociale; che questi diritti sono ‘inalienabili e imprescrittibili’, di modo che ogni potere che non li consideri come tali è illegittimo”. Per cui si intrecciano nel liberalismo “tutta una serie di temi – razionalismo, utilitarismo, universalismo-egualitarismo, ecc. – ricorrenti nel pensiero liberale. Sono quei temi che, come lei sa, hanno fornito alla modernità i suoi fondamenti concettuali”. A questo de Benoist oppone che “Per me, l’uomo è un ‘animale sociale’ la cui esistenza è consustanziale a quella della società… non c’è dunque alcun titolare di diritti fuori dalla vita sociale, e in quest’ultima non ci sono che beneficiari. La vita economica rappresenta non una ‘sfera’, ma una dimensione della vita sociale, che ogni società tradizionale pone per di più al livello più basso della sua scala di valori”. E la politica è il luogo della sovranità e della legittimità-. La società “non è la somma degli atomi individuali che la compongono, ma, in una prospettiva ‘olistica’, un corpo collettivo il cui bene comune prevale, senza sopprimerli, sui soli interessi delle parti”. E la stesa libertà, in una prospettiva che deriva dalla “libertà degli antichi” così definita da B. Constant “non si definisce come la possibilità di sfuggire all’autorità politica o di sottrarsi alla vita pubblica, ma come la possibilità di parteciparvi”. Sul piano economico il pensatore francese critica il liberalismo e, ancor più, la mitizzazione del mercato, anche se “Storicamente parlando, il sistema capitalista si è mostrato incontestabilmente più efficace dei sistemi economici dei ‘paesi del socialismo reale’”. Indubbiamente del capitalismo si possono sottolineare molti elementi negativi, ma resta l’incontestabile superiorità sul comunismo. Tuttavia l’efficacia non è un fine in se “Essa definisce sempre soltanto i mezzi utilizzati per raggiungere un fine, senza dirci niente del valore di questo fine. Sembra proprio che qui la finalità sia la produzione di un numero sempre crescente di merci”. E il fine suddetto è estraneo a tutte le culture tradizionali. De Benoist non è contro il mercato; rifiuta che la logica del mercato prevalga su tutte le altre. “Per usare una formula, sono per una società con mercato, ma contro una società di mercato”.

La seconda è l’ideologia dei diritti dell’uomo. Secondo de Benoist questa “pretende di regolare problemi politici su una base puramente giuridica, Questa pretesa ignora la natura del politico la sua essenza è appunto di non dipendere da alcun principio che non gli sia proprio”. E, in effetti, appartiene alla natura del politico la capacità ordinatrice ossia di proteggere e dare un ordine alla comunità (anche) attraverso il diritto (è questo che dipende da quello non viceversa). Peraltro il diritto naturale moderno è sostanzialmente diverso da quello dell’antichità greco-romana “Per gli antichi, il diritto si definisce come l’equità in seno a una relazione: la giustizia consiste nell’attribuire a ciascuno la parte che gli spetta. È dunque un diritto oggettivo. L’ideologia dei diritti si fonda, al contrario, sull’idea di un diritto soggettivo, che appare solo tardivamente nella storia… Questo diritto soggettivo ha origine nel nominalismo, che costituisce la matrice originaria dell’individualismo moderno. Per Guglielmo di Occam, il diritto non è più un giusto rapporto tra le cose, ma il riflesso di una legge voluta da Dio… c’è uno sfondo religioso dell’ideologia dei diritti dell’uomo – il che, d’altronde, non le impedirà di formularsi storicamente in un contesto nettamente ostile alla religione. Si potrebbe ancora aggiungere che l’ideologia dei diritti è, con ogni evidenza, diventata una religione secolare”. Di fatto tale ideologia diventa la “derivazione” paretiana dell’estensione planetaria del capitalismo, cui fornisce l’ideologia umanitaria di cui ha bisogno. “Non è più in nome della ‘vera fede’, della ‘civilità’, del ‘progresso’, se non addirittura del ‘pesante fardello dell’uomo bianco’ che l’Occidente si crede autorizzato a dettare legge sulle pratiche sociali e culturali esistenti nel mondo, ma in nome della morale incarnata dal diritto”. La quale tende a creare un nuovo dispotismo: quello in nome del bene “la trasformazione del diritto internazionale sotto l’effetto dell’ideologia dei diritti dell’uomo non permette ai deboli di fronteggiare meglio i potenti, ma fornisce ai potenti un pretesto per aggredire i deboli che li disturbano. È ciò che vediamo oggi in Iraq. All’interno delle nostre società,  l’ideologia dei diritti dell’uomo permette di instaurare a poco a poco, in perfetta buona coscienza, una società di sorveglianza generalizzata”.

Nel complesso, come tutti i libri di de Benoist è pieno di idee (originali)ed è quindi una boccata d’aria fresca nel contesto di un’epoca di decadenza, che, per riportarci a una frase dell’autore “produce essenzialmente bruttezza, menzogna e viltà”.

Teodoro Klitsche de la Grange

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