giovedì 30 settembre 2021

Teodoro Klitsche de la Grange: "Il catasto della discordia"

 

Questa settimana sul “teatrino” della politica è andata in scena la pièce del catasto, con i soliti ruoli: il centrodestra in quello dei Gracchi, a difendere il popolo dei tartassati, il PD nell’usuale  personaggio del moralgiustizialista (che produce giustizia con il portafoglio degli altri) un Arpagone in cipria e merletti; e il resto della compagnia in personaggi di contorno.

Data la reazione tutt’altro che entusiasta dell’opinione pubblica, il PD ha dovuto ridimensionare rapidamente l’iniziale consenso anche perché, a parte la solita “estrema” sinistra, si è trovato a corto di alleati.

Tuttavia è il caso di comprendere perché gli argomenti del PD (e compagni) sono usati e perché funzionano sempre meno.

La giustizia. Ch’è argomento sia di carattere offensivo, nel senso di promuovere l’avanzata sia difensivo, per proteggere la ritirata. Nel caso, fugacemente utilizzata nel primo, assai più nel secondo.

Dato infatti che i contribuenti sanno benissimo che si parte facendo appello a commoventi discorsi di giustizia, solidarietà, ecc. ecc., ma si finisce per mungere chi le tasse già le paga, i piddini si sono serviti della “giustizia” con la correzione della parità di prelievo, ossia volta a riequilibrare il prelievo tra i contribuenti e non per aumentarlo.

Tuttavia i contribuenti - a parte le reiterate esperienze dei risultati contrari alle esternazioni simili - forse si sono ricordati che la manovra fu già fatta (in tono minore) una dozzina di anni fa con le c.d. micro-zone; ma che io sappia a tutti i professionisti che se ne sono occupati (da me contattati), me compreso, non risulta che ci fosse un sono contribuente cui la “riformina” non avesse regalato un aumento d’imposta; oltretutto nello stesso periodo in cui il governo Monti con la sagacia economica che lo caratterizzava, istituiva l’IMU con enormi aumenti dell’imposizione. Il danno così risultava aggravato ad onta dell’intento giustizialista esternato: l’unica redistribuzione prodotta era quella dalle tasche dei governati a quelle dei governanti.

La credibilità. Dato ciò, perché una classe dirigente richieda (con successo) un sacrificio ai governati occorre che abbia autorità e legittimità. Churchill poteva farlo, promettendo lacrime e sangue agli inglesi, sia perché lo era, sia perché c’era da affrontare un nemico formidabile come la Germania nazista. Ma alla sinistra (o sedicente tale) italiana contemporanea, autorità e legittimità mancano del tutto. A provarlo sono due fatti: l’uno, decisivo, che non sono mai andati al governo (dal 2008 in poi) per aver vinto le elezioni, cioè per volontà del corpo elettorale (quindi popolare) ma solo per decisione di altri e/o per manovre di palazzo. L’altro, secondario ma rivelatore, che non fanno, di conseguenza, nelle loro argomentazioni, alcun riferimento ai desiderata del popolo, ma ad altro: “ce lo chiede l’Europa”, “lo ha detto Greta”, “faremo cose magnifiche” (ma le esperienze insegnano il contrario), “lo sostengono i tecnici” e così via.

Tra commoventi appelli alla solidarietà, mozioni degli affetti, futuro paradisiaco, c’è tutto l’armamentario della propaganda (neanche granché raffinata).

E qua casca l’asino; perché se il governo Draghi ha di per sé il pregio di essere il più credibile tra i governi italiani degli ultimi quindici anni, il premier  non ha la vocazione a perderla, in particolare per manovre mediocri. Onde ben fa Draghi a ripetere che questo è il momento di dare quattrini ai cittadini e   non di toglierli. Finché è coerente, la sua credibilità non ne risente.

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