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In tempi recenti, Alan Hart è stato ospite del programma condotto da Alex Jones per una lunga intervista sul tema dell’11 settembre.
Per chi non lo conoscesse, Alex Jones è il famoso – molto battagliero - conduttore radiofonico americano e attivista politico che da dieci anni conduce campagne di informazione a tappeto e manifestazioni nelle maggiori città americane per denunciare la falsa propaganda in merito agli attacchi dell’11 settembre e alle guerre da allora mosse contro l’Islam, e per chiedere indagini oneste e approfondite che facciano luce sulle reali tecniche impiegate per fare collassare edifici costruiti con criteri di estrema resistenza ad attacchi esterni.
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Il contenuto dell’intervista è sintetizzato nel breve scritto pubblicato dall'autore sul proprio blog per il decimo anniversario degli attentati dell’11 settembre, ed è stato tradotto in italiano per Civium Libertas. La conclusione a cui arriva l’autore è chiara. Al lettore viene fornita la possibilità di scegliere tra due scenari ipotizzati, che tuttavia non cambiano la sostanza.
Ma il motivo principale per cui Alan Hart abbia atteso tanto tempo per pronunciarsi viene spiegato bene nell’intervista che l’autore rilasciava nel programma di Alex Jones.
Faceva notare l’autore, che solo di recente è stato pubblicato il terzo volume della sua trilogia epica sulla storia politica del sionismo dal titolo «Sionismo: il vero nemico degli ebrei» [vedere qui per una introduzione all’opera in italiano]. Il libro era già in cantiere quando iniziavano le polemiche sull’11 settembre e rappresentava lo strumento per opporre i fatti della verità storica alle menzogne della propaganda sionista. Alan Hart non è un ebreo e a causa della sua opposizione al sionismo e del suo impegno per la Palestina ha sempre dovuto lottare per respingere le accuse di presunto “anti-semitismo”. Era consapevole che l’uscita del suo libro avrebbe scatenato le ire sioniste – come infatti è poi avvenuto – e occorreva non fornire appigli ai sionisti per screditare pubblicamente l’opera e il suo autore.
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Perché dovremmo attribuire autorevolezza all’ipotesi che Alan Hart propone nell’articolo che segue in merito ai mandanti dell'11 settembre? Perché l’autore è ritenuto generalmente il maggiore esperto in materia di storia del sionismo, e di tutto ciò che riguarda il cosiddetto «conflitto israelo-palestinese».
Ha conosciuto personalmente tutti i principali protagonisti schierati dall’una e dall’altra parte del conflitto – leader politici, militari e dei servizi segreti, sia nel modo arabo e israeliano, che in Occidente. Fin dall’inizio della sua carriera, è stato inviato speciale in Palestina/Israele per i maggiori canali di informazione britannici – ITV e BBC - potendo constatare di persona quale fosse la realtà sul campo opposta alla propaganda della mitologia sionista. Venne a conoscenza dei veri retroscena storici riguardo all’instaurazione del regime sionista in Palestina e arrivò presto a comprendere l’enormità delle menzogne raccontate al pubblico occidentale sulla nascita del cosiddetto stato di Israele.
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In seguito all’ultima terribile rivelazione fatta in segreto ad Alan Hart dalla famosa statista israeliana Golda Meir – in partica sul letto di morte –
[l’episodio è narrato nel primo capitolo del Volume 1] Alan Hart prendeva la decisione di entrare nel mondo della diplomazia internazionale e venne incaricato di fungere da mediatore tra Arafat e l’israeliano Shimon Peres all’interno del cosiddetto processo di pace israelo-palestinese. Divenne anche consulente esterno per il Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
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Raccontare la verità sul sionismo è diventato il Leitmotiv della vita dell’autore. Tutto ciò che Alan Hart ha vissuto personalmente nei decenni del suo impegno per la causa Palestinese,
tutti i retroscena politici e gli incontri personali con re e combattenti, è narrato nella sua opera scritta nello stile vivace del reporter, non dello storico. Ma sia ben chiaro, l’opera è anche il risultato di 5 anni di minuziosa ricerca per fornire i retroscena storici e politici dei primi decenni dell’ascesa politica del sionismo, prima che Alan Hart entrasse personalmente in scena nel racconto.
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L’articolo che segue è da leggere quindi considerando che non si tratta di una semplice analisi ipotetica, ma il frutto di una lunga esperienza e conoscenza personale dell’autore in merito alla materia affrontata.
