Questo saggio,
chiaro e sintetico, si pone il problema di come conciliare ethnos e polis, ovvero in altri termini, ma di senso vicino,
comunità e istituzione (politica).
Nella decadenza
della modernità, cioè l’epoca in cui viviamo, ethnos e polis sono stati
progressivamente separati: nel senso che si pensa possa costituirsi
un’istituzione senza una certa omogeneità
tra i cittadini. E tale omogeneità non è necessario che si fondi su dati
concreti e reali.
L’autore cita a
tale proposito, tra le tante, le interpretazioni moderne della celebre
conferenza di Renan Cos’è una nazione?
Il passo in cui Renan definisce la nazione come sintesi tra passato (possesso
in comune di una quantità di ricordi,
cose, rapporti, usi) e il presente (la volontà di vivere insieme ed avere un
destino comune) è intesa pretendendo
di ridimensionare e svalutare il passato, e attribuire alla volontà arbitraria (Tönnies) dei partecipanti la
capacità di costruire un futuro comune
tra persone prive di ogni passato comune.
Un’esegesi che annichilisce totalmente ciò che nel pensiero di Renan era
collegato necessariamente.
Alla volontà
(arbitraria) e al diritto, inteso anch’esso riduttivamente (come atto
volontario) dei consociati è rimessa la costituzione dell’ordine sociale o
almeno della magna pars di esso, cioè
la costituzione dell’istituzione. Così l’atto relativo è il risultato di una
decisione comune degli associati, direttamente o per rappresentanza.
Il tutto non
presuppone l’esistenza di una comunità: anche un’assemblea multietnica,
multirazziale e multi religiosa potrebbe agevolmente trovare un modo
d’esistenza comune e scriverlo su un pezzo di carta, sulla base della sola
ragione. Una costituzione diventa così la sorella
maggiore di un regolamento condominiale.
Ovviamente,
nella realtà, non è così; anche le costituzioni frutto di un procedimento come
quello descritto (come quasi tutte quelle moderne) sono poste in essere – e
vengono bene - se espressione di una volontà comunitaria e di un ordine già –
almeno in parte – esistente. Se non c’è in un gruppo politico almeno un certo
tasso di omogeneità tra gli associati,
l’impresa è destinata al fallimento.
Anche la storia
recente l’ha provato. Oltre trent’anni fa, nella crisi (terminale) dell’URSS,
Gorbaciov propose di stipulare (tra
le repubbliche sovietiche) un nuovo trattato dell’unione (connotato da
pluralismo e democrazia). L’impresa finì come tutti sappiamo: in gran parte
perché era difficile tenere insieme repubbliche con maggioranza di cittadini
cattolici o protestanti (come quelle baltiche) con altre a maggioranza
cristiano ortodossa, o musulmana; peraltro tutte organizzanti popoli ed etnie
diverse. In altra anche perché si può cercare di farlo, e molti imperi ci sono
riusciti, ma a patto che il potere “federale” o meglio unificante non fosse democratico ma assoluto come quello zarista e,
poi, comunista. Voler coniugare potere, disomogeneità e democrazia è un’impresa
che non risulta riuscita nella storia.
Proprio questa refrattarietà al reale e al concreto è
il principale connotato della modernità decadente. Scrive Levavasseur “questa
situazione ricorda quella della fine del mondo sovietico, la cui ideologia
marxista sembrava imporsi a tutti i popoli che controllava… sembrava che non ci
fossero altri esiti possibili, se non quello del collettivismo, fino al giorno
in cui il regime è crollato come un castello di carte, poiché la sua ideologia
si basava su parole e concetti che non avevano più nulla a che fare con la
realtà” e “La democrazia liberale potrebbe subire un giorno la stessa sorte,
con la fondamentale differenza che la sua scomparsa provocherà un caos molto
più consistente”. Distruggendo poi il passato comune, cancella l’ethos, che è fondamento dell’esistenza
dell’ethnos. È necessario ricostruire
il rapporto tra ethnos e polis, e così tra identità e sovranità
“è più che mai necessario ritornare a una concezione dell’ordine politico che
riconcilia nazione etnica (l’ethnos)
e nazione civica (la polis)”.
In conclusione
la concezione criticata della “democrazia liberale” – che a ben vedere è poco
democrazia e anche poco liberale – rischia, assai più della caduta del
comunismo, di far uscire non l’umanità, ma almeno i popoli europei dalla
storia.
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