Come scrive Michele
Silenzi nella prefazione «Il manifesto di
un eretico è un libro insolito e inquietante. Si potrebbe definire, in
estrema sintesi, una galleria di mostri generati dal sono della ragione. Solo
che “i mostri” di cui il libro parla non arrivano da altri mondi, ma siamo noi,
l’Occidente ripreso nel suo funzionamento pratico e quotidiano: nelle
istituzioni, nelle aziende, nelle università, nei mezzi di comunicazione, nei
libri, insomma, in tutto ciò che costituisce quella che chiamiamo società». E
in effetti il saggio è una rassegna di idola,
argomentazioni e comportamenti riconducibili al politicamente corretto ed alla
sua ultima manifestazione cioè la cancel
culture. La quale ha ripreso da altre epoche della storia le pratiche iconoclastiche, che hanno, come nota O’Neill,
la caratteristica di contrapporre agli idoli da distruggere altri da innalzare
agli altari: ma sempre di idoli si tratta. Nel quale un ruolo essenziale lo
riveste il linguaggio, che tende a veicolare i nuovi valori, secondo una
tattica stigmatizzata da Orwell in 1984
(la neo-lingua), ma descritta già da Tacito negli Annales, come afferma Hobbes. L’autore sostiene pertanto la
necessità di nuove eresie: di sostenere
la necessità di un pensiero eretico, fondato sul dissenso e il controllo razionale.
Temi così oggetto
della disamina sono tanti dal “pene di lei” (sulla fluidità sessuale) al “paradosso
dell’odio” praticato assiduamente da chi dichiara “love is love” (un caso
esemplare è – come oggetto di tale odio è quello contro J.K. Rowling).
Lascio al
lettore del libro (peraltro denso di ironia e di piacevole lettura) esaminare
gli aspetti della cancel culture. Dato
che non vogliamo limitare il piacere di leggerli tutti, faccio al riguardo due
considerazioni generali.
La prima. Julien
Freund osservava ormai cinquant’anni orsono che il pensiero tardo moderno stava diventando razioide: ossia diveniva una caricatura del razionalismo occidentale,
che aveva contrassegnato lo sviluppo e la diffusione planetaria della civiltà
europea. Questo perché sotto l’apparenza di razionalità giungeva a conclusioni
e affermazioni decisamente non razionali e neppure ragionevoli (come ad esempio
“il pene di lei” contrario all’evidenza). Il politicamente corretto aggiunge
ora ad una pretesa razionalità coniugata
una intollerante ed apodittica affermazione di “valori”.
Non è poi una
novità nel governo dei popoli mutare il linguaggio e il senso delle parole: è
uno strumento di propaganda, di controllo sociale e politico delle (nuove) élite
sulla massa (la neo-lingua), come tanti secoli fa descritto da Tacito e
valutato (positivamente) come instrumentum
regni da Hobbes. Così come le pratiche di creazione di un nemico o di un’emergenza
fittizia o almeno strumentalizzata o esagerata ad arte. L’autore cita un
episodio della caccia alle streghe del XVI secolo per un’emergenza climatica:
la strega bruciata era condannata per aver provocato tempeste nel Mare del
nord.
Nulla di nuovo
quindi: gli ideologi del “politicamente corretto” di oggi sono come i consiglieri
del Principe di ieri contro i quali l’eresia è più che opportuna, addirittura
una condizione per la sopravvivenza collettiva e a volte individuale.
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