Peraltro, molti dei retroscena politici dell’epoca in cui avvenivano gli attentati dell’11 settembre, sono narrati nel Volume 3 dell’opera che termina con gli sviluppi del sionismo sotto il mandato Obama. L’autore dichiara che forse nel prossimo futuro ci sarà un Volume 4.
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La frase più nota di Alan Hart, citata da molti è: «Il sionismo è il cancro al cuore delle politiche internazionali: deve essere curato prima che ci consumi tutti, ovunque nel mondo.»
Egeria
* * *
Analisi sul probabile coinvolgimento del Mossad
negli attacchi dell’11 settembre 2001
di Alan Hart
negli attacchi dell’11 settembre 2001
di Alan Hart
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La mia risposta personale all’interrogativo è «No». A mio giudizio esiste evidenza sufficiente – visiva, tecnica e scientifica, oltre alle testimonianze pertinenti incluse quelle dei vigili del fuoco – per arrivare alla conclusione che nelle Torri Gemelle e nell’Edificio Sette, erano state piazzate cariche esplosive per fare collassare le Torri mediante la tecnica denominata “demolizione controllata”.
Per prima cosa vorrei attirare l’attenzione sull’evidente e massiccia complicità da parte dei media di massa nel sopprimere domande e discussioni aperte sugli attacchi dell’11 settembre. Ma il nocciolo della questione è il fatto che negli ultimi 63 anni – dalla creazione dello stato sionista (e non ebraico!) di Israele per mezzo di terrorismo e pulizia etnica fino ad oggi – i media mainstream si sono resi complici dei sionisti nella soppressione della verità su come si è venuto a creare e continua ancora oggi il cosiddetto conflitto in Palestina divenuta Israele. In altre parole, i media si sono prestati a diffondere ed appoggiare le menzogne della propaganda sionista.
Le due menzogne maggiori possono riassumersi brevemente come segue.
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La seconda falsità è che «Israele non ha mai avuto interlocutori Arabi per la pace». Questa è pura propaganda senza senso. Ecco due tra i tanti esempi a prova di quanto affermo.
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Ho assistito personalmente a quanto è successo quel giorno.
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Ora, se si fosse trattato di un attacco Arabo/Musulmano ad una nave americana, è ragionevole speculare che gli americani avrebbero risposto con ritorsioni militari, se non addirittura con una dichiarazione di guerra alla nazione ritenuta responsabile. Ma non si trattava di un attacco Arabo [bensì di un attacco israeliano, che i sionisti hanno giustificato dicendo agli americani che si fosse trattato di errore]. E cosa fece allora il presidente americano Johnson? Per timore di offendere la Lobby sionista e i suoi tirapiedi nel parlamento americano, ha ordinato l’insabbiamento che rimane in vigore ad oggi. E i media compiacenti si sono prestati al gioco replicando la menzogna, come fanno tutt’ora.
Ora fornisco in sintesi la mia analisi sul possibile e probabile coinvolgimento del Mossad negli attacchi dell’11 settembre. Due sono i possibili scenari - A e B.
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Sempre rimanendo nello scenario A – che prevede che il Mossad abbia scoperto il piano per l’attacco dell’11 settembre ideato da un gruppo islamista. La domanda è: il Mossad lo avrà poi raccontato a qualcuno?
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Secondo questo scenario, gli attacchi dell’11 settembre – seppure inizialmente un’idea Arabo-Musulmana – fu il risultato di una congiura tra i servizi segreti israeliani e le sfere di potere neo-con americane.
Il Mossad e il terrorismo di Abu Nidal
Prima di passare allo scenario B racconterò in breve la storia su come il Mossad penetrò le fila del gruppo terroristico di Abu Nidal. Per la cronaca, Abu Nidal era un membro di Fatah ai tempi di Arafat, ma se ne separò quando divenne evidente che Arafat era venuto a patti con la realtà dell’esistenza di Israele e stava in effetti preparando il terreno – dalla parte Palestinese - per un compromesso con Israele. Il gruppo di Abu Nidal stabilì le sue basi in prevalenza in Iraq e fu responsabile delle uccisioni, soprattutto su suolo europeo, di oltre 20 degli emissari di Arafat, allora in missione all’estero per colloqui segreti con i governi occidentali aventi lo scopo di informare circa le intenzioni serie della PLO e del gruppo dirigente di Fatah, in merito al compromesso con Israele.
