Diversamente da
quanto più frequentemente si legge, questo saggio formula una critica al
sovranismo, che è scientifica e lungimirante. Al contrario, per l’appunto di
quanto raccontato nei media maenstream,
dove a parlare di Nazione è regola pronunciare formule (e termini)
esorcizzanti, e ancor più fare una gran confusione: tra Cavour e Mazzini da una
parte e Alfredo Rocco e Enrico Corradini dall’altra (per non parlare di
Mussolini). Ovvero tra il sentimento patriottico del risorgimento e quello dei
nazionalisti e del fascismo.
Il primo – tra i
non pochi pregi del libro – è così rimettere a posto significati, definizioni
(e appartenenze). Tanto per fare un esempio il sentimento (nazionale)
risorgimentale era quello di una Nazione che voleva costituirsi in Stato, di
guisa da non dipendere dagli altri
Stati, di gran lunga superiori agli Stati pre-unitari per popolazione,
territorio, risorse, per cui era una rivendicazione di indipendenza ed autonomia. Mentre il nazionalismo dei Rocco e Corradini
era una rivendicazione di potenza nei confronti di altri popoli – coloniali
soprattutto. Il primo era difensivo, il secondo d’aggressione: distinzione
essenziale che ancora gli ideologi del pensiero unico non riescono (o non
vogliono) afferrare.
Particolarmente
interessante è il pensiero di Campi sul rapporto tra destre e nazione, visto
(anche) i diversi – e talvolta opposti - modi di declinarlo. In Italia, scrive
Campi “quello tra destre (al plurale) e nazione è stato un rapporto per certi
versi ambiguo e controverso, discontinuo e accidentato, fortemente rivendicato
sul piano ideale quanto scarsamente produttivo su quello politico, che ha
finito per generare un nazionalismo-patriottismo più che altro
sentimentalistico e retorico, letterario, estetizzante e occasionalistico, come
tale incapace di definire una chiara visione degli interessi nazionali
dell’Italia… Potremmo dire che la nazione-mito, facile da invocare sul piano
della propaganda e in chiave di mobilitazione politica, ha prevalso a destra
sulla nazione-progetto, intesa come realizzazione nel concreto della storia di
un disegno politico collettivo o comunitario”. Onde la destra italiana, non
sembra “sia mai riuscita a elaborare una dottrina nazionalistica coerente e
organica in grado di saldare il richiamo all’idea di nazione con un forte senso
dello Stato e di tradurre quel richiamo sul terreno della progettualità
politica”. A intenzioni “buone” hanno corrisposto spesso risultati modesti o
addirittura pessimi. Tralasciando, per ragioni di spazio, tutte le interessanti
analisi di Campi sul rapporto con la Nazione delle varie destre
(risorgimentale, nazionalista, fascista, della prima repubblica, della
seconda), veniamo all’attualità.
Nel presente la
concezione di destra della Nazione, o meglio dello Stato nazionale “è la forma
politica che assume l’identità collettiva di una comunità interessata a
mantenere la propria integrità contro chi la insidia”. In effetti, scrive
l’autore “la prima cosa che colpisce nel sovranismo populista, nelle diverse
declinazioni che ne sono state offerte dalla politica italiana recente, è il
suo carattere meramente difensivo e reattivo”. Se questo costituisce un
pregio rispetto alle declinazioni “aggressive” del nazionalismo, ha il difetto
di suggerire “un ripiegamento a difesa di ciò che si ha e di ciò che si è,
soprattutto di ciò che si teme di perdere. Il sovranismo, in altre parole, è
una dottrina della decadenza, è il nazionalismo dei popoli stanchi”. Oltre che
l’altro difetto di commettere imprudenze in politica estera. Per cui “Più che
una dottrina politica o un progetto ideologico, il sovranismo, come spesso
viene declinato soprattutto dalla nuova destra di Salvini e Meloni, può dunque
essere considerato un espediente politico-psicologico, grazie al quale si offre
un antidoto momentaneo e provvisorio alla paura e all’incertezza in cui oggi si
trovano molti individui e interi strati sociali”. Infatti manca il progetto che
costituisca una realistica visione
del domani. Malgrado la Nazione, sostiene Campi nelle ultime pagine, sia
tutt’altro che “obsoleta” e superata. Lo dimostra come possa coniugarsi con la
democrazia e il pluralismo “L’unità della nazione, assunta come presupposto del
pluralismo, è dunque ciò che consente agli attori di una democrazia di
dividersi senza il timore che la comunità si disgreghi o scivoli sul terreno di
un conflitto aperto e letale. Questa connessione tra democrazia e nazione viene
spesso sottovalutata dai critici di quest’ultima. Mentre invece rappresenta una
interessante scommessa per il futuro”.
Due note a
conclusione. È inutile ricordare come il saggio, come in genere, l’opera di
Campi sia ispirata al pensiero politico realista,
molto spesso rigettato (o demonizzato) dal “pensiero amico”.
Secondariamente
se è vero che la Nazione nelle “vecchie” concezioni delle varie destre italiane
si è per lo più manifestata in declamazioni roboanti e risultati modesti, onde
non è confortante per il futuro, è anche vero da un lato che i sovranisti-populisti
praticamente non sono mai andati al governo se non con il Conte 1 nel 2018 e
poi da qualche mese con la Meloni, onde si può sperare che col tempo possano
realizzare, almeno in parte, quanto promesso,
Anche perché,
purtroppo, la situazione italiana ha raggiunto il fondo del barile nel decennio
trascorso (il peggiore della pur cattiva “seconda Repubblica”). Il che da ai
sovranisti un compito assai difficile, simile a quello descritto da Machiavelli
nell’ultimo capitolo del Principe: di
risollevare un popolo impoverito (e così anche indebolito) da élite politiche
(e istituzioni) decadenti. E che soprattutto per questo da quasi dieci anni da
un consenso maggioritario (intorno al 55-60% dei voti espressi nelle elezioni
succedutesi) agli avversari di quelle élite. Operare meglio delle quali non è impossibile,
fare un miracolo sì.
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