Da una successiva indagine effettuata da parte di Arafat e Abu Iyad, capo del contro-spionaggio di Fatah, emerse che Abu Nidal da tempo si era dato all’alcool – era arrivato a consumare anche due bottiglie di whisky al giorno ed era quasi costantemente ubriaco. In effetti era il suo braccio destro – il numero due dell’organizzazione - a occuparsi degli affari del gruppo. Era lui a decidere chi doveva essere assassinato ed era lui a dirigere le operazioni. Il braccio destro di Abu Nidal era un agente del Mossad.
[E ora la storia prende una piega decisamente macabra e contorta, nella migliore tradizione del Mossad]. Furono in effetti due studenti palestinesi di Londra a ricevere dal gruppo di Abu Nidal l’incarico di assassinare l’ambasciatore israeliano Argov.
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Nello scenario B va considerato che alcuni dei presunti attentatori Arabi/Musulmani dell’11 settembre erano sorvegliati da parte di vari servizi segreti occidentali negli anni che precedettero gli attacchi. I servizi segreti che li monitoravano, ritenendoli possibili o probabili terroristi, erano tra l’altro quelli delle Germania, dell’America e di Israele.
In questo scenario non è da escludere che l’idea per gli attentati dell’11 settembre fosse suggerita a possibili/probabili terroristi Arabi/Musulmani da parte di agenti del Mossad.
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Domanda: in che modo l’11 settembre ha servito gli interessi della psicopatica destra israeliana e dei suoi associati neo-con in America?
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Come sappiamo, non era certo un segreto l’intenzione dei sionisti di disfarsi di Saddam Hussein. Nel 1996, sotto la direzione di Richard Pearl – che negli ambienti informati viene chiamato «il Principe delle Tenebre» - le sfere sioniste americane presentarono una proposta di legge [per Israele] mediante un documento dal titolo «Un taglio netto: una nuova strategia per salvaguardare il Regno».
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Il documento sollecitava il nuovo premier Netanyahu ad agire con decisione nel dare un taglio netto alle politiche del suo predecessore Yzak Rabin, inclini alle trattative di pace con l’OLP al costo di ‘concessioni’ di terre. Secondo il documento, la rivendicazione di Israele dell’intero territorio occupato era «legittimo e nobile». Diceva il testo: «Solo il riconoscimento incondizionato dei nostri diritti da parte degli Arabi costituisce una base solida per il futuro [il nostro del testo tradisce la totale identificazione dei politici e funzionari sionisti americani con Israele, non con gli USA, n.d.t.]. Solo dopo il taglio netto Israele sarebbe «libera di configurare la propria struttura strategica». E cosa avrebbe comportato ciò? Tra l’altro a «ristabilire il principio dell’attacco preventivo, … perseguire l’obiettivo di rimuovere Saddam Hussein dal potere in Iraq … contenere e indebolire la Siria, l’Iran e Hezbollah nel Libano».
In effetti, i «risolutori» del sionismo in USA e i loro associati neo-conservatori avevano da tempo un progetto in cantiere per disfarsi di Saddam Hussein.
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Ma l’11 settembre era molto più di questo. In effetti dal punto di vista dei sionisti rappresentava una soluzione vincente in tutti i sensi.
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Come dico nella mia introduzione al Volume 1 dell’edizione americana del mio libro sulla storia del sionismo, quando gli Americani hanno chiesto: «Perché loro ci odiano?», con «loro» intendevano più o meno tutti gli Arabi e Musulmani ovunque nel mondo. Ma io chiedo: «Cosa avrebbero potuto apprendere gli Americani se il presidente Bush, invece di precipitarsi a dichiarare la sua guerra al terrorismo globale, si fosse impegnato affinché la domanda ricevesse una risposta seria?»
La risposta completa ed esauriente al «perché loro ci odiano» viene fornita per mezzo dei tre volumi del mio libro.
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A differenza del pubblico americano, la maggioranza degli Arabi e altri Musulmani è ben consapevole che il supporto incondizionato per Israele non è nell’interesse dell’America. In effetti non è nell’interesse di nessuno, compresi gli ebrei ovunque nel mondo e la stessa Israele.
* * *
L'articolo originale in inglese è pubblicato qui , e rappresenta la seconda parte di un post che inizia con una lettera aperta indirizzata ad Abe Foxman della ADL - Anti-Defamation League.
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